Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 9211 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 9211 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 24821/2023 R.G. proposto da :
COGNOME NOME COGNOME rappresentato e difeso da ll’ Avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE giusta procura speciale in calce al ricorso
– ricorrente
–
contro
RISERVA COGNOME di COGNOME di COGNOME, rappresentata e difesa da ll’ Avvocato NOME Mario (CODICE_FISCALE giusta procura speciale in calce al controricorso
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia n. 2052/2023 depositata il 19/10/2023;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/2/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Belluno, con sentenza n. 323/2020, rigettava la domanda presentata da NOME COGNOME quale socio dell’associazione non riconosciuta RAGIONE_SOCIALE (di seguito, per brevità, R.A.C.) di Comelico Superiore, perché fosse
accertata e dichiarata l’illegittimità dell’assemblea straordinaria dei soci del 7 giugno 2018 e delle delibere nella stessa adottate.
La Corte distrettuale di Venezia, a seguito dell’appello proposto dal COGNOME, rilevava -fra l’altro e per quanto di interesse che l’appellante non era riuscito a spiegare se e in quali termini il clima intimidatorio esistente in assemblea lo avesse concretamente limitato, impedendogli di far valere le proprie ragioni e quindi di poter liberamente condizionare le volontà degli altri associati in maniera tale da indurli ad assumere una posizione analoga alla propria in relazione ai temi in discussione.
Aggiungeva che non risultava in alcun modo dimostrato l’indebito condizionamento della libera espressione del pensiero che l’attore avrebbe avuto in animo di esporre in sede assembleare, giacchè le prove orali richieste non erano ammissibili, essendo state dedotte in termini generici e valutativi e con riguardo a circostanze nella sostanza irrilevanti.
Osservava che l’appellante proponeva un errato inquadramento della fattispecie in esame, la quale, in realtà, non atteneva all’esclusione di un fondo dalla pianificazione in materia faunistico-venatoria e dalla conseguente possibilità di esercitarvi la caccia, ma riguardava la pianificazione e la ricognizione delle risorse ambientali e della consistenza faunistica prevista dagli artt. 10, 11, e 14 l. 157/1992.
Riteneva che la delibera oggetto di impugnazione fosse stata legittimamente adottata dalla R.A.C. di Comelico, quale soggetto preposto all’ambito territoriale di riferimento ai sensi della legge regionale Veneto n. 1/2007 e degli artt. 2 e 2bis del regolamento per la disciplina della caccia nelle riserve alpine della Provincia di Belluno.
Sottolineava, infine, che l’attore non aveva dedotto l’esistenza di alcun pregiudizio che gli sarebbe derivato, o potuto derivare, né in via immediata e diretta, né in una dimensione prospettica, dall’adozione della delibera di cui contestava la legittimit à,
escludendo, peraltro, l’esistenza di alcun danno, in quanto non era stata prevista l’esclusione di alcun socio o la sua temporanea sospensione, bensì solo una riduzione del territorio e delle specie cacciabili nella riserva, limitazione che costituiva una conseguenza prevista, legale e di portata generale, incidente cioè su tutti coloro che avevano titolo per poter essere ammessi alla riserva per esercitarvi l’attività venatoria.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza di rigetto dell’appello, pubblicata in data 19 ottobre 2023, prospettando due motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso la R.A.C. di Comelico Superiore.
Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ..
RAGIONI DELLA DECISIONE
4.1 ll primo motivo di ricorso, sotto la rubrica ‘ violazione e/o falsa applicazione dell’art. 654 c.p.p. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.; vizio di motivazione e omesso esame di fatto decisivo nonchè degli elementi istruttori ex articolo 360, comma 1, n. 4 e n. 5 c.p.c., con riferimento al clima intimidatorio dell’assemblea nei confronti del ricorrente; nullità del procedimento per violazione dei principi del giusto processo per omessa ammissione, senza motivazione, delle istanze istruttorie formulate in ordine all’esistenza del detto clima di intimidazione ‘, assume che la Corte territoriale abbia violato le norme sulla valenza del giudicato penale nel procedimento civile di cui all’art. 654 cod. proc. civ., trascurando di esaminare la sentenza irrevocabile di condanna del Tribunale di Belluno resa a carico di un socio della RAGIONE_SOCIALE per il reato di minacce, dalla quale era possibile trarre elementi di giudizio, in via di efficacia riflessa, in ordine al condizionamento subito dal COGNOME nel corso dell’assemblea dell’associazione.
La Corte distrettuale, inoltre, ha omesso -in tesi – ogni indicazione degli elementi valutativi e probatori utilizzati per approdare a una
decisione in palese contrasto con le evidenze documentali prodotte dall’appellante, non ha esaminato (o ha completamente travisato) le risultanze del processo penale che si era concluso con la condanna di un socio della RAGIONE_SOCIALE avente diritto a partecipare all’assemblea per il delitto di cui all’art. 612 cod. pen. perpetrato nei confronti del COGNOME e, dopo aver rigettato immotivatamente le istanze istruttorie formulate dall’appellante per offrire la prova del clima intimidatorio esistito ai suoi danni, non ha accolto le domande nel merito ritenendole indimostrate.
4.2 Il secondo motivo di ricorso, sotto la rubrica ‘ violazione e/o falsa applicazione dell’art. 117 , comma 2, lett. s), Cost. dell’art. 15, commi 3 e 6, della L. 157/92 dell’art. 21 del regolamento attuativo della L.R. del Veneto 1/2007, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3); violazione e omesso esame della L.R. n. 2/2022 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e n. 5, c.p.c.; omesso esame di un fa tto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, omessa valutazione di prove di cui la parte ha esplicitamente dedotto la decisività in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c .’, lamenta che la Corte di appello, nel confermare la sentenza di primo grado, abbia applicato in maniera non corretta le norme speciali in materia di caccia, perché la delibera assembleare, apportando un’invalida riduzione del terreno cacciabile, aveva alterato la pianificazione faunistico-venatoria prevista dagli artt. 10, comma 1, e 14, comma 4, l. 157/1992, che si realizza, con riserva di legge, una volta calcolato tutto il territorio potenzialmente utile per la fauna selvatica e stabilito l’indice di densità venatoria minima, costituito dal rapporto tra il numero dei cacciatori e il territorio regionale compreso nella zona faunistica delle Alpi.
La Corte distrettuale, inoltre, non ha -in tesi -considerato che gli unici legittimati a chiedere una riduzione del terreno cacciabile erano, a mente dell’art. 15 l. 157/1992, solo i proprietari dei fondi che venivano sottratti alla gestione programmata della caccia, così
come ha trascurato di esaminare le prove e le circostanze fornite dall’appellante a dimostrazione del pregiudizio per lui derivante dall’approvazione della delibera assembleare.
I motivi, da esaminare congiuntamente, sono inammissibili, per una pluralità di concorrenti ragioni.
5.1 La delibera impugnata dell’assemblea della R.A.C. ha avuto ad oggetto l’istituzione di un’area di divieto generale della caccia a tutte le specie, per la durata minima di cinque anni, con riduzione della superficie utile all’attività venatoria e relativo conseguente ricalcolo del numero massimo di cacciatori della riserva.
La Corte d’appello ha ricondotto questa delibera all’attività di programmazione degli interventi per il miglioramento degli habitat, al fine della ‘ ricostituzione di una presenza faunistica ottimale per il territorio ‘, che l’art. 14, comma 11, l. 157/1992 demanda agli organismi di gestione, precisando, in particolare, che una simile deliberazione costituisce non tanto una ‘ impropria ed illegale riduzione del territorio cacciabile ‘, ma piuttosto ‘ una sua limitazione, peraltro non definitiva, bensì temporalmente predeterminata, attuata dalla Riserva Alpina di Caccia di Comelico Superiore nell’ambito proprio dei poteri normativamente attribuitele quale Ambito territoriale di caccia e a fini parimenti normativamente previsti ed affidati alla sua cura ‘ (pag. 12 della sentenza impugnata). 5.2 La Corte di merito ha constatato (a pag. 12) che ‘ l’attore non dedotto l’esistenza di alcun pregiudizio che gli sarebbe derivato, o potuto derivare, né in via immediata e diretta, né in una dimensione prospettica, dall’adozione della delibera di cui contesta la legittimità ‘, escludendo, peraltro, nel merito la sussistenza di un simile pregiudizio (‘ considerato che non risulta per l’effetto prevista l’esclusione di alcun socio, né la sua temporanea sospensione, bensì solo una riduzione del territorio e delle specie cacciabili nella Riserva, che costituisce peraltro una conseguenza prevista, legale, e di portata generale, incidente cioè su tutti coloro
che hanno titolo per poter essere ammessi alla Riserva per esercitarvi l’attività venatoria ‘).
La contestazione mossa a questo accertamento non solo è del tutto generica, in violazione dell’attuale disposto dell’art. 366, comma 1, n. 6, cod. proc. civ. (che impone l’illustrazione del contenuto rilevante degli atti processuali su cui il motivo si fonda), perché assume che il pregiudizio subito (in termini di riduzione dei soci ammissibili e, nel rinnovo annuale delle iscrizioni, estromissione dei soci foranei, categoria in cui rientrerebbe il Carrer, così come di riduzione dei capi prelevabili dai soci, in quanto rapportati per legge all’estensione del territorio cacciabile, avente rilevanza anche economica) era stato chiaramente indicato ‘ nel precedente grado di giudizio ‘, senza spiegare però come e dove ciò era avvenuto, ma intende anche contestare, in maniera inammissibile in questa sede di legittimità, un accertamento di merito compiuto dalla Corte distrettuale in ordine all’inesistenza di alcun pregiudizio, in capo al l’odierno ricorrente, conseguente all’adozione della delibera adottata.
Rimane così acclarata in via definitiva la mancanza di allegazione e prova di un interesse concreto e attuale, in capo all’impugnante, ad eliminare un eventuale pregiudizio che la delibera avesse arrecato ai suoi diritti e ad assicurare una posizione di vantaggio effettivo derivante dalla pronunzia invocata.
5.3 A questo profilo di generale inammissibilità del ricorso si uniscono ulteriori profili di inammissibilità che investono ciascuno dei motivi dedotti.
5.3.1 Il primo mezzo si appunta sulle valutazioni compiute dalla Corte di merito in ordine all’inammissibilità e comunque all’infondatezza delle doglianze con cui il COGNOME aveva lamentato che l’assemblea si fosse svolta in un grave clima intimidatorio nei suoi confronti e con spiacevoli comportamenti aggressivi ai suoi danni,
così da impedirgli di ‘ partecipare attivamente alla discussione ‘ e di far valere le proprie ragioni.
La doglianza risulta inammissibile, anche ai sensi dell’art. 360 -bis , n. 1, cod. proc. civ., perché inidonea a superare l’accertamento di merito compiuto dai giudici distrettuali in ordine al fatto che al COGNOME non era stato impedito di esprimere il proprio avviso sul tema in discussione.
La Corte di merito, in particolare, ha constatato a questo proposito che l’associato aveva potuto esporre le proprie ragioni mediante la produzione di una nota scritta (pag. 8), osservando, inoltre, che ‘ il preteso clima di intimidazione, per poter essere ritenuto rilevante ‘, avrebbe dovuto essere stato indicato e dimostrato come la circostanza che ‘ aveva impedito di poter esprimere efficacemente il proprio avviso sul tema in discussione… ‘ (pag. 9), mentre le prove offerte a tal fine erano state dedotte ‘ in termini generici e valutativi ‘. Una simile argomentazione, obbiettivamente idonea a far conoscere il ragionamento seguito dal collegio giudicante per la formazione del proprio convincimento, risulta conforme alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la prova testimoniale non può avere ad oggetto apprezzamenti o giudizi, ma solo fatti obiettivi (si veda, per tutte, Cass. 22720/2014), e non può tradursi in un’interpretazione essenzialmente personale dei medesimi (Cass. 3505/1999).
Risulta così superfluo aggiungere che il giudicato può spiegare efficacia riflessa nei confronti di soggetti rimasti estranei al processo quando contenga l’affermazione di una verità che non ammette un diverso accertamento e sussista un nesso di pregiudizialità/dipendenza fra situazioni giuridiche (Cass. 18062/2019), mentre nel caso di specie la sussistenza di un giudicato penale in ordine alla perpetrazione del delitto di minaccia in epoca imprecisata non comportava di certo che il medesimo delitto fosse s tato nuovamente commesso nel corso dell’assemblea.
5.3.2 La Corte di merito ha puntualmente illustrato la sequenza normativa che legittimava il contenuto della delibera assembleare, spiegando che quest’ultima non disponeva l’esclusione di un fondo dalla pianificazione in materia faunistico-venatoria e dalla conseguente possibilità di esercitarvi la caccia, ma era stata assunta, nell’ambito della pianificazione della caccia, in applicazione dell’art. 14, comma 11, l. 157/1992 (a mente del quale ‘
‘) dal soggetto preposto all’ambito territoriale
di riferimento, secondo quanto previsto dalla legge regionale Veneto n. 1/2007 e dal correlato regolamento per la disciplina della caccia nelle riserve alpine della Provincia di Belluno, in un’ottica di tute la della presenza faunistica anche a fini incrementali.
La delibera impugnata costituiva, perciò, una limitazione, non definitiva e temporalmente predeterminata, del territorio cacciabile piuttosto che un’impropria ed illegale riduzione dello stesso, come sostenuto dall’appellante attraverso un’errata interpret azione del complesso normativo di riferimento.
A fronte di questa spiegazione, del tutto coerente con il contenuto della l. 157/1992, la censura in esame si sviluppa insistendo nel qualificare l’oggetto della delibera impugnata come riduzione definitiva piuttosto che come limitazione del territorio di caccia, senza però contestare l’accertamento di fatto sul contenuto della decisione assembleare e, soprattutto, senza preoccuparsi di criticare, in diritto, con la dovuta puntualità la riconduzione di questo oggetto al disposto dell’art. 14, comma 11, l. 157/1992 ed alle norme, regionali e regolamentari, che allo stesso danno attuazione. Una simile censura non considera che nel ricorso per cassazione la parte non può limitarsi alla mera riproposizione delle tesi difensive
svolte nelle fasi di merito e motivatamente disattese dal giudice dell’appello, operando così una mera contrapposizione del suo giudizio e della sua valutazione a quella espressa dalla sentenza impugnata (Cass. 11098/2000), tralasciando di considerare le r agioni offerte da quest’ultima e di indicare, in maniera circostanziata e specificamente argomentata, le ragioni per cui essa è errata.
Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in € 7.200, di cui € 200 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di c ontributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, ove dovuto. Così deciso in Roma in data 11 febbraio 2025.