Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 6187 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 6187 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/03/2025
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20536/2020 R.G. proposto da : COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrenti- contro
COGNOME
-intimati- sul controricorso incidentale proposto da COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
–
scioglimento
–
giudicato revocazione
Ud.11/02/2025 CC
-controricorrente e ricorrente incidentale-
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE -controricorrente e ricorrente incidentale- contro
NOME COGNOME
-intimato- nonché sul ricorso iscritto al n. 4751/2024 R.G. proposto da : avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO CATANIA n. 2433/2019 depositata il 07/11/2019.
COGNOME, elettivamente domiciliati in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrenti- contro
COGNOME, elettivamente domiciliati in CALTAGIRONE INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che li rappresenta e difende
-controricorrenti- avverso ORDINANZA di CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE ROMA n. 23919/2023 depositata il 07/08/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 11/02/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Risulta dalla sentenza impugnata nel proc. n. 20536/2020 R.G. che i coniugi COGNOME e COGNOME hanno
convenuto in giudizio in data 31 marzo 1994, davanti al Tribunale di Caltagirone, i coniugi COGNOME e COGNOME affinché -previo accertamento dell’inadempimento dei convenuti a una scrittura privata inter partes in data 28 luglio 1993, volta a regolare gli aspetti economici connessi allo scioglimento di una società di fatto, corrente tra le parti dal 1983 -venissero liquidate le quote della predetta società di fatto, tenuto conto dei pagamenti dei debiti sociali effettuati dagli attori, procedendosi alla vendita dell’immobile in cui era stata svolta l’attività sociale, costituente attivo della società di fatto. I convenuti, costituendosi in giudizio, hanno spiegato domanda riconvenzionale per la restituzione dei frutti maturati sull’immobile e non percepiti.
Con una prima sentenza non definitiva in data 11 marzo 2004, Il Tribunale di Caltagirone ha pronunciato la risoluzione della scrittura privata del 28 luglio 1993; il giudizio è stato rimesso in istruttoria per l’espletamento sia di CTU relativa alla determinazione del valore dell’ immobile, sia di CTU contabile volta a quantificare l’attivo e, in particolare, il passivo della società di fatto alla data del 30 maggio 1993. Attivo e passivo sono stati successivamente accertati da una seconda sentenza non definitiva del Tribunale di Caltagirone in data 7 settembre 2007.
Con sentenza non definitiva in data 18 ottobre 2010, non impugnata, la Corte di Appello di Catania ha confermato la sentenza non definitiva dell’11 marzo 2004 e ha, invece, accolto l’appello degli originari attori COGNOME rideterminando il passivo della società di fatto nel maggior importo di € 351.301,00 alla data del 1° maggio 1993.
Con sentenza definitiva in data 8 giugno 2017, il Tribunale di Caltagirone ha attribuito l’immobile ai convenuti, previo versamento di un conguaglio a favore degli attori. La sentenza di primo grado,
parzialmente trascritta nella sentenza impugnata, tenuto fermo l’accertamento del passivo della società di fatto al 1° maggio 1993 come « cristallizzato » dalla sentenza di appello non definitiva del 18 ottobre 2010 (€ 351.301,00) , ha accertato il valore delle quote tenuto conto anche delle operazioni successive, attribuendo l’immobile ai convenuti, previ a attribuzione di un conguaglio a favore degli attori. In particolare, il giudice di primo grado ha accertato che il credito degli attori ammonta ad € 102.524,34, pari alla « somma dagli stessi pagata per estinguere passività della società anteriori al suo scioglimento » (pag. 6, sent. imp., 5° cpv.).
5. Proposto appello principale da parte degli attori e appello incidentale da parte dei convenuti, con una seconda sentenza non definitiva, in data 23 ottobre 2018 la Corte di Appello di Catania ha definito parzialmente il giudizio, decidendo gran parte delle domande proposte. In particolare, per quanto qui rileva, è stato rigettato il primo motivo dell’appello principale trascritto nella sentenza impugnata -secondo cui il giudice di primo grado non avrebbe tenuto conto, quanto alle passività della società di fatto, del giudicato interno formatosi con la definitività della sentenza della Corte di Appello di Catania del 18 ottobre 2010 quanto al passivo di € 351.301,00 alla data del maggio 1993; diversamente, gli appellanti principali si dolevano di un errato computo dei pagamenti dei debiti della società effettuati dagli attori, deducendo che il passivo della società di fatto fosse pari al maggior importo di € 453.825,34 (pari alla somma di € 351.301,00 e di quanto accertato dal Tribunale in € 102.524,34). La medesima sentenza non definitiva ha, poi, rigettato l’appello principale anche in punto determinazione dell’ avviamento della società di fatto, di determinazione del valore dell’immobile e di predisposizione del progetto divisionale dell’immobile stesso .
La medesima sentenza non definitiva del 23 ottobre 2018 ha, invece, rimesso la causa in istruttoria in punto ulteriori spese di manutenzione e gestione dell’immobile sostenute dagli attori e in punto omesso rendiconto dei convenuti (quarto e quinto motivo di appello principale), nonché in punto interessi da applicare al rimborso dei frutti civili dal passaggio in giudicato della sentenza, chiamando il CTU a chiarimenti al fine di procedere al ricalcolo dei frutti civili e delle spese gravanti sull’immobile .
Come risulta dagli atti del procedimento n. 4751/2024 R.G., la sentenza non definitiva della Corte di Appello di Catania del 23 ottobre 2018 è stata gravata di ricorso per cassazione da parte degli originari attori COGNOME ricorso rigettato da questa Corte con ordinanza n. 23919/2023.
In particolare, questa Corte ha dichiarato inammissibile il primo motivo di ricorso, con cui si censurava la violazione del giudicato interno formatosi sul passivo della società pari a € 351.301,00 al 1° maggio 1993 in base alla sentenza non definitiva della Corte di Appello di Catania del 18 ottobre 2010, ove i ricorrenti censuravano l’omesso conteggio del saldo passivo in aggiunta al conguaglio di € 102.524,34. Questa Corte ha, in particolare, osservato che la sentenza impugnata aveva effettuato i conteggi secondo il principio di competenza e non secondo quello di cassa, osservando che la stessa sentenza impugnata aveva dato atto che la somma di € 102.524,34 era « già parte integrante del passivo sociale» in ossequio alla sentenza del 18 ottobre 2010; ha, poi, ritenuto questa Corte che l’importo determinato dalla sentenza impugnata non è stato considerato ai fini della determinazione del passivo sociale ai fini della determinazione della quota, bensì al fine di « regolare i rapporti dare-avere tra soci ».
9 . Con la medesima ordinanza sono stati dichiarati inammissibili anche il secondo motivo di ricorso (erronea stima dell’immobile sociale), nonché il terzo motivo (omessa pronuncia relativa agli interessi a calcolarsi sulle somme richieste a titolo di anticipazione dei pagamenti sui debiti sociali); è stato, infine, rigettato il quarto motivo con cui si era censurata la spettanza degli interessi sulle somme dovute agli altri soci per frutti civili, ritenendo i frutti produttivi di interessi a termini dell’art. 821, terzo comma, cod. civ.
L’ordinanza di questa Corte è stata gravata di ricorso per revocazione con il ricorso n. 4751/2024 R.G. dai ricorrenti COGNOME affidato a un unico motivo, ulteriormente subarticolato, cui resistono con controricorso i coniugi COGNOME che propongono a loro volta istanza di correzione di errore materiale della medesima ordinanza.
Con la sentenza impugnata nel giudizio n. 20536/2020 R.G., la Corte di Appello di Catania, in esito all’aggiornamento dei conteggi a opera del CTU, si è definitivamente pronunciata sui residui motivi di appello, indicati sub n. 6 della narrativa (ulteriori spese di gestione e manutenzione dell’immobile sostenute dagli attori e interessi sui frutti civili), oggetto della remissione in istruttoria. La Corte d’Appello ha ricalcolato le spese sostenute dagli originari attori e ha attribuito gli accessori (interessi legali) sulle somme dovute sia agli attori per le spese, sia ai convenuti per i frutti civili, con decorrenza rispettivamente dall’esborso e dalle « scadenze annuali ».
Avverso la sentenza definitiva della Corte di Appello di Catania propongono ricorso per cassazione gli appellanti principali, già attori, con il giudizio n. 20536/2020 R.G., affidato a cinque motivi, cui resistono con controricorso gli appellanti incidentali, i quali a loro volta propongono ricorso incidentale affidato a tre motivi. Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Con ordinanza n. 8052/2024, la causa n. 20536/2020 R.G. è stata rinviata a nuovo ruolo per consentire la trattazione congiunta con la causa n. 4751/2024 R.G. Parte ricorrente principale nel primo procedimento e ricorrente nel secondo ha depositato una seconda ulteriore memoria in ciascuno dei due procedimenti.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Deve preliminarmente disporsi la riunione del ricorso n. 4751/2024 R.G. al ricorso n. 20536/2020 R.G., attesa la connessione soggettiva e oggettiva ex art. 274 cod. proc. civ.
Con il primo motivo del ricorso principale nella causa n. 20536/2020 R.G. si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., violazione dell’art. 2909 cod. civ. e del giudicato interno formatosi in relazione alla sentenza della Corte di Appello di Catania del 18 ottobre 2010, nonché -in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5 cod. proc. civ. – omesso ed erroneo esame di fatti decisivi ai fini del giudizio, aventi ad oggetto i dati contabili e di CTU posti a fondamento della decisione. In relazione al primo profilo, parte ricorrente deduce che la sentenza impugnata avrebbe omesso di pronunciarsi sulla domanda di rendiconto e sulla domanda di rinnovo della CTU sulla determinazione del valore del bene.
3 . Sempre in relazione al primo motivo, si deduce la violazione del giudicato interno in relazione alla sentenza della Corte di Appello di Catania del 18 ottobre 2010, in quanto l’importo a credito degli attori quale ammontare dei debiti sociali, come determinato dalla sentenza qui impugnata, avrebbe omesso di computare in aggiunta il valore di € 351.301,00 di debiti maturati al 1° maggio 1993, già oggetto della menzionata sentenza del 2010, trattandosi di importi maturati successivamente a tale data. Il passivo della società di fatto -stante la dedotta violazione del giudicato -sarebbe secondo parte ricorrente pari a € 453.825,00 (« 351.301,00 accertati con efficacia
di giudicato + 102.524,00 per passività successive al 1993 »). Si censura, inoltre, la statuizione relativa alla formazione del giudicato in base alla sentenza definitiva del Tribunale di Caltagirone sulla somma di € 103.029,81.
4 . Con il secondo motivo del medesimo ricorso si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., anche in relazione all’art. 24 e 111 Cost. e agli artt. 821, secondo comma, 1129 e 2697 cod. civ., « erroneità e parzialità de calcoli del CTU », nonché omesso esame di fatti rilevanti ai fini della decisione, con riferimento alle contestazioni formulate avverso la CTU in appello; si censura la sentenza impugnata per avere omesso di considerare le osservazioni alla CTU integrativa, aventi ad oggetto spese successive non indicate dal CTU e per avere detratto spese quietanzate per soli € 9.831,41 in violazione delle regole di riparto dell’onere della prova .
5 . Con il terzo motivo del medesimo ricorso si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., in relazione agli artt. 1116, 718, 720, 728 cod. civ., omesso esame di fatti rilevanti ai fini della decisione, con particolare riferimento alla corretta determinazione del valore dell’immobile della società di fatto e dei relativi frutti civili. Osserva parte ricorrente che la sentenza impugnata ha omesso di considerare come la precedente sentenza non definitiva fosse stata impugnata anche in relazione al valore di stima dell’immobile, determinato in misura fuori mercato, che avevano portato a diversi tentativi di vendita andati deserti.
6 . Con il quarto motivo del medesimo ricorso si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell’art. 1282 cod. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto che sui frutti civili dovuti ai controricorrenti debbano essere corrisposti gli interessi legali. Il ricorrente, evidenziando come analoga questione fosse stata
proposta nel giudizio avverso la precedente sentenza non definitiva, censura la statuizione secondo cui i frutti civili sarebbero un credito di valuta, laddove dovrebbe valutarsi l’imputabilità del decorso del tempo alla condotta del debitore.
7 . Con il quinto motivo del medesimo ricorso si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione dell’art. 96 cod. proc. civ., per avere i controricorrenti, già convenuti, resistito all’eccezione di giudicato interno formatosi in relazione alla sentenza del 2010 con colpa grave.
8 . Con il primo motivo del ricorso incidentale nel medesimo giudizio n. 20536/2020 R.G. si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., nullità della sentenza per violazione del giudicato interno e degli artt. 2909 cod. civ. e 324 cod. proc. civ. formatosi in relazione alla sentenza definitiva di primo grado, nella parte in cui la sentenza di appello non ha rilevato la formazione del giudicato interno sulla maturazione dei frutti calcolati alla data dell’8 giugno 2017, dovendosi ca lcolare i frutti dal giugno 2017 secondo il canone locatizio percepibile, oltre interessi legali.
9 . Con il secondo motivo del ricorso incidentale si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., nullità della sentenza impugnata in relazione agli artt. 2909 cod. civ. e 324 cod. proc. civ. per violazione del giudicato interno di cui alla sentenza non definitiva n. 2211/2018 della Corte di Appello di Catania in data 23 ottobre 2018, nella parte in cui la sentenza impugnata non ha rilevato un ulteriore giudicato sul calcolo dei frutti civili, riproponendosi censura analoga a quella di cui al superiore motivo.
10 . Con il terzo motivo del ricorso incidentale si deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. violazione/falsa applicazione degli artt. 820, 821, 1148, 1116 e 723 cod. civ., nella parte in cui la sentenza impugnata non ha aggiornato
il calcolo dei frutti civili, dovendosi tenere conto dell’ammontare dei canoni di locazione effettivamente percepibili.
11 . Con l’unico (e non numerato) motivo di revocazione nel giudizio n. 4751/2024 R.G. si deduce, sotto diversi profili (numerati come A1.0, A1.1, A1.2, A1.3, A.1.4, A2.0, A3.0, A3.1, A3.2, A3.3, A3.4, A3.4bis, A3.5, A3.6, A3.7, A3.7bis, A4.0), un errore percettivo di questa Corte in relazione al giudicato interno formatosi sulla sentenza della Corte di Appello del 18 ottobre 2010, non impugnata.
12 . In primo luogo, si deduce come errore percettivo il fatto che con la seconda sentenza non definitiva di primo grado del 2007 -oggetto della prima sentenza non definitiva di appello del 2010, non impugnata -non vi era stata richiesta di assegnazione dell’immobile e si era dato atto del necessario soddisfacimento dei crediti sociali in esito alla vendita dell’immobile e che non sarebbe possibile l’attribuzione del bene ai convenuti. La questione del giudicato in relazione alla sentenza del 2007 viene, poi, ripresa sub n. A3.7bis.
13 . In secondo (e subordinato) luogo, l’errore percettivo investirebbe, secondo parte ricorrente, la formazione del giudicato in relazione sempre alla sentenza non definitiva del 2010, la cui attuazione comporterebbe per l’ attribuzione del bene immobile ai convenuti il pagamento ai ricorrenti del maggior importo di € 175.650,50 (50% dell’importo di € 351.301,00 indicato nella suddetta sentenza), oltre a quanto indicato dalla sentenza di primo grado del 2017. Tali argomentazioni vengono riproposte nei punti A1.2, A1.3, A1.4, A2.0, A3.4, A.3.4bis, A3.5, A3.6 deducendosi plurime violazioni del giudicato interno -estese oltre che alla sentenza della Corte di Appello di Catania del 10 ottobre 2010 – delle menzionate sentenze non definitive e definitive di merito di primo e secondo grado, violazione estesa con i punti A3.0 e A3.1 anche alla prima sentenza di merito di primo grado del 2004 (n. 101/2004).
In terzo luogo, si deduce ulteriore vizio revocatorio per non avere questa Corte rilevato il giudicato interno formatosi sull’intervenuto pagamento dei debiti sociali ad opera dei soli ricorrenti, che ridonderebbe in comportamento contrario al dovere di buona fede dei convenuti a termini dell’art. 96 cod. proc. civ.
In ultimo luogo, i ricorrenti deducono vizio revocatorio in relazione al giudicato formatosi in primo grado in relazione alle maggiori somme dovute alla attrice COGNOME
Per ragioni di pregiudizialità, si esamina preliminarmente il ricorso n. 4751/2024 R.G. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, l’errore di fatto in cui incorre la Corte di cassazione ai fini della revocazione della sentenza deve riguardare gli atti interni al giudizio di legittimità, intendendosi per tali quelli che la Corte esamina direttamente nell’ambito del motivo di ricorso o delle questioni rilevabili d’ufficio (Cass., n. 27400/2020), compreso il ricorso per cassazione (Cass., n. 25752/2022; Cass., n. 6078/2024).
L’errore di fatto previsto dall’art. 395, n. 4, cod. proc. civ., idoneo a costituire motivo di revocazione della sentenza della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 391bis cod. proc. civ., deve, inoltre, consistere in una svista su dati di fatto produttiva dell’affermazione o negazione di elementi decisivi posti a base della decisione (Cass., Sez. U., n. 4413/2016) e presuppone un contrasto fra due rappresentazioni dello stesso oggetto, risultanti una dalla sentenza impugnata e l’altra dagli atti processuali (atti interni).
Detto errore deve: a) consistere in un errore di percezione o in una mera svista materiale che abbia indotto, anche implicitamente, il giudice a supporre l’esistenza o l’inesistenza di un fatto che risulti incontestabilmente escluso o accertato dagli atti di causa, sempre che il fatto stesso non abbia costituito oggetto di un punto controverso sul quale il giudice si sia pronunciato; b) risultare
con immediatezza ed obiettività senza bisogno di particolari indagini ermeneutiche o argomentazioni induttive; c) essere essenziale e decisivo, nel senso che, in sua assenza, la decisione sarebbe stata diversa (Cass., n. 16439/2021); d) essere relativo a un punto non controverso sul quale la sentenza si è pronunciata (Cass., n. 9527/2019); e) risultare estraneo all’ omesso esame di alcune delle argomentazioni svolte come motivi di censura dal ricorrente (Cass., Sez. U., n. 31032/2019).
19. Essenziale ai fini della fondatezza dei dedotti errori revocatori è (oltre alla natura percettiva dell’errore e alla assoluta sua evidenza e immediata rilevabilità) la decisività dell’errore ai fini della decisione compiuto dal giudice di legittimità nella lettura degli atti interni al giudizio di legittimità, ossia la rilevanza eziologica del fatto supposto come tale (e in realtà inesistente) rispetto al contenuto e al fondamento della decisione (Cass., n. 24595/2020; Cass., n. 4678/2022).
20. Sussiste, pertanto, errore revocatorio quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, ciò risultando dagli atti processuali, dai quali deve essere evincibile una diversa rappresentazione del fatto rispetto a quanto emergente dalla sentenza impugnata, purché la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione e non di valutazione o di giudizio e, inoltre, quella risultante dagli atti e documenti processuali non deve essere stata oggetto di contestazioni tra le parti.
21. In ogni caso, non sono suscettibili di revocazione le sentenze della Corte di Cassazione per le quali si deduca come errore di fatto un errore che attiene alla valutazione di atti sottoposti al controllo della Corte stessa, atti che, come tali, essa abbia dovuto
necessariamente percepire nel loro significato e nella loro consistenza, poiché un tale errore può risolversi al più in un inesatto apprezzamento delle risultanze processuali, in ogni caso qualificabile come errore di giudizio (Cass., n. 16961/2024; Cass., n. 16165/2024; Cass., n. 5326/2023).
22. Alla luce di tali considerazioni, appare evidente come parte ricorrente abbia omesso di illustrare i presupposti posti a fondamento dell’errore revocatorio (errore percettivo, indicazione dell’atto interno in relazione al quale detto errore sarebbe stato commesso, estraneità ai fatti controversi, decisività dell’errore) , con conseguente inammissibilità del ricorso per revocazione per difetto di specificità, come evidenziato dal controricorrente.
23. Tale inammissibilità si apprezza ulteriormente, come non manca di osservare ancora parte controricorrente , in quanto l’errore percettivo atterrebbe alla erronea valutazione del giudicato interno, rilievo che impinge di per sè nella valutazione e nell’esame degli atti interni sottoposti al controllo della Corte, per cui tale errore può risolversi (al più e in termini astratti) in un inesatto apprezzamento delle risultanze processuali, in ogni caso qualificabile come errore di giudizio (Cass., n. 5326/2023, cit.; Cass., n. 24369/2009), apprezzamento deducibile -peraltro -solo in relazione al giudicato formatosi sulla sentenza di appello non definitiva non oggetto di impugnazione, non anche in relazione alle sentenze di primo grado oggetto di impugnazione in appello.
24 . L’inammissibilità di una revocazione per erroneo rilievo del giudicato riposa su un duplice principio. In primo luogo, il giudicato va assimilato agli elementi normativi della fattispecie, cosicché la sua interpretazione deve essere effettuata alla stregua dell’esegesi delle norme e non già degli atti e dei negozi giuridici, essendo sindacabili
sotto il profilo della violazione di legge gli eventuali errori interpretativi (Cass., Sez. U., n. 24664/2007).
25. In secondo luogo, la stabilità della cosa giudicata assume un rilievo primario all’intero del diritto dell’Unione, in quanto finalizzato a garantire tanto la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici quanto una buona amministrazione della giustizia; è, difatti, principio di diritto dell’Unione che le decisioni giurisdizionali divenute definitive dopo l’esaurimento delle vie di ricorso disponibili o dopo la scadenza dei termini previsti per questi ricorsi non possano più essere rimesse in discussione (CGUE, 7 novembre 2024, RAGIONE_SOCIALE, C-189/23, punto 32; CGUE, 4 marzo 2020, Telecom Italia, C-34/19, punto 64; CGUE, 11 settembre 2019, Călin, C -676/17, EU:C:2019:700, punto 26; CGUE, 3 settembre 2009, RAGIONE_SOCIALE, C -2/08, punto 22).
26. Il che è coerente con la inammissibilità del ricorso per revocazione per contrasto di giudicati ai sensi dell’art. 395, n. 5), cod. proc. civ. nei confronti delle sentenze pronunziate dalla Corte di cassazione, trattandosi di motivo di revocazione non contemplato dalla disciplina positiva interna (Cass., Sez. U. n. 23833/2015).
27. Fondata è, invece, l’istanza di correzione di errore materiale di parte controricorrente, essendo mancata nel dispositivo la distrazione dei compensi in favore del difensore, dichiaratosi antistatario in sede di costituzione con controricorso, statuizione che attiene a errore materiale emendabile dal giudice che ha emesso il provvedimento.
28. Passandosi all’esame del ricorso principale nell’altro giudizio riunito (n. 20536/2020 R.G.), deve preliminarmente osservarsi -quanto alla questione del giudicato interno ivi dedotta e a quella relativa alla decorrenza degli interessi sui frutti civili -che si tratta di questione identica a quella già dedotta nel giudizio n. 4751/2024
R.G. Ciò emerge pacificamente dagli atti, come riassunto efficacemente da parte controricorrente in memoria ed è lo stesso ricorrente, sia nella prima, sia nella seconda memoria, che sovrappone plasticamente nel giudizio n. 20536/2020 R.G. la trattazione delle questioni già oggetto del giudizio di revocazione avverso la pronuncia di questa Corte n. 23919/2023. Il motivo deve ritenersi inammissibile, sia in quanto tali questioni sono estranee alla sentenza impugnata, che non affronta tale specifica questione, sia in quanto deve farsi applicazione del giudicato esterno ivi formatosi in esito alla menzionata ordinanza di questa Corte, che pronunciatasi sulla sentenza non definitiva della Corte di Appello di Catania.
29. Tutti gli altri motivi del ricorso principale sono, invece, inammissibili. Inammissibili sono, in primo luogo le restanti censure relative al primo motivo di ricorso, in quanto l’omessa pronuncia dedotta dal ricorrente non attiene alla causa petendi della sentenza impugnata.
30. Inammissibili sono il secondo e il terzo motivo in quanto -in disparte l’avere il ricorrente cumulato diversi profili di censura (per omesso esame di fatto decisivo e per violazione di norme di diritto), senza analiticamente indicare i profili ascrivibili all’una e all’altra censura (Cass., n. 26790/2018; Cass., n. 39169/2021) -non hanno come oggetto l’omesso esame di fatt i storici, bensì l’esame di deduzioni difensive, estranee al parametro di censura indicato (Cass., n. 13024/2022), con particolare riferimento all’omessa considerazione di spese documentate da parte del CTU; né è censurabile come omesso esame di fatto decisivo l’omesso delle critiche a una CTU integrativa. Va, peraltro, osservato che i criteri con cui procedere al computo (con particolare riferimento alle spese quietanzate), sono stati oggetto della sentenza non definitiva, per cui la sentenza definitiva non è censurabile sul punto. Il terzo motivo
è ulteriormente inammissibile ove fa valere l’erronea sovrastima del valore dell’ immobile da parte del CTU, sia per difetto di specificità della censura, sia per estraneità anche di tale statuizione alla sentenza impugnata, riconducibile anch’essa alla sentenza non definitiva.
Il quarto motivo è ugualmente inammissibile, in quanto estraneo anch’esso alle statuizioni della sentenza impugnata, posto che la contabilizzazione degli interessi sui frutti civili dell’immobile è questione posta ad oggetto della medesima menzionata sentenza non definitiva (pag. 13 sent. imp.).
32. Inammissibile è, infine, il quinto motivo in quanto, in disparte il difetto di specificità per omessa indicazione dei fatti costitutivi della assenza di buona fede di parte controricorrente, l’inammissibilità consegue a quella delle precedenti censure, ciò in disparte la considerazione che non si tratta propriamente di un motivo di censura, non essendovi – ai fini della condanna per lite temeraria soccombenza integrale dei controricorrenti.
33 . I primi due motivi del ricorso incidentale, i quali possono essere esaminati congiuntamente, sono inammissibili. I due motivi vertono sul metodo di calcolo dei frutti dell’immobile da giugno 2017 a settembre 2019, per il quale si invoca un giudicato interno formatosi in primo grado. Tuttavia, il dedotto vizio censurato da parte ricorrente incidentale difetta di specificità, non essendo stati trascritti il quesito conferito al CTU in primo grado, le relative conclusioni e la decisione del giudice, rispetto alle quali apprezzare il motivo di ricorso; motivo che, in ogni caso, non attiene alla dedotta violazione del giudicato, bensì al travisamento delle conclusioni cui sarebbe giunto il CTU in appello, vizio deducibile non con il ricorso per cassazione ma con la revocazione della sentenza di merito (Cass., n. 3867/2019).
Il terzo motivo del ricorso incidentale è inammissibile, in quanto dietro la censura di violazione di legge intende sottoporre un nuovo accertamento in fatto e una nuova valutazione delle prove, sollecitando un nuovo approfondimento istruttorio.
Il ricorso per la revocazione va, pertanto, dichiarato inammissibile, con spese regolate dalla soccombenza e liquidate come da dispositivo, oltre al raddoppio del contributo unificato, accogliendosi l’istanza di correzione di errore materiale del controricorrente. Il ricorso principale e il ricorso incidentale proposti nel proc. n. 20536/2020 R.G. vanno, invece, entrambi rigettati. Stante la reciproca soccombenza, in considerazione del maggior valore del ricorso principale rispetto al ricorso incidentale, le spese della suddetta causa seguono la soccombenza in ragione di metà in favore dei controricorrenti incidentali, mentre per la residua metà sono integralmente compensate tra le parti e sono liquidate per l’intero come da dispositivo; sussistono per entrambi i ricorsi, i presupposti per il raddoppio del pagamento del contributo unificato.
P.Q.M.
La Corte:
dispone la riunione del giudizio n. 4751/2024 R.G. al ricorso n. 20536/2020 R.G.;
dichiara inammissibile il ricorso nel proc. n. 4751/2024 R.G. e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali del giudizio di legittimità in favore dei controricorrenti, che liquida in complessivi € 8.000,00, oltre € 200,00 per esborsi, 15% di rimborso forfetario e accessori di legge , da distrarsi in favore dell’Avv. NOME COGNOME dichiaratosi antistatario;
rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale nel giudizio n. 20536/2020 R.G.; condanna i ricorrenti principali al pagamento in favore dei controricorrenti al ricorso principale, e ricorrenti
incidentali, di ½ delle spese processuali del suddetto giudizio, liquidate per l’intero in complessivi € 8.000 ,00, oltre € 200,00 per esborsi, 15% di rimborso forfetario e accessori di legge, da distrarsi in favore dell’Avv. NOME COGNOME dichiaratosi antistatario; dichiara compensate tra le parti la residua metà;
dà atto che sussistono i presupposti processuali, a carico delle parti ricorrenti, principale e incidentale, nel giudizio n. 20536/2020 R.G., nonché a carico della parte ricorrente nel giudizio n. 4751/2024 R.G., ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. 24 dicembre 2012, n. 228, per il versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per ciascuno dei ricorsi, a norma del comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto;
-dispone la correzione della ordinanza di questa Corte n. 23919/2023 depositata il 07/08/2023, disponendosi che al rigo quarto del dispositivo sia aggiunto il seguente periodo: « da distrarsi in favore dell’Avv. NOME COGNOME dichiaratosi antistatario » e dispone, altresì, che la correzione sia annotata, a cura della Cancelleria, sull’originale della predetta ordinanza.
Così deciso in Roma, il 11/02/2025.