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Impugnazione bilancio fallimento: domanda inammissibile

Un socio ha impugnato i bilanci di una società per violazione dei principi di chiarezza e veridicità, chiedendo anche l’accertamento di un credito. Durante la causa, la società è stata dichiarata fallita. Il Tribunale ha dichiarato entrambe le domande inammissibili. La prima per carenza di interesse ad agire, poiché l’azione di responsabilità spetta al curatore fallimentare. La seconda perché l’accertamento dei crediti verso un’impresa fallita è di competenza esclusiva del giudice fallimentare. Questa sentenza chiarisce i limiti procedurali per un socio in caso di impugnazione bilancio fallimento.

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Impugnazione Bilancio e Sopravvenuto Fallimento: Quando la Domanda del Socio Diventa Inammissibile

L’azione legale di un socio contro la propria società può subire una battuta d’arresto imprevista e definitiva se, nel corso del giudizio, interviene la dichiarazione di fallimento. Una recente sentenza del Tribunale di Venezia fa luce proprio su questo scenario, analizzando le conseguenze procedurali di una impugnazione bilancio fallimento e chiarendo perché le pretese del socio, seppur fondate in astratto, possano diventare inammissibili.

I Fatti del Caso: La Duplice Azione del Socio

Un socio, titolare di una quota superiore al 25% del capitale sociale, avviava una causa contro la propria società. Le sue richieste erano due:

1. Impugnazione dei bilanci: Chiedeva di dichiarare l’invalidità dei bilanci approvati dal 2014 al 2020, sostenendo che fossero stati redatti in violazione dei principi di chiarezza, veridicità e correttezza.
2. Accertamento di un credito: Domandava il riconoscimento di un credito personale di oltre 400.000 euro, derivante da una precedente sentenza che aveva già annullato il bilancio del 2014.

Il socio motivava il suo interesse ad agire spiegando che l’accertamento della falsità dei bilanci gli sarebbe servito per intentare una successiva azione di responsabilità contro il liquidatore della società.

L’Impatto del Fallimento sul Processo

Durante lo svolgimento della causa, un evento ha cambiato completamente le carte in tavola: la società è stata dichiarata fallita da un altro Tribunale. Il processo, dopo una breve interruzione, è stato riassunto, ma la società convenuta è rimasta contumace, ovvero non si è presentata in giudizio.

A questo punto, il Tribunale ha dovuto valutare se le domande del socio potessero ancora essere esaminate nel merito, alla luce della nuova condizione giuridica della società.

La Decisione del Tribunale sull’impugnazione bilancio fallimento

Il Tribunale di Venezia ha dichiarato entrambe le domande del socio inammissibili, ponendo fine al giudizio senza entrare nel merito delle presunte irregolarità dei bilanci.

Le Motivazioni

La decisione si fonda su principi cardine del diritto fallimentare e processuale.

Per quanto riguarda la prima domanda, relativa all’impugnazione bilancio fallimento, il giudice ha rilevato una carenza di interesse ad agire in capo al socio. L’obiettivo dichiarato era quello di agire contro il liquidatore. Tuttavia, una volta dichiarata fallita la società, la legittimazione a promuovere azioni di responsabilità contro gli organi sociali (incluso il liquidatore) spetta in via esclusiva al curatore fallimentare. Una sentenza di invalidità dei bilanci, ottenuta dal socio in un giudizio a cui il curatore non ha partecipato, non avrebbe prodotto alcun effetto utile e non sarebbe stata opponibile nella procedura fallimentare. L’azione del socio era, quindi, diventata sterile.

Relativamente alla seconda domanda, l’accertamento del credito di 400.000 euro, il Tribunale ha dichiarato l’improcedibilità. La legge fallimentare stabilisce che, dopo la dichiarazione di fallimento, tutte le pretese creditorie devono essere accertate in un’unica sede: la verifica del passivo davanti al giudice delegato. Questo principio serve a garantire la par condicio creditorum, ovvero la parità di trattamento tra tutti i creditori. Un creditore non può più agire in un tribunale ordinario per ottenere una sentenza di condanna, ma deve insinuare il proprio credito nella procedura fallimentare, seguendo le regole e i tempi previsti.

Le Conclusioni

Questa sentenza offre importanti lezioni pratiche per i soci e i creditori di società in crisi. In primo luogo, dimostra come il sopraggiungere del fallimento possa paralizzare le azioni individuali, anche se iniziate in precedenza. In secondo luogo, ribadisce la centralità e l’esclusività della procedura fallimentare per l’accertamento sia delle responsabilità degli organi sociali sia delle pretese dei creditori. Per un socio che intende contestare la gestione societaria, è fondamentale agire tempestivamente, ma essere anche consapevole che, in caso di insolvenza, i suoi poteri di azione diretta vengono assorbiti dalle prerogative del curatore, unico soggetto legittimato a tutelare gli interessi della massa dei creditori.

Un socio può continuare un’azione di impugnazione dei bilanci se la società fallisce nel corso del giudizio?
No, secondo questa sentenza la domanda può diventare inammissibile per carenza di interesse ad agire. Dopo il fallimento, l’eventuale azione di responsabilità contro gli amministratori o i liquidatori spetta esclusivamente al curatore fallimentare, rendendo inutile una pronuncia di invalidità dei bilanci ottenuta dal singolo socio.

Cosa succede a una richiesta di accertamento di un credito verso una società che viene dichiarata fallita?
La domanda diventa improcedibile in sede di cognizione ordinaria. L’accertamento del credito viene devoluto alla competenza esclusiva del giudice delegato nell’ambito della procedura fallimentare di verifica del passivo, per garantire la parità di trattamento tra tutti i creditori.

Perché il Tribunale ha ritenuto che il socio non avesse più ‘interesse ad agire’ per l’invalidità dei bilanci?
Perché l’obiettivo dichiarato dal socio, ovvero utilizzare la sentenza per poi agire in responsabilità contro il liquidatore, non era più legalmente perseguibile da lui dopo la dichiarazione di fallimento. La legittimazione a tale azione si trasferisce al curatore fallimentare, quindi la sentenza richiesta non avrebbe portato al socio alcun vantaggio concreto e giuridicamente tutelato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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