Ordinanza interlocutoria di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 27263 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 27263 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 21/10/2024
ORDINANZA INTERLOCUTORIA
sul ricorso n. 733/2021 r.g. proposto da:
COGNOME , in proprio, COGNOME NOME , quale assuntore del concordato del fallimento della società RAGIONE_SOCIALE, giusta decreto di trasferimento del tribunale di Bologna del 29/7/2011, rappresentati e difesi, per procure speciali in calce al ricorso, dall’AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliati presso lo studio dell’AVV_NOTAIO, in Roma , INDIRIZZO, che chiede di ricevere le comunicazioni e le notificazioni all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato
-ricorrenti –
RAGIONE_SOCIALE , in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO e dall’AVV_NOTAIO, in virtù di procura speciale, elettivamente domiciliata presso lo studio in RomaINDIRIZZO INDIRIZZO
-controricorrente-
BANK TEJARAT , in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, anche disgiuntamente, dall’AVV_NOTAIO, dall’AVV_NOTAIO nonché dall’AVV_NOTAIO, elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Roma, INDIRIZZO, in virtù di procura speciale rilasciata in autentica notarile in data 19/1/2021, munita di traduzione asseverata il 20/1/2021 e legalizzata dalla Cancelleria Consolare presso l’Ambasciata d’Italia a Teheran in data 4/2/2021, i quali chiedono di ricevere le comunicazioni e le notificazioni di cancelleria all’indirizzo di posta elettronica certificata indicato.
-controricorrente –
avverso la ordinanza della Corte di appello di Bologna n. 2798/2020, depositata in data 23 ottobre 2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/7/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOMEAVV_NOTAIO;
RILEVATO CHE:
– In data 23/12/1991 RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, Banca di nazionalità iraniana, su richiesta della società iraniana RAGIONE_SOCIALE, emetteva una lettera di credito a favore della società italiana
RAGIONE_SOCIALE per il pagamento del corrispettivo pari a D.M. 7.250.466, dovuto alla stessa per n. 5 forniture di ricambi per autocarri.
I pagamenti dovevano essere eseguiti dal Banco Ambrosiano per conto di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
– Tra l’aprile e il luglio del 1992 RAGIONE_SOCIALE cedeva i suoi crediti (o parte di essi) verso RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ad una società di factoring inglese, la RAGIONE_SOCIALE, ricevendo il pagamento del corrispettivo pattuito.
– In data 8/1/1993 la RAGIONE_SOCIALE veniva dichiarata fallita dal tribunale di Bologna. Successivamente NOME COGNOME proponeva domanda di concordato fallimentare il 7/5/2009. Il concordato veniva omologato il 20/10/2009 e il fallimento chiuso il 15/7/2010, mentre il provvedimento ex art. 136 l.f., di avvenuta esecuzione degli adempimenti del concordato, veniva depositato il 29/7/2011.
– In data 8/7/1994 RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE concludevano un accordo ( Assumption RAGIONE_SOCIALE ) in base al quale la prima si obbligava a pagare a COGNOME il credito per il quale era stata emessa la lettera di credito a favore di RAGIONE_SOCIALE il 23/12/1991.
– Il 6/9/1995 la banca iraniana RAGIONE_SOCIALE Tejarat concludeva con RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE un accordo generale denominato « RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE », avente ad oggetto un piano di pagamento dei crediti maturati da imprese italiane nei confronti di committenti iraniani o nei confronti delle banche iraniane che si erano rese garanti di quei crediti. RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE sottoscriveva l’accordo in qualità di agente delle suddette imprese italiane, tra le quali vi era anche il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
RAGIONE_SOCIALE Tejarat ignorava l’accordo dell’8/7/1994 ed includeva per errore il RAGIONE_SOCIALE in tale accordo più generale.
– RAGIONE_SOCIALE Tejarat assumeva i debiti contratti da imprese committenti e banche iraniane nei confronti delle imprese italiane
alla condizione che queste ultime inviassero alla stessa RAGIONE_SOCIALE Tejarat una « lettera di conferma » della rinuncia ai loro diritti in base ai contratti sottoscritti con gli originali debitori e, quindi, della liberazione di questi ultimi dalle originarie obbligazioni.
Con l’accordo, RAGIONE_SOCIALE Tejarat si era impegnata a pagare immediatamente una parte dei crediti (pari al 25%) e a rilasciare cambiali ( Prommissory notes ) a favore di ogni impresa italiana ammessa al piano di pagamento, a garanzia del pagamento del residuo credito vantato dalla singola impresa.
Tali cambiali dovevano essere consegnate da RAGIONE_SOCIALE Tejarat a RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
Le cambiali dovevano essere trattenute da RAGIONE_SOCIALE e i creditori non avrebbero avuto diritto alla consegna delle cambiali, che sarebbero state sempre detenute da RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE. Quest’ultimo non avrebbe potuto né presentare le cambiali per il pagamento, né farle protestare.
RAGIONE_SOCIALE Tejarat avrebbe eseguito i pagamenti a favore delle imprese ammesse al piano tramite RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, che avrebbe distribuito le somme così incassate ai rispettivi creditori.
– Nel RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE si pattuiva, inoltre, che la legge applicabile fosse quella inglese e che le Corti di Londra avrebbero avuto giurisdizione esclusiva sulle controversie derivanti dal RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE o dalle cambiali emesse da RAGIONE_SOCIALE Tejarat o comunque ad essi connesse (art. 17.02 dell’accordo).
In alternativa si prevedeva che ciascuna delle parti avrebbe potuto sottoporre le suddette controversie alla giurisdizione dei giudici iraniani (art. 17.03 dell’accordo), ma non per le controversie legate alle cambiali.
– Tra i soggetti rappresentati da RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE vi era anche il fallimento RAGIONE_SOCIALE; ed infatti il curatore del fallimento aveva conferito mandato in tal senso.
– Il curatore del fallimento RAGIONE_SOCIALE, AVV_NOTAIO NOME COGNOME, inviava lettera di conferma del 26/9/1995 a RAGIONE_SOCIALE Tejarat e, per conoscenza, a RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
Evidenziava di essere il legittimo creditore della somma dovuta da RAGIONE_SOCIALE Tejarat a RAGIONE_SOCIALE; di non aver ceduto a terzi il suo credito; di rinunciare a tutti i diritti e le pretese, presenti e future, derivanti dall’originario contratto e dalla lettera di credito emessa da RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
Ciò al fine di essere ammesso al piano di pagamento previsto dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE per il credito a suo tempo vantato dalla società fallita nei confronti della società iraniana RAGIONE_SOCIALE e di RAGIONE_SOCIALE.
– RAGIONE_SOCIALE Tejarat, quindi, ammetteva il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE al piano di pagamento e pagava immediatamente a RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, quale agente del fallimento, la somma di marchi tedeschi (D.M.) 497.751,79, pari al 25% del residuo credito di cui alla lettera di credito precedentemente emessa da RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, oltre all’importo di D.M. 107.003,72 per interessi.
In ottemperanza al RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE , il 10 giugno 1996, RAGIONE_SOCIALE Tejarat consegnava a RAGIONE_SOCIALE centrale n. 24 cambiali, per l’importo complessivo di D.M. 1.930.536,00, a garanzia del residuo credito di cui alla lettera di credito emessa da RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
– Successivamente, RAGIONE_SOCIALE Tejarat riceveva da RAGIONE_SOCIALE la richiesta di ammissione al piano di pagamento previsto dal RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE .
Pertanto, RAGIONE_SOCIALE Tejarat ammetteva LFC al piano di pagamento e domandava al RAGIONE_SOCIALE la restituzione delle cambiali, come pure la restituzione di quanto già pagato.
– Il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE proponeva quattro diversi giudizi.
12.1. – Con un primo giudizio, il fallimento conveniva RAGIONE_SOCIALE dinanzi al tribunale di Bologna per sentire dichiarare l’inefficacia della cessione di credito effettuata da RAGIONE_SOCIALE; il tribunale accoglieva la domanda il 10/3/2000, con la sentenza n. 730 del 2000, confermata dalla Corte d’appello di Bologna il 7/3/2003.
12.2. – Con un secondo giudizio il RAGIONE_SOCIALE proponeva il 2/10/2000 dinanzi alla High Court di Londra, giudice competente in via esclusiva per le controversie relative al RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e alle cambiali, un’azione volta ad ottenere la condanna di RAGIONE_SOCIALE Tejarat al pagamento dell’importo di D.M. 1.930.536,30, oltre interessi e spese, sulla base delle cambiali.
RAGIONE_SOCIALE Tejarat si costituiva in giudizio e domandava il rigetto delle domande del RAGIONE_SOCIALE chiedendo, in via riconvenzionale, la restituzione della somma di D.M. 604.705,51, già versata al fallimento RAGIONE_SOCIALE in esecuzione del piano di pagamento.
In data 2/4/2001 il giudizio innanzi alla High Court di Londra veniva sospeso su istanza del curatore del RAGIONE_SOCIALE.
12.3. Un terzo giudizio veniva instaurato dal RAGIONE_SOCIALE dinanzi al tribunale di Bologna per conseguire l’ordine a RAGIONE_SOCIALE (successore di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE) di consegnare al medesimo curatore le cambiali emesse da RAGIONE_SOCIALE Tejarat e ancora in suo possesso.
Il tribunale di Bologna si pronunciava con sentenza n. 1444 del 25/2/2008 ordinando alla RAGIONE_SOCIALE di consegnare le cambiali al curatore.
Le cambiali venivano consegnate il 14/5/2008.
6 RG n. 733/2021 Cons. Est. AVV_NOTAIO
12.4. – Il quarto giudizio veniva instaurato dal RAGIONE_SOCIALE sulla scorta delle cambiali, con la richiesta di decreto ingiuntivo da parte del RAGIONE_SOCIALE e dell’assuntore NOME COGNOME, in data 1/3/2010, per la somma di euro 987.082,42 (pari a D.M. 1.930.536,60), oltre interessi al tasso del 6,9361%, pari ad euro 894.367,42 (D.M. 1.749.230,65).
– Veniva emesso decreto ingiuntivo il 2/3/2010 per euro 1.881.449,84.
– Proponeva opposizione a decreto ingiuntivo il 2/3/2010 la RAGIONE_SOCIALE Tejarat: tale è il procedimento in cui si innesta il presente ricorso per cassazione.
– Si costituivano in giudizio il RAGIONE_SOCIALE, l’assuntore e RAGIONE_SOCIALE.
– Una volta eseguito il concordato fallimentare, come da provvedimento del giudice delegato ex art. 136 l.f., del 29/7/2011, l’assuntore dava atto di essere subentrato al curatore fallimentare.
16.1. – Con comparsa e memoria ex art. 183, 6º comma, n. 2, c.p.c., in data 19/1/2012, il dottor NOME COGNOME interveniva « in proprio » nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo al fine di: dare atto che il tribunale di Bologna aveva disposto il trasferimento all’assuntore NOME COGNOME di tutte le attività e azioni della massa relativa RAGIONE_SOCIALE e che con decreto del 15/7/2010 la procedura fallimentare era stata chiusa; domandare la sua estromissione dalla causa, essendo cessata la sua funzione di curatore fallimentare. Chiedeva ad adiuvandum il rigetto dell’opposizione di RAGIONE_SOCIALE Tejarat.
16.2. – All’udienza del 31/5/2012 NOME COGNOME eccepiva l’estinzione del giudizio per sua mancata riassunzione nel termine di 3 mesi dalla chiusura della procedura fallimentare. A tale eccezione
aderivano sia NOME COGNOME, quale assuntore, che l’RAGIONE_SOCIALE. Il tribunale rigettava l’eccezione.
– Con sentenza n. 1651/2013, depositata il 24/5/2013, il tribunale di Bologna rigettava l’eccezione di estinzione del processo, dichiarava inammissibile l’istanza di estromissione proposta dal COGNOME e dichiarava il difetto di giurisdizione dell’autorità giudiziaria italiana, dichiarando conseguentemente la nullità del decreto ingiuntivo e condannando in solido NOME COGNOME e NOME COGNOME al pagamento delle spese del giudizio di opposizione.
– Proponeva appello NOME COGNOME, « quale curatore del fallimento della RAGIONE_SOCIALE » e NOME COGNOME, quale assuntore.
– Si costituivano in giudizio RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE Tejarat.
– La Corte d’appello di Bologna rigettava l’appello proposto da NOME COGNOME e da NOME COGNOME, confermando il difetto di giurisdizione dell’autorità giudiziaria italiana. Condannava in solido il COGNOME e il COGNOME al pagamento delle spese processuali.
In motivazione, respingeva la richiesta di declaratoria della estinzione del processo per mancata riassunzione termini.
Evidenziava, in particolare, che la vicenda successoria si era compiuta attraverso lo strumento del concordato fallimentare con assunzione, segnatamente attraverso la cessione di attività ed azioni con effetti traslativi subordinati alla completa esecuzione del concordato. Trovava applicazione, dunque, la giurisprudenza di legittimità per cui il passaggio in giudicato della sentenza di omologazione e la chiusura del procedimento fallimentare, lungi dal determinare un’interruzione dei giudizi pendenti, comportavano solamente la successione a titolo particolare dell’assuntore del titolo controverso e il curatore non perdeva la propria legittimazione, che veniva meno solo con il decreto ex art. 136 l.f., che accertava
l’intervenuta esecuzione del concordato (si cita in particolare Cass., 28/2/2007, n. 4766).
Solo la completa esecuzione del concordato, accertata con decreto del 15/7/2010, comportava la verificazione di un evento interruttivo.
Trovava applicazione la disciplina dell’interruzione del processo ex art. 300 c.p.c., precisando – contrariamente all’assunto degli appellanti – che ai sensi del comma 2 dell’art. 300 c.p.c., a fronte dell’evento interruttivo del giudizio, era sufficiente la costituzione volontaria, come si era verificato in quanto l’assuntore si era già previamente costituito. Tanto è vero che l’assuntore, già al momento di proposizione del ricorso per decreto ingiuntivo, in data 1/3/2010, aveva dichiarato esplicitamente di costituirsi « al fine di evitare possibili eventi interruttivi conseguente alla pronuncia di completa esecuzione del concordato ». Inoltre – aggiungeva la Corte territoriale – erano fondati anche gli ulteriori rilievi svolti dalla Banca, a sostegno delle invalidità della dichiarazione dell’evento interruttivo, che, ai sensi dell’art. 300, primo comma, c.p.c., doveva essere dichiarata in udienza o notificata alle altre parti dal procuratore della parte colpita dall’evento. Nel caso di specie, invece, la dichiarazione non era stata resa a verbale, ma era stata inserita in una memoria depositata dal procuratore del COGNOME, costituitosi a titolo personale nel giudizio di opposizione.
Non trovava applicazione l’art. 43, 3º comma, l.f., in quanto attinente alla diversa ipotesi di apertura del fallimento. Tra l’altro, il comma 3 dell’art. 43 l.f., era applicabile alle sole procedure fallimentari aperte successivamente al 16 luglio 2006, ovvero alla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 5 del 2006.
21. – La Corte territoriale confermava la pronuncia di difetto di giurisdizione.
In motivazione rilevava che l’esplicita esclusione delle materie del « fallimento, concordati e procedure affini » dall’ambito applicativo della Convenzione di Bruxelles, poi sostituita dal Regolamento CE 44/2001, era da interpretarsi in termini restrittivi (si citava Corte di giustizia 22/2/1979, causa C-133/78; anche Cass., Sez. U., n. 9745 del 14/4/2008).
Tra l’altro, la banca iraniana non aveva presentato alcuna domanda riconvenzionale di restituzione degli importi in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, tale da determinare la vis attractiva della questione all’interno della competenza del giudice fallimentare.
21.1. – Il giudice d’appello chiariva che erano valide le clausole contenute nel RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE , ove si prevedeva la giurisdizione esclusiva delle corti inglesi di Londra circa eventuali controversie che potessero sorgere, facendo salva la possibilità per i contraenti di promuovere giudizi dinanzi alle corti iraniane.
Pertanto, vi era giurisdizione alternativa del giudice inglese o del giudice iraniano, mentre per le controversie riguardanti le cambiali le parti potevano agire solamente dinanzi al giudice inglese.
Tra l’altro lo stesso fallimento RAGIONE_SOCIALE si era servito della clausola di proroga della giurisdizione, ora contestata, per agire innanzi alla High Court di Londra e richiedere la condanna di RAGIONE_SOCIALE Tejarat al pagamento dell’importo di D.M. 1.930.536,30.
21.2. – Chiariva la Corte territoriale che era nuova la contestazione circa l’inapplicabilità al caso di specie degli articoli 17.02 e 17.03 del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ; gli appellanti sostenevano, infatti, di aver agito non alla stregua di un’azione cambiaria, o di un’azione fondata sul rapporto causale costituito dal predetto agreement , ma sulla base del credito originario, ovvero quello attinente alla lettera di credito del 23/12/1991.
Rilevava il giudice d’appello che la clausola di proroga della giurisdizione non disponeva alcuna limitazione di operatività rispetto alla materia cambiaria che includeva nella sua vigenza, riferendosi a tutte le controversie insorte dalle o in relazione alle cambiali, « anche qualora le stesse siano utilizzate quale mera prova del credito vantato ».
Tra l’altro, il credito originario era sorto dalla lettera di credito del 23/12/1991 che però vincolava al pagamento soltanto RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, mentre il credito previsto nell’accordo del 6/9/1995 vedeva obbligata RAGIONE_SOCIALE Tejarat, rimasta totalmente estranea al credito originario.
Neppure era condivisibile l’argomentazione per cui la banca iraniana si era assoggettata volontariamente alla giurisdizione italiana e alla competenza del tribunale di Bologna, avendo presentato istanza di accantonamento delle somme di danaro al curatore. Tale domanda, infatti, non poteva che essere incardinata dinanzi alla procedura fallimentare di RAGIONE_SOCIALE e quindi dinanzi al tribunale di Bologna.
Con riferimento ai procedimenti promossi dal fallimento RAGIONE_SOCIALE dinanzi al tribunale di Bologna, prima nei confronti di RAGIONE_SOCIALE (per l’inefficacia della cessione del credito) e poi avverso RAGIONE_SOCIALE (per la consegna delle cambiali), la circostanza che il giudice avesse accolto le domande del fallimento non implicava alcuna accettazione della giurisdizione italiana da parte di RAGIONE_SOCIALE Tejarat.
Quest’ultima non aveva mai partecipato quale parte in causa nei suddetti procedimenti. Si trattava poi di cause dotate di causae petendi e petita differenti rispetto a quelli della presente causa.
Non sussisteva giudicato esterno, in quanto la sua formazione era subordinata alla condizione che i processi avessero per oggetto cause identiche, non solo soggettivamente ma anche oggettivamente.
– Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME, nella sua qualità di assuntore del fallimento della società RAGIONE_SOCIALE, e NOME COGNOME, in proprio, quale ex curatore. I ricorrenti hanno depositato memoria scritta.
Hanno resistito con controricorso RAGIONE_SOCIALE, che ha depositato anche memoria scritta, e RAGIONE_SOCIALE Tejarat.
CONSIDERATO CHE:
Con il primo motivo di ricorso per cassazione i ricorrenti deducono la « erronea statuizione sulla giurisdizione e sulla competenza inderogabile, violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, segnatamente l’art. 3, comma 2, 4 e 11, legge n. 218/1995, l’art. 24 l.f., gli articoli 21, 22, 25 e 28 della Convenzione di Bruxelles del 26 gennaio 1968, in relazione all’art. 360, primo comma, numeri 1, 2, 3, 4, c.p.c. ».
In particolare, i ricorrenti deducono l’erroneità della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui afferma che « la esplicita esclusione dalle materie del ‘fallimento, concordati procedure affini’ dall’ambito applicativo della Convenzione di Bruxelles è da interpretare in termini restrittivi ».
Reputano i ricorrenti che, in realtà, la fattispecie è sottratta all’ambito di applicazione della Convenzione di Bruxelles del 1968, come pure del Regolamento CE 44/2001 e che ai sensi dell’art. 3, comma 2, della legge n. 218 del 1985 « andava riconosciuta la giurisdizione italiana e, quindi, la competenza esclusiva del tribunale di Bologna ».
Infatti, nelle « materie escluse dall’ambito di applicazione della Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 tre le quali ricade la materia fallimentare, la giurisdizione del giudice italiano discende dall’applicazione dei criteri di collegamento stabiliti per la competenza per territorio e, con specifico riferimento all’azione
revocatoria fallimentare, si determina in relazione al luogo di apertura del fallimento » (si cita Cass., Sez. U., n. 2692 del 2007).
Inoltre, nella competenza inderogabile del foro fallimentare rientrano anche quei giudizi, diversi dalla revocatoria fallimentare, che devono considerarsi assimilabili alla materia fallimentare, ai sensi dell’art. 24 l.f.
Del tutto erronea sarebbe l’affermazione della Corte d’appello per cui l’esclusione delle materie del fallimento, dei concordati e procedure affini, ai fini dell’esclusione dall’ambito applicativo della Convenzione, fosse da interpretare « in termini restrittivi ».
Tra l’altro, RAGIONE_SOCIALE Tejarat, nel giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo del 3/3/2010, aveva chiesto in via riconvenzionale la condanna di entrambi i convenuti in opposizione e, dunque, anche del RAGIONE_SOCIALE al risarcimento di euro 200.000,00 per lite temeraria.
RAGIONE_SOCIALE Tejarat aveva anche assunto comportamenti incompatibili con la contestazione della giurisdizione italiana, consistente nell’aver avviato e coltivato iniziative processuali avente identica causa petendi . Si fa riferimento alle due istanze di sospensione cautelare della provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo e all’istanza di RAGIONE_SOCIALE Tejarat al giudice delegato al fine di ottenere l’accantonamento delle somme titoli in possesso del curatore.
La giurisdizione italiana era stata poi più volte accertata, sia nel giudizio cautelare ex art. 700 c.p.c., sia nel procedimento per ingiunzione conclusosi con il credere con il decreto n. 1444 del 2008 del 25/2/2008.
Infine, i ricorrenti rilevavano che l’applicabilità della giurisdizione italiana era conforme alla previsione di cui agli articoli 21, 22, 25 e 28 della Convenzione di Bruxelles del 1968, ove si prevede che se il giudice di uno Stato contraente abbia dichiarato in una propria decisione la sussistenza della propria giurisdizione o si sia dichiarato
competente a conoscere anche con riferimento a cause connesse, tale statuizione non può più essere oggetto di esame e di diversa pronuncia da parte di un giudice di altro Stato contraente, restando la giurisdizione radicata avanti a questo giudice. Il giudizio cautelare ex art. 700 c.p.c. e quello finalizzato alla consegna delle Prommissory notes erano entrambi strettamente connessi con il giudizio in contestazione.
2. – Con il secondo motivo di impugnazione i ricorrenti deducono « erronea interpretazione della domanda giudiziale, violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, segnatamente l’art. 112 c.p.c., in merito all’identificazione della causa petendi sottesa alla pretesa monitoria poi opposta, l’art. 1182, comma 3, c.c., e l’art. 5 della Convenzione di Bruxelles del 1968, con riferimento all’art. 360, primo comma, numeri 1, 2, 3, c.p.c. ».
La Corte d’appello sarebbe incorsa in errore, laddove ha ritenuto « del tutto infondata anche la contestazione (peraltro mai sollevata prima) circa l’inapplicabilità al caso di specie degli articoli 17.02 e 17.03 del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE avendo gli appellanti agito non alla stregua di un’azione cambiaria (che presuppone l’utilizzo delle cambiali in quanto tali) o di un’azione fondata su rapporto causale costituito dal predetto agreement, ma sulla base del credito originario, ovvero quello attinente alla lettera di credito ».
Per la Corte territoriale la clausola di proroga della giurisdizione non disponeva alcuna limitazione di operatività rispetto alla materia cambiaria, che includeva nella sua vigenza, riferendosi a tutte le controversie insorte dalle o in relazione alle cambiali, anche qualora le stesse fossero utilizzate quale mera prova del credito vantato.
Per il ricorrente la pretesa del fallimento non traeva titolo dalla RAGIONE_SOCIALE e non poteva dunque in alcun modo
risentire delle eventuali limitazioni derivanti dalle clausole contenute nello stesso.
Che i ricorrenti, dunque, il fallimento non aveva agito sulla base dell’azione cambiaria, ma aveva solo utilizzato i titoli come prova scritta per ottenere il decreto ingiuntivo n. 2020/2010.
Il fallimento, allora, aveva fatto valere un diritto di credito che traeva origine dalla lettera di credito originaria, quella del 23/12/1991, emessa in favore della società fallita, quale mezzo di pagamento della controprestazione convenuta nel sottostante negozio di fornitura.
Il RAGIONE_SOCIALE non era, dunque, il rapporto causale. Con esso le parti avevano apportato le obbligazioni già sorte modificazioni di varia entità, che non avevano però alterato l’essenza. Per adattare unicamente della rinegoziazione di alcuni aspetti della fusione debitore della banca iraniana nei confronti decreto italiano.
Pertanto, sia il tribunale di prime cure che la Corte d’appello avrebbero trasceso dal contenuto della domanda del fallimento e dell’assuntore, al fine di applicare, per negare la giurisdizione italiana, una clausola evidentemente inidonea a disciplinare le sorti della pretesa fatta valere.
Pertanto la Corte d’appello avrebbe dovuto considerare che il luogo del pagamento, in applicazione della regola generale di cui all’art. 1182, comma 3, c.c., non poteva che essere il domicilio del creditore, con la conseguenza che, in applicazione dell’art. 5, n. 1, della Convenzione di Bruxelles del 1968, vi sarebbe comunque stata la giurisdizione italiana.
3. – Con il terzo motivo di impugnazione i ricorrenti deducono la « violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto,
segnatamente gli articoli 300, comma 2, c.p.c., 302 c.p.c., 305 c.p.c. e 307 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. ».
Avrebbe errato la Corte d’appello nel ritenere che, una volta verificatosi l’evento interruttivo del giudizio, da individuarsi nel provvedimento del giudice delegato del fallimento che ha accertato l’intervenuta esecuzione del concordato fallimentare ex art. 136 l.f., l’assuntore si fosse già previamente costituito, ai sensi dell’art. 300, secondo comma, c.p.c., non potendosi dar luogo, dunque, all’estinzione del giudizio.
Per il ricorrente, era condivisibile l’assunto per cui solo l’effettiva completa esecuzione del concordato aveva determinato l’interruzione del processo. Tuttavia, la motivazione sarebbe erronea nella parte in cui ha ritenuto che la costituzione dell’assuntore, NOME COGNOME, anteriormente alla completa esecuzione del concordato, era equivalente in tutto e per tutto alla costituzione spontanea successiva all’evento interruttivo.
Per i ricorrenti il COGNOME non aveva alcun titolo per stare in giudizio quale successore a titolo particolare, prima dell’emanazione del provvedimento di cui all’art. 136 l.f. da parte del giudice delegato.
4. – Con il quarto motivo di impugnazione il ricorrente deducono la « nullità della sentenza e apparente motivazione, violazione e/o falsa applicazione degli articoli 91 e 92 c.p.c., in relazione all’art. 111 della costituzione, 360, primo comma, numeri 3 e 4, c.p.c. ».
La Corte d’appello di Bologna si sarebbe limitata a reputare « in consistenti le doglianze connessi alle spese di lite che sono state correttamente poste a carico degli appellanti in applicazione del principio della soccombenza ».
Gli appellanti, nel formulare le proprie doglianze avverso la sentenza del tribunale di Bologna, che li aveva condannati al pagamento delle spese di lite, avevano evidenziato che il giudice,
nella denegata ipotesi di mancato accoglimento delle loro domande, avrebbe potuto ravvisare le gravi ed eccezionali ragioni previste dall’art. 92, 2º comma, c.p.c., per disporre l’integrale compensazione delle spese.
Tra l’altro, il tribunale aveva anche rigettato la domanda di RAGIONE_SOCIALE Tejarat risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 96 c.p.c.
La questione di giurisdizione in volgeva fatte valutazioni giuridiche complesse, sicché le riduzioni della parte soccombente, in tutti i gradi di giudizio, erano state seri ed articolate.
RITENUTO CHE
5.- Il terzo motivo, che va esaminato preliminarmente, appare infondato.
5.1. – Va premesso che la modifica dell’art. 43 della l.fall., introdotta dall’art. 41 del d.lgs. n. 5 del 2006, trova applicazione, ai sensi dell’art. 153 del d.lgs. citato, a partire dal 16 luglio 2006, con consequenziale automaticità dell’interruzione del processo a seguito della dichiarazione di fallimento, purché quest’ultima sia intervenuta successivamente a tale data, anche nei giudizi anteriormente pendenti, restando irrilevante la disposizione transitoria dettata dall’art. 150 del medesimo d.lgs., la quale attiene a norme che regolano la procedura concorsuale, e non alla disciplina processuale già in vigore all’epoca della dichiarazione di fallimento (Cass., sez. 3, 28/12/2016, n. 27165).
Pertanto, poiché la dichiarazione di fallimento, nella specie, è intervenuta l’8/1/1993, non si applica l’art. 43 l.f., nella nuova configurazione, dopo il d.lgs. n. 5 del 2006.
Tra l’altro, per giurisprudenza costante di questa Corte la chiusura del fallimento attraverso il concordato fallimentare non è disciplinata, ai fini della pendenza di giudizi, dell’art. 43 l.f. (vedi
Cass., sez. 1, 15/6/2018, n. 15793, per la quale « il richiamo all’art. 43 l.f. è inconferente, essendo la norma dettata per la distinta ipotesi della dichiarazione di fallimento, non per la sua chiusura conseguente all’omologazione di un concordato »).
Senza contare che per questa Corte, a sezioni unite, in caso di apertura del fallimento, l’interruzione del processo è automatica ai sensi dell’art. 43, comma 3, l. fall., ma il termine per la relativa riassunzione o prosecuzione, per evitare gli effetti di estinzione di cui all’art. 305 c.p.c. e al di fuori delle ipotesi di improcedibilità ai sensi degli artt. 52 e 93 l. fall. per le domande di credito, decorre dal momento in cui la dichiarazione giudiziale dell’interruzione stessa sia portata a conoscenza di ciascuna parte; tale dichiarazione, qualora non già conosciuta in ragione della sua pronuncia in udienza ai sensi dell’art. 176, comma 2, c.p.c., va notificata alle parti o al curatore da uno degli interessati o comunque comunicata dall’ufficio giudiziario (Cass., Sez.U., 7/5/2021, n. 12154).
5.2. – Va poi ricordato che in tema di concordato fallimentare con assunzione, qualora la relativa proposta contempli la cessione delle azioni revocatorie, la chiusura del fallimento, conseguente al passaggio in giudicato della sentenza di omologazione, non determina l’improcedibilità delle predette azioni, verificandosi una successione a titolo particolare dell’assuntore nel diritto controverso; in tal caso, tuttavia, non è consentita la prosecuzione del processo tra le parti originarie, ai sensi dell’art. 111, primo comma, cod. proc. civ., in quanto la chiusura della procedura, comportando il venir meno della legittimazione processuale del curatore, impone di far luogo all’interruzione del processo. Peraltro, nel caso in cui il trasferimento sia subordinato alla completa esecuzione del concordato, producendosi l’effetto traslativo soltanto a seguito del decreto con cui il giudice delegato, ai sensi dell’art. 136 della legge
fall., procede al relativo accertamento, è a tale provvedimento che dev’essere ricollegata la perdita della legittimazione processuale del curatore, restando fino ad allora vincolate tutte le attività all’interesse dei creditori, e permanendo in carica gli organi del fallimento ai fini della sorveglianza sull’adempimento del concordato. In ogni caso, perché abbia luogo l’interruzione, è necessario che l’evento sia dichiarato dal procuratore costituito o risulti negli altri modi previsti dall’art. 300 cod. proc. civ., proseguendo altrimenti il processo legittimamente nei confronti del curatore (Cass., sez. 1, 28/2/2007, n. 4766; più recentemente Cass., sez. 1, 15/6/2018, n. 15793).
Pertanto, poiché al momento di presentazione del ricorso per decreto ingiuntivo, in data 1/3/2010, l’assuntore aveva presentato la proposta di concordato fallimentare ed era avvenuta l’omologazione del concordato, ma, non solo il fallimento non era stato ancora chiuso (la chiusura avverrà il 15/7/2010), ma non era stato pronunciato neppure il provvedimento di accertamento dell’avvenuta esecuzione del concordato fallimentare da parte del giudice delegato (tale provvedimento interverrà il 29/7/2011), la costituzione in giudizio era avvenuta non solo da parte del curatore fallimentare, ma anche da parte dell’assuntore, proprio in vista della prossima emanazione del provvedimento di cui all’art. 136 l.f. da parte del giudice delegato.
6. – Peraltro, non è stata neppure impugnata l’ulteriore ratio decidendi , con la quale la Corte territoriale aveva respinto l’appello del fallimento dell’assuntore del concordato, in quanto l’evento interruttivo era stato dichiarato con la memoria di cui all’art. 183, 6º comma, n. 2, c.p.c. da NOME COGNOME, « in proprio » il 19/1/2012, quindi, non solo dopo la chiusura del fallimento (15/7/2010), a seguito dell’omologazione del concordato (20/10/2009), ma anche
dopo l’adozione da parte del giudice delegato del provvedimento di avvenuta esecuzione del concordato fallimentare in data 29/7/2011.
– Giusta il disposto dell’art. 374, comma 1, c.p.c., «La Corte pronuncia a Sezioni Unite nei casi previsti nel n. 1 dell’art. 360 e nell’art. 362. Tuttavia, tranne che nei casi di impugnazione delle decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti, il ricorso può essere assegnato alle sezioni semplici, se sulla questione proposta si sono già pronunciate le sezioni unite».
7.1. – Per questa Corte, poi, «L’art. 374 c.p.c. va interpretato nel senso che, tranne nei casi di impugnazione delle decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti, i ricorsi che pongono questioni di giurisdizione possono essere trattati dalle sezioni semplici allorché sulla regola finale di riparto della giurisdizione “si sono già pronunciate le sezioni unite”, ovvero sussistono ragioni di inammissibilità inerenti alla modalità di formulazione del motivo (ad esempio, per inosservanza dei requisiti di cui all’art. 366 c.p.c., difetto di specificità, di interesse etc.) ed all’esistenza di un giudicato sulla giurisdizione (esterno o interno, esplicito o implicito), costituendo questione di giurisdizione anche la verifica in ordine alla formazione del giudicato».
7.2. – Con riferimento al primo motivo di ricorso per cassazione, sussistono pronunce di questa Corte, a sezioni unite, in ordine alla interpretazione restrittiva della Convenzione di Bruxelles e del Regolamento n. 44 del 2001, in ordine alla esclusione dei «fallimenti» e delle azioni derivanti dai fallimenti.
– La questione dirimente, in proposito, diviene quella di valutare se la controversia in oggetto, relativa alla richiesta di pagamento da parte del fallimento e dell’assuntore del concordato fallimentare della somma di euro 1.881.449,84, portata dalle Prommissory notes , relative alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE , nei
confronti della RAGIONE_SOCIALE Tejarat sia ricompreso meno nella materia fallimentare « in senso stretto », e quindi sia esclusa sia dalla Convenzione di Bruxelles sia dal Regolamento n. 44 del 2001.
– L’interpretazione restrittiva proviene dalla giurisprudenza di questa Corte, a sezioni unite (Cass., Sez. U., n. 25163 del 2021).
Si è ritenuto, infatti, che, con riferimento alle domande volte a far dichiarare in via principale la nullità di un contratto e a far valere la garanzia per vizi di un contratto di appalto – non rilevando ai fini della giurisdizione la domanda di revocatoria ordinaria proposta in via subordinata – proposte dal curatore di un fallimento dichiarato in Italia nei confronti di una società francese, la giurisdizione è del giudice francese sulla base delle clausole di attribuzione esclusiva della competenza in favore delle corti francesi contenute nei contratti ai quali le domande si riferiscono (art. 23 Regolamento CE n. 44 del 2000); clausole opponibili alla curatela, trattandosi di azioni facenti capo alla società fallita nella cui posizione la curatela subentra (art. 42 legge fall.) e non di azioni derivanti dal fallimento per le quali avrebbe operato il criterio di collegamento della Convenzione di Bruxelles del 1968 (resa esecutiva con legge n. 804 del 1971, ora sostituita con il suddetto Regolamento); né rileva la contestuale citazione in giudizio di una società avente sede in Italia, non presentando le domande avanzate nei confronti di questa elementi di connessione (art. 6 del Regolamento cit.) con quelle avanzate nei confronti della società francese (Cass., Sez. U., 14/4/2008, n. 9745).
10. – Neppure pare sussistere il giudicato esterno in relazione agli altri due procedimenti incardinati sia dal fallimento che dall’assuntore del concordato fallimentare, sia per ottenere la dichiarazione di inefficacia della cessione di credito alla società RAGIONE_SOCIALE, terminato con sentenza n. 1011 del 2003, sia per conseguire la
consegna delle cambiali, con giudizio definito dal tribunale di Bologna con sentenza n. 730 del 2000, in quanto in entrambi procedimenti non era presente la RAGIONE_SOCIALE Tejarat.
– Ad avviso di questo Collegio, però, resta da affrontare dalle Sezioni Unite di questa Corte, non trattandosi di questioni sulle quali la pronuncia possa essere rimessa alla sezione semplice, sia la questione in ordine alla «accettazione implicita» della giurisdizione italiana da parte di RAGIONE_SOCIALE Tejarat (avendo quest’ultima chiesto la sospensione dell’efficacia esecutiva del decreto ingiuntivo opposto al giudice ordinario, oltre che l’accantonamento somme al giudice delegato del RAGIONE_SOCIALE), sia quella sulla applicazione degli artt. 21, 22, 25 e 28 della Convenzione di Bruxelles
– Occorre difatti valutare, da un lato, se è intervenuta una accettazione tacita della giurisdizione del giudice italiano e, dall’altro, la deduzione dei ricorrenti per cui la giurisdizione italiana deriverebbe dalla previsione di cui agli articoli 21, 22, 25 e 28 della Convenzione di Bruxelles del 1968, ove si prevede che se il giudice di uno stato contraente ha dichiarato in una propria decisione la sussistenza della propria giurisdizione o si sia dichiarata competente a conoscere anche con riferimento a cause connesse, tale statuizione non può più essere oggetto di esame e di diversa pronuncia da parte di un giudice di altro stato contraente, restando la giurisdizione radicata avanti questo giudice costituisce argomentazione.
Per i ricorrenti, infatti, sia il giudizio cautelare ex art. 700 c.p.c., finalizzato a ottenere la consegna delle Prommissory notes , sia il giudizio relativo alla richiesta di inefficacia della cessione del credito alla RAGIONE_SOCIALE, sarebbero strettamente connessi al giudizio in esame.
P.Q.M.
La Corte, ai sensi dell’art. 374, primo comma, c.p.c., dispone rimettersi il presente ricorso alla Prima Presidente di questa Corte per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 10 luglio 2024