Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 5254 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 5254 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 28/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25139/2019 R.G. proposto da: COGNOME NOME, domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO VENEZIA n. 2742/2019 depositata il 02/07/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/12/2023 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME domandava al Tribunale di Arezzo la declaratoria di acquisto per usucapione di un compendio immobiliare di Castel San Nicolò (AR) ed evocava in giudizio il RAGIONE_SOCIALE, cui l’immobile apparteneva .
Il Tribunale toscano, accogliendo l’eccezione della Curatela fallimentare, dichiarava l’improponibilità della domanda, ritenendo competente il Tribunale fallimentare di Verona.
Con ricorso ex art. 93 l.f. l’attrice rivendicò nella sede fallimentare di Verona la proprietà del bene con esito sfavorevole perché il ricorso venne rigettato e il provvedimento venne confermato in sede di opposizione allo stato passivo dal giudice fallimentare.
L’attrice , con successivo atto notificato il 12.3.2015 riproponeva quindi la domanda di usucapione davanti al Tribunale ordinario di Verona che, con sentenza 2143/2017 la respingeva.
La Corte d’Appello di Verona , adita dalla attrice soccombente, con sentenza 2742/2019 pubblicata il 2.7.2019 ha rigettato il gravame.
Ritenuta irrilevante la questione di costituzionalità degli artt. 25, 52 e 103 della legge fallimentare, la Corte di merito ha osservato che il decreto del Tribunale fallimentare di Verona (che aveva respinto l’opposizione allo stato passivo del fallimento), non essendo stato impugnato, avesse reso definitivo il decreto di approvazione del Giudice Delegato, precludendo qualunque accertamento in sede fallimentare, divenuta l’unica competente, a seguito della declinatoria in tal senso del Tribunale di Arezzo, a sua volta non appellata e dunque divenuta irrevocabile.
Contro la predetta decisione ricorre per cassazione NOME COGNOME, sulla scorta di due motivi.
Resiste con controricorso il RAGIONE_SOCIALE
In prossimità dell’udienza camerale, entrambe le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DI DIRITTO
1) Con la prima censura, la ricorrente deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, già oggetto di discussione fra le parti, costituito dal mancato esame dell’eccezione di incostituzionalità degli artt. 25 e 98 della legge fallimentare, in relazione agli artt. 3 e 24 Cost.
Il motivo è inammissibile, per plurime ragioni.
In primo luogo, luogo perché sussiste nella specie l’ipotesi di «doppia conforme», ai sensi dell’art. 348 ter, commi 4 e 5, c.p.c., con conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. La relativa declaratoria è imposta non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice (Sez. 2, n. 7724 del 9 marzo 2022; Sez. 6-3, n. 15777 del 17 maggio 2022; Sez. L, n. 24395 del 3 novembre 2020).
In secondo luogo, perché, come ammette la stessa ricorrente, la questione di legittimità costituzionale non è stata obliterata, ma è stata trattata dalla Corte d’appello di Venezia a pag. 4 sub 2, e ritenuta priva di rilevanza per il processo in corso, giacché ‘ la
questione avrebbe dovuto trovare spazio nel giudizio dinanzi al Tribunale di Arezzo ‘.
Come è noto, secondo la legge costituzionale n. 1/1948 e l’art. 23 comma 2° l. n. 87/1953, la rilevanza -ossia il nesso di strumentalità tra il dubbio di costituzionalità e la definizione del giudizio a quo – costituisce uno dei due presupposti perché la questione possa essere ritenuta ammissibile.
In terzo luogo, perché la riproposizione sic et simpliciter del tema come motivo di ricorso non coglie la ratio della sentenza impugnata, fondata appunto sulla non rilevanza della questione.
Col secondo mezzo, la COGNOME denunzia la violazione dell’art. 21 c.p.c. sulla competenza del giudice ordinario. Reputa la ricorrente che nessuna norma le precluderebbe di instaurare un nuovo giudizio di usucapione, ben diverso dall’azione di rivendica di proprietà.
Il motivo è inammissibile.
2.1) La Corte d’appello ha ricostruito il complesso iter giudiziario della domanda di usucapione, proposta dapprima davanti al Tribunale di Arezzo e da quest’ultimo ritenuta di competenza del Tribunale di Verona, sez. fallimentare, con sentenza non impugnata e dunque passata in giudicato.
Una volta adito il Tribunale di Verona sez. fallimentare, dopo il rigetto della domanda di ammissione al passivo e la successiva irrevocabilità della stessa per difetto di gravame, la ricorrente non avrebbe potuto più riproporla davanti al Tribunale ordinario, essendosi ormai formato il giudicato sulla competenza, a seguito della pronunzia -mai impugnata – del giudice aretino.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna della ricorrente alla rifusione delle spese di lite della controricorrente, come liquidate in dispositivo.
Si dà atto che sussistono i presupposti processuali per dichiarare che la ricorrente è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. 115/2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali a favore del RAGIONE_SOCIALE, liquidate in € 200,00 per esborsi ed in € 4.000 (quattromila) per compenso, oltre ad iva, c.p.a. e rimborso forfettario delle spese generali in misura del 15%.
Dà atto che sussistono i presupposti processuali per dichiarare che la ricorrente è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. 115/2002, se dovuto.
Così deciso in Roma il 14 dicembre 2023, nella camera di consiglio