Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 24955 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 24955 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 10/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 23436/2020 r.g. proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME, DI COGNOME, DI COGNOME NOME, rappresentati e difesi, gli ultimi tre in qualità di eredi di NOME COGNOME COGNOME, giusta procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME il quale dichiara di voler ricevere le notifiche e le comunicazioni relative al presente procedimento all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato;
-ricorrenti-
CONTRO
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato, nei cui uffici domicilia, in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente – avverso la sentenza della Corte di appello di Ancona n. 406/2020, depositata il 7/5/2020.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/7/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
NOME e NOME COGNOME erano comproprietari di terreni identificati al foglio 101, di cui ai mappali numeri 180, 183, 199, 201, 202, 260, 597, 598, 609, 682, 683, 384, 685, 686, 680, 166, 200 e 681.
Con decreto del Prefetto di Ascoli Piceno del 5/10/1992 veniva formalizzato il subentro di Anas alla Provincia di Ascoli nella gestione delle aree, dei lavori e delle opere per la costruzione e l’esercizio della «Superstrada Ascoli-Mare».
Tale struttura veniva realizzata sui mappali 597 e 598, già facenti parte del fondo di cui al foglio n. 101, che erano stati espropriati agli attori con procedimento avviato dalla Provincia di Ascoli Piceno nel 1991 e definitivamente trasferiti ad Anas con il decreto del Prefetto del 5/10/1992.
I lavori di realizzazione dell’infrastruttura erano iniziati nel marzo del 1992 ed erano terminati nell’aprile 2002.
A causa dei lavori si era verificata l’interclusione, con totale inaccessibilità e inutilizzabilità, della particella n. 180 del foglio 101.
Inoltre, proprio in ragione della presenza delle suddette opere, ne era derivata l’impossibilità di accedere con macchine agricole alla restante porzione del fondo degli attori (mappali 183, 199, 201, 202, 260, 609, 682, 683, 684, 685, 686, 680, 166, 206 e 181 del foglio 101).
Tuttavia, a seguito delle doglianze degli attori, la Provincia di Ascoli Piceno, con lettera del 26/9/1995, li aveva autorizzati al passaggio con mezzi agricoli su altro terreno compreso tra quelli interessati dalla «INDIRIZZO».
Tale passaggio era stato nuovamente inibito da Anas per effetto dello stato dei luoghi derivante dalla realizzazione dell’infrastruttura.
Gli attori, quindi, chiedevano alla società, con lettera del 4/11/ 1999, di eliminare tale nuova interclusione.
Un’altra lettera veniva inviata dal legale degli attori il 9/5/ 2006.
Gli attori agivano in giudizio con atto di citazione notificato il 27/2/2008, chiedendo il risarcimento di tutti danni subiti a partire dall’anno 1993, per la somma di circa euro 54.500,00.
Si costituiva in giudizio l’Anas, eccependo la prescrizione quinquennale ex art. 2947 c.c., con riguardo ai danni di cui gli attori avevano chiesto il risarcimento dal 1993, in quanto la prima richiesta stragiudiziale degli attori verso la società era del 4/11/1999.
La convenuta eccepiva anche il proprio difetto di legittimazione passiva, in quanto l’esproprio delle particelle identificate nel foglio 101, mappali 597 e 598 era stato perfezionato dalla Provincia di Ascoli Piceno.
Non vi era stata peraltro alcuna interclusione e inutilizzabilità da parte degli attori.
Il Tribunale di Ascoli Piceno, con sentenza n. 338/2015, depositata il 13/3/2015, accoglieva solo parzialmente la domanda degli attori, condannando l’Anas a pagare in loro favore la somma di euro 35.736,00, a titolo di risarcimento del danno conseguente all’aver determinato, ed illegittimamente mantenuto sin dal 1999, la totale interclusione della particella rappresentata nel foglio 101, mappale n. 180 e l’inaccessibilità con mezzi agricoli delle restanti particelle che componevano il fondo degli attori.
In particolare, il Tribunale reputava che RAGIONE_SOCIALE era subentrata nella realizzazione e gestione del cantiere e delle opere per effetto del
decreto del Prefetto del 5/10/1992, sicché era responsabile di tutti danni provocati dalla realizzazione, dal mantenimento e dall’esercizio di tale infrastruttura.
Anas aveva poi formulato la propria eccezione di prescrizione allegando l’insorgenza del diritto degli attori a decorrere dal 1993, con la conseguente sua estinzione per inutile decorso del termine quinquennale in data antecedente alla prima missiva inviata dagli attori all’Anas il 4/11/1999.
In realtà, però, – ad avviso del Tribunale – l’effettiva percezione dell’esistenza del danno si era verificata solo a partire dal completamento della «Superstrada» e quindi nel 2002.
Per il Tribunale, ciò determinava il rigetto dell’eccezione di Anas, non potendo il Tribunale verificare d’ufficio se, eventualmente, il diritto degli attori si fosse estinto per prescrizione dopo il 1999, sino alla notifica dell’atto di citazione del 27/2/2008.
Tra l’altro, la prescrizione era stata interrotta dalla lettera della Provincia di Ascoli Piceno del 26/9/1995, che li aveva autorizzati al passaggio alternativo su altro fondo, rimuovendo provvisoriamente la situazione di interclusione.
Non poteva comunque indagarsi «sul successivo spirare del termine di prescrizione prima della notifica della citazione (ancora una volta in ragione dell’oggetto e dei limiti dell’eccezione formulata da Anas s.p.a.)».
Avverso tale sentenza proponeva appello l’Anas, deducendo che il risarcimento dei danni era stato chiesto a partire dal 1993, con la conseguente necessità di identificare in tale anno il dies a quo del termine di prescrizione di cinque anni.
Tale termine era però spirato quando, in data 4/11/1999, gli attori avevano chiesto ad Anas di rimuovere l’interclusione.
Inoltre, la prescrizione era di nuovo maturata dopo il 4/11/1999, avendo gli attori proposto l’atto di citazione solo nel 2008.
Vi era difetto di legittimazione passiva dell’Anas, in quanto l’interclusione della particella e l’inaccessibilità con mezzi agricoli delle restanti particelle era stata determinata dai procedimenti di esproprio avviati dalla Provincia di Ascoli Piceno e dall’istallazione delle barriere di sicurezza stradale.
La Corte d’appello di Ancona, con la sentenza n. 406/2020, depositata il 7/5/2020, accoglieva l’appello dell’Anas e reputava maturata la prescrizione quinquennale.
Gli attori avevano prospettato il fatto illecito di cui chiedevano il risarcimento, facendo riferimento al momento in cui, per effetto dell’interclusione, si era realizzata la situazione pregiudizievole per gli attori, con interclusione di un fondo ed impossibilità di accesso con mezzi agricoli ad altri terreni.
Si era trattato dunque di «un illecito istantaneo (con effetti permanenti) che si è consumato ed esaurito nel momento in cui si sono verificate la interclusione (di una porzione del fondo) e la impossibilità di accedere (ad altra parte del terreno) con i mezzi agricoli, situazioni che hanno determinato la lesione del diritto di proprietà ed il pregiudizio economico lamentato con l’atto di citazione».
Il termine di prescrizione non decorreva però dall’anno di conclusione dei lavori, ossia dal 2002.
In realtà, gli attori, chiedendo il risarcimento dei danni a partire dal 1993, avevano dedotto a sostegno della pretesa risarcitoria un fatto illecito, consistente nella lesione del diritto di proprietà ricollegabile alla interclusione (particella 180) e comunque alla impossibilità di accedere al fondo con mezzi agricoli (porzione residua).
Si trattava però di un illecito istantaneo con effetti permanenti che si era verificato ed aveva prodotto il danno nel 1993.
Da quell’epoca gli attori avevano avuto la percezione del danno ingiusto e quindi da tale anno gli stessi avrebbero potuto far valere il diritto al risarcimento dei danni.
Il termine di prescrizione era iniziato a decorrere ex art. 2935 c.c. dal 1993.
Il primo atto interruttivo, invece, era costituito dalla missiva del legale degli attori del 9/5/2006, quando il termine quinquennale era già trascorso.
Il fatto che nel 1995 la Provincia di Ascoli Piceno avesse autorizzato il passaggio su una determinata particella per garantire l’accesso alla proprietà residua con mezzi agricoli, con lettera del 26/9/1995, non era sufficiente per escludere l’intervenuta prescrizione.
Si trattava di lettera inviata ai proprietari dalla Provincia di Ascoli Piceno e non dall’Anas.
Peraltro, dopo un periodo di esercizio del diritto di passaggio, di nuovo l’Anas aveva chiuso l’accesso determinando l’illegittima interclusione del fondo. Tale situazione emergeva dalla missiva del 4/11/1999 diretta all’Anas, con cui uno dei proprietari comunicava che «una porzione della sua proprietà, in seguito al completamento dei lavori, è rimasta interclusa e ha chiesto un incontro per verificare la possibilità di rendere raggiungibile la porzione di terreno interclusa».
Pertanto, tale situazione si era verificata già nel 1999, quando era stata comunicata all’Anas la missiva citata.
Nonostante il temporaneo passaggio autorizzato dalla Provincia, l’illecito attribuito all’Anas si era già (di nuovo) verificato, quantomeno nel 1999, stante il tenore della missiva del 4/11/1999.
Pertanto, ad avviso della Corte d’appello, anche ammettendo che in seguito all’autorizzazione concessa dalla Provincia nel 1995, per
un certo periodo, fosse venuta meno la situazione pregiudizievole per gli attori, questa si era di nuovo verificata in seguito alla condotta illecita attribuita all’Anas già esauritasi nel 1999.
Con riferimento a tale condotta, dunque, era iniziato a decorrere il termine di prescrizione.
L’atto interruttivo era stato inviato all’Anas il 9/5/2006, con missiva del legale degli attori, quando era ormai trascorso il termine quinquennale.
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME gli ultimi tre in qualità di eredi di NOME COGNOME, depositando anche memoria scritta.
Ha resistito con controricorso l’RAGIONE_SOCIALE
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di impugnazione ricorrenti deducono «ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli articoli 2043, 2935 e 2947 c.c. nella parte in cui il Giudice d’appello ha qualificato il tipo di illecito fatto valere dagli attori NOME e COGNOME come illecito istantaneo ad effetti permanenti, anziché come illecito permanente, determinando di conseguenza la decorrenza del termine di prescrizione dal momento della prima manifestazione esterna del danno percepibile con l’ordinaria diligenza».
In particolare, i ricorrenti deducono che doveva farsi riferimento alla distinzione tra fatti illeciti istantanei e fatti illeciti permanenti (si citano Cass. n. 9318 del 2018; Cass., Sez. U, n. 23763 del 2011).
In caso di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da illecito istantaneo (anche con effetti permanenti) il dies a quo decorre dal momento in cui la prima manifestazione esterna del danno
risulta obiettivamente percepibile dal danneggiato con l’ordinaria diligenza, quale conseguenza della condotta antigiuridica.
In caso di fatti illeciti permanenti che, invece, sono quelli in cui la stessa condotta che costituisce la fonte del danno ingiusto si protrae nel tempo, il mancato esaurimento della fattispecie costitutiva impedisce la decorrenza una volta per tutte del termine di prescrizione, comportando che il relativo dies a quo si rinnovi de die in diem (si cita Cass. n. 9318 del 2018).
In caso di illecito permanente, dunque, la prescrizione della pretesa risarcitoria decorre dalla data di cessazione della condotta illecita.
La Corte d’appello, dunque, avrebbe dovuto attribuire carattere permanente all’illecito oggetto della controversia, riconoscendo di conseguenza che, al momento dell’instaurazione del giudizio di primo grado, la prescrizione del diritto al risarcimento dei danni lamentati dagli attori per la totale interclusione di una porzione del proprio fondo e per l’inaccessibilità con mezzi agricoli di alta porzione dello stesso fondo, non era ancora maturata, decorrendo la stessa solo dalla cessazione della condotta illecita e non dalla data del primo manifestarsi del danno.
Con il secondo motivo di impugnazione ricorrenti deducono «ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione degli articoli 2043, 2935 e 2947 c.c., nella parte in cui il Giudice d’appello ha comunque qualificato come unico illecito le due distinte fattispecie produttive di danno ingiusto dedotte dagli attori con la loro citazione introduttiva e, di conseguenza, ha ravvisato la decorrenza termine prescrizionale unico ed unitario per entrambe tali fattispecie».
Anche a voler ritenere il carattere istantaneo ad effetti permanenti dell’illecito, la Corte d’appello avrebbe però dovuto tenere conto che, dalla stessa ricostruzione dei fatti da essa compiuta,
emergeva obiettivamente «che i fatti illeciti su cui essa è stata chiamata a pronunciarsi erano in realtà due».
Una prima volta, l’interclusione era derivata dall’avvio dei lavori, ed una seconda volta, dopo che la Provincia di Ascoli Piceno aveva consentito l’accesso ai terreni degli attori attraverso un altro terreno, a seguito della realizzazione dell’opera.
La Corte territoriale, però, ha considerato la situazione verificatasi dopo l’autorizzazione della Provincia del 1995, come un tutt’uno, rispetto a quella determinata dall’avvio dei lavori di costruzione.
In tal modo, però, il giudice d’appello avrebbe omesso di considerare che ciascun autonomo comportamento produttivo di danno ingiusto determina l’insorgenza di un distinto diritto risarcitorio in favore del danneggiato.
L’inaccessibilità della particella 180 e l’impossibilità di condurre mezzi agricoli sulle restanti particelle degli attori, conseguente alla condotta di (nuova) chiusura dell’accesso al fondo tenuta dall’Anas, dopo che tale accesso era stato autorizzato dalla Provincia nel 1995, «non possono certamente considerarsi come meri sviluppi o aggravamenti di un danno già insorto per effetto dell’originaria condotta susseguente all’avvio dei lavori di costruzione della Superstrada nel 1993».
Con il terzo motivo di impugnazione i ricorrenti lamentano «ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., violazione dell’art. 345, comma 2, c.p.c., nella parte in cui il Giudice d’appello si è pronunciato sull’eccezione di prescrizione del diritto al risarcimento dei danni subiti dagli attori in conseguenza della nuova interclusione del fondo determinata da RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE (dopo il provvedimento autorizzativo della Provincia del 1995 e il ripristino dell’accesso) sebbene in primo grado tale Ente si fosse limitato ad eccepire la prescrizione del
(distinto) diritto risarcitorio derivante dall’originaria interclusione del fondo (come visto cessata nel 1995)».
In sostanza, l’eccezione di prescrizione costituisce un’eccezione in senso stretto, che non può essere proposta per la prima volta in appello, ai sensi dell’art. 345, comma 2, c.p.c.
Nel processo di prime cure gli attori hanno allegato di aver subito danni in dipendenza della situazione di interclusione, che era cessata nel 1995, a seguito dell’apertura di un accesso per effetto dell’intervento della Provincia di Ascoli.
Inoltre, gli attori hanno aggiunto che, quanto meno a partire dal 1999, l’Anas aveva nuovamente determinato l’interclusione del terreno.
A fronte di tali deduzioni, però, l’Anas si è limitata ad invocare soltanto l’inerzia degli attori a seguito dell’originaria situazione di interclusione, affermando che gli attori non avrebbero validamente interrotto il termine di prescrizione a partire dal momento in cui gli stessi, nel 1993, avevano potuto rendersi conto dell’esistenza e della consistenza della situazione lesiva.
Soltanto in grado appello, invece, Anas ha dedotto un’ipotetica fattispecie estintiva dei diritti risarcitori, invocata dagli attori in conseguenza della nuova interclusione derivante dal comportamento tenuto dall’ente, a partire quantomeno dal 1999.
La Corte d’appello ha riconosciuto che solo con la citazione in appello l’Anas ha dedotto «una nuova maturazione della prescrizione dopo il momento in cui tale Ente, nel 1999, ha nuovamente determinato la denunciata interclusione, chiudendo l’accesso che era stato ripristinato dalla Provincia di Ascoli Piceno nel 1995».
Proprio la duplicità di fatti illeciti dedotti dagli attori avrebbe imposto che la prescrizione fosse specificamente eccepita in primo grado con riferimento a ciascuno di tali fatti.
4. Con il quarto motivo di impugnazione i ricorrenti deducono «ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione e falsa applicazione degli articoli 2043, 2935 e 2947 c.c., nella parte in cui il Giudice d’appello ha comunque individuato la decorrenza del termine di prescrizione del diritto al risarcimento dei danni subiti dagli attori in conseguenza dell’originaria interclusione del fondo nella data da cui gli attori stessi, nella loro citazione introduttiva, hanno individuato la verificazione di tali danni, omettendo invece qualsiasi indagine sul (distinto) momento in cui i predetti attori abbiano potuto prendere contezza con l’ordinaria diligenza dell’esistenza e della consistenza di tali danni e della loro derivazione eziologica dal comportamento antigiuridico di Anas s.p.a.».
Per i ricorrenti, quindi, anche a voler ritenere l’illecito come istantaneo con effetti permanenti, la Corte d’appello avrebbe comunque errato nel dichiarare prescritto il diritto al risarcimento dei danni, in dipendenza dell’originaria situazione di interclusione del fondo determinata, fino al 1995, dalla realizzazione dell’opera pubblica.
La Corte d’appello ha determinato il dies a quo della prescrizione del diritto al risarcimento nel momento nel quale il danneggiato, agendo in giudizio, ha identificato l’insorgenza del danno a suo carico.
In realtà, la Corte territoriale avrebbe dovuto individuare il momento in cui il danno si è manifestato all’esterno ed è divenuto diligentemente percepibile per gli attori.
Il primo motivo è fondato, con assorbimento dei restanti.
5.1. I fatti di causa sono pacifici.
A seguito dei lavori relativi alla costruzione ed all’esercizio della «Superstrada Ascoli-Mare» si è verificata l’interclusione totale di un terreno di proprietà degli attori, e segnatamente di quello di cui al foglio 101, particella 180, che aveva comportato l’impossibilità per
gli attori di accedere con macchine agricole alle restanti porzioni del fondo degli attori.
Pertanto, la fattispecie va ricondotta tra gli illeciti permanenti, e non tra gli illeciti istantanei, ad effetti permanenti, in quanto l’interclusione totale del terreno e l’inutilizzabilità di tutti i residui poteva essere eliminata esclusivamente a seguito di una condotta dell’Anas, che ha mantenuto, invece, l’interclusione nel corso degli anni, nonostante le continue richieste degli attori.
Si è rimarcato sul punto che gli ulteriori effetti dannosi che si producono nel patrimonio di un soggetto in conseguenza dello stato di fatto determinato dal comportamento illecito di un terzo, che solo una condotta contraria di quest’ultimo può eliminare, costituiscono effetti di un illecito permanente, la cui caratteristica è di dare luogo ad un diritto al risarcimento, che sorge in modo continuo, e che in modo continuo si prescrive, se non esercitato entro cinque anni dal momento in cui si produce (Cass., sez. 3, 2/4/2004, n. 6512).
Orbene, nel caso di illecito istantaneo, caratterizzato da un’azione che si esaurisce in un lasso di tempo definito, lasciando permanere i suoi effetti, la prescrizione incomincia a decorrere con la prima manifestazione del danno, mentre, nel caso di illecito permanente, protraendosi la verificazione dell’evento in ogni momento della durata del danno e della condotta che lo produce, la prescrizione ricomincia a decorrere ogni giorno successivo a quello in cui il danno si è manifestato per la prima volta, fino alla cessazione della predetta condotta dannosa, sicché il diritto al risarcimento sorge in modo continuo via via che il danno si produce, ed in modo continuo si prescrive se non esercitato entro cinque anni dal momento in cui si verifica (Cass., 24/8/2007, n. 17985).
Ciò che maggiormente rileva, ai fini della distinzione tra illecito istantaneo e illecito permanente, non è il danno, ma il rapporto causale tra il danno e la condotta contra ius del soggetto agente.
Nell’illecito permanente, infatti, la condotta, oltre a produrre l’evento dannoso, lo alimenta continuamente per tutto il tempo in cui questo perdura, avendosi così coesistenza dell’uno e dell’altro (Cass. n. 5831 del 2007).
6. Ed infatti, si è ritenuto che, allorquando si lamenti un danno ad un immobile per effetto della creazione di uno stato di fatto e si domandi l’eliminazione di questo ed il risarcimento del danno cagionato all’immobile, sia l’illecito costituito dalla creazione dello stato di fatto in sé e per sé quale fonte di danno come tale all’immobile, sia l’illecito rappresentato dalla verificazione di danni all’immobile in quanto originantisi come effetti della presenza dello stato di fatto, hanno natura di illeciti permanenti, con la conseguenza che il termine di prescrizione della pretesa di risarcimento in forma specifica mediante rimozione dello stato di fatto non decorre dall’ultimazione dell’opera che lo ha determinato, in quanto la condotta illecita si identifica nel fatto del mantenimento dello stato di fatto che si protrae ininterrottamente nel tempo (salvo che tale condotta non cessi di essere illecita per l’eventuale consolidarsi di una situazione di diritto in ordine al suo mantenimento), mentre il termine di prescrizione del diritto al risarcimento per equivalente dei danni subiti dall’immobile in conseguenza dell’esistenza dello stato di fatto decorre in relazione a tali danni ” de die in diem “, a mano a mano che essi si verificano (Cass., sez. 3, 13/3/2007, n. 5831; poi Cass., sez. 3, 15/2/2023, n. 4677).
In quella fattispecie, gli attori avevano agito nei confronti del Comune che aveva realizzato opere di manutenzione della pavimentazione di una strada pubblica, innalzandone il livello oltre il piano di
calpestio della loro abitazione, con la conseguenza che, a decorrere dalla data di realizzazione del manufatto, l’immobile degli attori aveva costantemente subito danni dal deflusso delle acque piovane.
Si è chiarito in proposito che l’evento dannoso della sopraelevazione era conseguito da un comportamento del Comune che si era esaurito con l’attività di realizzazione della stessa, ma poi, come situazione di fatto risultante da detta attività, era perdurata nel tempo per effetto di un ulteriore comportamento del Comune; tale ulteriore comportamento si individuava nel fatto che il Comune aveva mantenuto la disponibilità della strada nella nuova consistenza e l’aveva lasciata immutata, cioè aveva conservato la sopraelevazione.
In altra pronuncia si è ritenuta la natura di illecito permanente nella condotta di un Comune che aveva realizzato una rampa di scale in cemento armato, in prossimità di un locale di un privato adibito a garage, in tal modo comprimendo il diritto di proprietà nel pieno godimento del garage, sicché l’opera pubblica aveva costituito «un permanente ostacolo all’utilizzo dell’autorimessa». (Cass., sez. 3, 18/9/ 2007, n. 19359).
Anche in dottrina si è reputato che si è in presenza di illecito istantaneo con effetti permanenti quando l’illecito si esaurisce in un unico atto, mentre vi è illecito permanente quando nel rapporto eziologico il fatto continua ad alimentare l’evento per tutto il tempo in cui perdura; come nell’ipotesi di costruzione edificata in violazione delle norme edilizie, sicché il termine di prescrizione della pretesa risarcitoria del vicino decorre solo da quando è stata disposta o la demolizione o la sanzione pecuniaria a carico del costruttore abusivo, oppure con il decorso del termine ventennale utile per l’usucapione del diritto reale di mantenere la costruzione nelle condizioni in cui si trova (Cass., sez. 2, 30/1/1990, n. 594; Cass., sez. 3, 11/3/1980, n. 1624).
6.1. Del resto, i medesimi principi sono stati stabiliti anche in materia espropriativa, ove si è ritenuto che l’espropriazione acquisitiva, al pari di quella usurpativa, costituisce un illecito, non istantaneo, integrato dal verificarsi della irreversibile trasformazione del bene, e ad effetti permanenti, «ma come permanente e come tale destinato a cessare solo per effetto della restituzione del terreno, di un accordo transattivo, della compiuta usucapione da parte dell’occupante che lo ha trasformato ovvero, proprio, della rinuncia del proprietario al suo diritto, implicita nella richiesta di risarcimento dei danni per equivalente» (Cass., 13/2/2020, n. 3646, in motivazione; anche Cass. Sez. U, 19/1/2015, n. 735; Cass., 5/3/2015, n. 4473; Cass., 7/10/2016, n. 20231).
7. Si è anche precisato che in tema di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito, nel caso di illecito istantaneo, caratterizzato da un’azione che si esaurisce in un lasso di tempo definito, lasciando permanere i suoi effetti, la prescrizione incomincia a decorrere con la prima manifestazione del danno, mentre, nel caso di illecito permanente, protraendosi la verificazione dell’evento in ogni momento della durata del danno e della condotta che lo produce, la prescrizione ricomincia a decorrere ogni giorno successivo a quello in cui il danno si è manifestato per la prima volta, fino alla cessazione della predetta condotta dannosa, sicché il diritto al risarcimento sorge in modo continuo via via che il danno si produce, ed in modo continuo si prescrive se non esercitato entro cinque anni dal momento in cui si verifica (Cass., Sez. U, 14/11/2011, n. 23763; anche Cass., sez. L, 16/4/2018, n. 9318; Cass., sez. 3, 11/2/2020, n. 3314).
Con l’ulteriore presa di posizione da parte di questa Corte per cui con riferimento all’azione di risarcimento per equivalente dei danni cagionati per effetto dello stato di fatto costituito dalla presenza di
una sopraelevazione, lesivo di un diritto di superficie, poiché il comportamento dannoso è dato dal mantenimento della situazione di sopraelevazione, quale fonte di questi danni, l’applicazione alla pretesa di risarcimento di tali danni del termine quinquennale di prescrizione, proprio dell’illecito aquiliano, comporta che la prescrizione deve ritenersi maturata solo per i danni che dalla condotta di mantenimento suddetta sono di volta in volta originati, nel limite del quinquennio dalla loro verificazione.
Pertanto, la prescrizione matura, per gli eventuali danni originatisi immediatamente all’atto del completamento dell’opera di sopraelevazione, con il decorso dei cinque anni da detto momento, mentre, per i danni via via originatisi successivamente nel tempo, per effetto della permanenza dello stato di sopraelevazione, il termine di prescrizione può dirsi compiuto – in assenza di atti interruttivi – con il decorso di cinque anni dalla loro verificazione di volta in volta (Cass., sez. 2, 29/7/2011, n. 16777).
7.1. Tali principi sono stati affermati anche in pronunce più remote, ove si è affermato che l’illegittima trascrizione di un atto determina una situazione contraria a diritto che, nata nel momento in cui la trascrizione viene effettuata, non si esaurisce in esso e permane inalterata sinché non si provveda a rimuoverla attraverso lo strumento apprestato dalla legge, che è la cancellazione. Questa, pertanto, può essere richiesta dall’interessato finché l’illegittimità perdura, dato che il decorso del tempo non può né sanare né rendere comunque inattaccabile una trascrizione eseguita abusivamente. La permanenza della situazione antigiuridica, d’altronde, comporta che anche il diritto ad ottenere il risarcimento del danno che ne deriva si protragga finché dura l’illecito, che lo genera e lo rinnova continuamente, e non si prescrive se non quando è decorso il termine di pre-
scrizione computato dal giorno in cui l’illecito stesso è cessato (Cass., n. 1706 del 6/7/1974; anche Cass., sez. 2, 24/6/2013, n. 15795).
I restanti motivi sono assorbiti, a seguito dell’accoglimento del primo motivo.
La sentenza deve, quindi, essere cassata, in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte d’appello di Ancona, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo di ricorso; dichiara assorbiti i restanti; cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte d’appello di Ancona, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 10 luglio 2025