Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 1577 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 1577 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4624/2023 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, in proprio e quale legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliati in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrenti-
contro
FALLIMENTO di COGNOME NOME RAGIONE_SOCIALE e del socio illimitatamente responsabile COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’avvocato dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE), indirizzo PEC: EMAIL
-ricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di BARI n. 27/2023 depositata il 13/01/2023;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 05/12/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
RILEVATO CHE
-Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Bari ha rigettato il reclamo ex art. 18 l.fall. proposto da NOME COGNOME, in proprio e quale legale rappresentante della COGNOME NOME e RAGIONE_SOCIALE (azienda agricola specializzata nel settore dell’olivicoltura, iscritta nella relativa sezione speciale del registro imprese) contro la sentenza con cui il Tribunale di Bari ne ha dichiarato il fallimento, su istanza di RAGIONE_SOCIALE (che ha poi rinunciato all’istanza di fallimento per intervenuto pagamento del credito da parte di un terzo) ritenendo, tra l’altro, accertata la natura commerciale di gran parte delle attività svolte dalla società debitrice e rispettato il principio del contraddittorio nel procedimento prefallimentare.
-Avverso detta sentenza gli stessi reclamanti propongono ricorso per cassazione in tre mezzi, illustrato da memoria, cui il Fallimento di COGNOME NOME e RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e del socio illimitatamente responsabile COGNOME NOME resiste con controricorso, parimenti illustrato da memoria.
CONSIDERATO CHE
2.1. -Il primo motivo denunzia violazione dell’art. 2703 c.c. in relazione all’art. 1, comma 1, l.fall., per avere la corte d’appello totalmente ignorato la produzione dei contratti di affitto di ramo d’azienda di cui ai rogiti notarili del 13/11/2012 e 23/12/2020, facenti fede sino a querela di falso, dai quali risultava che il frantoio oleario di proprietà della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE) -asseritamente « l’unica attività commerciale che, in concreto, il ricorrente, che è un olivicoltore a titolo esclusivo, avrebbe potuto svolgere» -era stato sempre affittato a terzi (segnatamente a RAGIONE_SOCIALE e poi a RAGIONE_SOCIALE), fondando invece sull’oggetto sociale l’accertamento della natura commerciale dell’attività svolta dalla debitrice .
2.2. -Il secondo mezzo lamenta l’ omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio -avuto riguardo ai suddetti contratti di affitto di ramo di azienda e agli ulteriori documenti allegati -per
avere la corte territoriale addebitato alla reclamante di non aver provato, a fronte di un oggetto sociale che includeva per lo più attività esclusivamente commerciali (gestione di centri sportivi, acquisto e vendita di terreni agricoli ed edificabili, acquisto gestione e vendita di case, stabilimenti industriali e locali commerciali in Italia e all’estero, operazioni finanziarie ecc.), la natura agricola dell’attività svolta «dopo la cessione dell’azienda».
2.3. -Il terzo motivo deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione del principio del contraddittorio ex artt. 101 c.p.c., 111 Cost. e 6 Cedu, in quanto i giudici di merito hanno tenuto conto anche «dell’esito degli accertamenti condotti dalla Guardia di RAGIONE_SOCIALE, come da foglio notizie depositato il 28/01/2022», foglio però non compreso nel fascicolo telematico del giudizio (volendosi intendere, verosimilmente, il deposito cartaceo, però privo di valore dopo la telematizzazione del procedimento prefallimentare), sul rilievo che, ove detto foglio notizie fosse stato debitamente inserito nel fascicolo processuale del PCT, il ricorrente avrebbe potuto documentare «la presentazione, a suo tempo, dell’istanza di rottamazione delle cartelle dell’RAGIONE_SOCIALE delle Entrate e di quelle relative ai contributi INPS degli operai agricoli».
-Il ricorso è inammissibile per plurimi profili e, per taluni, ai sensi dell’art. 360 -bis c.p.c.
3.1. -In linea generale va detto che le censure, per come formulate, sotto l’apparente deduzione de i vizi di violazione di legge e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, mirano per lo più, surrettiziamente e inammissibilmente, ad una rivalutazione dei fatti storici e delle emergenze istruttorie, che però compete al giudice di merito e non può trovare ingresso in sede di legittimità (Cass. Sez. U, 34476/2019, 21973/2021), peraltro senza che risulti compiutamente assolto l’onere di autosufficienza e specificità del ricorso, ex art. 366, nn. 3 e 6, c.p.c., a fronte di una pressoché pedissequa riproduzione dei motivi di reclamo, priva di una perspicua critica delle ragioni in base alle quali essi sono stati respinti (cfr. Cass. 9009/2022, 22478/2018, 17330/2015, 359/2005).
-In particolare, il primo motivo lamenta che la corte d’appello avrebbe erroneamente addossato alla debitrice l’onere di provare la natura non commerciale dell’attività esercitata, mentre competeva al creditore istante provare il contrario, ed ha comunque trascurato la prova fornita in relazione al l’affitto del ramo d’azienda costituito dal frantoio oleario -asseritamente l’unica attività commerciale che la debitrice avrebbe potuto svolgere -dando invece preminenza al l’oggetto sociale.
-La censura è manifestamente infondata, poiché la corte territoriale ha fatto corretta applicazione di consolidati orientamenti di legittimità.
4.2. -Sul piano normativo, l ‘a rt. 1, comma 1, l.fall. dispone che «sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori che esercitano una attività commerciale, esclusi gli enti pubblici». Per inveterata e incontrastata tradizione giuridica, tale disposizione comporta, ab implicito e a contrario , la non assoggettabilità a fallimento dell’imprenditore agricolo .
L ‘art. 2135 c.c. , come novellato dal d.lgs. n. 228 del 2001 (che ha imperniato lo statuto dell’imprenditore agricolo non più sull’utilizzo del ‘fondo’ , bensì su cura e sviluppo del ‘ciclo biologico’ ), definisce tale l’imprenditore che esercita almeno una delle attività di «coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse» (comma 1) e declina queste ultime come attività collaterali e complementari di esercizio dell’impresa agraria, purché «esercitate dal medesimo imprenditore agricolo» (comma 3).
Successivamente, il d.lgs. n. 99 del 2004 (modificato dal d.lgs. n. 101 del 2005) ha classificato i soggetti professionali che operano in agricoltura come ‘imprenditore agricolo professionale’ (IAP) e ‘società agricola’ , mentre la l. n. 296 del 2006 (art. 1, comma 1094) ha stabilito che sono considerati imprenditori agricoli le società di persone e le sRAGIONE_SOCIALE costituite da imprenditori agricoli che esercitano esclusivamente le attività connesse alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione dei prodotti agricoli ceduti dai soci.
Per quanto si dirà oltre, rileva sottolineare che l’art. 1, comma 3, d.lgs. 99/2004 ha previsto che le società di persone, cooperative e di capitali, anche a scopo consortile, sono considerate imprenditori agricoli professionali qualora lo statuto preveda quale oggetto sociale l’esercizio esclusivo delle attività agricole di cui all’art. 2135 c.c. e ricorrano gli ulteriori requisiti ivi indicati.
4.3. -Sul piano giurisprudenziale, è pacifico che la semplice iscrizione di una società nel registro delle imprese come impresa agricola non impedisce di accertare lo svolgimento effettivo e concreto di un’attività commerciale rientrante nei parametri di cui all’art. 1 l.fall. (Corte cost. 104/2012; Cass. 12215/2012, 1049/2021). Ed anche quando l’oggetto sociale contempli in via esclusiva l’attività agricola , è ben possibile accertare in sede di merito l’esercizio in concreto di attività commerciale (Cass. 5342/2019; cfr. Cass. 9308/2023, 32977/2023).
Parimenti, lo svolgimento di attività agricola non esonera dal fallimento l’impresa che svolga anche un’attività di carattere commerciale (Cass. n. 5342/2019), quanto meno se in misura prevalente rispetto alle attività agricole tipizzate dall’art. 2135, comma 1, c.c. (Cass. 16614/2016), pena la sostanziale elusione del principio posto dal l’art. 1, l.fall., che, come detto, assoggetta alle disposizioni sul fallimento gli imprenditori esercenti un’attività commerciale (Cass. 32977/2023, 9308/2023, 12215/2012).
Si è anche detto che le società costituite nelle forme previste dal codice civile e aventi quale oggetto statutario l’esercizio di attività commerciale sono assoggettabili a fallimento indipendentemente dall’effettivo esercizio di una siffatta attività -con conseguente irrilevanza anche dell’attività agricola in tesi esercitata (Cass. 14180/2022) -poiché esse acquistano la qualità di imprenditore commerciale dal momento stesso della loro costituzione, in considerazione di quanto previsto nello statuto, e non già quale conseguenza dell’esercizio effettivo dell’attività, come avviene per gli imprenditori individuali. Ciò perché, mentre questi ultimi sono identificati dall’esercizio in concreto dell’attività, «per le società commerciali è lo statuto a compiere tale identificazione» (Cass. 23157/2018; cfr. Cass. 6968/2019, 28015/2013, 21991/2012).
4.4. -Quanto alla ripartizione dell’onere probatorio, sulla base dell’art. 2697, comma 2, c.c. e del generale principio di vicinanza della prova, è stato ampiamente chiarito che, mentre compete a chi sollecita la dichiarazione di fallimento di un imprenditore qualificato come agricolo allegare e dimostrare, quale fatto costitutivo, l’esistenza di un’attività commerciale che si affianchi eventualmente all’attività agricola (a soddisfazione del presupposto richiesto dall’art. 1, comma 1, l.fall.), grava invece su chi invochi l’esenzione dal fallimento, assumendo la riconducibilità delle attività commerciali svolte nell’ambito dell’art. 2135, comma 3, c.c., il corrispondente onere probatorio di tale fatto impeditivo (Cass. 2153/2023, 3647/2023), sicché, in assenza di prova di tale causa esimente, «soccombe il soggetto che appaia rientrare, secondo i dati acquisiti nell’istruttoria prefallimentare, nel novero degli imprenditori commerciali» (Cass. 16614/2016, 1049/2021, 9353/2022, 9308/2023, 32977/2023).
4.5. -La declinazione di queste regole rispetto al caso concreto (se, come nella specie, correttamente individuate) resta affidata al giudice di merito e non è sindacabile in sede di legittimità, anche con riguardo alla valutazione circa la presenza o meno di prova sullo statuto agricolo esonerativo dal fallimento (Cass. 8758/2017).
4.6. -In siffatto contesto ermeneutico, assume sicura r ilevanza lo scrutinio dell’oggetto sociale della società, a prescindere dalla qualifica con la quale essa sia iscritta nel registro delle imprese (cfr. anche Cass. 17343/2017, in motivazione, ove si riconosce che «l’ apprezzamento di fatto, riservato al giudice di merito, può anche trarre indizi rilevanti dall’oggetto sociale»).
4.7. -Ebbene, nel caso in esame la corte territoriale, dopo aver correttamente richiamato i suddetti principi sul riparto dell’onere della prova, ha espressamente dato atto: per un verso, che dalla documentazione versata in atti risulta che « nell’oggetto sociale della società fallita sono incluse numerose attività (la maggior parte, per il vero) esclusivamente commerciali (cfr. gestione di centri sportivi, acquisto e vendita di terreni agricoli ed edificabili, acquisto, gestione e vendita di case, stabilimenti
industriali e locali commerciali in Italia e all’estero, operazioni finanziarie ecc. ) che depongono per l’assenza dei requisiti dell’impresa agricola » non assoggettabile a fallimento; e, per altro verso, che la società fallita non ha provato di essere esente dal fallimento ai sensi dell’art. 1 , comma 1, l.fall., non avendo nemmeno dimostrato di svolgere -«dopo la cessione dell’azienda » -la dedotta attività agricola (coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali), « sicché la sua attività -come ritenuto dal Tribunale- non risulta connessa con alcuna delle attività agricole all’attualità esercitate ed è quindi, anche per tale ragione, da qualificarsi come mera attività commerciale ».
4.8. -Si è evidentemente al cospetto di un apprezzamento concreto della ricorrenza dei requisiti di fallibilità, rimesso, secondo i principi appena ricordati, al vaglio del giudice di merito, che resta insindacabile in sede di legittimità, se sorretto, come nel caso di specie, da motivazione evidente.
D’altro canto, in casi del tutto analoghi questa Corte ha ritenuto congruamente e correttamente motivata la sentenza di merito che aveva qualificato come commerciale, e non agricola, l’attività dell’impresa sulla base di alcune evidenze processuali, e in particolare in base al fatto che nell’oggetto sociale della società erano ricomprese tutta una serie di attività prive di connessione con l’attività agricola vera e propria (Cass. 23719/2014; cfr. Cass. 23157/2018).
5. -Le considerazioni sopra svolte rendono evidente l’inammissibilità anche del secondo motivo, non solo perché formulato in spregio ai canoni del novellato art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., che onerano il ricorrente di indicare, nel rispetto degli artt. 366, comma 1, n. 6), e 369, comma 2, n. 4), c.p.c., il “fatto storico” -e non già questioni, argomentazioni (Cass. 2268/2022, 14802/2017, 21152/2014), elementi istruttori (Cass. 5616/2023, 10525/2022, 21439/2015, 4614/2014) o documenti (Cass. 5616/2023) -il cui esame sia stato omesso, nonché il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e, soprattutto, la sua “decisività” (Cass. Sez. U,
8503/2014; conf., ex plurimis , Cass. 27415/2018, Cass. 3110/2022); ma anche perché dalla motivazione si evince chiaramente che la corte territoriale ha in realtà tenuto conto dell’intervenuto affitto di ramo di azienda , sia pure descrivendolo in senso lato come ‘cessione dell’azienda’ .
È comunque pacifico che il vizio di omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, censurabile ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. 28887/2019).
5.1. -Né è qui in discussione, sotto questo profilo, il tema della persistente attività imprenditoriale de ll’imprenditore che abbia ceduto o affittato la propria azienda (cfr. Cass. Cass. 17397/2015, 7311/2020, 32280/2022, 6772/2022), non tanto perché si tratta di affitto di un solo ramo dell’azienda, quanto perché è lo stesso debitore ad affermare di aver proseguito l’attività imprenditoriale, venendo in rilievo solo la sua natura, agricola o commerciale.
-Il terzo motivo è manifestamente infondato.
6.1. -Esso ripropone in questa sede la prospettazione di una nullità del processo già correttamente dichiarata insussistente dalla c orte d’appello , la quale ha dato atto che il diritto di difesa è stato assicurato dal tribunale attraverso il decreto di convocazione delle parti, ove è stato disposto che il debitore « depositasse tutta la documentazione attestante la propria situazione patrimoniale, economica e finanziaria e che la Guardia RAGIONE_SOCIALE assumesse informazioni circa la debitrice », nel pieno rispetto dell’art . 15, commi 4 e 6, l.fall., che autorizza a richiedere informazioni urgenti d’iniziativa sulla situazione economica e patrimoniale della società avvalendosi dunque anche della Guardia di RAGIONE_SOCIALE, ove necessario.
6.2. -La società fallita era pertanto pienamente edotta di tali indagini, e a sua volta autorizzata ad allegare qualsivoglia elemento ritenuto utile, ivi compresa la prospettata rottamazione dei debiti erariali (peraltro contraddetta dalla successiva verifica del passivo in sede fallimentare). La costituzione in giudizio, la partecipazione
alle udienze e la conoscenza degli accertamenti disposti escludono dunque che siano stati violati il diritto di difesa e il diritto al contraddittorio del debitore.
6.3. -Né vi è allegazione, prima ancora che prova, dell’impedimento del debitore all’accesso al fascicolo d’ufficio complessivamente inteso, ivi incluso il deposito in tesi cartaceo della Guardia di RAGIONE_SOCIALE, sicché la violazione dei diritti enunciati è rimasta allo stadio di astratta denuncia priva di riscontri concreti.
-Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna alle spese, liquidate in dispositivo.
-Sussistono i presupposti di cui all’ art. 13, comma 1quater, d.P.R. 115/02 (cfr. Cass. Sez. U, 23535/2019, 4315/2020).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore del controricorrente, liquidate in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 05/12/2023.