Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 19251 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 19251 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 12/07/2024
ORDINANZA
sul ricorso 22349-2019 proposto da:
COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, nello studio dell’AVV_NOTAIO, rappresentati e difesi dagli AVV_NOTAIOti NOME COGNOME e NOME COGNOME
– ricorrenti –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO e domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1820/2018 della CORTE DI APPELLO di BARI, depositata il 25/10/2018;
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione notificato il 28.2.2006 COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, i primi due nudi proprietari, e la terza usufruttuaria, di un appartamento sito in Lucera, evocavano in giudizio RAGIONE_SOCIALE innanzi il Tribunale di Lucera, per sentirla condannare al pagamento della somma necessaria per la rimozione dei vizi riscontrati nell’immobile acquistato dagli attori con atto di compravendita del 13.11.2003.
Si costituiva la convenuta, resistendo alla domanda ed eccependo la decadenza e la prescrizione della pretesa avversaria.
Con sentenza n.628/2014 il Tribunale accoglieva la domanda, condannando la convenuta al pagamento della somma di € 5.796.
Con la sentenza impugnata, n. 1820/2018, la Corte di Appello di Bari accoglieva il gravame interposto dalla società originaria convenuta avverso la decisione di prima istanza, riformandola e rigettando la domanda proposta dagli odierni ricorrenti.
Propongono ricorso per la cassazione di detta decisione COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, affidandosi a due motivi.
Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE
In prossimità dell’adunanza camerale, la parte controricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la parte ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 1669 c.c. e 132 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto tardiva la domanda, sulla base del falso presupposto che i vizi riscontrati nell’immobile compravenduto, consistenti nella presenza di muffe e condensa nel
bagno e nel ripostiglio, non ne compromettessero la fruibilità. Ad avviso dei ricorrenti, invece, la fattispecie avrebbe dovuto essere inquadrata nell’ambito dell’art. 1669 c.c., con conseguente tempestività dell’azione.
La censura è infondata.
La Corte di Appello ha ritenuto, innanzitutto, non provato il conferimento, da parte degli odierni ricorrenti alla società RAGIONE_SOCIALE, di un incarico di realizzare il manufatto nel quale è compresa l’unità abitativa oggetto della compravendita (cfr. pag. 7 della sentenza impugnata). Ha poi affermato che i difetti riscontrati dal C.T.U. nell’alloggio ‘… non si appalesano di particolare gravità al punto da potersi ravvisare l’ipotesi della rovina di edifici ovvero di gravi difetti costruttivi …’ (cfr. pag. 8) ed ha dunque escluso l’applicabilità della garanzia di cui all’art. 1669 c.c. Ha, poi, approfondito la questione, dando atto dell’interpretazione estensiva della ridetta garanzia seguita dalla giurisprudenza di legittimità, nel cui ambito sono stati inclusi anche i fenomeni di infiltrazione di acqua o umidità, evidenziando al riguardo che ‘… il dato decisivo è costituito dall’incidenza del difetto costruttivo sul godimento del bene, nel senso che quest’ultimo deve risultare significativamente pregiudicato …’ (cfr. pag. 9). Ed infine, ha escluso che, nella fattispecie, si potessero ravvisare gli estremi del grave difetto costruttivo, nel senso suindicato, ‘… alla luce delle osservazioni del C.T.U., il quale ha evidenziato la limitata portata dei fenomeni di condensa superficiale rilevati all’interno dell’appartamento, nei vani bagno e ripostiglio …’ alla luce della ‘… modesta entità del fenomeno … in considerazione sia della limitatezza delle zone interessate … sia della stazionarietà del fenomeno … sia della natura superficiale della muffa …’ (cfr. pag. 10).
Gli odierni ricorrenti, nel contestare tale conclusione, non attingono specificamente il secondo ed il terzo rilievo, ma soltanto
il primo, affermando che la Corte di Appello avrebbe, erroneamente, ritenuto operante la garanzia di cui all’art. 1669 c.c. soltanto laddove il fenomeno di infiltrazione interessi il soffitto di un vano nella sua interezza. In realtà, questo non è quanto affermato dal giudice di merito, il quale, come suindicato, ha piuttosto operato una disamina in concreto del difetto lamentato, e riscontrato dal C.T.U., dando atto della natura limitata dello stesso, sia in termini di estensione della superficie interessata, sia in termini di gravità e profondità del fenomeno.
Sotto questo profilo, la statuizione della Corte distrettuale è coerente con l’insegnamento di questa Corte, secondo cui le due azioni, rispettivamente previste dagli artt. 1667 c.c. e 1669 c.c., hanno natura contrattuale -la prima -ed extracontrattuale -la seconda -e si configurano, pur nella diversità della natura giuridica delle responsabilità disciplinate dalle norme richiamate, come sottospecie l’una dell’altra, nel senso che i ‘gravi difetti’ dell’opera previsti dall’art. 1669 c.c. si traducono inevitabilmente in “vizi” della medesima, sicché la presenza di elementi costitutivi della responsabilità prevista dall’art. 1669 c.c. implica necessariamente la sussistenza di quelli della seconda, disciplinata dall’art. 1667 c.c. Quest’ultima disposizione, di carattere generale, si applica dunque anche in presenza dei presupposti di operatività di quella speciale, così da determinare una concorrenza delle due garanzie, tra loro non incompatibili, in funzione di garanzia della ratio di rafforzamento della tutela del committente sottesa, in ultima analisi, alla norma di cui all’art. 1669 c.c. (cfr. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 815 del 19/01/2016, Rv. 638614). La differenza tra le due diverse azioni, rispettivamente disciplinate dagli artt. 1667 e 1669 c.c. e tra loro concorrenti, risiede dunque, in sostanza, nell’entità dei vizi denunziati che, qualora siano tanto gravi da incidere sugli elementi essenziali dell’opera, influendo sulla sua durata e compromettendone la conservazione, integrano l’ipotesi di
responsabilità extracontrattuale prevista dall’art. 1669 c.c. (cfr. Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 20184 del 25/07/2019, Rv. 654978).
Alla ricostruzione complessivamente fatta propria dal giudice di seconda istanza, i ricorrenti finiscono per contrapporre una lettura alternativa del compendio istruttorio, senza tener conto che il motivo di ricorso non può mai risolversi in un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790). Né è possibile proporre un apprezzamento diverso ed alternativo delle prove, dovendosi ribadire il principio per cui ‘L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330).
Nel caso di specie, infine, la motivazione della sentenza impugnata non risulta viziata da apparenza, né appare manifestamente illogica, ed è idonea ad integrare il cd. minimo costituzionale e a dar atto dell’iter logico -argomentativo seguito dal
giudice di merito per pervenire alla sua decisione (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830, nonché, in motivazione, Cass. Sez. U, Ordinanza n. 2767 del 30/01/2023, Rv. 666639 ). Anche la denunziata violazione dell’art. 132 c.p.c., dunque, non sussiste.
Con il secondo motivo, la parte ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 1490, 1495 c.c. e 132 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente inquadrato la fattispecie nell’ambito della garanzia per i vizi della cosa venduta, anziché nell’alveo di quella, più ampia, di cui all’art. 1669 c.c. Ad avviso dei ricorrenti, il giudice di merito non avrebbe adeguatamente considerato la natura dei rimedi necessari per eliminare il difetto, consistenti in interventi di disinfestazione e ritinteggiatura degli ambienti interessati e nella installazione, negli stessi, di apparecchi di ventilazione idonei a prevenire il ripetersi del fenomeno.
La censura è infondata, per gli stessi argomenti già esposti in relazione allo scrutinio del primo motivo. La parte ricorrente, infatti, invoca una lettura alternativa delle risultanze di fatto, rispetto a quella prescelta dal giudice di merito. A tali considerazioni va aggiunto il decisivo rilievo che proprio il fatto che l’ausiliario abbia indicato dei rimedi per l’eliminazione del fenomeno lamentato dalla parte acquirente dell’immobile e per prevenirne la ripetizione dimostra che il vizio non presenta una gravità tale da compromettere irrimediabilmente la fruibilità della res. Peraltro, un argomento indiretto a conferma della limitata entità del vizio di cui si discute emerge dalla quantificazione del danno operata dall’ausiliario, poiché la spesa per la sua eliminazione è stata determinata nel modesto importo di € 5.769, corrispondente al valore della condanna disposta dal Tribunale ed al valore della controversia dichiarato dalla parte odierna ricorrente.
Merita inoltre di essere evidenziato che la Corte di Appello ha individuato nella data di consegna della res , coincidente con quella del rogito (13.11.2003), il dies a quo dal quale far decorrere i termini di prescrizione dell’azione. La statuizione è coerente con l’insegnamento di quest a Corte, secondo cui ‘ In tema di vizi della cosa venduta, la prescrizione dell’azione di garanzia accordata al compratore decorre, in ogni caso, dalla consegna allo stesso del bene, non rilevando in senso contrario che l’acquirente non abbia la possibilità di scoprire il vizio, nonostante l’avvenuta consegna, o che questo gli sia stato dolosamente occultato dal venditore, con espedienti o raggiri, salva tuttavia la possibilità, in tale ultimo caso, di invocare la sospensione della prescrizione, agli effetti dell’art. 2941, n. 8, c.c., ove si accerti la sussistenza di una dichiarazione del venditore, non solo obiettivamente contraria al vero quanto, altresì, caratterizzata dalla consapevolezza dell’esistenza della circostanza taciuta e dalla conseguente volontà decipiente’ (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 18891 del 28/07/2017, Rv. 645228). Poiché la domanda è stata introdotta dagli odierni ricorrenti soltanto il 28.2.2006, il giudice di merito ha dunque ritenuto spirato tanto il termine annuale, previsto dagli artt. 1490 e ss. c.c., che quello biennale, di cui all’art. 1667 c.c. (cfr. pag. 12 della sentenza impugnata).
In definitiva, il ricorso va rigettato.
Le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
PQM
la Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in € 3.600, di cui € 200 per esborsi, oltre rimborso delle spese generali nella misura del 15%, iva, cassa avvocati ed accessori tutti come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda