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Impresa minore: revoca liquidazione giudiziale

Una società in nome collettivo, dichiarata in liquidazione giudiziale su istanza di un’ex dipendente, ha ottenuto la revoca del provvedimento in appello. La Corte ha accolto il reclamo dopo che la società ha dimostrato di possedere i requisiti di ‘impresa minore’ previsti dal Codice della Crisi, ovvero soglie di attivo, ricavi e debiti inferiori ai limiti di legge. Nonostante la vittoria, la società è stata condannata a pagare le spese del primo grado e del curatore per non aver fornito le prove tempestivamente.

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Impresa Minore: Quando la Liquidazione Giudiziale Può Essere Revocata?

La recente sentenza della Corte di Appello di Firenze offre un’importante lezione sull’applicazione del Codice della Crisi d’Impresa e dell’Insolvenza, in particolare riguardo alla nozione di impresa minore. Il caso analizzato dimostra come, anche dopo l’apertura della liquidazione giudiziale, sia possibile ottenere una revoca del provvedimento se si riesce a dimostrare la sussistenza dei requisiti che escludono l’assoggettabilità alla procedura. Tuttavia, emerge anche un monito cruciale: l’onere della prova grava sul debitore, e la negligenza processuale può costare cara.

I Fatti: Dalla Richiesta di Liquidazione al Reclamo

Una società in nome collettivo e i suoi soci si sono visti dichiarare la liquidazione giudiziale dal Tribunale di Pisa. L’istanza era stata presentata da un’ex dipendente della società, la quale lamentava il mancato pagamento di suoi crediti. Il Tribunale, in assenza dei debitori (rimasti contumaci), aveva accolto il ricorso, ritenendo sussistenti lo stato di insolvenza e il superamento delle soglie di indebitamento, e constatando la mancata prova della qualifica di ‘impresa minore’.

Contro questa decisione, la società e i soci hanno proposto reclamo alla Corte di Appello, sostenendo di possedere tutti i requisiti per essere classificati come impresa minore e, di conseguenza, di non essere soggetti alla liquidazione giudiziale. A sostegno della loro tesi, hanno prodotto una cospicua documentazione, tra cui dichiarazioni IVA, bilanci, e una relazione tecnica che attestava la loro situazione patrimoniale e finanziaria.

I Requisiti dell’Impresa Minore nel Codice della Crisi

Il fulcro della questione ruota attorno all’art. 2 del Codice della Crisi (D.Lgs. 14/2019), che definisce l’impresa minore. Per rientrare in questa categoria, e quindi essere esclusa dalla liquidazione giudiziale, un’impresa deve presentare congiuntamente, nei tre esercizi precedenti, i seguenti requisiti:

1. Attivo patrimoniale annuo non superiore a 300.000 euro.
2. Ricavi annui non superiori a 200.000 euro.
3. Ammontare di debiti (anche non scaduti) non superiore a 500.000 euro.

È onere del debitore dimostrare il possesso congiunto di queste tre condizioni. Se non fornisce tale prova, si presume che non sia un’impresa minore.

Le Motivazioni della Corte d’Appello

La Corte di Appello di Firenze ha ritenuto fondato il reclamo. Analizzando la documentazione prodotta, i giudici hanno accertato che la società rientrava pienamente nei parametri dell’impresa minore. Nello specifico, è emerso che:

– La società era inattiva dal 2017 e in liquidazione volontaria dal 2018, con ricavi pari a zero negli ultimi esercizi.
– Non possedeva beni immobili o mobili registrati, e l’unico attivo consisteva in crediti di valore irrisorio (meno di 300 euro).
– L’indebitamento complessivo era inferiore a 170.000 euro, ben al di sotto della soglia di 500.000 euro.

Sulla base di queste evidenze, la Corte ha concluso che la società non era assoggettabile alla liquidazione giudiziale, in quanto le sue dimensioni la qualificavano come ‘impresa minore’. Di conseguenza, ha revocato la sentenza del Tribunale di Pisa.

Le Conclusioni: Onere della Prova e Responsabilità

La decisione, pur favorevole ai reclamanti, contiene un importante principio di responsabilità. La Corte ha infatti imputato alla società e ai soci i costi della procedura di primo grado e il compenso del curatore. La motivazione di tale addebito risiede nel loro comportamento processuale: se si fossero costituiti tempestivamente davanti al Tribunale, adempiendo al loro onere di dimostrare la qualifica di impresa minore, l’apertura della liquidazione giudiziale sarebbe stata evitata. La loro contumacia ha reso necessaria un’attività processuale che si sarebbe potuta prevenire.

Questa sentenza ribadisce che la qualifica di impresa minore è una ‘via di fuga’ dalla liquidazione giudiziale, ma spetta all’imprenditore dimostrare di averne diritto. Ignorare un procedimento o non difendersi adeguatamente può portare a conseguenze economiche significative, anche in caso di successivo successo in appello.

Quando un’impresa può essere definita ‘impresa minore’ per evitare la liquidazione giudiziale?
Un’impresa è considerata ‘minore’ se, per i tre esercizi antecedenti, presenta contemporaneamente: un attivo patrimoniale annuo non superiore a 300.000 euro, ricavi annui non superiori a 200.000 euro, e un ammontare di debiti non superiore a 500.000 euro.

A chi spetta l’onere di provare i requisiti di ‘impresa minore’?
L’onere della prova spetta interamente all’impresa debitrice. Se non si costituisce in giudizio per dimostrare di possedere i requisiti, il tribunale può procedere con la dichiarazione di liquidazione giudiziale, presumendo che non sia un’impresa minore.

È possibile ottenere la revoca di una liquidazione giudiziale già aperta?
Sì, è possibile ottenere la revoca tramite un reclamo (appello) alla Corte d’Appello. Tuttavia, è necessario dimostrare in quella sede l’assenza dei presupposti legali per la procedura, come ad esempio la qualifica di ‘impresa minore’, che non era stata provata in primo grado.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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