Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 7138 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 2 Num. 7138 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 17/03/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 32466/2019 R.G. proposto da: RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO NOME COGNOME INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), COGNOME (CODICE_FISCALE), COGNOME NOME COGNOME (CODICE_FISCALE);
-ricorrente-
contro
COMMISSIONE NAZIONALE PER RAGIONE_SOCIALE (RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME COGNOME (CODICE_FISCALE);
-controricorrente-
avverso la SENTENZA di CORTE D’APPELLO MILANO n. 1440/2019 depositata il 01/04/2019.
Udita la relazione svolta nell ‘udienza del 28/11/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Udite le osservazioni del P.M., la Sostituta P.M. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Uditi gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME per la ricorrente; gli avvocati NOME COGNOME e NOME De NOME COGNOME per la controricorrente.
FATTI DI CAUSA
La RAGIONE_SOCIALE ha introdotto giudizio di opposizione a sanzione amministrativa irrogata dalla Consob, con delibera n. 20212 del 6/12/2017, quale società incaricata della revisione del bilancio, per violazioni nello svolgimento delle attività di revisione sui bilanci di esercizio e consolidato della Banca Popolare di Vicenza (BPVI) al 31 dicembre 2014. Consob ha contestato a RAGIONE_SOCIALE irregolarità che coinvolgono vari aspetti della revisione, tra cui la pianificazione del lavoro e la soglia di significatività (cioè il limite oltre il quale un errore, un’omissione o una discrepanza nei dati finanziari è considerato capace di influenzare le decisioni economiche degli utilizzatori del bilancio), le valutazioni delle attività finanziarie disponibili per la vendita, dei crediti verso la clientela e dell’avviamento, oltre a omissioni riguardanti operazioni sul capitale. L’opposizione di KPMG è stata respinta, con conferma della sanzione amministrativa.
A sostegno della decisione adottata la Corte distrettuale ha rilevato che il calcolo della significatività rappresenta un’estrinsecazione dell’esercizio del giudizio professionale del revisore e non soggiace a parametri rigidi, dovendo rispondere a criteri di ragionevolezza e logicità. Nella specie la KPMG non risulta avere adeguatamente valutato lo status di ente di interesse pubblico della Banca, la diffusione della proprietà azionaria, l’elevato livello di regolamentazione del
settore, né apprezzato correttamente i fattori di rischio emersi all’esito dell’AQR.
Ricorre in cassazione la KPMG con otto motivi, illustrati da memoria. Resiste la Consob con controricorso e memoria.
Il P.M. ha depositato conclusioni scritte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1. – Il primo motivo denuncia violazione degli artt. 11, 14 e 43, co. 3 d.lgs. 39/2010, dell’art. 162, co. 2, lett. a), d.lgs. 58/1998, nonché del par. 9 del Principio di revisione n. 300 e dei paragrafi 5 e 10 del Principio di revisione n. 320, incorporati nelle norme suddette. Si argomenta che i Principi di revisione n. 300 e n. 320 non forniscono indicazioni tecniche prescrittive per stabilire il livello concreto di materialità, lasciandole al giudizio professionale del revisore. Si contesta che i Principi di revisione invocati dettino regole quantitative per la determinazione del livello di significatività, limitandosi a delineare criteri generali per la pianificazione delle attività di revisione. Il par. 9 del Principio n. 300, infatti, identifica solo gli aspetti rilevanti per la pianificazione; il par. 5 del Principio n. 320 richiede al revisore di stabilire un livello di significatività accettabile per identificare errori significativi, senza prescrivere parametri rigidi; il par. 10 dello stesso Princip io evidenzia l’inverso rapporto tra significatività e rischio di revisione. La decisione della Corte di appello si fonda su un’erronea applicazione dei suddetti Principi, attribuendo loro una prescrittività inesistente. Si osserva inoltre che l’eventuale d ivergenza rilevata dalla Consob tra le procedure interne di KPMG e le pratiche di revisione applicabili non potrebbe, comunque, configurare violazione dei Principi di revisione n. 300 e n. 320, in quanto questi non stabiliscono soglie quantitative fisse né parametri obbligatori.
Il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 132, co. 2, n. 4, c.p.c., per motivazione manifestamente illogica e incomprensibile
circa la presunta inidoneità nella determinazione del benchmark di riferimento per stabilire la soglia di significatività. La sentenza ha premesso che KPMG ha utilizzato un patrimonio netto rettificato, giudicandolo una scelta prudenziale. Tuttavia, contraddittoriamente, ha successivamente concluso che il benchmark adottato non ha valorizzato elementi di prudenza, generando una contraddizione irriducibile tra la premessa e la conclusione del ragionamento. Entrando nel dettaglio della censura, la sentenza impugnata ha rilevato che RAGIONE_SOCIALE ha utilizzato come benchmark il patrimonio netto rettificato, ossia il patrimonio netto diminuito del valore degli «intangibles» (avviamento e altre attività immateriali). Tale rettifica, riducendo il valore di riferimento, avrebbe comportato una soglia di materialità inferiore e, quindi, più prudenziale. Nel prosieguo della motivazione, la sentenza afferma però che RAGIONE_SOCIALE non ha applicato criteri di prudenza né nella scelta del benchmark, né nella percentuale di significatività fissata al 7,22%, superiore alla media del 6,5%. Tale incongruenza tra la premessa e la conclusione rende la motivazione incoerente e incomprensibile: l’accertamento d el carattere prudenziale della determinazione di una soglia di significatività inferiore attraverso l’uso del patrimonio netto rettificato non è compatibile con l’asserzione che il revisore non avrebbe seguito criteri prudenziali. La manifesta illogicità della sentenza è ulteriormente confermata dalla contraddizione tra il rilievo de ll’utilizzo del patrimonio netto rettificato e la successiva affermazione che il revisore avrebbe seguito il criterio del patrimonio netto senza rettifiche. Ciò integra un contrasto irriducibile tra affermazioni, che rende l’argomentazione perplessa e obiettivamente incomprensibile.
Il terzo motivo denuncia violazione degli artt. 195 d.lgs. 58/1998 e 2697 c.c., con riguardo all’errata inversione dell’onere della prova nella sentenza della Corte di appello di Milano relativamente agli elementi costitutivi della pretesa sanzionatoria. Si censura la parte di sentenza in cui l a Corte d’appello ha sostenuto che RAGIONE_SOCIALE non
avrebbe correttamente considerato i fattori di rischio evidenziati dall’Asset Quality Review (AQR) condotta dalla BCE nel 2014, ritenendo che il revisore dovesse dimostrare che tali fattori non avessero avuto un’incidenza rilevante sulla fissazione della s oglia di significatività . Tuttavia, la verifica degli effetti dell’AQR, inclusi gli interventi correttivi suggeriti alla BPVI, è stata sostenuta da Consob nella propria lettera di contestazione e in seguito nella fase di opposizione. Trattandosi di elementi costitutivi del l’esercizio del potere sanzionatorio nel caso concreto , l’onere della prova sarebbe spettato all’Autorità. Si censura quindi l’inversione dell’onere della prova operata dalla Corte, che ha posto in capo a KPMG la dimostrazione di elementi che, per legge, dovevano essere provati da Consob, in quanto relativi alla pretesa sanzionatoria.
1.2. – I primi tre motivi possono essere trattati contestualmente poiché concernono, sotto diversi profili, il tema della determinazione della soglia di significatività fra le condotte sanzionabili nel caso concreto.
Essi non sono fondati.
Al fine di argomentare tale giudizio conviene muovere da un ampio stralcio della parte di sentenza (p. 12 ss.) censurata da tali motivi di ricorso: « 1.1. La determinazione della soglia di significatività nell’ambito del processo di revisione è necessariamente frutto del giudizio professionale del revisore (Principio di Revisione 320, paragrafo 4). Alla luce della finalità del bilancio di rappresentare, in modo veritiero e corretto, la situazione patrimoniale, economica e finanziaria della società, tale giudizio deve essere guidato, in primo luogo, dalla diligente individuazione da parte del revisore delle esigenze di informativa degli utilizzatori del bilancio stesso. Infatti, come previsto anche dal paragrafo 3 del medesimo Principio di Revisione, ‘un’informazione è significativa se la sua mancanza o la sua imprecisa rappresentazione potrebbe influenzare le decisioni economiche degli utilizzatori da prendere sulla base del bilancio ‘ . Tale giudizio si
concreta essenzialmente nella scelta dei due fattori dai quali dipende la concreta determinazione della soglia di significatività: il parametro di riferimento (benchmark) e la percentuale di significatività a questo applicata. Nel caso di specie, parte ricorrente, nel definire il livello di significatività ai fini della revisione del bilancio d’esercizio di BPVI al 31.12.2014, risulta aver utilizzato quale parametro di riferimento o benchmark il patrimonio netto rettificato, calcolato come differenza tra il valore del patrimonio risultante dal bilancio ed il valore degli ‘ intangibles ‘ (in sostanza, l’avviamento e altre attività immateriali). In relazione a detto benchmark il Revisore risulta poi aver applicato una percentuale del 7,22%, valore che, come rilevato dalla CONSOB, si colloca nella parte alta del range di riferimento previsto dalle linee guida interne KPMG (3%-10%, valore medio: 6,5%). È per l’appunto con riferimento alla scelta di applicare tale percentuale che l’Autorità ha principalmente mosso i propri rilievi. Infatti, dopo aver premesso che la scelta dell’odierno ricorrente di utilizzare il patrimonio netto quale parametro di riferimento si pone in linea con la prassi di settore, l’Autorità ha concentrato le proprie censure sulla scelta della percentuale di significatività applicata da KPMG. Come emerge dalla delibera n. 20212 del 2017 , tale scelta non è stata ritenuta adeguata dalla CONSOB in quanto ‘ il revisore ha scelto una percentuale, 7,22%, che si colloca nella parte alta del range, nonostante numerosi tra gli elementi a disposizione, alcuni dei quali valutati dallo stesso revisore, indicassero l’opportunità di utilizzare un valore prossimo al va- lore minimo della forchetta ‘ . Ebbene , ancorché il calcolo della significatività rappresenti una estrinsecazione dell’esercizio del giudizio professionale del revisore e non soggiaccia, pertanto, a parametri rigidi e a regole prescrittive applicabili in modo automatico, la determinazione di tale soglia non può nondimeno avvenire in modo arbitrario, dovendo comunque rispondere a criteri di ragionevolezza e logicità. Il revisore, pur nell’ambito della propria discrezionalità tecnica, deve supportare, in modo rigoroso e coerente con gli
elementi a disposizione, le valutazioni sottostanti le decisioni assunte in relazione alle componenti del calcolo (benchmark di riferimento e percentuale di significatività), sulla base di criteri logici apprezzabili e verificabili. // 1.2. Nel caso in esame, RAGIONE_SOCIALE non ha adeguatamente valutato gli elementi a propria disposizione, i quali chiaramente indicavano l’opportunità di adottare un approccio maggiormente cauto con riferimento alla determinazione della soglia di significatività. In primo luogo, RAGIONE_SOCIALE non risulta aver adeguatamente valutato -anche alla luce della propria metodologia di audit (KAM) -lo status di ente di interesse pubblico della Banca, la diffusione della proprietà azionaria, l’elevato livello di regolamentazione del settore e la congiuntura economica negativa, fattori che avrebbero dovuto condurre il Revisore ad individuare una soglia di significatività più rigorosa. In secondo luogo, RAGIONE_SOCIALE non risulta aver correttamente apprezzato la sussistenza dei fattori di rischio emersi all’esito dell’Asset Quality Review (AQR) svolto dalla Banca Centrale Europea nel novembre 2014. In dettaglio, il recepimento nel bilancio BPVI al 31.12.2014 delle richieste di rettifica formulate dalla Banca Centrale non poteva costituire fattore indicativo di un minor rischio di revisione, rilevante ai sensi del Principio di Revisione n. 320, paragrafo 10, dal momento che tali richieste erano state formulate con riferimento al precedente bilancio al 31.12.2013. Al contrario, le riscontrate carenze nel processo di credito dovevano indurre il Revisore ad una maggior prudenza, anche alla luce della non completa attuazione da parte di BPVI, al momento della chiusura dell’esercizio sociale 2014, delle azioni correttive che BPVI stessa aveva dichiarato di voler porre in essere in risposta ai rilievi della Banca Centrale Europea. A tal proposito, si rileva che era onere del ricorrente provare che gli interventi programmati da BPVI indicati come non ancora attuati nella relazione della Direzione internal audit di BPVI, datata 27.01.2015, non avevano carattere ‘sostanziale’ Come detto, oltre a non aver debitamente valutato in sede di revisione lo stato di
implementazione delle azioni correttive resesi necessarie alla luce dei rilievi della Banca Centrale Europea, KPMG non risulta aver assolto in questa sede all’onere, su di essa incombente, di dimostrare la non incidenza di tale circostanza in relazione al processo di erogazione e monitoraggio dei crediti da parte della banca, motivo per cui le difese svolte sul punto da parte ricorrente non possono essere accolte. Tutti i suddetti elementi non risultano essere stati valorizzati né nella scelta del benchmark, risultando piuttosto l’utilizzo del net asset una scelta ‘neutrale’, essendo quest’ultimo il parametro di riferimento comunamente usato nel settore bancario, né tantomeno nella scelta della percentuale di significatività, fissata dal Revisore in un valore (7,22%) superiore a quello mediano del 6,5%. // 1.3. Le criticità riscontrate con riferimento alla determinazione del livello significatività ( materiality, in lingua inglese) si riverberano, evidentemente, anche nella conseguente determinazione della soglia di significatività operativa (performance materiality). Il calcolo di tale soglia di significatività operativa corrisponde all’importo o agli importi stabiliti dal revisore in misura inferiore alla significatività per il bilancio nel suo complesso, al fine di ridurre ad un livello appropriatamente basso la probabilità che l’insieme degli errori non corretti e non individuati in sede di revisione superi la significatività per il bilancio nel suo complesso, avviene in concreto utilizzando quest’ultima quale parametro. Come accertato dalla CONSOB, nel caso di specie la soglia di significatività operativa è stata calcolata dal Revisore applicando alla soglia di significatività per il bilancio nel suo complesso una riduzione del 26%, motivo per cui le conseguenze dell’errata valutazione di quest’ultima ( materiality) ricadono altresì sulla concreta determinazione della prima. // 1.4 In conclusione, ritiene la Corte che all’odierno ricorrente sia imputabile non un semplice disallineamento dalle procedure interne (KAM), ma una palese violazione della disciplina dettata a garanzia delle esigenze di informativa degli utilizzatori del bilancio dai Principi di Revisione n. 300,
paragrafo 9, e n. 320, paragrafi 5 e 10. Pertanto, tale motivo di ricorso va respinto».
1.3. L’ampio stralcio della motivazione della sentenza impugnata apre la strada alla valutazione dei primi tre motivi di ricorso, non senza aver premesso che l’approfondito precedente recente di Cass. n. 23579 del 2023 esonera questo Collegio da una ricostruzione del quadro normativo della materia della revisione legale dei conti.
Sulla scia di quel precedente, si può argomentare l’ infondatezza del primo motivo.
Esso trae delle conseguenze indebite dalla conclamata struttura tendenzialmente finalistica dei Principi di revisione (come contrapposta alla struttura condizionale, tipica della normazione per fattispecie). Tale struttura si manifesta evidente alla lettura tra gli altri del paragrafo 4 del Principio di Revisione n. 320: « L’obiettivo della revisione di un bilancio è quello di permettere al revisore di esprimere un giudizio professionale sul bilancio, in tutti i suoi aspetti significativi, sulla base delle disposizioni che ne disciplinano i criteri di redazione. La valutazione di cosa sia significativo discende da un giudizio professionale ».
Il fatto che la valutazione della significatività discenda da un giudizio professionale implica in primo luogo il rispetto da parte del giudice del margine di apprezzamento tecnico affidato alla cura del revisore (rispetto che s’impone pur nel quadro di un giudizio a cognizione piena sulla fattispecie costitutiva del potere punitivo esercitato dall’Autorità di vigilanza , qual è il giudizio di opposizione alle sanzioni amministrative). In secondo luogo, il giudice considera la ragionevolezza delle scelte del revisore alla luce delle informazioni disponibili al momento della revisione, evitando che incidano valutazioni ex post. In terzo luogo, il controllo giurisdizionale si focalizza sul raggiungimento degli obiettivi della revisione. In quarto luogo, il giudice valuta se le procedure adottate dal revisore siano proporzionate alla dimensione e complessità dell’impresa sottoposta a revisione. In
quinto luogo, assumono particolare rilevanza le motivazioni fornite dal revisore per le sue scelte, che dovranno essere adeguatamente documentate.
Da tutto ciò segue che, se è vero che il giudice non può sostituirsi al revisore nella valutazione tecnica dei fatti, è altrettanto vero che la valutazione del giudice sulla proporzionalità e ragionevolezza delle scelte effettuate dal revisore (alla luce dei parametri indicati esemplificativamente nel capoverso precedente) dovrà essere particolarmente penetrante. Di tale impostazione la Corte di appello ha dimostrato di essere consapevole (« Il revisore, pur nell’ambito della propria discrezionalità tecnica, deve supportare, in modo rigoroso e coerente con gli elementi a disposizione, le valutazioni sottostanti le decisioni assunte in relazione alle componenti del calcolo (benchmark di riferimento e percentuale di significatività), sulla base di criteri logici apprezzabili e verificabili. Nel caso in esame, RAGIONE_SOCIALE non ha adeguatamente valutato gli elementi a propria disposizione, i quali chiaramente indicavano l’opportunità di adottare un approccio maggiormente cauto con riferimento alla determinazione della soglia di significatività ») . Non solo -ed è quello che più conta -tale impostazione è stata applicata dalla Corte di appello nel caso attuale, come ha osservato anche il P.M. Infatti, la Corte d’appello ha accertato che non era stato adeguatamente valutato lo status di interesse pubblico della Banca, la diffusione della proprietà azionaria, l’elevato livello di regolamentazione del settore e la congiuntura economica negativa; che non era stata correttamente apprezzata la sussistenza dei fattori di rischio emersi all’esito dell’Asset Quality Review, svolto dalla BCE, poiché le carenze rilevate non erano state completamente superate. Tutti questi elementi avrebbero dovuto indurre il Revisore ad individuare una soglia di significatività più rigorosa, in modo da non commettere errori nella determinazione della soglia di significatività operativa (performance materiality), che viene determinata utilizzando la soglia di significatività quale parametro di riferimento.
Passando al secondo motivo, esso è infondato poiché non sussiste la lamentata contraddizione tra la premessa e la conclusione del ragionamento della Corte di appello. Essa infatti ha premesso che l’adozione del patrimonio netto rettificato non si espone di per sé a censure di irragionevolezza ed è comunemente usato nel settore bancario, ma il passaggio alla conclusione circa il difetto di prudenza nella individuazione della soglia di significatività è stato arricchito da un decisivo termine medio del ragionamento, cioè l’adozione di una percentuale di significatività troppo alta, nonostante i numerosi elementi a disposizione, alcuni dei quali valutati dallo stesso revisore, indicassero l’opportunità di utilizzare un valore prossimo al valore minimo della forchetta, prevista dalle linee guida interne della stessa società di revisione. Ciò rende coerente l’argomentazione della Corte.
Passando al terzo motivo, esso è infondato poiché non vi è stata alcuna illegittima inversione dell’onere della prova, ma coerente applicazione dei principi adottati in questa materia da Cass. SU 20930/2009. Una volta accertata la condotta materiale che integra la fattispecie dell’illecito – cioè la determinazione della soglia di significatività, nell’omessa considerazione di tutti gli elementi necessari a tal fine (indicati nell’esame dei precedenti due motivi di ricorso) – incombeva alla società di revisione fornire elementi diretti a dimostrare che gli elementi mancanti non erano decisivi ai fini del rispetto dei principi di revisione : onere che discende non già da un’inversione, ma dal semplice interesse proprio della società di revisione a fornire la prova contraria rispetto all’esistenza dei fatti costitutivi dell’esercizio del potere punitivo esercitato nei suoi confronti.
I primi tre motivi sono rigettati.
2. – Il quarto motivo denuncia violazione degli artt. 11, 14 e 43 co. 3 d.lgs. 39/2010, dell’art. 162 co. 2 lett. a) d.lgs. 58/1998, dei paragrafi 100, 101 e 108 del Principio di revisione n. 315 e dei paragrafi 8, 22, 23 e 49 del Principio di revisione n. 330, incorporati
nelle norme suddette. In particolare, il motivo attiene al risk assesment di KPMG sulla voce relativa alle attività finanziarie disponibili per la vendita (available for sale – AFS), pari a 4,359 miliardi di euro, di cui il 6% relativo a investimenti in fondi OICR.
Nella parte di sentenza censurata da questo motivo di ricorso, la Corte di appello ha ritenuto che RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto individuare un rischio differenziato per gli OICR (organismi di investimento collettivo del risparmio: fondi comuni di investimento, ecc.) all’interno della voce AFS e, conseguentemente, verificare l’efficacia operativa dei controlli adottati dalla banca per tale sottovoce, esaminando aspetti quali esistenza, accuratezza, valutazione, diritti e obblighi specificamente riferiti agli OICR. Sostiene che così il revisore ha violato i paragrafi 100, 101 e 108 del Principio di revisione n. 315 per non aver riconosciuto i rischi specifici della sottovoce OICR. In un ulteriore passaggio, la Corte di appello ha imputato a KPMG di non aver effettuato efficaci verifiche con riferimento alla valutazione degli OICR e di aver demandato di fatto, in relazione a tale specifica classe, l’acquisizione dei necessari elementi probat ori alle sole procedure di validità, occasionando così la violazione del principio di revisione n. 330.
Scendendo più in dettaglio, ad avviso della Corte di appello, KPMG ha valutato il rischio di errori significativi nella voce AFS come basso, nonostante gli elementi disponibili indicassero un rischio più elevato. In particolare, le comunicazioni tra Banca d’Italia e BPVI evidenziavano operazioni sui fondi Athena e RAGIONE_SOCIALE caratterizzate da elevata complessità e investimenti in titoli illiquidi. Tali elementi avrebbero dovuto far riconsiderare la valutazione del rischio effettuata da KPMG. La Corte ha rilevato che la valutazione del fair value degli OICR richiedeva una disaggregazione specifica rispetto alla voce AFS, dato il diverso livello di rischio. La mancata applicazione di questa disaggregazione ha comportato l’omissione di controlli adeguati. La pianificazione dei test di conformità si è concentrata sulla voce
AFS nel suo complesso, escludendo specifici controlli sugli OICR. I test svolti non sono risultati idonei a verificare l’efficacia operativa dei controlli relativi agli OICR. Le procedure di validità sono state limitate alla verifica del NAV dei fondi, senza esaminare adeguatamente le modalità di determinazione del fair value. RAGIONE_SOCIALE ha fatto affidamento esclusivo sulle informazioni fornite dalla banca, senza ottenere documenti essenziali come regolamenti e rendiconti aggiornati. Non è stato applicato un adeguato scetticismo professionale, né è stato effettuato un interpello diretto agli organi di amministrazione e controllo degli OICR. Alla luce di queste carenze, la Corte ha confermato l’assenza di sufficienti elementi probat ori a supporto del giudizio professionale di RAGIONE_SOCIALE, dichiarando infondate le relative doglianze.
La parte ricorrente osserva, quanto alla censura di violazione dei paragrafi 100, 101 e 108 del Principio di Revisione n. 315, che tali principi di revisione non impongono alcuna obbligatorietà di disaggregazione di una voce contabile per rischi specifici, poiché ciò comporterebbe un’estensione irragionevole delle classi di operazioni soggette a revisione. Quanto alla censura di violazione del par. 8 del principio di revisione n. 330, la parte ricorrente osserva che esso consente al revisore di svolgere unicamente procedure di validità senza valutare l’efficacia dei controlli aziendali, se la valutazione del rischio non identifica alcun controllo efficace o rende inefficiente la verifica dell’efficacia operativa dei controlli. In sintesi, la Corte di appello ha erroneamente confermato la sanzione irrogata Consob, assumendo così l ‘inosservanza da parte di KPMG di obblighi non previsti dai principi professionali di riferimento richiamati dagli artt. 11, 14 e 43 co. 3 d.lgs. 39/2010 e dall’art. 162 co. 2 lett. a ) d.lgs. 58/1998.
Il quarto motivo è inammissibile poiché attraverso la censura di violazione dei menzionati parametri normativi la parte sovrappone il proprio apprezzamento dei fatti rilevanti all’accertamento che il
giudice di merito ha espresso in una motivazione esente da vizi censurabili in sede di legittimità. È superfluo ricordare che il superamento del vaglio di legittimità non implica logicamente che questa Corte faccia proprio tale apprezzamento: esso è e rimane del giudice di merito.
3. – Con il quinto motivo di ricorso, RAGIONE_SOCIALE denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 61 c.p.c., sostenendo che la Corte di merito ha erroneamente rigettato l’istanza di consulenza tecnica d’ufficio. Tale richiesta era volta a chiarire aspetti tecnici complessi relativi alla revisione della voce di bilancio dei crediti verso la clientela, per i quali sarebbe stato necessario un approfondimento tecnico non rientrante nelle competenze specifiche del giudice. In particolare, RAGIONE_SOCIALE aveva dettagliatamente illustrato la regolarità delle operazioni svolte, producendo in giudizio una relazione tecnica del Prof. NOME COGNOME nonché l’intera documentazione rilevante, comprese le carte di lavoro. La richiesta di c.t.u. è stata tuttavia respinta dalla Corte come inammissibile ed esplorativa, ritenendo che l’accertamento spettasse esclusivamente al giudice. Nonostante l’ampia documentazione tecnica e le specifiche difese fornite da KPMG, la Corte ha tentato di esaminare autonomamente la complessa documentazione, senza avvalersi di un supporto tecnico specialistico, ignorando così il contributo che una c.t.u. avrebbe potuto fornire nella valutazione delle procedure di revisione. L’assenza di tale esame specialistico ha portato il giudice a conclusioni errate sulla co nformità dell’operato di KPMG ai Principi di revisione. La necessità di una c.t.u. risulta ancor più evidente in quanto la valutazione di specifici aspetti contabili, come la valutazione delle sofferenze e la svalutazione collettiva dei crediti, richiede competenze tecniche approfondite. La Corte non ha considerato le effettive conoscenze di RAGIONE_SOCIALE riguardo alle modifiche apportate dalla banca alla policy di gestione del credito, come risulta documentato nelle carte di lavoro. Senza il contributo di un revisore esperto, la Corte ha erroneamente ritenuto RAGIONE_SOCIALE responsabile di
omessa valutazione dei cambiamenti rilevanti, nonostante la documentazione comprovasse il contrario. Il mancato ricorso a una c.t.u. è inoltre risultato determinante per altri profili della revisione, come il parametro di probability of default per le svalutazioni collettive dei crediti, su cui la Corte ha acriticamente adottato la posizione di Consob, ignorando che il memorandum sulla metodologia della banca era aggiornato al 4/11/2014 e non poteva includere modifiche successive. L’assenza di un esperto revisore ha impedito un’analisi corretta e completa della documentazione prodotta, portando il giudice a conclusioni erronee sulla conformità dei metodi di revisione applicati da RAGIONE_SOCIALE. Infine, la Corte non ha esaminato criticamente le carte di lavoro, tra cui la carta di riepilogo che riassumeva i risultati della revisione, concludendo che RAGIONE_SOCIALE non aveva applicato correttamente le policy della banca in relazione agli «haircut» dei crediti. Un revisore esperto avrebbe potuto comprendere l’effettiva osservanza delle procedure di RAGIONE_SOCIALE, che ha sempre applicato la riduzione del 30% per le perizie successive alla fase di erogazione come previsto dalla policy della banca. In sintesi, la mancanza di una c.t.u. qualificata ha precluso un esame obiettivo e competente della documentazione, influenzando decisivamente la sentenza. Il vizio di motivazione denunciato, quindi, risulta fondamentale per l’accoglimento del ricorso, poiché l’intervento di un consulente tecnico avrebbe permesso di accertare l’infondatezza delle con testazioni di Consob.
Il quinto motivo è inammissibile.
In base alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, l’ammissibilità e la rilevanza della consulenza tecnica d’ufficio rientrano nel margine del prudente apprezzamento del giudice del merito, il quale è chiamato a valutarne l’opportunità in funzione delle specifiche esigenze istruttorie del caso concreto. Nel caso attuale, la Corte d’appello ha escluso la necessità di una c.t.u., ritenendone esplorativa la richiesta « sia perché volta in sostanza ad accertare la violazione delle norme di diritto in cui si risolvono i principi contabili, accertamento
rimesso all’esclusiva competenza e attività del giudice, sia perché le contestate violazioni emergono in modo sufficientemente chiaro dalla documentazione prodotta e dalle argomentazioni delle parti ». La stringatezza della motivazione sul punto non si espone a censure in sede di giudizio di legittimità, anche perché trova il suo equilibrio nell’ampiezza dell’analisi precedente , dinanzi alla quale si può ripetere quanto detto da Cass. 16780/2019 su di un caso analogo: « nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, il giudice non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive ».
4. -Con il sesto motivo di ricorso RAGIONE_SOCIALE denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 132 co. 2 n. 4 c.p.c. per l’assenza totale di motivazione nella sentenza impugnata riguardo alle 25 posizioni creditizie contestate da Consob durante il procedimento sanzionatorio. La Corte di appello avrebbe completamente omesso una disamina tecnica delle posizioni analizzate, relative ai crediti classificati come in bonis, incagli e sofferenze. Le contestazioni mosse da Consob si riferivano alle procedure di validità eseguite dal revisore su tali crediti, che comprendevano l’esame analitico di 2 crediti in bonis, 10 incagli e 13 sofferenze. Secondo KPMG, la Corte di merito ha liquidato le sue doglianze in modo sbrigativo, senza fornire alcuna spiegazione sulle ragioni della decisione, mancando così di motivare le conclusioni raggiunte. Tale omissione configurerebbe un’anomalia motivazionale rilevante sul piano costituzionale, traducendosi in una violazione di legge in quanto attinente all’esistenza stessa della motivazione.
Nella parte di sentenza (p. 25-31) censurata dal sesto motivo, la Corte ha osservato che l’esame svolto dagli ispettori ha evidenziato significative carenze nell’attività di rilevazione e valutazione dei controlli operati da KPMG in merito alla voce di bilancio dei crediti verso
la clientela. In particolare, il Revisore non ha adeguatamente documentato le modifiche delle linee guida interne adottate dalla banca nel 2014, continuando a riferirsi ai criteri del 2013. La mancanza di documentazione conforme ai Principi di Revisione n. 230, 330 e 500 rende impossibile verificare l’attività svolta. KPMG ha contestato l’approccio della CONSOB, sostenendo che le modifiche normative erano comunque note al Revisore, sebbene non formalizzate nelle carte di lavoro. Tuttavia, la Corte ha ritenuto che tale argomentazione fosse insufficiente, considerando che la documentazione costituisce elemento essenziale per la ripercorribilità delle procedure svolte. Con riferimento ai controlli specifici, la Corte ha ritenuto fondate le contestazioni della Consob relative a carenze negli Higher Level Controls e nei Process Level Controls, respingendo le doglianze di KPMG per genericità e mancanza di supporto normativo. La decisione di testare una sola filiale tra le 560 esistenti è stata giudicata inadeguata rispetto agli standard di revisione. Inoltre, la Corte ha rigettato le difese relative alla valutazione delle sofferenze e degli incagli, evidenziando che KPMG non ha dimostrato la correttezza delle rettifiche applicate e non ha considerato il fondo di attualizzazione nelle proprie stime. L’a ssenza di elementi probatori sufficienti per giustificare le conclusioni del Revisore è stata ritenuta determinante. Infine, la Corte ha giudicato infondate le censure sull’approccio a posteriori e sulla presunta violazione dei principi di ragionevolezza e proporzionalità da parte della Consob, poiché le carenze rilevate erano gravi e sistematiche.
Il sesto motivo è manifestamente infondato, poiché nella parte di sentenza censurata, la motivazione è -come si può constatare effettiva, risoluta e coerente. Pertanto, non si espone al vizio censurato dal motivo di ricorso.
5. -Il settimo motivo denuncia la violazione dell’art. 195 co. 4 e 7 d.lgs. 58/1998, e dell’art. 132 co. 2, n. 4 c.p.c., a causa di una motivazione meramente apparente fornita dalla Corte d’appello. In
particolare, la sentenza si sarebbe limitata a ripetere in modo acritico i rilievi formulati da Consob senza un vero e proprio esame critico delle difese del revisore. KPMG contesta che la Corte si sia limitata a trascrivere affermazioni già presenti negli atti ispettivi di Consob, senza approfondire o giustificare con una propria argomentazione la scelta di respingere le argomentazioni difensive della ricorrente. La censura si concentra sull’approccio utilizzato dalla Corte d’appello avrebbe rinunciato a esercitare la propria giurisdizione piena, limitandosi a recepire passivamente la documentazione prodotta da Consob. Nel merito, KPMG aveva presentato un’analisi dettagliata e documentata sulla valutazione dell’avviamento, sostenendo che il Common Equity Tier 1 (CET1) non fosse l’unico parametro di prudenza rilevante nell’impairment test del bilancio, e che altri elementi (come il tasso risk-free e la stima dei risk-weighted assets, RWA) avessero già incorporato margini di prudenza. La Corte, invece, non ha tenuto in considerazione questi fattori, liquidando le difese di KPMG con un giudizio di inconferenza privo di motivazione sostanziale. La sentenza appare quindi viziata, poiché non fornisce un iter logico-giuridico che giustifichi la totale adesione ai rilievi di Consob e la mancata valutazione delle argomentazioni del revisore. Tale mancanza si configura come violazione dell’art. 132, co. 2, n. 4, c.p.c., rendendo nulla la sentenza, in quanto basata su una «motivazione apparente» che non esprime la ratio decidendi, limitandosi a trascrivere posizioni di Consob senza una valutazione critica.
Nella parte censurata (p. 32-35) dal settimo motivo di ricorso, la Corte di appello ha rilevato che il Revisore ha considerato l’avviamento come voce significativa di bilancio, individuando rischi rilevanti per la sua valutazione. Tuttavia, pur pianificando e svolgendo le procedure ritenute opportune, ha concluso positivamente sulla recuperabilità degli avviamenti iscritti al 31 dicembre 2014 nei bilanci d’esercizio e consolidato della banca, senza adeguato supporto probatorio. Consob ha accertato carenze nelle verifiche svolte dal
Revisore riguardo alla sostenibilità delle assunzioni patrimoniali adottate dalla banca. In particolare, la banca ha fissato un parametro CET1 «nel perpetuo» pari all’8%, inferiore sia al requisito minimo dell’11% stabilito dalla BCE per il gruppo BPVI, sia ai valori adottati da altri istituti bancari con attivi meno rischiosi. La Corte ha considerato non sufficienti le difese del Revisore, rilevando che le proiezioni economico-finanziarie della banca risultavano aggressive e che il costo del capitale utilizzato per l’attualizzazione del Terminal Value era nella fascia bassa rispetto a quella dei competitor. Tali elementi hanno escluso che la banca avesse adottato criteri prudenziali su fattori diversi dal CET1. Non è stato ritenuto valido neppure l’argomento secondo cui il valore CET1 dell’8% sarebbe stato superiore al minimo legale del 7% e coerente con il parametro usato dalla BCE nell’AQR, che la banca considerava come valore di riferimento. La Corte ha quindi rigettato il motivo di censura.
Il settimo motivo è rigettato perché, come si desume dalla sintesi riportata nel precedente paragrafo, la Corte di appello non ha espresso un’acritica adesione alla tesi della Consob, ma ha motivato la propria decisione in modo più che sufficiente, cosicché il motivo si risolve in un’inammissibile richiesta di riesame dei fatti e delle prove già vagliati dalla Corte di merito.
6. -L’ottavo motivo denuncia violazione degli artt. 11, 14 e 43 co. 3 d.lgs. 39/2010, dell’art. 162 co. 2 lett. a) d.lgs. 58/1998 e dei paragrafi 16, 17, 25 e 26 del Principio di revisione n. 250, richiamati nelle suddette norme di legge. Si contesta che la Corte di appello abbia erroneamente interpretato le norme in relazione alle attività di revisione riguardanti operazioni sul capitale della Banca, che coinvolgevano potenziali violazioni dell’art. 2358 c.c. In particolare, KPMG sostiene di aver pianificato specifici approfondimenti per individuare eventuali operazioni che violassero tale disposizione normativa, utilizzando metodologie conformi ai principi di revisione. Nonostante ciò, la Corte di merito avrebbe recepito le conclusioni della
Consob senza considerare le evidenze presentate dalla difesa, in cui si dimostrava che le operazioni analizzate non avevano comportato violazioni. Inoltre, si lamenta che la Corte non abbia tenuto conto della discrezionalità tecnica concessa ai revisori dai Principi di Revisione in situazioni analoghe. La sentenza impugnata viene criticata per un approccio che ha trascurato il quadro normativo e gli elementi probatori, concludendo per la responsabilità della società di revisione senza un adeguato supporto argomentativo. La motivazione viene definita insufficiente e non coerente con i principi applicabili, integrando così un vizio rilevante ai fini della cassazione.
L’ottavo motivo è inammissibile in quanto è caratterizzato dall’idea che: (a) si possa ottenere un accoglimento del ricorso se si prospettano come errori di diritto quelli che in realtà sono (pretesi) errori commessi nella ricostruzione e apprezzamento della situazione di fatto rilevante in causa; (b) si possa aprire la prospettiva di un ulteriore accertamento in fatto relativo alla stessa controversia dinanzi al giudice di rinvio, nonostante che l’apprezzamento dei fatti rilevanti compiuto nel giudizio di merito abbia trovato la propria espressione in una motivazione effettiva, resoluta e coerente, o comunque riducibile a coerenza attraverso l’interpretazione, senza che la corte di legittimità debba impegnarsi a fare proprio l’apprezzamento, che rimane del giudice di merito anche dopo aver superato il vaglio del giudizio di legittimità (cfr. l’aggettivo possessivo « suo », impiegato in modo pregnante dall’art. 116 co. 1 c.p.c.). Dinanzi a tali censure, il compito di questa Corte è di verificare che il giudice di merito manifesti di aver fatto buon governo del proprio potere di apprezzamento. Ciò è accaduto nel caso di specie. Infatti, il giudice di merito che fondi il proprio apprezzamento su alcune prove piuttosto che su altre non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento in una motivazione effettiva, resoluta e coerente (che rispetti quindi i canoni dettati da Cass. SU 8053/2014). Di talché egli – in obbedienza al canone di proporzionalità di una motivazione
necessaria, idonea allo scopo e adeguata – non è tenuto a discutere esplicitamente ogni singolo elemento probatorio o a confutare ogni singola deduzione che aspiri ad una diversa ricostruzione della situazione di fatto rilevante.
– Il ricorso è rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
Inoltre, ai sensi dell’art. 13 co. 1 -quater d.p.r. 115/2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente a rimborsare alla parte controricorrente le spese del presente giudizio, che liquida in € 15.000 , oltre a € 200 per esborsi, alle spese generali, pari al 15% sui compensi, e agli accessori di legge.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento, ad opera della parte ricorrente, di un’ulteriore somma pari a quella prevista per il ricorso a titolo di contributo unificato, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Se-