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Impresa familiare: calcolo della quota del familiare

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 3266/2024, ha stabilito che per liquidare la quota del collaboratore in un’impresa familiare, si deve considerare la differenza tra il valore finale e iniziale dell’azienda, includendo anche i beni preesistenti e gli incrementi di valore non derivanti da utili reinvestiti. Il calcolo si basa sulla quantità e qualità del lavoro prestato e non sulla sua incidenza causale sull’aumento di valore.

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Impresa familiare: come si calcola la quota del collaboratore?

La gestione e la liquidazione dei rapporti economici all’interno di un’impresa familiare rappresentano spesso un terreno complesso e fonte di contenziosi. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 3266 del 2024, offre chiarimenti fondamentali su un aspetto cruciale: come si calcola la quota di partecipazione agli utili e agli incrementi aziendali spettante al familiare che ha prestato la propria opera. La pronuncia ribadisce un principio cardine a tutela del collaboratore.

I Fatti del Caso: La Lunga Collaborazione nell’Azienda Agricola

Il caso ha origine da una controversia tra un padre, titolare di un’impresa agricola, e suo figlio. Quest’ultimo aveva lavorato nell’azienda di famiglia per un lungo periodo, dal 1989 al 2005, senza un formale contratto di lavoro subordinato. Al termine della collaborazione, il figlio ha agito in giudizio per ottenere il riconoscimento della sua quota di partecipazione agli utili e agli incrementi del valore dell’azienda, come previsto dall’articolo 230-bis del codice civile sull’impresa familiare.

Il Tribunale di primo grado aveva riconosciuto al figlio una quota del 35%, condannando il padre a un cospicuo pagamento. La Corte d’Appello, pur accogliendo parzialmente l’appello incidentale del figlio e disponendo una nuova Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU), aveva confermato la percentuale di partecipazione del 35%, rideterminando l’importo dovuto. Insoddisfatto, il padre ha presentato ricorso in Cassazione.

I Motivi del Ricorso e la Difesa del Titolare dell’Impresa Familiare

Il padre ha basato il suo ricorso su diversi motivi, ma il più rilevante riguardava il metodo di calcolo degli “incrementi” aziendali. Secondo il ricorrente, la Corte d’Appello avrebbe errato includendo nel calcolo anche:
1. I beni acquistati prima dell’inizio della collaborazione del figlio.
2. L’aumento di valore degli immobili non direttamente derivante dal reinvestimento degli utili aziendali.

In sostanza, il padre sosteneva che la quota del figlio dovesse essere calcolata solo sugli incrementi di valore generati attivamente dall’attività d’impresa durante il periodo di collaborazione, escludendo quindi le rivalutazioni di mercato o il valore dei beni già presenti all’inizio.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione: Una Visione Unitaria dell’Azienda

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando la decisione della Corte d’Appello e consolidando un importante orientamento giurisprudenziale in materia di impresa familiare.

Il punto centrale della motivazione risiede nell’interpretazione dell’articolo 230-bis c.c. La Corte ha chiarito che il diritto del familiare collaboratore alla partecipazione agli utili e agli incrementi deve essere valutato in modo unitario. Il calcolo non si basa sull’incidenza causale del lavoro del singolo collaboratore sul profitto, ma sulla quantità e qualità del lavoro prestato.

Di conseguenza, la base di calcolo (il “dividendo”) per la liquidazione della quota è costituita da:
* Gli utili non ancora distribuiti al momento della cessazione della collaborazione.
* L’intero accrescimento del valore dell’azienda, compresi beni acquistati e incrementi di valore.

Questo significa che nel calcolo rientra la differenza tra il valore complessivo dell’azienda al momento della cessazione del rapporto e il suo valore all’inizio della collaborazione. Non ha importanza che alcuni beni fossero già di proprietà dell’imprenditore prima che il familiare iniziasse a collaborare, né che l’aumento di valore sia dovuto a fattori esterni all’attività, come la rivalutazione di mercato degli immobili. L’azienda è considerata un’entità dinamica il cui valore complessivo, per qualsiasi ragione sia aumentato, deve essere condiviso con chi ha contribuito con il proprio lavoro.

La Corte ha anche respinto gli altri motivi di ricorso, tra cui la presunta ultra-petizione per aver disposto una nuova CTU in appello, ricordando che rientra nel potere discrezionale del giudice di secondo grado disporre nuovi accertamenti tecnici se ritenuti necessari.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

Questa ordinanza rafforza la tutela del familiare collaboratore nell’impresa familiare. Le conclusioni che si possono trarre sono nette e di grande importanza pratica:

1. Visione Globale dell’Incremento: La quota del familiare si calcola sull’incremento complessivo del patrimonio aziendale, non solo sugli utili reinvestiti. Anche le plusvalenze immobiliari e le rivalutazioni di mercato contribuiscono a formare la base di calcolo.
2. Irrilevanza dell’Origine dei Beni: Ai fini del calcolo, si considera il valore di tutti i beni presenti nell’azienda, anche se acquistati prima dell’inizio della collaborazione.
3. Centralità del Lavoro: Il criterio per determinare la percentuale spettante al familiare è la quantità e la qualità del suo apporto lavorativo, non il suo diretto contributo causale alla produzione del reddito o dell’incremento di valore.

In definitiva, la Cassazione conferma che l’impresa familiare è un istituto che valorizza il lavoro come elemento fondante del diritto alla partecipazione economica, garantendo che il collaboratore sia partecipe di tutta la crescita di valore che l’azienda ha avuto durante il suo periodo di attività.

Come si calcola la quota di un collaboratore in una impresa familiare al termine del rapporto?
La quota si calcola determinando la differenza tra il valore complessivo dell’azienda al momento della cessazione della collaborazione e il suo valore all’inizio. Su questa differenza (che rappresenta l’incremento totale), al collaboratore spetta una percentuale determinata in base alla quantità e qualità del lavoro prestato.

Gli aumenti di valore dei beni aziendali dovuti al mercato, e non all’attività, rientrano nel calcolo della quota?
Sì. La Corte di Cassazione ha chiarito che l’incremento aziendale va considerato in modo unitario. Pertanto, anche gli aumenti di valore non direttamente legati agli utili reinvestiti, come la rivalutazione di mercato degli immobili, fanno parte della base su cui calcolare la quota del familiare.

I beni che il titolare possedeva già prima dell’inizio della collaborazione nell’impresa familiare contano nel calcolo?
Sì. Ai fini del calcolo del valore iniziale dell’azienda, si deve tener conto di tutti i beni in essa presenti alla data di inizio della collaborazione, indipendentemente dal fatto che siano stati acquistati in epoca precedente. Ciò che conta è il loro valore al momento in cui la collaborazione ha avuto inizio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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