Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 19831 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 19831 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 17/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 30056-2021 proposto da:
COGNOME domiciliato ‘ ex lege ‘ presso l’indirizzo di posta elettronica del proprio difensore come in atti, rappresentato e difeso dall’Avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Direttore ‘ pro tempore ‘, domiciliata ‘ ex lege ‘ in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende per legge;
-controricorrente –
Avverso la sentenza n. 688/21 d ella Corte d’appello di Lecce, depositata in data 16/09/2021;
Oggetto
LOCAZIONE USO DIVERSO
Improcedibilità del ricorso
R.G.N. 30056/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 30/1/2025
Adunanza camerale
udita la relazione della causa svolta nell ‘adunanza camerale del 30/01/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME ricorre, sulla base di tre motivi, per la cassazione della sentenza n. 668/21, del 16 settembre 2021, della Corte d’appello di Lecce, che ha respinto la revocazione straordinaria ex artt. 436, 398, 395, comma 1, n. 1), cod. proc. civ., dallo stesso proposta avverso la sentenza n. 310/16, del 30 giugno 2016, della Corte salentina, di reiezione dell’appello esperito dal medesimo COGNOME contro la sentenza n. 3518/14, del 24 settembre 2014, con cui il Tribunale di Lecce aveva rigettato la domanda volta a conseguire, in via di principalità, la declaratoria di nullità del contratto di locazione immobiliare, concluso dall ‘odierno ricorrente con l’Agenzia del Demanio il 31 luglio 2007, ovvero, in subordine, la sua risoluzione dello stesso per inadempimento del locatore.
Riferisce, in punto di fatto, l’odierno ricorrente di essersi reso aggiudicatario, all’esito di una procedura ad evidenza pubblica, della locazione di un terreno facente parte del patrimonio disponibile dello Stato, sito nel Comune di Taranto, INDIRIZZO e di avere, pertanto, stipulato, in data 31 luglio 2007, il relativo contratto con l’Agenzia del Demanio.
Il conduttore, conseguita l’autorizzazione ad installare sulla ‘ res locata ‘ un impianto di energia da fonte rinnovabile, purché compatibile con la concordata destinazione ad uso agricolo del terreno, apprendeva che lo stesso era ricompreso all’interno dell’area ‘RAGIONE_SOCIALE‘ (cioè a dire, Sito di Interesse Nazionale) del Comune di Taranto, e che, risultando potenzialmente contaminato, era soggetto, per legge, all’obbligo di
caratterizzazione, consistente in un procedimento di analisi e misurazioni di suolo, sottosuolo, acque superficiali e sotterranee, allo scopo di evitare gravi danni ambientali e sanitari.
Il COGNOME, che fino a quel momento aveva provveduto al regolare pagamento del canone di locazione, si avvaleva dell’eccezione ex art. 1460 cod. civ., attesa l’originaria e dissimulata impossibilità del bene a qualsiasi tipo di sfruttamento economico.
Stante la mancanza di qualsiasi chiarimento da parte dell’Agenzia del Demanio, nonché la perdurante pretesa alla corresponsione dei canoni di locazione, il conduttore proponeva ricorso gerarchico, chiedendo l’annullamento della richiesta di pagamento e l’esonero da qualsivoglia obbligo pecuniario relativo alla esecuzione del contratto di locazione stipulato con l’Ente pubblico.
A fronte della reiezione del ricorso suddetto (motivata sul rilievo che il terreno in affitto, ancorché potenzialmente inquinato, potesse, in concreto, essere destinato ad attività agricola), il conduttore adiva l’autorità giudiziaria per chiedere la declaratoria di nullità del contratto, ovvero, la risoluzione dello stesso per inadempimento del locatore.
Costituitasi in giudizio, l’Agenzia del Demanio chiedeva, in via riconvenzionale, che il contratto fosse risolto per l’omesso pagamento dei canoni di locazione, nonché, la condanna del COGNOME alla corresponsione dei canoni rimasti insoluti, oltre al risarcimento del danno per lucro cessante.
Istruita la causa anche attraverso lo svolgimento di consulenza tecnica d’ufficio, il giudice di prime cure, mentre rigettava la domanda, accoglieva la riconvenzionale, dichiarando il conduttore tenuto a versare i canoni di locazione dal febbraio 2008 al 31 luglio 2013.
Gravata la decisione con appello, il mezzo esperito veniva rigettato, al pari della domanda di revocazione della pronuncia resa in seconde cure. Tale ultima iniziativa, in particolare, veniva assunta dal COGNOME per denunciare la condotta processuale dolosa della controparte, per avere la stessa sostenuto, nel corso di tutti i precedenti gradi di giudizio, che il vincolo della caratterizzazione del fondo locato non ne impediva l’utilizzo per le finalità di cui al contratto corrente tra le parti. In particol are, l’odierno ricorrente deduceva che -con atto di compravendita del 20 settembre 2017 (scoperto, però, dal Villani solo il successivo 14 aprile 2020), l’Agenzia del Demanio, segnatamente all’art. 15, rinviava espressamente -facendolo, dunque, proprio e riconoscendone il contenuto -al certificato di destinazione urbanistica contenente tutti i vincoli sempre taciuti nei suoi confronti, tali da impedire l’utilizzo agricolo dell’immobile , previsto nel contratto di locazione. A corroborare la propria tesi, il COGNOME richiamava anche la richiesta, del 14 febbraio 2020, indirizzata al Ministero dell’Ambiente, con la quale egli domandava un parere sull’utilizzabilità dell’area ‘RAGIONE_SOCIALE‘ per scopi agricoli, in assenza di predisposizione di alcun piano di caratterizzazione. Assumeva, infatti, il COGNOME di aver conseguito una risposta che confermava le sue ‘perplessità’, ribadendo il Ministero l’obbligo di previa caratterizzazione dell’area, prima di un suo effettivo utilizzo, ai sensi del Decreto del 1° marzo 2019, n. 46.
Nel corso del giudizio di revocazione, il COGNOME proponeva querela di falso, in via incidentale, con riguardo ad alcune dichiarazioni di scienza rese dal CTU e presenti nell’elaborato peritale, insistendo per l’accoglimento della proposta revocazione, res pinta, invece, dall’adito giudicante.
Avverso la sentenza della Corte salentina ha proposto ricorso per cassazione il COGNOME sulla base -come detto -di tre motivi.
3.1. Il primo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -‘ error in iudicando ‘, per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 395, comma 1, n. 1), cod. proc. civ., là dove il giudicante non ritiene sussistente la fattispecie del dolo revocatorio, a dispetto di tutto quanto emerso e provato, in proposito, nel precedente giudizio che ha dato luogo alla sentenza qui impugnata.
Il ricorrente deduce che la Corte salentina -‘nell’individuare il contenuto della condotta integrante il dolo processuale revocatorio e le condizioni cui è subordinata la sua rilevanza’ richiama, correttamente, il principio secondo cui esso è ‘rilevante solo se la sentenza ne sia l’effetto necessario’ e, dunque, allorché abbia ‘avuto un’influenza decisiva sul convincimento del giudice’, ciò che accade, qualora il dolo dipenda da un documento taciuto, allorché esso ‘sia idoneo a fornire nuovi elementi pro batori, tali che se il giudice ne avesse avuto tempestiva conoscenza avrebbe risolto la lite in senso favorevole alla parte che domanda la revocazione’ . Di tale principio, tuttavia, non sarebbe stata operata una corretta applicazione al caso di specie. Si evidenzia, infatti, come l’Agenzia del Demanio Lecce abbia sempre sostenuto, nel corso di tutti i precedenti gradi di giudizio, che il vincolo della caratterizzazione gravante sulla ‘ res locata ‘, terreno sito in una ‘zona speciale vincolata’ (nonché, RAGIONE_SOCIALE non impedisse il suo utilizzo per le finalità agricole, cui essa era vincolata, in forza del contratto oggetto del presente giudizio.
La condotta dolosa, caratterizzata da artifizi e raggiri, tenuta dall’Agenzia del Demanio e che è stata si assume -la diretta conseguenza di tutte le decisioni dei precedenti gradi di giudizio,
sarebbe riscontrabile soprattutto nel suo ‘atteggiamento ambiguo’, avendo essa , ‘ ab origine , per 14 anni consecutivi (dal 2007)’, sempre ‘rinnegato l’incombenza del vincolo della caratterizzazione sul terreno oggetto di locazione’, sostenendo l’utilizzabilità dello stesso ai fini agricoli, nonché ‘l’assenza di fondamento di tutte le affermazioni ed eccezioni sollevate dal COGNOME‘. Al contrario, nell’atto di compravendita stipulato con terzi il 20 settembre 2017, l’Agenzia del Demanio ‘fa espresso rinvio al certificato di destinazione urbanistica’ del 2016 (peraltro identico a quello del 23 maggio 2008, depositato in giudizio), riconoscendolo e facendone proprio il contenuto, nel quale ‘sono indicati tutti i vincoli, da sempre, celati/occultati/disconosciuti ‘, nonché impeditivi ‘l’utilizzo agricolo del fondo, cui lo stesso era vincolato’.
Il ricorrente, inoltre, a fronte dell’affermazione dell’Agenzia del Demanio circa la piena utilizzabilità del terreno locatogli, richiedeva -in data 14 febbraio 2020 -apposito parere al Ministero dell’Ambiente circa la possibilità utilizzare e sfruttare tale terreno, ad uso agricolo, seppur in assenza di predisposizione di alcun piano di caratterizzazione. Orbene, il successivo 26 marzo 2020, il Ministero dell’Ambiente (che già in passato si era pronunciato in tal senso con il D.M. del 10 gennaio 2000 e con la nota del 31 dicembre 2008), notificava via ‘P.e.c.’, al procuratore del COGNOME -nonché alla Regione Puglia, alla Provincia di Taranto, al Comune di Taranto, all’ISPRA, all’ARPA Puglia Dap. di Taranto, alla ASL di Taranto, all’I.S.S. e all’INAIL (a corroborare l’importanza ed urgenza di avvio dell’opera di caratterizzazione del terreno in questione) -la conferma di tutti i dubbi e le perplessità denunciati dall’odierno ricorrente. Nel suddetto parere, infatti, si affermava che, ‘in merito all’area i n oggetto non risulta nessun procedimento di bonifica avviato. Posto che l’area è inclusa nel perimetro SIN di Taranto, si rappresenta, inoltre,
che, attesa l’esigenza di utilizzare il terreno in questione, vista la sopraggiunta normativa per le aree destinate alla produzione agricola e all’allevamento, l’area dovrà essere caratterizzata ai sensi del nuovo Decreto n. 46 del 1° marzo 2019’, e dunque in forza di procedura da avviarsi d’ufficio.
Difatti, conclude il ricorrente, ‘contrariamente a quanto maliziosamente sottaciuto dalla controparte nel giudizio di revocazione’, il D.M. del 10 gennaio 2000 deve ritenersi ‘una norma imperativa’, che come tale ‘consente al citato Ministero dell’Ambiente , al quale è attribuita la competenza della bonifica e delle procedure di caratterizzazione ai sensi dell’art. 252, commi 4 e 5, del d.lgs. n.152 del 2006, di attivare i suoi poteri sostitutivi, consistenti nella possibilità di avviare, d’ufficio, le misur e di prevenzione contenute, altresì, negli articoli 240, lett. i), 242, comma 1, 245, comma 3, una volta constatata l’inerzia del proprietario dell’area’.
3.2. Il secondo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 5), cod. proc. civ. -‘ error in iudicando ‘, per omesso esame, da parte della Corte territoriale, di tutti quei fatti, come provati in atti, idonei a dimostrare la necessità di applicare la fattispecie del dolo revocatorio e, in particolare, l’esistenza di un consapevole e doloso silenzio del Demanio.
Si assume che la Corte salentina avrebbe ‘completamente omesso l’esame degli elementi decisivi posti, dall’odierno ricorrente, a sostegno della propria tesi’, avendo erroneamente sostenuto ‘che gli elementi che il COGNOME deduce a sostegno del dolo processuale revocatorio attengono a questioni che hanno costituito specifico oggetto di cognizione nell’ambito del giudizio di primo grado e del giudizio di secondo grado’.
Per contro, evidenzia il COGNOME, mentre l’oggetto dei precedenti gradi di giudizio ‘è sempre stato l’accertamento della nullità del
contratto di locazione intercorrente tra le parti’, le questioni sollevate e gli elementi dedotti a sostegno del dolo processuale revocatorio, ‘attengono ad elementi conosciuti e da sempre taciuti da parte del Demanio (i.e. inutilizzabilità del terreno)’.
3.3. Il terzo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ. -‘ error in procedendo ‘, nullità della sentenza o del procedimento, violazione e falsa applicazione degli artt. 221 cod. proc. civ. e 2699 cod. civ., in quanto la Corte non ha riconosciuto il ‘valore di pubblica fede’ alle affermazioni compiute dal CTU, come ritualmente impugnate da parte ricorrente con la proposizione di apposita querela di falso incidentale, le quali, contrariamente a quanto sostenuto in sentenza, costituiscono una dichiarazione di scienza del tutto falsa (e non mere valutazioni tecniche), resa dallo stesso consulente, quale ausiliario del giudice.
Ha resistito all’avversaria impugnazione, con controricorso, l’Agenzia del Demanio, chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380bis .1 cod. proc. civ.
Il ricorrente ha depositato memoria.
Non consta, invece, la presentazione di requisitoria scritta da parte del Procuratore Generale presso questa Corte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso è improcedibile.
8.1. Agli atti del giudizio a disposizione del Collegio al momento della decisione non risulta presente la relata di notificazione della sentenza impugnata, il deposito della quale è invece prescritto dall’art. 369, comma 2, cod. proc. civ., a pena d’improcedibilità del ricorso stesso.
Trova, pertanto, applicazione il principio secondo cui ‘il ricorso per cassazione è improcedibile qualora la parte ricorrente dichiari di avere ricevuto la notificazione della sentenza impugnata, depositando, nei termini indicati dall’art. 369, comma 1, co d. proc. civ., copia autentica della sentenza, priva però della relazione di notificazione e di tale documentazione non abbia effettuato la produzione neppure la parte controricorrente (cfr., tra le altre, Cass. Sez. 6-2, ord. 22 luglio 2019, n. 19695, Rv. 654987-01).
Come detto, la ricorrente ha depositato la sentenza impugnata, ma non pure la relata di notificazione, al cui deposito non ha provveduto nemmeno la controricorrente.
D’altra parte, nel caso di specie neppure è ipotizzabile quella evenienza -nota come c.d. ‘prova di resistenza’ idonea a precludere la declaratoria di improcedibilità.
Evenienza, questa, da ritenere integrata allorché la notificazione del ricorso risulti essersi perfezionata, dal lato del ricorrente, entro il sessantesimo giorno dalla pubblicazione della sentenza, giacché in questo caso il collegamento tra la data di pubblicazione della sentenza (indicata nel ricorso) e quella della notificazione del ricorso stesso (emergente dalla relata di notificazione dello stesso) assicuri, comunque, lo scopo, cui tende la prescrizione normativa, di consentire al giudice dell’impugna zione, sin dal momento del deposito del ricorso, di accertarne la tempestività in relazione al termine di cui all’art. 325, comma 2, cod. proc. civ. (cfr., in tal senso, Cass. Sez. 3,
sent. 10 luglio 2013, n. 17066, Rv. 628539-01; Cass. Sez. 6-3, ord. 22 settembre 2015, n. 18645, Rv. 636810-01; Cass. Sez. 63, ord. 30 aprile 2019, n. 11386, Rv. 653711-01).
Nell’ipotesi che occupa, infatti, la notificazione del ricorso è avvenuta il 22 novembre 2021 e, dunque, oltre sessanta giorni dal momento della pubblicazione della sentenza, risalendo essa al 16 settembre 2021.
Né a precludere l’esito dell’improcedibilità può valere il rilievo che la controricorrente nulla abbia eccepito al riguardo, giacché il vizio ‘ de quo ‘ risulta, comunque, rilevabile d’ufficio, oltre che non sanabile dalla non contestazione da parte del controricorrente (per tutte: Cass. Sez. Lav., sent. 12 febbraio 2020, n. 3466, Rv. 656775-01), trattandosi di materia indisponibile, poiché di ordine pubblico processuale.
Infine, non pare ozioso ribadire che ‘l’improcedibilità del ricorso ex art. 369, comma 2, n. 2), cod. proc. civ.’, conseguente al mancato tempestivo deposito della relata di notificazione della sentenza, in base a quanto affermato dalla Corte EDU nella se ntenza del 23 maggio 2024, NOME e altri c. Italia, ‘non si pone in contrasto con l’art. 6 CEDU, poiché integra una sanzione adeguata rispetto al fine di assicurare il rapido svolgimento del procedimento dinanzi alla Corte di cassazione, che è preordinato alla verifica della corretta applicazione della legge ed interviene dopo la celebrazione di due gradi di giudizio deputati alla delibazione nel merito della pretesa, e non costituisce impedimento idoneo a compromettere il diritto di accesso a un tribun ale’ (Cass. Sez. 3, ord. 16 settembre 2024, n. 24724, Rv. 672216-01).
Il Collegio reputa, peraltro, opportuno evidenziare che, se fosse stato possibile procedere allo scrutinio dei motivi, si sarebbe dovuto rilevare quanto segue.
Il primo motivo si sarebbe dovuto ritenere non fondato.
Nello scrutinarlo si sarebbe dovuto premettere che ad ‘ integrare la fattispecie del dolo processuale revocatorio ai sensi dell’art. 395, n. 1, cod. proc. civ., non è sufficiente la sola violazione dell’obbligo di lealtà e probità previsto dall’art. 88 c.p.c., né sono di per sé sufficienti il mendacio, le false allegazioni o le reticenze, ma è richiesta, invece, un’attività (“macchinazione”) intenzionalmente fraudolenta, che si concretizzi in artifici o raggiri subiettivamente diretti e oggettivamente idonei a paralizzare la difesa avversaria e a impedire al giu dice l’accertamento della verità, pregiudicando l’esito del procedimento ‘ (Cass. Sez. 3, ord. 28 dicembre 2021, n. 41792, Rv. 663694-01).
A tale fattispecie, dunque, non può ricondursi quanto posto in essere dall’Agenzia del Demanio, alla quale, infatti, si addebita un ‘atteggiamento ambiguo’, avendo essa ‘ ab origine , per 14 anni consecutivi (dal 2007)’, sempre ‘rinnegato l’incombenza del vincolo della caratterizzazione sul terreno oggetto di locazione’.
Il secondo motivo si sarebbe dovuto reputare inammissibile, perché quanto viene prospettato come ‘omesso esame’, altro non è se non l’apprezzamento, in negativo, dei fatti che avrebbero dovuto sostanziare il dolo processuale.
Il terzo motivo, infine, avrebbe meritato una valutazione di non fondatezza, dovendo darsi seguito al principio secondo cui, in tema di querela di falso, ‘ l’idoneità del documento impugnato ad assumere efficacia di prova privilegiata costituisce il presupposto necessario del procedimento di verificazione giudiziale a norma degli artt. 221 e seguenti cod. proc. civ. ‘, sicché ‘ è inammissibile la proposizione della querela avverso la consulenza tecnica d’ufficio, la quale, riguardo alle affermazioni, constataz ione o
giudizi in essa contenuti, non è munita di pubblica fede, potendo essere contrastata con tutti i mezzi di prova e non essendo vincolante per il giudice, che può liberamente disattenderla ‘ (così, da ultimo, Cass. Sez. 2, sent. 4 maggio 2011, n. 9796, Rv. 617945-01).
Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
A carico del ricorrente, stante la declaratoria di improcedibilità del ricorso, sussiste l’obbligo di versare, al competente ufficio di merito, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto secondo un accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 65719801), ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte dichiara improcedibile il ricorso, condannando NOME COGNOME a rifondere all’Agenzia del Demanio le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in € 6.000,00, più spese eventualmente prenotate a debito, oltre spese forfetarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della