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Immissioni rumorose: quando scatta il risarcimento?

La Corte di Cassazione si è pronunciata sul caso di immissioni rumorose provenienti da un’attività di ristorazione. La sentenza chiarisce che il superamento della normale tollerabilità del rumore giustifica un risarcimento per il danno alla serenità personale, anche senza una prova diretta di un danno biologico. La Corte ha confermato il risarcimento liquidato in via equitativa, ma ha rinviato il caso alla Corte d’Appello per omessa pronuncia su una distinta domanda relativa ad abusi edilizi.

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Immissioni Rumorose: Danno Risarcibile Anche Senza Lesioni Fisiche

Le controversie tra vicini a causa di immissioni rumorose sono all’ordine del giorno. Che si tratti di un’attività commerciale o di un vicino molesto, il superamento della soglia di tollerabilità può compromettere la qualità della vita. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha fornito chiarimenti cruciali su quando scatti il diritto al risarcimento, anche in assenza di un danno biologico strettamente provato, e sulle conseguenze di un errore procedurale da parte del giudice d’appello.

I fatti del caso

Due proprietari di un immobile citavano in giudizio la società che gestiva un’attività di ristorazione nell’edificio adiacente. Le lamentele erano duplici: da un lato, l’esecuzione di interventi edilizi ritenuti illegittimi e in contrasto con la disciplina urbanistica; dall’altro, la presenza di una canna fumaria che produceva immissioni rumorose e di fumo intollerabili. Gli attori chiedevano quindi la demolizione delle opere abusive e un risarcimento per i danni subiti.

La Corte d’Appello, riformando parzialmente la decisione di primo grado, aveva condannato la società al pagamento di 5.000 euro per ciascun proprietario a titolo di risarcimento per il solo danno da rumore. Tuttavia, i giudici di secondo grado avevano completamente omesso di pronunciarsi sulla questione degli abusi edilizi. Entrambe le parti hanno quindi proposto ricorso in Cassazione.

La decisione sulle immissioni rumorose e il danno risarcibile

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della società ristoratrice, confermando il diritto al risarcimento per i vicini. Il punto centrale della decisione riguarda la natura del danno risarcibile. La società sosteneva che, non essendo stata provata una lesione diretta all’integrità psico-fisica dei vicini, non vi fosse diritto ad alcun indennizzo.

La Suprema Corte ha invece ribadito un principio fondamentale: il superamento della soglia di normale tollerabilità delle immissioni rumorose, accertato tramite consulenza tecnica, costituisce di per sé una lesione del diritto alla “serenità personale e familiare”. Questo tipo di danno, pur non essendo in re ipsa (cioè automatico), può essere provato anche tramite presunzioni e allegazioni concrete che dimostrino un peggioramento della qualità della vita. Nel caso specifico, i danneggiati avevano prodotto documentazione sanitaria e lamentato un pregiudizio che, sebbene non direttamente riconducibile a una patologia specifica, era sufficiente a fondare una richiesta di risarcimento liquidata in via equitativa dal giudice.

L’errore del giudice: l’omessa pronuncia

Se da un lato la Cassazione ha dato ragione ai vicini sulla questione del rumore, dall’altro ha accolto il loro motivo di ricorso relativo a un grave errore procedurale. La Corte d’Appello, infatti, non si era minimamente espressa sulla domanda relativa all’illegittimità degli interventi edilizi realizzati dal ristorante. Questo vizio, noto come “omessa pronuncia”, viola il principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (art. 112 c.p.c.).

Di conseguenza, la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza d’appello limitatamente a questo punto, rinviando la causa a un’altra sezione della stessa Corte d’Appello. Questa dovrà ora esaminare e decidere nel merito la questione degli abusi edilizi che era stata illegittimamente ignorata.

Le motivazioni

La Corte ha fondato la sua decisione su consolidati orientamenti giurisprudenziali. Per quanto riguarda le immissioni rumorose, ha riaffermato che la valutazione della tollerabilità ai sensi dell’art. 844 c.c. è una valutazione autonoma rispetto al rispetto dei limiti imposti dalle normative amministrative. Anche se i limiti di legge sono rispettati, un’immissione può essere considerata illecita dal giudice civile se, in concreto, risulta intollerabile tenendo conto della condizione dei luoghi e della sensibilità dell’uomo medio. L’utilizzo del “criterio differenziale” è stato ritenuto corretto anche in assenza di un piano di zonizzazione acustica del Comune, in quanto strumento idoneo a oggettivare il superamento della soglia di tollerabilità.

Sul versante del danno, la Corte ha specificato che la lesione del diritto al normale svolgimento della vita familiare all’interno della propria abitazione e del diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita costituisce un danno non patrimoniale risarcibile. La prova non richiede necessariamente la dimostrazione di una malattia, ma può basarsi su elementi presuntivi che attestino il disagio e il peggioramento della qualità della vita.

Infine, riguardo all’omessa pronuncia, la Cassazione ha evidenziato come il mancato esame di uno specifico motivo di appello costituisca un vizio procedurale che impone l’annullamento della sentenza e un nuovo giudizio sul punto omesso.

Le conclusioni

Questa sentenza offre due importanti lezioni pratiche. Primo, per ottenere un risarcimento per immissioni rumorose non è sempre indispensabile provare un danno biologico certificato. È fondamentale, però, allegare e dimostrare con ogni mezzo (inclusi testimoni e presunzioni) in che modo il rumore eccessivo abbia concretamente peggiorato la propria vita quotidiana e leso la serenità personale. Secondo, se un giudice non si pronuncia su una delle domande presentate, è possibile far valere questo errore nei gradi di giudizio successivi per ottenere una decisione nel merito.

È necessario provare un danno alla salute per ottenere un risarcimento per immissioni rumorose?
No, non è strettamente necessario. La Corte di Cassazione ha chiarito che il superamento della normale tollerabilità del rumore lede il diritto alla “serenità personale e familiare”. Questo danno può essere risarcito se viene allegato e provato un concreto peggioramento della qualità della vita, anche attraverso presunzioni, senza dover necessariamente dimostrare l’insorgenza di una specifica patologia.

Si può utilizzare il ‘criterio differenziale’ per i rumori anche se il Comune non ha un piano di zonizzazione acustica?
Sì. La sentenza conferma che il giudice civile, per valutare la tollerabilità delle immissioni ai sensi dell’art. 844 c.c., può avvalersi del criterio differenziale (che confronta il rumore di fondo con quello della fonte disturbante) anche in assenza di una classificazione acustica del territorio comunale. Tale criterio è uno strumento per accertare in concreto il superamento della normale tollerabilità.

Cosa succede se un giudice d’appello ignora una delle domande formulate nell’atto di impugnazione?
Si verifica un vizio di “omessa pronuncia”. La parte interessata può impugnare la sentenza davanti alla Corte di Cassazione, che, se accerta l’errore, annullerà la decisione e rinvierà la causa allo stesso giudice d’appello (in diversa composizione) affinché si pronunci sulla domanda che era stata illegittimamente ignorata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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