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Immissioni acustiche: chi paga per il rumore del bar?

A seguito della denuncia di alcuni residenti per le eccessive immissioni acustiche provenienti da un cocktail bar, il Tribunale di Roma ha analizzato il caso. Basandosi su una perizia tecnica (CTU), ha accertato il superamento dei limiti di tollerabilità solo in uno degli appartamenti. Di conseguenza, ha condannato il gestore del locale a eseguire opere di insonorizzazione, ma ha rigettato le richieste di risarcimento danni per mancanza di prove. Il proprietario dell’immobile è stato esonerato da ogni responsabilità.

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Rumore dai locali: quando scatta la condanna per immissioni acustiche?

La convivenza tra attività commerciali e residenze private è spesso fonte di conflitto, soprattutto riguardo al rumore. Una recente sentenza del Tribunale di Roma offre importanti chiarimenti sul tema delle immissioni acustiche, delineando le responsabilità del gestore del locale e del proprietario dei muri, e precisando quando è possibile ottenere un risarcimento del danno.

Il caso ha origine dalla causa intentata da alcuni residenti contro un cocktail bar, accusato di produrre rumore intollerabile fino a tarda notte. Analizziamo i fatti, la decisione del giudice e le sue motivazioni.

I fatti del processo

Alcuni proprietari e residenti di un immobile a Roma citavano in giudizio la società che gestiva un cocktail bar e la società proprietaria dei locali. Lamentavano gravi disturbi acustici, specialmente nelle ore serali e notturne, che superavano la normale tollerabilità.

Gli attori chiedevano al Tribunale di:
1. Ordinare al gestore di eseguire opere di insonorizzazione.
2. Inibire l’attività del locale dopo le ore 24:00.
3. Condannare entrambe le società a risarcire i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti.

La società che gestiva il bar si difendeva sostenendo di aver sempre operato nel rispetto delle normative. La società proprietaria dell’immobile, invece, eccepiva la propria carenza di legittimazione passiva, affermando di non avere alcuna responsabilità per l’attività svolta dal suo inquilino.

La decisione del Tribunale sulle immissioni acustiche

Per dirimere la questione, il Giudice ha disposto una Consulenza Tecnica d’Ufficio (CTU) per misurare i livelli di rumore. L’esito della perizia è stato decisivo. Il CTU ha accertato che, nella maggior parte delle abitazioni, i limiti di legge non erano superati. Tuttavia, in una specifica stanza di uno degli appartamenti, è stato riscontrato un superamento di 3dB del valore differenziale, un parametro che indica l’incremento del rumore di fondo causato dalla sorgente disturbante.

Sulla base di queste risultanze, il Tribunale ha così deciso:

* Condanna all’insonorizzazione: Il gestore del locale è stato condannato a eseguire gli interventi di insonorizzazione e fono-assorbimento descritti nella CTU per ricondurre le immissioni acustiche entro i limiti di legge.
* Rigetto della richiesta di risarcimento: Tutte le domande di risarcimento del danno sono state respinte. Per gli attori le cui abitazioni non mostravano un superamento dei limiti, la domanda era infondata. Per l’attrice che subiva il rumore eccessivo, il danno non è stato considerato provato, poiché le ‘recensioni negative’ prodotte non erano sufficienti e non era stata fornita prova adeguata di un esborso economico per perizie di parte.
* Esclusione della responsabilità del proprietario: Il Tribunale ha accolto l’eccezione della società proprietaria, escludendola dal giudizio. La sua responsabilità è stata negata perché non è stato provato che, al momento della firma del contratto di locazione, potesse prevedere che il conduttore avrebbe causato un danno a terzi.
* Rigetto dell’inibitoria oraria: La richiesta di limitare l’orario di apertura è stata respinta, poiché la clausola del regolamento condominiale invocata non era opponibile al gestore del locale.

Le Motivazioni della Decisione

Il Giudice ha basato la sua decisione su alcuni principi giuridici fondamentali. La condanna all’intervento tecnico è la diretta conseguenza dell’accertamento oggettivo, tramite CTU, del superamento dei limiti di tollerabilità delle immissioni acustiche. Se il rumore supera la soglia, chi lo produce deve adottare le misure necessarie per eliminarlo.

Per quanto riguarda il risarcimento del danno, la sentenza ribadisce un punto cruciale: il superamento dei limiti di legge non comporta automaticamente il diritto a un indennizzo. Il danno, sia patrimoniale (es. perdita di valore dell’immobile) sia non patrimoniale (es. danno alla salute o alla serenità), deve essere specificamente provato. In questo caso, le prove fornite dagli attori sono state ritenute insufficienti.

La motivazione più interessante riguarda la responsabilità del proprietario-locatore. Citando la giurisprudenza della Cassazione, il Tribunale ha chiarito che il proprietario risponde dei danni causati dal suo inquilino solo se, usando l’ordinaria diligenza, avrebbe potuto prevedere al momento della stipula del contratto che l’attività avrebbe arrecato danni. Un contratto di locazione per un ‘cocktail bar’ non è di per sé sufficiente a far sorgere tale previsione di dannosità.

Infine, è stata respinta la richiesta di limitazione oraria basata sul regolamento condominiale. Il Giudice ha spiegato che tali limiti, per essere opponibili a terzi acquirenti o conduttori, devono essere trascritti nei registri immobiliari in modo specifico, come vere e proprie servitù. Un generico rinvio al regolamento non è sufficiente.

Le Conclusioni

Questa sentenza offre una guida pratica per i casi di immissioni acustiche. In primo luogo, evidenzia l’importanza di una prova oggettiva, come una perizia fonometrica, per dimostrare il superamento dei limiti di tollerabilità. In secondo luogo, separa nettamente il diritto a far cessare il disturbo (inibitoria) dal diritto al risarcimento del danno, che richiede una prova rigorosa del pregiudizio subito. Infine, traccia un confine netto sulla responsabilità del proprietario dell’immobile, che non risponde automaticamente delle azioni del suo inquilino, salvo che non si dimostri una sua colpa nella scelta di quest’ultimo.

Quando è responsabile il proprietario di un immobile per il rumore causato dal suo inquilino?
Secondo la sentenza, il proprietario (locatore) è responsabile solo se si dimostra che, al momento della stipula del contratto di locazione, avrebbe potuto prevedere, con la normale diligenza, che l’attività del conduttore avrebbe certamente causato danni a terzi. La semplice destinazione d’uso a ‘cocktail bar’ non è di per sé sufficiente a dimostrarlo.

Per ottenere un risarcimento del danno da rumore, basta dimostrare che i limiti di legge sono stati superati?
No. La sentenza chiarisce che il superamento dei limiti di legge è necessario per ottenere la condanna a cessare il disturbo (ad esempio con l’insonorizzazione), ma non è sufficiente per ottenere automaticamente un risarcimento. Il danno, sia esso patrimoniale o non patrimoniale, deve essere specificamente e rigorosamente provato dalla parte che lo richiede.

Una clausola del regolamento di condominio che limita gli orari di un’attività commerciale è sempre vincolante per il gestore?
No. Per essere vincolante per un gestore che è inquilino (e quindi un ‘terzo’ rispetto al condominio), la limitazione deve essere configurata come una servitù e trascritta specificamente nei registri immobiliari. Un generico richiamo al regolamento condominiale nell’atto di acquisto o nella nota di trascrizione non è sufficiente a renderla opponibile a terzi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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