Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 20031 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 20031 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 18/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13298/2022 R.G., proposto da
RIMESSAGGIO NAUTICO di IVERSA NOME e RAGIONE_SOCIALE, IVERSA NOME , rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME domiciliati ex lege come da indirizzo pec indicato,
–
ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME , in persona del legale rappresentante p.t. NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME e dall’avv. NOME COGNOME, domiciliata ex lege come da indirizzo pec indicato,
-controricorrente – per la cassazione della sentenza n. 7478/2021 della CORTE d’APPELLO di Roma pubblicata l’11.11.2021;
udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 17.4.2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Locazione uso diverso -Uso commerciale -Bene demaniale Morosità -Impossibilità sopravvenuta Insussistenza
17.4.2025
RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME (d’ora in avanti indicata come RAGIONE_SOCIALE) conveniva dinanzi al Tribunale di Roma la società RAGIONE_SOCIALE (in seguito indicata come RAGIONE_SOCIALE) , chiedendo la convalida dell’intimato sfratto per il mancato pagamento dei canoni a decorrere dal mese di novembre 2013, per l’ importo complessivo di euro 25.750,00, relativi all’area situata in Roma Lido di Ostia, località INDIRIZZO, denominata ‘INDIRIZZO‘, condotta in locazione dall ‘ intimata, per uso commerciale, giusta contratto dell’1 .2.2013.
RAGIONE_SOCIALE nel costituirsi si opponeva alla convalida per la nullità dell’intimazione, e, nel merito, contestava la morosità, attesa l’impossibilità sopravvenuta della prestazione a seguito del provvedimento di sequestro delle banchine esistenti sull’area locata , disposto in sede penale. In particolare, la convenuta deduceva che gestiva un’azienda per l’ormeggio e il rimessaggio di imbarcazioni da diporto, usufruendo a tal fine di un tratto del ‘pontile’; che le barche potevano attraccare sul pontile, ma per essere portate a terra dovevano ormeggiare sulla banchina opposta avente a tergo la terraferma; c he il terreno dell’isola di Tor Boacciana, per vincoli paesaggistici, non poteva essere utilizzato per alcuna attività, ma il possesso di un’area del medesimo era essenziale per poter ottenere dalla Regione Lazio la concessione necessaria per l’uso del pontile, essendo, in particolare, la continuità territoriale tra fondo e sponda acquea elemento preferenziale per la relativa aggiudicazione; che, a tal fine, aveva stipulato il contratto di locazione de quo , avente ad oggetto una piccola porzione di terreno che costeggia la sponda acquea; che nel settembre 2013 l’autorità giudiziaria penale sequestrava la banchina prospiciente il terreno oggetto di causa dalla medesima utilizzata per lo svolgimento dell’attività (sequestro poi dichiarato illegittimo); che non potendo più svolgere l’attività per fatto del terzo, non aveva più potuto corrispondere il canone di locazione, oltretutto eccessivo rispetto alla piccola area incolta e improduttiva concessa in locazione (euro 4.750,00, oltre IVA, a trimestre).
Dispos to il rilascio dell’immobile e convertito il rit o, RAGIONE_SOCIALE chiedeva la risoluzione del contratto in forza della clausola risolutiva espressa di cui all’art. 7 del contratto, la conferma dell’ordinanza di rilascio e la condanna al pagamento dei canoni non corrisposti. RAGIONE_SOCIALE chiedeva il rigetto delle domande svolte e la chiamata in causa del Ministero della Giustizia per essere da questo manlevata.
Il Tribunale di Roma con sentenza n. 10684/2007, pubblicata il 23.5.2017 , confermava l’ordinanza di rilascio , dichiarava la risoluzione di diritto del contratto di locazione e del contratto di comodato a esso collegato, avente a oggetto un ‘ area confinante, e condannava la resistente al pagamento di euro 25.750,00, a titolo di canoni non corrisposti, oltre ai canoni maturati e maturandi, agli interessi legali dalle singole scadenze al saldo e alle spese di lite. Osservava il Tribunale che la morosità, giustificata dalla resistente in forza del sequestro penale, risaliva a epoca di gran lunga anteriore a quest’ultimo.
La Corte d’Appello di Roma con sentenza pubblicata l’11.11.2021 rigettava l’appello proposto da RAGIONE_SOCIALE con l’aggravio delle spese di lite.
La Corte d’appello , rilevata la novità delle domande tese alla rideterminazione del canone di locazione e alla pronuncia di risoluzione del contratto di risoluzione per impossibilità sopravvenuta, perché proposte per la prima volta in appello, e disattesa l’eccezione di difetto di legittimazione attiva di RAGIONE_SOCIALE non essendo la proprietà del bene locato presupposto necessario per la validità del contratto di locazione, osservava che il Ministero della Giustizia non lo si sarebbe potuto considerare quale litisconsorte necessario e, quindi, mancavano i presupposti per la rimessione al primo giudice ai sensi dell’art. 354 cod. proc. civ. In ogni caso, era infondata la doglianza afferente alla richiesta di autorizzazione alla chiamata in causa del terzo, in quanto rimessa alla valutazione discrezionale del giudice del merito e, come tale, non sindacabile in sede appello e di legittimità.
Notava ancora la Corte d’appello che l’impossibilità della prestazione ai sensi dell’art. 1256 cod. civ. è da intendersi in senso oggettivo e assoluto così da impedire definitivamente al debitore di adempiere, ma tale situazione non sarebbe invocabile in presenza di un obbligo di pagamento di somma di denaro alla stregua del principio genus numquam perit . Quand’anche esatta la ricostruzione fatta dall’appellante , la sopravvenuta inutilizzabilità del fondo per l’attività aziendale svolta dal conduttore avrebbe consentito ‘nella ricorrenza di tutti i presupposti’ il recesso per giusta causa , ma non ‘di rimanere nella detenzione del fondo senza corrispondere i canoni’ .
Quanto alla dedotta nullità del contratto per illiceità della causa, osservava la Corte d’appello, il fondo era stato locato ‘ad uso commerciale’ e non per attività contraria alla legge in ragione della mancanza della concessione regionale. Anche a voler ritenere, per la conformazione dello stato dei luoghi, che il locatore fosse consapevole dell’uso concreto del fondo locato , l’attività di rimessaggio non era di per sé contraria alla legge. Né ‘l’assenza e/o la revoca della concessione’ bastava a inficiare la validità del contratto , ‘in quanto essa solo giustificare il recesso per giusta causa’ in presenza dei relativi presupposti, i quali, ad abundantiam non ricorrevano, posto che il conduttore già prima della stipula del contratto era a conoscenza delle problematiche penali legate all’uso della banchina , ‘come dallo stesso dedotto , al fine di giustificare il mancato pagamento dei canoni in epoca antecedente al sequestro , circostanza quest’ultima posta condivisibilmente dal giudice di primo grado a fondamento della risoluzione di diritto del contratto’ .
Per la cassazione della sentenza della Corte ricorrono RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME sulla base di sette motivi. Risponde con controricorso RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME (già RAGIONE_SOCIALE. di NOME COGNOME.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, ai sensi dell’art.380bis .1. cod. proc. civ.
Il Pubblico Ministero presso la Corte non ha presentato conclusioni scritte.
La ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente deve rilevarsi l’inammissibilità del ricorso proposto da NOME COGNOME il quale in base alla sentenza impugnata non risulta aver partecipato al giudizio in proprio, ma in qualità di legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE La stessa procura speciale alle liti per il procedimento in cassazione risulta sottoscritta da NOME COGNOMEn.q.’ Quand’anche la partecipazione dell’Iversa in questa sede si volesse qualificare come intervento volontario, essa sarebbe comunque inammissibile, poiché ‘n el giudizio di cassazione, mancando un’espressa previsione normativa che consenta al terzo di prendervi parte con facoltà di esplicare difese, è inammissibile l’intervento di soggetti che non abbiano partecipato alle pregresse fasi di merito, fatta eccezione per il successore a titolo particolare nel diritto controverso, al quale tale facoltà deve essere riconosciuta ove non vi sia stata precedente costituzione del dante causa .’ (v., Cass., sez. III, 13 giugno 2024, n. 16526; sez. I, 4 agosto 2021, n. 5987; sez. III, 10 ottobre 2019, n. 25423).
Con il primo motivo è denunciata la violazione dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., in relazione agli artt. 112, 115 e 157 cod. proc. civ., 1421 e ss., 945, 823 e 2727 cod. civ.
Lamenta la ricorrente che il contratto di locazione aveva a oggetto un’area sita in un isolotto, posto in prossimità della foce del fiume Tevere, di natura demaniale ai sensi dell’art. 945 cod. civ. Non avendo RAGIONE_SOCIALE né la proprietà, né il possesso dell’isolotto , essa non avrebbe potuto locare il terreno oggetto di causa, la cui localizzazione era stata provata mediante la documentazione prodotta all’udienza dell’11.11.2021 . Il contratto di locazione, pertanto, era nullo.
Con il terzo motivo viene denunciata la violazione dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., in relazione agli artt. 1571 e ss., 1140 e 1141 cod. civ.
La ricorrente sostiene che Corte d’appello ha affermato che ‘non può essere censurata l’azione del locatore benché non proprietario del bene locato’. Tale notazione ‘in sé e per sé, potrebbe sembrare inappuntabile’, ma, osserva ancora la ricorrente, ‘ il non proprietario può locare un bene purché ne abbia il possesso derivante da un titolo valido’, ma il titolo di trasferimento della proprietà, mai prodotto in giudizio, ‘sarebbe radicalmente nullo’. Avendo il locatore una detenzione illegittima, non sarebbe stato possibile stipulare alcun contratto di locazione.
I due motivi, in quanto strettamente connessi possono essere esaminati congiuntamente, e sono entrambi inammissibili.
4.1. Il primo motivo è inammissibil e ai sensi dell’art. 366, comma primo, 4, cod. proc. civ. in quanto con esso la ricorrente non ha investito la decisione impugnata nella parte in cui è stata disattesa l’eccezione di difetto di legittimazione attiva di RAGIONE_SOCIALE avendo la Corte d’appello evidenziato che ‘la proprietà della res locata in capo al locatore non è presupposto necessario per la validità del contratto di locazione’ (pagina 3, penultimo capoverso).
La ricorrente si è limitata a dedurre, in modo generico e assertorio, la natura demaniale del terreno locato in quanto collocato su un isolotto di natura demaniale, ma non ha aggredito la riferita ratio decidendi , sì che la mancata impugnazione di tale ragione della decisione rende priva di decisività la censura.
Quand’anche si volesse ritenere che detta ratio sia stata interessata dal terzo motivo di impugnazione, nondimeno entrambi i motivi sono inammissibili per due ulteriori rilievi.
4.2. In primo luogo, la riferita natura demaniale del terreno oggetto di locazione, e le conseguenze che la ricorrente oggi ne vorrebbe trarre, vertono su una questione non menzionata nella sentenza impugnata. Deve
rilevarsi che la deduzione non è in linea con il principio di specificità ex art. 366, comma primo, n. 6, cod. proc. civ., là dove la ricorrente riferisce di aver prodotto all’udienza dell’11.11.2021 tutta la documentazione comprovante che l’area locata è sita sull’isola Tor Boacciana , in relazione alla quale omette di fornire la puntuale indicazione necessaria alla individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., sez. un., 27 dicembre 2019, n. 34469 e ribadito più di recente da Cass., sez. III, 1° luglio 2021, n. 18695) , tant’è che non risulta il deposito della documentazione ai sensi dell’art. 369, comma secondo, n. 4, cod. proc. civ. , ma solo dell’istanza ai sensi dell’art. 369, comma terzo , cod. proc. civ.
Si consideri ancora che secondo un indirizzo costante di questa Corte (v., indicativamente, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. 1° luglio 2024, n. 18018; Sez. Un., 29 gennaio 2024, n. 2607; 17 febbraio 2023, n. 5131; 23 settembre 2021, n. 25909; 24 gennaio 2019, n. 2038; 13 giugno 2018, n. 15430; 28 luglio 2008, n. 20518), qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorso deve, a pena di inammissibilità, non solo allegare l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto in virtù del principio di autosufficienza del ricorso. I motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito né rilevabili d’ufficio (v. Cass. 13 dicembre 2019, n. 32804; 24 gennaio 2019, n. 2038; 9 agosto 2018, n. 20694; 18 ottobre 2013, n. 23675). In quest’ottica, la parte ricorrente ha l’onere -nella specie rimasto assolutamente inadempiuto -di riportare, a
pena d’inammissibilità, dettagliatamente in ricorso gli esatti termini della questione posta in primo e secondo grado (cfr. Cass. 10 maggio 2005, n. 9765; 12 settembre 2000, n. 12025). Nel giudizio di cassazione, infatti, è preclusa alle parti la prospettazione di nuove questioni di diritto o nuovi temi di contestazione che postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice di merito (v. Cass. 13 settembre 2007, n. 19164; 9 luglio 2013, n. 17041; 25 ottobre 2017, n. 25319; 20 maggio 2018, n. 20712; 6 giugno 2018, n. 14477).
Nella specie, essendo la prospettazione della natura demaniale del fondo locato basata su circostanze fattuali, è palese che si sarebbe dovuto indicare se, dove e come il giudice di appello ne fosse stato investito.
4.3. Da ultimo, mette conto rimarcare come la censura contenuta nel terzo motivo, fermo quanto appena detto a proposito della novità della questione ‘demanialità’ del bene locato , non è pienamente aderente alla ratio enunciata dalla corte territoriale (‘la proprietà della res locata in capo al locatore non è presupposto necessario per la validità del contratto di locazione’), la quale sottende il principio di diritto in base al quale ‘s alvo il caso in cui ne abbia acquisito illecitamente la detenzione, la mancata disponibilità (giuridica o di fatto) del bene da parte del locatore integra un difetto di legittimazione alla stipula del contratto di locazione, dal quale discende non già la nullità, ma la mera inefficacia del contratto medesimo, nei soli rapporti con l’effettivo legittimato ‘ (v. Cass., sez. III, 5 giugno 2019, n. 15292).
La ricorrente, pertanto, ha prospettato la censura in termini non aderenti alla sentenza impugnata, di qui l’inammissibilità del motivo dovendosi senz’altro dare seguito ai consolidati principi di diritto, in base ai quali ‘La proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifiche attinenze al «decisum» della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366, comma primo, n.4, cod. proc. civ., con conseguente inammissibilità del ricorso, rilevabile anche d’ufficio’ (v. Cass., sez. III, 7 novembre 2005, n. 21490; sez. 6 -I, 7
settembre 2017, n. 20910; in motivazione, Cass., Sez. Un., 20 marzo 2017, n. 7074, che ribadisce il principio di diritto similare affermato da Cass. n. 359 del 2005, nel senso che «Il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo.»; sez. 6-III, 3 luglio 2020, n. 13735).
Con il secondo motivo è denunciata la violazione dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., in relazione agli artt. 345, 112 cod. proc. civ. e 24 Cost.
La ricorrente si duole per aver affermato la Corte d’appello la novità delle domande per la rideterminazione del canone e per la risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta. Al riguardo, si osserva che nella comparsa di costituzione per la fase sommaria il paragrafo 2 era intestato ‘impossibilità sopravvenuta’ e nelle conclusioni si faceva presente che gli artt. 1256 e 1424 cod. civ. ‘escludono la morosità del conduttore’ . Tale eccezione era stata ribadita nella memoria ex art. 426 cod. proc. civ. e nelle conclusioni presentate in sede di appello RAGIONE_SOCIALE si era ‘ limitata ad esplicitare, in termini positivi, ciò che aveva già chiesto in termini negativi ovvero di rigetto di quella articolata dall’attrice odierna resistente -nei suoi confronti ‘ .
La ricorrente ha aggiunto che nel quinto motivo d’appello , del quale era stato omesso l’esame, aveva estrinsecato ‘ quanto preteso in primo grado attraverso l’ampia formula del rigetto della domanda avversa , limitandosi a chiedere, subordinatamente, che qualora fosse stata ritenuta corretta la pronuncia di risoluzione del contratto di locazione, la condanna, quantomeno, avrebbe dovuto ridursi «tenuto conto del valore locatizio del bene occupato dall’appellante, destinato al mero uso agricolo da stimarsi nella misura complessiva di euro 1.000 annue ‘ . Poiché il più contiene il meno si sarebbe potuto ‘ dire che la domanda volta alla rideterminazione del canone è stata proposta negli atti introduttivi del giudizio perché compresa nel richiesto rigetto della domanda avversaria’.
Con il settimo motivo è denunciata la violazione dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ. in relazione all’art. 354 cod. proc. civ. e agli artt. 1571 e ss., 1591 cod. civ.
La ricorrente, premesso che il fondo locato non poteva essere utilizzato per l’esercizio della sua attività, lamenta la violazione dell’art. 1591 cod. civ. per essere stata disposta la condanna al pagamento dell’indennità di occupazione in misura pari al canone contrattuale. Tale norma, in quanto dettata per locazioni urbane, non la si sarebbe potuta applicare con riferimento a un terreno con vocazione agricola, sì che la Corte d’appello avrebbe dovuto rideterminare l’importo dovuto a titolo di occupazione.
I due motivi, in quanto strettamente connessi possono essere esaminati congiuntamente.
7.1. Con il secondo motivo, come già anticipato, la ricorrente si duole per aver ritenuto la Corte d’appello la novità delle domande per la rideterminazione del canone e per la risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta. A tale doglianza è strettamente connessa quella riportata nel settimo motivo di impugnazione, con la quale -come parimenti anticipato – la ricorrente lamenta la violazione dell’art. 1591 cod. civ. per
non aver la Corte d’appello ri determinato l’indennità di occupazione sulla base della «destinazione agricola» del fondo.
7.2. Entrambi i motivi sono inammissibili.
La Corte d’appello ha evidenziato che ‘… le domande volte alla determinazione del canone e alla pronuncia di risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta sono inammissibili ex art. 345 cod. proc. civ., perché proposte per la prima volta in questa sede’ (pagina 3 , terzultimo capoverso).
La ricorrente, come già detto, si è limitata ad esporre che ‘a pagina 2 della comparsa di costituzione relativa al procedimento di sfratto, il paragrafo 2 è intestato « impossibilità sopravvenuta della prestazione » e, nelle relative conclusioni, si fa presente che gli artt. 1256 e 1464 c.c. escludono l’esistenza della morosità del conduttore . Nella memoria integrativa ex art. 426 c.p.c., la ricorrente reitera l’eccezione che riproduce in ogni altro scritto costituendo il caposaldo su cui si incentra tutta la sua linea difensiva. Poi a fronte delle singole censure alla sentenza appellata, la ricorrente, nelle conclusioni del suo atto d’appello, si è limitata ad esplicitare, in termini positivi, ciò che aveva chiesto al tribunale in termini negativi ovvero di rigetto di quella articolata dall’attrice – odierna resistente -nei suoi confronti’.
Tanto premesso, la ricorrente ha omesso di riportare, tanto nella sezione dedicata all ‘esposizione del fatt o, quanto nel corpo dei motivi, le sue conclusioni svolte in primo e secondo grado limitandosi, come detto, a evocare generici passi degli atti del primo grado e riferire a proposito di una pretesa esplicitazione in termini positivi di quanto enunciato in termini negativi in primo grado, ossia il rigetto della domanda ivi svolta dalla locatrice.
Siffatta articolazione dei motivi non soddisfa il principio di specificità, là dove in violazione dell’art 366, comma 1°, n. 6, cod. proc. civ. non sono stati riportati debitamente nel ricorso i richiamati atti (v. Cass., sez. 6-III, 16 marzo 2012, n. 4220; Sez. Un., 34439/2019; sez. III, 18695/2021).
Con il quarto motivo è denunciata la violazione dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ. in relazione agli artt. 354 e 106 cod. proc. civ., nonché la violazione dell’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ. per omessa e apparente motivazione.
La ricorrente assume la nullità della sentenza perché affetta da motivazione apparente in ordine alla doglianza sulla richiesta, già svolta in primo grado, di autorizzazione alla chiamata in causa del Ministero della Giustizia. Il Tribunale aveva omesso di pronunciare sul punto e la Corte d’appello ha rigettato il quarto motivo di impugnazione senza esplicitare in modo percepibile la ragione della decisione.
8.1. Il motivo è infondato.
La ricorrente, pur lamentando formalmente un “vizio di violazione di legge”, di cui all’art. 360 n. 3, cod. proc. civ., nell’illustrazione del motivo prospetta un tipico error in procedendo, consistito in un vizio della motivazione, che si sarebbe dovuto far valere ai sensi dell’art. 360, n. 4, cod. proc. civ. mediante l’invocazione dell’art. 132, comma secondo, n. 4, cod. proc. civ. e, quindi, neanche ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ.
Tale errore nell’inquadramento della censura, tuttavia, non è di ostacolo all’esame del motivo di ricorso. Infatti, nel caso in cui il ricorrente incorra nel c.d. “vizio di sussunzione” (e cioè erri nell’inquadrare l’errore commesso dal giudice di merito in una delle cinque categorie previste dall’art. 360 cod. proc. civ.), il ricorso non può per ciò solo dirsi inammissibile, quando dal complesso della motivazione adottata dal ricorrente sia chiaramente individuabile l’errore di cui si duole, come stabilito dalle Sezioni Unite di questa Corte (sez. un., 24 luglio 2013, n. 17931).
La ricorrente lamenta che il Tribunale abbia omesso di pronunciare sulla sua richiesta di chiamata in causa del Ministero della Giustizia e di tale omissione si era lamentato con l’appello e non del rigetto ed ha aggiunto ‘… come male fece il Tribunale a non motivare l’argomento, male fa il Giudice
di secondo grado a rigettare, sic et simpliciter , il motivo d’appello perché ancora oggi, non si è capito perché non è stato possibile alla Rimessaggio esercitare un suo diritto, chiamando in causa il Ministero «di grazia e giustizia» per essere manleva ta dai danni arrecati al locatore’.
Osserva questa Corte che la corte territoriale ha reso una motivazione, sintetica, ma percepibile, sul punto oggetto di doglianza nel quarto motivo d’appello , là dove ha escluso l’esistenza di presupposti per la rimessione al primo giudice ai sensi dell’art. 354 cod. proc. civ. in quanto il Ministero non è litisconsorte necessario ed ha altresì rigettato la doglianza attinente al rigetto della richiesta di autorizzazione alla chiamata in causa del Ministero richiamando il dictum di Cass. sez. II, 19 gennaio 2006, n. 984 , secondo cui ‘ La chiamata del terzo disposta, ex art. 106 c.p.c., ad istanza di parte è rimessa alla esclusiva valutazione discrezionale del giudice del merito, sicché l’esercizio del relativo potere non può formare oggetto d’impugnazione né tantomeno, è sindacabile nel giudizio di appello e in quello di legittimità ‘ .
Detta motivazione non si colloca al di sotto del c.d. «minimo costituzionale», posto che è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; tale anomalia si esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» e nella «motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di «sufficienza» della motivazione»’ ( v., Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, nn. 8053 e 8054; Cass., sez. III, 12 ottobre 2017, n. 23940; Sez. VI-3, 25 settembre 2018, n. 22598; sez. I, 3 marzo 2022, n. 7090). D’altro canto, il motivo in esame lo si osserva solo ad abundantiam -sconta anche l’assoluta carenza nell’esposizione del fatto ai sensi dell’art.
366 n. 3 c.p.c. di quanto sarebbe stato utile per comprenderne la rilevanza e scrutinarlo.
Con il quinto motivo è denunciata la violazione dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ. in relazione all’art. 1256 cod. civ. e ss., nonché all’art. 112 cod. proc. civ.
La ricorrente si duole per essere stato escluso che il suo inadempimento fosse giustificato da impossibilità sopravvenuta della prestazione . La ricorrente, richiamato l’antefatto rappresentato da l sequestro, che aveva portato alla paralisi aziendale, e puntualizzato che il contratto di locazione, dapprima basato su una intesa verbale, poi formalizzato e retrodatato al l’ ‘ 1.2.2017 ‘ , ha esposto che la vicenda penale si era conclusa solo nel 2017 con la piena assoluzione dell’Iversa .
Sennonché, priva di incassi e nell’incertezza sulla possibilità di riprendere l’esercizio dell’attività , a decorrere dal novembre 2013 la ricorrente aveva omesso di versare il canone . Di qui, l’invocazione dell’art. 1256 cod. civ. nell’ambito del procedimento di sfratto per morosità . Erroneamente la Corte d’appello ha ritenuto che al più il conduttore avrebbe potuto recedere dal contratto ed ha escluso l’estinzione dell’obbligazione , pur non rinvenendosi nell’art. 1256 cod. civ. alcuna limitazione con riferimento alle prestazioni aventi oggetto somme di denaro e non considerando che il sequestro aveva comportato l’inaccessibilità dell’area.
Aggiunge la ricorrente che , ‘ancorché la pronuncia gravata non si esprima sulla questione’, il Tribunale aveva ritenuto che la morosità risalisse a epoca precedente la notifica del sequestro penale, ma non aveva considerato che il procedimento penale ‘è iniziato in epoca antecedente al prodursi della mora stessa’ . Ad ogni modo , ‘che il sequestro preventivo sia stato, formalmente, notificato dopo il sorgere della mora è indifferente perché l’inaccessibilità, di fatto, dell’isola di Tor Boacciana è stata disposta dal P.M. (ed intimata dalla polizia giudiziaria) fin dall’avvio delle indagini preliminari ; ciò ha determinato l’inadempimento dal novembre 2013 ‘.
9.1. Il motivo è inammissibile in primo luogo perché sostanzialmente teso a un riesame del giudizio sul fatto, che non si assume così come ricostruito dal giudice del merito, ma tende alla sua ricostruzione sulla base della complessiva vicenda penale, omettendo di considerare che l’accertamento delle circostanze di fatto rilevanti ai fini della decisione e l’apprezzamento delle risultanze istruttorie funzionali a tale accertamento sono attività riservate al giudice del merito, cui compete non solo la valutazione delle prove ma anche la scelta, insindacabile in sede di legittimità, di quelle ritenute più idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi (Cass. 4 luglio 2017, n. 16467; Cass. 23 maggio 2014, n. 11511; Cass. 13 giugno 2014, n. 13485; Cass. 15 luglio 2009, n. 16499).
In secondo luogo, la ricorrente censura la motivazione riportata a pagina 4 (ultimo capoverso), peraltro non contenente una ratio decidendi ma una affermazione incidentale (‘la sopravvenuta inutilizzabilità del fondo per l’attività aziendale svolta da conduttore, avrebbe consentito nella ricorrenza di tutti i presupposti , il recesso per giusta causa…’) , ma ha omesso di impugnare la motivazione riportata, sempre a pagina 4 (penultimo capoverso), riguardo alla possibilità di invocare l’estinzione dell’obbligazione per impossibilità sopravvenuta, la quale ‘è da intendere in senso assoluto ed obiettivo e consiste nella sopravvenienza di una causa, non imputabile al debitore, che impedisce definitivamente l’adempimento; il che -alla stregua del principio secondo cui genus numquam perit – può evidentemente verificarsi solo quando la prestazione abbia ad oggetto la consegna di una cosa determinata o di un genere limitato, e non già quando si tratta, come nel caso in esame, di una somma di denaro’ .
Quand’anche volesse ritenersi che detta censura possa ritenersi racchiusa nell’espressione ‘l’affermazione ci lascia sgomenti perché non si rinviene nel dettato dell’art. 1256 cod. civ. alcuna limitazione alle prestazioni aventi ad oggetto mere somme di denaro’ , a tacere del fatto che essa è riferita a quanto sostenuto dalla Corte d’appello nell’ultimo capoverso di pagina 4, il rilievo è del tutto apodittico.
Si deve richiamare il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, ai sensi del quale il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, siccome per denunciare un errore occorre identificarlo (e, quindi, fornirne la rappresentazione), l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito, considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un «non motivo», è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 n. 4 cod. proc. civ. (v. Cass. 11 gennaio 2005, n. 359; v. anche ex aliis Cass., Sez. Un., 20 marzo 2017, n. 7074, in motivazione, non massimata sul punto; 5 agosto 2016, n. 16598; 3 novembre 2016, n. 22226; Cass. 12 gennaio 2024, n. 1341; 15 aprile 2021, n. 9951; 5 luglio 2019, n. 18066; 13 marzo 2009, n. 6184; 10 marzo 2006, n. 5244; 4 marzo 2005, n. 4741).
9.2. La seconda parte del motivo, relativa all’epoca della morosità , è inammissibile per stessa ammissione della ricorrente, la quale, nel prospettare una diversa ricostruzione temporale di tale aspetto, afferma ‘ancorché la pronuncia gravata non si esprima sulla questione’ (pagina 14 del ricorso).
Richiamato quanto detto nel paragrafo 4.2., la prospettazione dell’insorgenza della morosità rispetto alla vicenda penale è ovviamente legata a circostanze fattuali, pertanto, la ricorrente avrebbe dovuto puntualizzare se, dove e come il giudice di appello ne fosse stato investito.
Con il sesto motivo è denunciata la violazione dell’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ. in relazione all’art. 1418 cod. civ. e ss., nonché all’art. 7 Legge Regione Lazio 24/1998.
Deduce la ricorrente che il piccolo lotto locato (‘ciò è incontestato e ben noto all’appellata’) , privo di autonomia socioeconomica, era funzionale solo al conseguimento della concessione regionale per la gestione del pontile come reso evidente dall’importo del canone . In questa cornice, i giudici del merito avrebbero dovuto valutare la liceità dell’ oggetto concordato (l ‘uso del fondo per l o svolgimento di attività di ormeggio e rimessaggio) e, quindi, data la soggezione del terreno a ‘stretti vincoli paesaggistici ed urbanistici’ previsti dall’art. 7 l. Regione Lazio n. 24/1998, il contratto lo si sarebbe dovuto ritenere nullo. Per contro, erroneamente la Corte d’appello aveva limitato il suo esame al solo profilo dell’esercizio dell’attività di rimessaggio.
10.1. Il motivo è inammissibile. Nonostante la sua lunga e complessa articolazione (da pagina 16 a pagina 18 del ricorso), connotata da una non pertinente mescolanza di questioni di fatto e di diritto, il motivo è privo dell’identificazione della motivazione criticanda.
La ricorrente è così incorsa nuovamente nella violazione del consolidato principio di diritto enunciato da Cass. 359/2005 (v. altresì le già richiamate Cass. Sez. Un., 7074/2017; Cass. 22478/2018, cit.; Cass. 1341/2024 cit.).
La ricorrente ha omesso di indicare la motivazione criticanda, così delegando inammissibilmente questa Corte ad individuare a che cosa dovrebbe riferirsi, mentre è onere del ricorrente provvedervi, atteso che per svolgere qualsiasi motivo di impugnazione, che si correli alla motivazione della decisione impugnata, è necessario identificare quest’ultima.
L’unico elemento contenuto nel motivo, che in qualche modo porta alla possibile individuazione della motivazione censurata, è dato dall’ affermazione secondo cui la Corte d’appello avrebbe limitato l’esame della dedotta illiceità della causa al solo profilo dell’esercizio dell’attività di
rimessaggio. Anche in tale prospettiva, comunque, il motivo è inammissibile, non avendo la ricorrente investito la motivazione resa a pagina 5 (terzo capoverso) , là dove si legge: ‘ né tantomeno è prospettabile che l’assenza e la revoca della concessione vada ad inficiare la validità del contratto ‘.
Peraltro, qualora si volesse procedere, comunque, all’esame delle argomentazioni svolte con il motivo qui in esame, mette conto osservare come secondo il consolidato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, l’eventuale non conformità dell’immobile locato alla disciplina edilizia e urbanistica non determina l’illiceità dell’oggetto del contratto, atteso che il requisito della liceità dell’oggetto previsto dall’art. 1346 cod. civ., è da riferire alla prestazione, ovvero al contenuto del negozio e non al bene in sé (v. Cass., sez. III, 15 dicembre 2003, n. 19190; 24 ottobre 2007, n. 22312; 27 maggio 2010, n. 12983; 12 aprile 2023, n. 9766). Né tale difformità può far ritenere illecita la causa, ai sensi dell’art. 1343 cod. civ., perché locare un immobile in assenza del rispetto dei requisiti urbanistici non è in contrasto con l’ordine pubblico, da intendere come il complesso dei principi e dei valori che contraddistinguono l’organizzazione politica ed economica della società in un determinato momento storico (Cass., sez. 3, 28/04/1999, n. 4228; Cass. 22312/2007, cit.; Cass. 12983/2010, cit.; 9766/2023, cit.).
11. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13 (Cass., sez. un., 20 febbraio 2020, n. 4315).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, in favore della controricorrente, che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 4.400,00 per competenze professionali, oltre rimborso forfetario del 15%, Iva e cpa se dovuti per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza sezione civile della