Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 9082 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 9082 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/04/2025
Oggetto: società per azioni – azione di responsabilità sociale
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 25847/2021 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE s.p.aRAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentata e difesa dagli avv. NOME COGNOME e NOME COGNOME ricorrente, controricorrente in via incidentale –
contro
Erede NOME COGNOME COGNOME rappresentato e difeso dagli avv. NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME
contro
ricorrente, ricorrente in via incidentale –
RAGIONE_SOCIALE
intimato –
RAGIONE_SOCIALE -Rappresentanza Generale per l’Italia
intimato –
avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna n. 971/2021, depositata il 26 aprile 2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del l’ 11 febbraio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
– la Parmalat s.p.aRAGIONE_SOCIALE propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna, depositata il 26 aprile 2021, di reiezione del suo appello (principale) per la riforma della sentenza del locale Tribunale che aveva respinto le domande, dalla medesima avanzate quale assuntore del concordato Parmalat s.p.a. ex art. 4 bis d.l. 23 dicembre 2003, n. 347, di condanna di NOME COGNOME al risarcimento dei danni, quantificato in euro 52.426.902,26, oltre rivalutazione e interessi, e salva la liquidazione del maggior danno che sarebbe risultato all’esito del giudizio, conseguenti alla distribuzione di utili inesistenti da parte della Parmalat Finanziaria s.p.a. di cui il convenuto era stato amministratore e relativamente al periodo in cui lo stesso aveva ricoperto tale carica; – la Corte di appello ha riferito che il giudice di prime cure, dopo aver disatteso le eccezioni del convenuto di carenza di legittimazione attiva e di prescrizione, ha respinto- le domande attoree ritenendo non sufficientemente dimostrato il danno, la sua effettiva entità e la riconducibilità causale alla condotta illecita del convenuto, accertata in sede penale -mancando l’allegazione e la prova di specifici inadempimenti di quest’ultimo , del concreto depauperamento del patrimonio sociale e della riconducibilità immediata e diretta di questa alla condotta dell’amministratore, nonché l’individuazione delle «contromisure» alternative esigibili per prevenire, evitare o contenere efficacemente l’aggravamento del dissesto – e sottolineando l’accertato ruolo nella vicenda di molteplici soggetti, senza concorso tra responsabili a titolo di dolo e a titolo di colpa;
-dopo aver respinto il gravame incidentale dell’odierno controricorrente, ha respinto anche il gravame principale della Parmalat s.p.a. confermando quanto affermato dal Tribunale in ordine al fatto che l’accertamento definitivo operato dal giudice penale in ordine all’inadempimento dei doveri di amministratore era circoscritto
all’esistenza di un fatto potenzialmente produttivo di danno, ma che non era dimostrata né l’effettiva incidenza causale di tale condotta con riferimento alla contestata distribuzione di utili fittizi, essendo pure mancata l’allegazione dell’influenza di condotta che l’amministratore avrebbe potuto e dovuto tenere per evitare l’ evento, né il danno lamentato;
ha, infine, ritenuto conseguentemente assorbite le questioni relative al rapporto assicurativo tra l’od ierno controricorrente e le compagnie assicuratrici da questi chiamate in causa;
il ricorso è affidato a tre motivi;
resiste con controricorso NOME Piero NOME COGNOME che propone, altresì, ricorso incidentale affidato a cinque motivi;
la RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) e la RAGIONE_SOCIALE -Rappresentanza Generale per l’Italia (già RAGIONE_SOCIALE -Rappresentanza Generale per l’Italia ) non spiegano alcuna difesa;
avverso il ricorso incidentale interposto la RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso;
le parti costituite depositano memoria ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ.;
CONSIDERATO CHE:
con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione degli artt. 539 e 651 cod. proc. pen. e 2909 cod. civ, per aver la sentenza impugnata ritenuto che nei reati di danno la decisione di condanna generica al risarcimento dei danni emessa dal giudice penale contiene l’accertamento del danno event o e del nesso di causalità materiale tra questo e il fatto-reato ma non anche quello del danno conseguenza, con la conseguenza che nel giudizio civile l’attore dovrà dimostrare la sussistenza del nesso di causalità giuridica tra l’evento di danno e le sue conseguenze pregiudizievoli;
evidenzia, in proposito, che tale statuizione si pone in contrasto con
il giudicato formatosi in sede penale laddove era stata espressamente accertata (anche) l’esistenza del danno conseguenza, ravvisato nel la sottrazione di ricchezza della società mediante distribuzione di utili fittizi, ed era stata disposta condanna generica ex art. 539 cod. proc. pen., con riconoscimento di una provvisionale nella misura di euro 6 mln.;
-con il secondo motivo lamenta, con riferimento all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., la violazione degli artt. 111 Cost e 132 cod. proc. civ., nella parte in cui, dopo aver dato atto che i proventi finanziari della Parmalat Finanziaria s.p.a. da partecipazioni in società controllate comprendevano dividendi che erano stati assegnati su utili artificiosamente determinati con una rilevanza quantitativa e d’incidenza percentuale pari a circa il 70% nel 2000 e nel 2001, analogamente agli esercizi precedenti, ha, poi, incomprensibilmente affermato che mancava la prova che l’eventuale parte residua degli utili illecitamente distribuiti oltrepassasse la somma di euro 6 mln., determinata in sede di provvisionale disposta dal giudice penale, e che la prosecuzione dell’attività sociale aveva ridotto fino al 2002 l’esposizione debitoria verso i creditori sociali esterni al gruppo Parmalat;
con il terzo motivo deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1218, 1223, 2055, 2392, 2393, 2394, 2727, 2729, 2909 e 2967 cod. civ. e 115 e 116 cod. proc. civ., per aver la Corte di appello affermato che la società attrice avrebbe dovuto indicare le cd. contromisure che l’amministratore avrebbe dovuto osservare per impedire l’evento dannoso ;
evidenzia, in proposito, che, venendo in rilievo una responsabilità di natura contrattuale, l’onere probatorio gravante sull’attore era circoscritto alla dimostrazione della sussistenza di violazioni dei doveri inerenti alla carica di amministratore rivestita e il nesso di causalità tra queste e il danno verificatosi e non si estendeva alla specifica
indicazione del contegno positivo dell’ ex amministratore che, se osservato, avrebbe potuto scongiurare il danno;
aggiunge che ai fini dell’applicazione dell’art. 2055, primo comma, cod. civ. era ininfluente la circostanza che il danno era stato determinato dal concorso di plurime azioni e omissioni poste in essere in modo indipendente e non coordinato da soggetti diversi;
il primo motivo è fondato;
la sentenza impugnata ha dato atto del fatto -peraltro non controverso tra le parti -che , in relazione all’attività svolta quale amministratore della Parmalat Finanziaria s.p.a., l’odierno controricorrente è stato ritenuto responsabile del reato ascrittogli di cui all’art. 224, secondo comma, l.fall. con sentenza pronunciata all’esito di dibattimento e passata in giudicato, con cui l’imputato è stato anche condannato, in solido con altri coimputati, al pagamento di una provvisionale liquidata in euro 6 mln. in favore delle costituite parti civili;
-l’art. 651 cod. proc. pen. prevede che la sentenza penale irrevocabile di condanna pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato, quanto all’accertamento della sussistenza del fatto, della sua illiceità penale e all’affermazione che l’imputato lo ha commesso, nel giudizio civile per il risarcimento del danno promosso nei confronti del condannato;
-nel caso in esame, l’accertamento, irretrattabile, della sussistenza del fatto operato dal giudice penale cade, avuto riguardo alla struttura della fattispecie criminosa applicata -che sanziona gli amministratori, i direttori generali, i sindaci e i liquidatori delle società fallite che hanno concorso a cagionare o aggravare il dissesto della società con inosservanza degli obblighi a essi imposti dalla legge -, sia sul comportamento commissivo od omissivo contestato all’amministratore, consistente, come riferito nel provvedimento impugnato, dalla violazione dei doveri inerenti la carica ricoperta, sia
sul nesso di causalità tra tale condotta e la verificazione del dissesto della società ovvero il suo aggravamento;
entrambi gli elementi partecipano, infatti, necessariamente della tipicità del fatto previsto dall’art. 224, secondo comma, l.fall., quali elementi necessari della condotta incriminata;
va, dunque, affermato che il giudicato penale invocato dalla odierna ricorrente si estende non solo alla violazione dei doveri contestata all’ ex amministratore -ossia la distribuzione di utili fittizi -, ma anche all’accertamento che tale condotta ha determinato il dissesto della società o, comunque, il suo aggravamento;
non può, dunque, condividersi la sentenza impugnata nella parte in cui, dopo aver ritenuto sussistente -in virtù del giudicato penale formatosi -la violazione di tali doveri, in relazione alla distribuzione di utili fittizi, ha ritenuto necessaria la prova dell’efficienza causale della violazione degli obblighi derivante dall’aver concorso a disporre tale distribuzione e il danno effettivamente derivante;
a sostegno di tale conclusione si osserva che questa Corte, con sentenza, resa a Sezioni Unite, n. 4549 del 25 febbraio 2010, ha affermato che nel caso in cui il giudicato penale di condanna cade su un reato di danno, l’esistenza del danno è implicita e, conseguentemente, non può formare oggetto di ulteriore accertamento, negativo o positivo, in sede civile, se non con riferimento al soggetto od ai soggetti che lo abbiano subito o alla misura di esso;
la portata di tale principio è stata condivisibilmente puntualizzata, in senso limitativo, da successive decisioni in cui, richiamata la distinzione tra causalità materiale, su cui cade il giudicato penale, e causalità giuridica, il cui accertamento è rimesso alla valutazione del giudice civile investito dell’azione di risarcimento dei danni , è stato affermato che «quando si afferma che l’esistenza del danno, nei cosiddetti reati di danno, è implicita nell’accertamento del “fatto-reato”, il riferimento,
sulla base delle regole di diritto civile, è al danno evento, avvinto al fatto da un nesso di causalità materiale, ma non al danno conseguenza, per il quale l’indagine da compiere è quella del nesso di causalità giuridica fra l’evento di danno e le sue conseguenze pregiudizievoli» (così, Cass. 4 maggio 2020, n. 8477, valorizzata nella sentenza impugnata; vedi anche, successivamente Cass. 2 agosto 2022, n. 23960; Cass. 7 novembre 2023, n. 30992);
-tale pronuncia non si pone in contrasto con l’orientamento precedente, avendo la Corte precisato che l’affermazione enunciata dalle Sezioni Unite «deve essere letta con riferimento alla peculiarità della concreta fattispecie»: ed è indubbio che con riferimento a determinate ipotesi di reati di danno il giudicato penale si estenda anche all’accertamento dell’esistenza del danno ;
tali fattispecie sono quelle in cui il danno-evento coincide con il dannoconseguenza, ossia quelle in cui la condotta criminosa, oltre a determinare la lesione effettiva del bene giuridico assunto a oggetto della tutela penale, comporta necessariamente, quale suo elemento indefettibile, un danno risarcibile, in relazione alla lesione di un interesse meritevole di tutela a un determinato bene della vita;
-la fattispecie in rilievo di cui all’art. 224, secondo comma, l.fall., rientra in un siffatto novero, richiedendo quale elemento del fatto tipico l’esistenza del dissesto della società derivante dalla violazione dei doveri propri da parte degli amministratori, direttori generali, sindaci o liquidatori e, dunque, l’esistenza del danno -conseguenza, nella forma della illecita perdita di ricchezza da parte della società;
sotto altro aspetto, si osserva che in caso di condanna generica al risarcimento dei danni contenuta nella sentenza penale, se il giudice penale non si sia limitato a statuire solo sulla potenzialità dannosa del fatto addebitato al soggetto condannato e sul nesso eziologico in astratto, ma abbia accertato e statuito sull’esistenza in concreto di detto danno e del relativo nesso causale con il comportamento del
soggetto danneggiato, valgono sul punto i principi del giudicato (così, Cass. 27 febbraio 2024, n. 5131; Cass. 5 dicembre 2011, n. 26021; Cass. 9 luglio 2009, n. 16113; Cass. 3 agosto 2002, n. 11651; Cass. 11 gennaio 2001, n. 329);
ciò è avvenuto nel caso in esame, in cui, secondo quanto riferito nella sentenza impugnata, il giudice penale ha accertato la distribuzione di utili fittizi e, per tale via, l ‘ indebita sottrazione di denaro ai danni della società, idonea in quanto tale a integrare gli estremi del dannoconseguenza secondo la ricostruzione dogmatica preferita dalla stessa sentenza;
-l’accertat o giudicato opponibile vertente sull’esistenza del nesso di causalità tra la condotta illegittima dell’amministratore e il danno subito dalla società rende non concludenti le ulteriori argomentazioni spese dalla Corte territoriale a sostegno della ritenuta mancata prova di tale nesso -quali, in particolare, quelle consistenti nella mancata allegazione e prova dell’i doneità della condotta che l’amministratore avrebbe dovuto osservare per evitare conseguenze dannose per la società e dell’entità del contributo dell’amministratore medesimo al dissesto della società -, in quanto incompatibili col nesso medesimo; -all’accoglimento del primo motivo segue l’assorbimento del terzo, in quanto relativa a questione strettamente conseguenziale;
il secondo motivo è, altresì, fondato;
-la Corte di appello, dopo aver rilevato che parte degli utili illegittimamente distribuiti dalla Parmalat Finanziaria s.p.a. ai suoi soci erano in misura pari agli utili fittiziamente distribuiti in suo favore dalla controllata Parmalat s.p.a. – per cui laddove la predetta Parmalat Finanziaria s.p.a. non avesse ricevuto questi ultimi non avrebbe neanche provveduto alla relativa distribuzione quali utili -, ha osservato che l’eventuale parte di utili illegittimamente distribuiti in misura eccedente gli utili fittizi riscossi dalla Parmalat s.p.a. non era di entità tale da oltrepassare la somma di euro 6 mln., già riconosciuta dal
giudice penale a titolo di provvisionale;
-la ricorrente assume, tuttavia, che, essendo stata accertata l’illegittima distribuzione di utili nella misura di euro 52.426.902,26 e che una quota pari al 70%-79% di questi era pari a utili illegittimamente distribuiti in suo favore dalla Parmalat s.p.a., non era logico ritenere che la frazione residua degli utili illegittimamente distribuiti fosse pari o inferiore a euro 6 mln.;
la censura coglie nel segno in quanto la motivazione non consente di individuare con esattezza il percorso argomentativo seguito dalla Corte territoriale e, in particolare, le ragioni a sostegno della conclusione per cui l’importo degli utili illegittimamente distribuiti, pur tenendo conto della quota corrispondente agli utili illegittimamente distribuiti dalla Parmalat s.p.a. a suo beneficio, fossero di importo pari o inferiore a quello della provvisionale riconosciuta dal giudice penale;
con il primo motivo del ricorso incidentale si critica la decisione impugnata per violazione e falsa applicazione degli artt. 74, 84, quarto comma, e 651 cod. proc. pen., 81, 99, 111 e 278 cod. proc. civ., 2697, primo comma, e 2909 cod. civ. e 4 bis e 8, comma 1bis d.l. n. 347 del 2003, conv., con modif., nella l. 18 febbraio 2004, n. 39, nella parte in cui ha ritenuto che la RAGIONE_SOCIALE, quale assuntore del concordato delle società del gruppo Parmalat, fosse attivamente legittimata a ll’ esercizio del l’azione di responsabilità sociale benché l’azione civile nel processo penale fosse stata proposta dal Commissario dell’Amministrazione straordinaria in nome proprio e non in nome dell’assuntore Parmalat s.p.a. ;
con il secondo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 111 e 278 cod. proc. civ. 2697, primo comma, e 2909 cod. civ. e 4 bis e 8, comma 1bis d.l. n. 347 del 2003, conv., con modif., nella l.n. 39 del 2004, per aver la sentenza impugnata omesso di pronunciarsi in ordine alla sussistenza o meno della titolarità in capo all’attrice RAGIONE_SOCIALEp.aRAGIONE_SOCIALE del diritto dall a stessa fatto valere in sede
civile;
con il terzo motivo si formula analoga censura sotto il diverso paradigma di cui all’art. 112 cod. proc. civ.;
con il quarto motivo la medesima statuizione è aggredita per omesso esame di fatto decisivo e controverso del giudizio, nella parte in cui non ha considerato l’anteriorità dell’acquisto da parte dell’assuntore del concordato del diritto azionato rispetto alla data di costituzione di parte civile del Commissario straordinario;
con il quinto motivo si censura la sentenza di appello per violazione e falsa applicazione degli artt. 1306, 2943, primo comma, 2945 e 2947 cod. civ., nella parte in cui ha disatteso l’eccezione di prescrizione sollevata sul fondamento dell ‘autonomia dell’azione dell’assuntore rispetto a quella del Commissario straordinario in sede penale;
il primo motivo è infondato;
la Corte di appello ha rilevato che per effetto della sentenza di approvazione del concordato per assunzione del 1° ottobre 2005 «i diritti e le azioni anche di responsabilità erano stati espressamente trasferiti, senza distinzione tra quelle dell’A.S. già intraprese ed ancora da intraprendere», tra cui rientrava anche l’azione di responsabilità sociale in oggetto, dapprima esercitata in sede civile (il 29 settembre 2005) , con l’intervento anche dell’assuntore, e, quindi, trasferita in sede penale (il 5 giugno 2006);
-in ragione dell’accertato subentro dell’assuntore del concordato nei diritti e nelle facoltà processuali dell’Amministrazione straordinaria e nelle azioni già esercitate dal relativo Commissario straordinario appare evidente che l’assuntore medesimo è legittimato attivamente all’esercizio dell’azione di responsabilità in oggetto, assumendo correttamente di essere titolare del diritto fatto valere con tale azione (cfr., in tema di legittimazione ad agire, Cass., Sez. Un., 16 febbraio 2016, n. 2951);
può, inoltre, osservarsi che la facoltà di costituzione di parte civile
dell’assuntore del concordato è stata prevista solo dall’art. 8 , comma 1bis , d.l. n. 347 del 2003, introdotto con l. 27 dicembre 2006, n. 296, per cui all’epoca del trasferimento dell’azione civile in sede penale l’unico soggetto legittimato a costituirsi parte civile nel giudizio penale era il commissario straordinario;
-l’assuntore è , tuttavia, avente causa a titolo particolare ed è, quindi, succeduto -in corso di causa, stante l’assenza originaria di legittimazione -nella posizione del commissario straordinario;
il secondo e il terzo motivo, esaminabili congiuntamente, sono inammissibili;
infatti, la contestata titolarità della RAGIONE_SOCIALE del diritto fatto valere in giudizio è stata espressamente negata dalla Corte territoriale che, confermando la decisione di primo grado, ha respinto la domanda attorea, per cui difetta il necessario requisito della soccombenza;
il quarto motivo è del pari inammissibile, ricorrendo nella specie una ipotesi di cd. «doppia conforme» di cui all’art. 348 -ter , quinto comma, cod. proc. civ., è onere del ricorrente, che impugni la sentenza di appello ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello onde dimostrare che esse sono tra loro diverse e che, dunque, non trova applicazione la regola preclusiva della censura per omesso esame di fatti decisivi e controversi (cfr. Cass. 28 febbraio 2023, n. 5947; Cass. 22 dicembre 2016, n. 26774);
il ricorrente incidentale non ha assolto siffatto onere, per cui opera la preclusione all’esame della censura prospettata derivante dalla richiamata disposizione normativa;
-può, in ogni caso, rilevarsi che la circostanza relativa all’anteriorità della sentenza di approvazione del concordato con assunzione rispetto alla costituzione in giudizio della Parmalat s.p.a., in persona del Commissario straordinario, è stata presa in esame dalla Corte di
appello, ma ritenuta non concludente;
-l’ultimo motivo è infondato;
va premesso che il giudicato penale di condanna fa stato, nel giudizio civile per il risarcimento del danno, anche a favore della vittima del reato che non si sia costituita parte civile, atteso che l ‘ art. 651 cod. proc. pen., avente a oggetto, come evidenziato in precedenza, la disciplina dell’ efficacia della sentenza penale di condanna nel giudizio civile di risarcimento del danno, non postula affatto la partecipazione del danneggiato al giudizio penale come parte civile (cfr. Cass. 13 giugno 2016, n. 12115; Cass. 14 luglio 2009, n. 16391);
-con specifico riferimento all’eccezione di prescrizione sollevata dal convenuto, la Corte di appello ha osservato che l’assuntore aveva esercitato l’azione civile di responsabilità nei confronti dei coobbligati COGNOME e COGNOME in data anteriore al 6 dicembre 2006, che il relativo giudizio non si era concluso prima del giugno 2014 e che l’e ffetto interruttivo della prescrizione conseguente all’e sercizio di tale azione si estendeva anche al convenuto, quale condebitore solidale;
il ricorrente incidentale contesta che dal documento menzionato dalla Corte territoriale a sostegno del suo assunto si evinca quale sia stato il successivo sviluppo del procedimento instaurato nei confronti dei coobbligati COGNOME e, in particolare, se questo si fosse concluso con sentenza o si fosse estinto, fatto asseritamente rilevante ai fini dell’individuazione del termine di decorrenza del nuovo termine prescrizionale;
-una siffatta contestazione, tuttavia, impinge nella valutazione riservata al giudice di merito delle risultanze probatorie che non può essere sindacata in questa sede in relazione al paradigma della violazione o falsa applicazione della legge (cfr. Cass., Sez. Un., 29 dicembre 2017, n. 34476);
la sentenza impugnata va, dunque, cassata con riferimento ai motivi del ricorso principale accolti e rinviata, anche per le spese, alla Corte
di appello di Bologna, in diversa composizione
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e il secondo motivo del ricorso principale e dichiara assorbito il terzo; rigetta quello incidentale condizionato; cassa la sentenza impugnata con riferimento ai motivi del ricorso principale accolti e rinvia, anche per spese, alla Corte di appello di Bologna, in diversa composizione. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , t.u. spese giust., dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Rom a, nell’adunanza camerale dell’ 11 febbraio 2025.