SENTENZA TRIBUNALE DI MILANO N. 6225 2025 – N. R.G. 00032997 2024 DEPOSITO MINUTA 25 07 2025 PUBBLICAZIONE 25 07 2025
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO TRIBUNALE ORDINARIO di MILANO
Sezione Settima Civile
In funzione di giudice unico nella persona del dott. NOME COGNOME
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile iscritta al numero di ruolo sopra riportato, promossa da:
(
),
rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME del Foro di
Padova, pec:
– attore opponente –
CONTRO
), rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME del
Foro di Palermo, pec:
– convenuta opposta –
P.
P.
Conclusioni :
per ‘ Preliminarmente, in rito: rigettarsi l’istanza avversaria di modifica dell’Ordinanza 14/2/2025 con cui il G.I. ha correttamente respinto l’istanza di prova orale formulata ex adverso, trattandosi di capitolo testimoniale correttamente ritenuto inammissibile dal G.I. «anche sulla base dei criteri invocati dalla difesa dell’opposta» come chiarito dal medesimo con successiva ordinanza 17/2/2025 e, comunque, trattandosi di capitolo altresì irrilevante stante la piena efficacia del recesso contrattuale esercitato dall’opponente. Nel merito, in via principale: accertata l’efficacia del recesso esercitato dall’opponente e la conseguente risoluzione del contratto di cui è causa, rigettarsi di conseguenza ogni domanda avversaria in quanto priva di giustificazione causale, con conseguente revoca del D.I. opposto. Nel merito, in via di stretto subordine: accertata/rilevata la mancata – o comunque non provata – esecuzione delle prestazioni contrattuali da parte della convenuta opposta nei mesi cui si riferisce il suo vantato credito per corrispettivo, rigettarsi di conseguenza ogni domanda avversaria in quanto priva di giustificazione causale, o comunque per legittimo rifiuto dell’adempimento da parte dell’opponente ex art. 1460 cod. civ., con conseguente revoca del D.I. opposto. In ogni caso: condannarsi la convenuta opposta alla piena rifusione delle spese di lite, anche in considerazione della sua complessiva condotta processuale. In via istruttoria subordinata: previamente ribadita A) la piena efficacia del recesso esercitato dall’esponente con conseguente insussistenza del credito vantato ex adverso giacché riferito a mensilità di canone successive alla conseguente risoluzione del rapporto e, per ciò, privo di giustificazione causale; B) e previamente ribadito altresì che sarebbe spettato alla convenuta opposta l’onere di provare (peraltro contrariamente al vero) l’avvenuta esecuzione di quelle prestazioni, in quanto presupposto causale del suo vantato credito; ciò previamente ribadito, si chiede in duplice subordine – ossia per la sola ipotesi, da un lato, di ritenuta inefficacia del recesso e, dall’altro, di ritenuta diversa distribuzione dell’onere probatorio da parte del Giudicante – di ammettere l’Istanza di prova testimoniale già formulata dall’esponente con la Seconda Memoria ex art. 171 ter c.p.c. Sempre in strettissimo subordine, nella denegata ipotesi di riammissione dell’istanza istruttoria avversaria già correttamente rigettata si chiede di essere ammessi alla prova contraria con i testi già indicati a prova diretta ‘;
per ‘ Insiste nell’istanza di modifica dell’ordinanza istruttoria del 17.02.2025 e quindi nell”ammissione della prova per testi articolata nell’interesse di nella seconda memoria integrativa ex art.171 ter c.p.c. e, in subordine, conclude chiedendo che voglia il giudice unico del tribunale: rigettare l’opposizione a decreto ingiuntivo proposta da in quanto inammissibile, stante il giudicato formatosi, e comunque infondata, in fatto e diritto, e per l’effetto confermare il decreto ingiuntivo opposto; condannare controparte alle spese e compensi di lite ‘
Concise ragioni della decisione
1. Con atto di citazione ritualmente notificato, ha proposto opposizione al decreto ingiuntivo n. 9459/2024 dell’8.07.2024, emesso a favore di dell’importo di € 23.022,67 oltre interessi e spese della procedura monitoria, a titolo di corrispettivo per l’esecuzione dei servizi prestati da giugno del 2023 a maggio del 2024 nel complesso immobiliare sito a Santa Maria di Sala, INDIRIZZO
Quali motivi di opposizione ha dedotto che: a) le parti erano conduttrici di due distinte porzioni immobiliari, entrambe ubicate nel medesimo complesso industriale; b) in data 3.02.2022, stipularono un contratto con cui si impegnò, dietro corrispettivo, a fornire a una serie di servizi relativi alle sue aree di pertinenza; c) con p.e.c. del 28.02.2023, comunicò a il proprio recesso dal contratto, con decorrenza dall’1.04.2023; d) dalla metà di maggio del 2023, smise di svolgere le prestazioni pattuite.
Sulla base di tali allegazioni, ha chiesto la revoca del decreto ingiuntivo.
Si è ritualmente costituita in giudizio, in data 11.11.2024, la parte opposta,
la quale ha chiesto, in via preliminare, di concedere la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto e, nel merito, di rigettare l’opposizione e confermare il decreto ingiuntivo, deducendo che: a) come contestato ante causam con p.e.c. del 5.05.2023, l’esercizio del diritto di recesso da parte della committente fu illegittimo, in quanto non previsto dalla legge e contrario alla pattuizione con cui le parti fissarono il termine finale del contratto di fornitura di servizi al momento della cessazione del rapporto locatizio in essere tra e RAGIONE_SOCIALE; b) la perdurante vigenza del contratto fu accertata con efficacia di giudicato implicito dal decreto ingiuntivo non opposto n. 26066/2023 dell’8.09.2023, emesso nei confronti dell’opponente dal Giudice di Pace di Milano a favore di dell’importo di € 4.220,72 oltre spese della procedura monitoria, a titolo di corrispettivo per l’esecuzione dei servizi prestati nel complesso immobiliare da dicembre del 2022 ad aprile del 2023; c) Passaggio Obbligato fornì a i servizi pattuiti fino al 10.05.2024, data in cui il contratto di fornitura si sciolse in seguito alla cessazione del rapporto di locazione tra la fornitrice e RAGIONE_SOCIALE
Il giudice, espletate le verifiche preliminari ai sensi dell’art. 171 bis c.p.c., all’esito della prima udienza, ha rigettato l’istanza di concessione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo e le richieste di prove costituende articolate dalle parti. Con la medesima ordinanza, ha fissato l’udienza di rimessione della causa in decisione, assegnando alle parti i termini di cui all’art. 189 c.p.c.
2. ha chiesto, sin dalla procedura monitoria, il pagamento, da parte di del credito di € 23.022,67, a titolo di saldo del corrispettivo per il contratto di fornitura di servizi, oggetto delle fatture n. 30/2023 del 5.06.2023, n. 36/2023 del 6.07.2023, n. 43/23 del 5.08.2023, n. 46/23 del 5.09.2023, n. 51/23 del 5.10.2023, n. 56/23 del 7.11.2023, n. 59/23 del 5.12.2023, n. 1/2024 del 5.01.2024, n. 6/2024 del 5.02.2024, n. 8/2024 del 5.03.2024, n. 9/2024 del 5.04.2024 e n. 14/2024 del 5.05.2024.
Nell’atto di citazione, l’opponente ha contestato l’efficacia del contratto, deducendo di avere esercitato il recesso dal rapporto a decorrere dall’1.04.2023, in forza del combinato disposto di cui agli artt. 1677 e 1569 c.c., e ha, altresì, allegato la mancata esecuzione delle prestazioni pattuite da parte della fornitrice a far data dalla metà di maggio del 2023.
La convenuta ha eccepito l’illegittimità dell’esercizio del diritto potestativo di recesso sia ai sensi degli artt. 1677 e 1569 c.c., attesa la durata predeterminata del contratto, sia ai sensi dell’art. 1671 c.c., in ragione della natura atipica della stipulazione e della deroga convenzionale alla norma, pattuita mediante la previsione di un termine di durata del rapporto.
Ha, altresì, dedotto l’accertamento, con efficacia di giudicato, della perdurante vigenza del contratto da parte del Giudice di Pace di Milano, nonché l’effettivo svolgimento delle prestazioni in favore di fino al 10.05.2024.
Alla luce delle contestazioni circa la natura del rapporto oggetto di causa, occorre stabilire se il contratto debba essere qualificato come appalto di servizi ovvero come contratto atipico di gestione, anche al fine di individuare correttamente la disciplina applicabile al caso in esame.
In via preliminare, deve escludersi che la definizione del contratto come ‘ fornitura di servizi ‘ da parte dei contraenti (p. 1 doc. 1 parte attrice) sia, di per sé, dirimente ai fini della qualificazione del rapporto.
Infatti, da un lato, tale riferimento risulta generico e non riconducibile, univocamente, ad una specifica tipologia contrattuale; dall’altro, come chiarito a più riprese dalla giurisprudenza, ‘ nel procedimento di qualificazione del contratto, il giudice di merito non è vincolato dal “nomen iuris” che ad esso hanno attribuito le parti, pur dovendo tener conto anche di questo dato, ma deve ricercare ed interpretare la concreta volontà dei contraenti stessi, avuto riguardo all’effettivo contenuto del rapporto e facendo applicazione delle regole ermeneutiche dettate dagli artt. 1362 e seguenti cod. civ. ‘ (Cass. 20.11.2002 n. 16342).
Nel caso di specie, sulla base delle obbligazioni assunte dalle parti, del complessivo regolamento contrattuale e delle modalità di esecuzione delle prestazioni pattuite, il contratto risulta riconducibile alla fattispecie dell’appalto di servizi, di cui presenta tutti i requisiti essenziali.
Tale figura contrattuale, infatti, si caratterizza per il fatto di avere ad oggetto il compimento di un servizio dietro corrispettivo in denaro e si connota, tipicamente, per la presenza di autonomia in capo all’appaltatore, obbligato ad eseguire la prestazione pattuita con organizzazione dei mezzi necessari e gestione a proprio rischio.
In primo luogo, l’oggetto del sinallagma per cui è causa risulta pienamente sussumibile nell’alveo di cui all’art. 1655 c.c.
Infatti, dalle deduzioni delle parti, dai documenti in atti e dalla mancanza di specifiche contestazioni a norma dell’art. 115 c.p.c. entro il termine perentorio delle preclusioni assertive, si ricava che, con contratto del 3.02.2022, si impegnò ad eseguire in favore di dietro pagamento del corrispettivo annuo di € 20.000,00, da versare in rate mensili anticipate di € 1.666,66, i servizi di apertura della sbarra di accesso alle aree comuni, gestione di eventuale traffico veicolare dovuto alla presenza di più camion contemporaneamente, pulizia del piazzale, sostituzione delle lampadine, svolgimento di lavori di piccola manutenzione e taglio dell’erba, relativi al complesso immobiliare sito a Santa Maria di Sala, INDIRIZZO ove entrambe erano conduttrici di due distinte porzioni immobiliari.
Ciò vale, altresì, ad escludere la possibilità di qualificare il rapporto in esame alla stregua di un contratto di somministrazione, atteso che, per giurisprudenza pacifica, quel ‘ che contraddistingue l’appalto dalla somministrazione è l’oggetto della prestazione, costituito nel primo caso da servizi prestati continuativamente, nel secondo da cose prodotte dal somministrante e da prestare in via continuativa ‘ (Cass. 5.07.2019 n. 18179).
In secondo luogo, dal contenuto del regolamento contrattuale e dalle modalità di esecuzione dei servizi nel periodo di efficacia del rapporto, può evincersi, in capo all’appaltatrice, l’autonomia tipica del contratto di appalto.
Infatti, da un lato, si impegnò, con una pattuizione contrattuale espressa, ‘ ad organizzare ed eseguire e curare lo svolgimento del servizio in totale autonomia, con organizzazione e mezzi propri nonché a garantirne la sua esecuzione a regola d’arte ‘ (clausola 1.2. del contratto, p. 1 doc. 1 parte attrice); dall’altro, la stessa non si limitò a fornire a la manodopera necessaria alla realizzazione dei servizi pattuiti -circostanza che avrebbe determinato la nullità del contratto – ma eseguì direttamente la prestazione avvalendosi di un proprio ausiliario.
La convenuta ha, infatti, dedotto di avere fornito alla controparte i servizi pattuiti avvalendosi di personale alle proprie dipendenze ed autonomamente retribuito dalla stessa (p. 11 comparsa di costituzione e risposta, docc. 9, 10 parte convenuta).
Detta circostanza costituisce un fatto pacifico, in quanto l’attrice, nel contestare l’effettivo adempimento del contratto da parte di dopo la metà di maggio del 2023, nulla ha eccepito circa le modalità di attuazione dello stesso nel periodo pregresso.
Dalla qualificazione del contratto come appalto di servizi consegue l’applicazione della disciplina di cui agli artt. 1655 ss. c.c.
Deve, peraltro, osservarsi che, anche a voler considerare il contratto atipico, come prospettato da parte opposta, la normativa applicabile risulterebbe la medesima, in ragione della già evidenziata analogia tra la pattuizione de qua e la fattispecie tipica dell’appalto di servizi.
Infatti, la Suprema Corte insegna che ‘ ai contratti non espressamente disciplinati dal codice civile (contratti atipici o innominati) possono legittimamente applicarsi, oltre alle norme generali in materia di contratti, anche le norme regolatrici dei contratti nominati, quante volte il concreto atteggiarsi del rapporto, quale risultante dagli interessi coinvolti, faccia emergere situazioni analoghe a quelle disciplinate dalla seconda serie di norme ‘ (Cass. 28.11.2023 n. 18229).
Tanto premesso, si evidenzia che la disciplina codicistica afferente all’appalto di servizi delinea due distinte ipotesi di recesso, che operano, alternativamente, in base alla durata del contratto.
Infatti, mentre nel caso di contratto a tempo determinato, trova applicazione la disciplina di cui all’art. 1671 c.c., nel caso di stipulazione sine die , in virtù del rinvio dell’art. 1677 c.c. alle norme regolatrici del rapporto di somministrazione, viene in rilievo la previsione di cui all’art. 1569 c.c. Recentemente, infatti, la Corte di Cassazione ha avuto modo di chiarire che ‘ in tema di appalto di servizi continuativi o periodici, il regime del recesso muta in relazione alla natura, determinata o indeterminata, della durata del contratto, nel senso che, ove l’appalto sia a tempo determinato, trova applicazione l’art. 1671 c.c., che prevede il recesso unilaterale e ad nutum del committente, mentre, ove la durata del contratto non sia stata stabilita, né sia determinabile, ciascuna delle parti può recedere in tempo utile, a norma dell’art. 1569 c.c. ‘ (Cass. 11.02.2025 n. 6487).
Al fine di stabilire se la fattispecie in esame sia astrattamente regolata dall’art. 1671 ovvero dall’art. 1569 c.c., occorre, dunque, verificare se la durata del contratto di appalto fosse determinata o indeterminata.
Dalle deduzioni delle parti e dai documenti in atti si evince che, in punto di durata, i contraenti stabilirono che ‘ il Servizio avrà inizio il 1 Febbraio 2022 e andrà a cessare al venire meno della locazione di Passaggio con RAGIONE_SOCIALE ‘ (clausola 3 del contratto, p. 1 doc. 1 parte attrice).
Benché il tenore letterale della clausola risulti incontestato, le parti ne hanno offerto un’interpretazione diametralmente opposta.
Secondo le prospettazioni attoree, il contratto fu stipulato a tempo indeterminato, in quanto la clausola richiamata, parametrando la durata del contratto ad un evento incertus an et quando , quale
la cessazione del rapporto di locazione tra l’appaltatrice ed un soggetto terzo, prevede una condizione risolutiva e non un termine finale.
Al contrario, la convenuta ha eccepito la durata predeterminata dell’appalto, evidenziando come ‘ la circostanza che la durata del contratto di fornitura di servizi sia collegata alla durata e vigenza del contratto di locazione tra PO e la locatrice Senso Unico, di certo non lo rende a tempo indeterminato, risultando (…) che il contratto di locazione non sia un contratto a tempo indeterminato ma un contratto che ha una durata regolata dalla legge (…) a nulla rilevando che il contratto sia suscettibile di rinnovo ‘ (p. 9 comparsa di costituzione e risposta).
La tesi proposta da non convince.
Infatti, la mancanza di un richiamo espresso alla scadenza del contratto di locazione tra
e RAGIONE_SOCIALE, nonché la circostanza per cui il rapporto locatizio risulti, per sua natura, di durata incerta, in quanto passibile di tacito rinnovo ovvero di scadenza anticipata, non valgono, di per sé, a qualificare il contratto di appalto come a tempo indeterminato.
Invero, la durata del contratto di appalto risulta parametrata alla cessazione del rapporto locatizio tra l’appaltatrice e RAGIONE_SOCIALE, evento della cui verificazione non può dubitarsi, attesa l’impossibilità di configurare una locazione sine die (Cass. 30.01.1978 n. 434).
Peraltro, dal fatto che il contratto di locazione sia suscettibile di essere rinnovato, anche tacitamente, ovvero possa scadere prima del termine pattuito, non può desumersi la natura perpetua della pattuizione.
Sia il tacito rinnovo sia la scadenza anticipata, infatti, benché suscettibili di incidere sul termine pattuito, non appaiono circostanze idonee a comportarne il venir meno.
Pertanto, l’individuazione per relationem della durata del contratto di appalto sulla base del verificarsi di un evento certo – sebbene non cronologicamente predeterminato – esclude la possibilità di qualificare il rapporto come indeterminato nel tempo.
Ne consegue che la disciplina sul recesso astrattamente applicabile al caso di specie risulta essere quella prevista dall’art. 1671 c.c.
Tanto premesso, deve valutarsi se, in concreto, i contraenti, attraverso la pattuizione relativa alla durata del rapporto, abbiano inteso escludere la facoltà della committente di recedere dal contratto, come prospettato dalla convenuta.
Si osserva che il contratto de quo non prevede una clausola espressamente derogatoria del diritto della committente di recedere dal rapporto prima della scadenza pattuita, né tale facoltà può ritenersi implicitamente derogata dalla previsione contenuta nella clausola sub 3 (p. 1 doc. 1 parte attrice).
Infatti, detta pattuizione afferisce esclusivamente alla durata del rapporto e, pertanto, non appare ex se idonea ad escludere il diritto di recesso configurato in capo al committente dall’art. 1671 c.c., atteso che, come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, ‘ in tema di appalto di servizi, l’accordo circa la durata e la rinnovazione del rapporto non comporta deroga all’art. 1671 c.c., trattandosi di previsioni tra loro non incompatibili, giacché il rinnovo automatico, in mancanza di disdetta entro il termine pattuito, produce i suoi effetti solo sulla durata del rapporto, ma lascia inalterata la facoltà del committente di recedere dal contratto in qualsiasi momento, anche in corso di esecuzione, con obbligo di indennizzo verso l’appaltatore ‘ (Cass. 31.05.2024 n. 15335).
Sulla base delle argomentazioni svolte in punto di disciplina astrattamente applicabile, occorre preliminarmente esaminare l’eccezione di giudicato implicito sollevata dalla convenuta.
Laddove l’effettiva esistenza del rapporto contrattuale nel periodo inerente ai canoni azionati fosse già stata oggetto di accertamento definitivo da parte di altro giudice, ogni valutazione in merito risulterebbe preclusa alla scrivente.
In particolare, è incontestato, nonché suffragato dalle produzioni documentali in atti, che con decreto ingiuntivo non opposto n. 26066/2023 dell’8.09.2023, il Giudice di Pace di Milano abbia condannato a corrispondere a l’importo di € 4.220,72, a titolo di corrispettivo per l’esecuzione dei servizi prestati nel periodo compreso tra dicembre del 2022 ed aprile del 2023 (doc. 5 parte convenuta).
Invero, dalla lettura del predetto provvedimento, si evince che lo stesso fu emesso in relazione ai corrispettivi relativi ai mesi di aprile e maggio del 2023, nonché per gli interessi di mora maturati per il ritardo della committente nel pagamento dei canoni relativi, rispettivamente, a ottobre e dicembre del 2022 e a gennaio e febbraio del 2023.
La convenuta ha, dunque, allegato che il decreto ingiuntivo de quo , avendo condannato la committente al pagamento del corrispettivo per i servizi eseguiti dopo il suo recesso dal contratto (asseritamente avvenuto l’1.04.2023), accertò con efficacia di giudicato l’esistenza, la validità e la perdurante efficacia del rapporto.
L’eccezione è fondata.
Per giurisprudenza costante, infatti, ‘ quando l’accertamento dell’esistenza, validità e natura giuridica di un contratto, fonte di un rapporto obbligatorio, costituisce il presupposto logico giuridico di un diritto derivatone, il giudicato si estende al predetto accertamento e pertanto spiega effetto in ogni altro giudizio, tra le stesse parti, nel quale il medesimo contratto è posto a fondamento di ulteriori diritti, inerenti al medesimo rapporto (Cass. 29 settembre 1997, n. 9548; Cass. 6 marzo 2001, n. 3230; Cass. 11 novembre 2003, n. 16959), con il limite ovviamente che non sopravvengano mutamenti di fatto o di diritto che modifichino il contenuto materiale del rapporto o
il regolamento. In altri termini l’efficacia di giudicato copre l’accertamento, oltre che del singolo effetto fatto valere, anche del rapporto obbligatorio che di quell’effetto costituisce l’antecedente logico necessario ‘ (Cass. 24.03.2006 n. 6628). Detto principio ‘ trova applicazione anche con riferimento al decreto ingiuntivo non opposto nel termine di legge -che acquista autorità ed efficacia di cosa giudicata al pari di una sentenza di condanna -, in quanto il procedimento monitorio dà luogo ad un accertamento che, benché sommario ed eventuale (in quanto soggetto a verifica in caso di opposizione), deve riguardare innanzitutto l’esistenza e la validità del rapporto giuridico presupposto della pronuncia finale ‘ (Cass. 20.04.1996 n. 3757)
Sulla base di tale orientamento, pertanto, il decreto ingiuntivo non opposto dà luogo ad un accertamento avente efficacia di cosa giudicata sostanziale sul credito azionato tanto in ordine ai soggetti ed alla prestazione dovuta quanto rispetto all’inesistenza di fatti estintivi, impeditivi o modificativi del rapporto e del credito, atteso l’onere del debitore di far valere tali circostanze in sede di opposizione.
Nel caso di specie, il decreto ingiuntivo n. 26066/2023 dell’8.09.2023 con cui il Giudice di Pace di Milano ha condannato la committente al pagamento dei corrispettivi relativi ai servizi prestati dall’appaltatrice nei mesi di aprile e maggio del 2023 presupponeva un accertamento positivo circa l’esistenza, la validità e l’efficacia del contratto di appalto, ontologicamente incompatibile con l’esercizio del diritto di recesso dal rapporto contrattuale da parte di a far data dall’1.04.2023.
A ciò consegue che, in forza del principio del ne bis in idem , risulta preclusa per l’odierna scrivente ogni valutazione circa l’effettivo recesso della committente dal contratto ai sensi dell’art. 1671 c.c., atteso che l’esercizio di tale diritto non costituisce un fatto sopravvenuto rispetto alla pronuncia del Giudice di Pace.
Non può, peraltro, ritenersi che l’autorità di cosa giudicata del decreto ingiuntivo possa essere messa in discussione dall’eccezione di incompetenza per valore del Giudice di Pace sollevata dall’attrice nel presente procedimento né dal rilievo secondo cui la mancata opposizione sarebbe riconducibile ad ‘ una spiacevole svista da parte dell’ufficio amministrativo di favorita dall’esiguo importo ingiunto ‘ (p. 2 memoria ex art. 171 ter co. 1 n. 1 c.p.c.). Cont
Con riguardo al primo profilo, deve evidenziarsi che l’attrice azionò, davanti al Giudice di Pace, un credito di valore pari ad € 4.220,79, pacificamente inferiore al limite fissato dall’art. 7 co. 1 c.p.c. per la competenza del giudice di pace.
Peraltro, non può ritenersi che l’accertamento relativo all’esistenza, alla validità e all’efficacia del contratto, investendo l’intero rapporto, abbia comportato un aumento del valore della causa.
Invero, l’effetto preclusivo del giudicato non discende, tanto, dal fatto che la pronuncia del primo giudice si sia estesa a prestazioni ulteriori rispetto a quelle azionate in prima battuta, quanto, invece, dall’identità del titolo contrattuale azionato nel presente giudizio rispetto a quello oggetto di accertamento in sede monitoria.
Peraltro, l’eccezione di incompetenza del Giudice di Pace risulta in ogni caso coperta dal giudicato e, come tale, è sottratta all’esame dell’odierna scrivente.
Rispetto al secondo profilo, invece, appaiono del tutto irrilevanti le ragioni poste a fondamento della mancata opposizione al decreto ingiuntivo da parte di atteso che, conformemente agli ordinari canoni di diligenza richiesti al debitore, costituisce onere del soggetto ingiunto, che intenda paralizzare gli effetti del provvedimento pronunciato nei suoi confronti, proporre opposizione nei termini di legge, a nulla rilevando la natura delle ragioni poste a fondamento del mancato esperimento della stessa.
La sussistenza di un accertamento, avente efficacia di giudicato, circa l’esistenza, la validità e l’efficacia del contratto di appalto tra e non esonera, tuttavia, l’appaltatrice dall’onere di provare l’effettivo adempimento delle prestazioni oggetto di causa, in quanto fatto costitutivo del diritto azionato.
Per giurisprudenza pacifica, ‘ l’appaltatore che agisca in giudizio per il pagamento del corrispettivo convenuto ha l’onere di provare di avere esattamente adempiuto la propria obbligazione, cioè di avere eseguito l’opera conformemente al contratto ed alle regole dell’arte, integrando tale adempimento il fatto costitutivo del diritto di credito oggetto della sua pretesa ‘ (Cass. 13.02.2008 n. 3472).
Pertanto, l’onere di provare di avere prestato, in favore di i servizi pattuiti nel periodo compreso tra giugno del 2023 e maggio del 2024 grava su in qualità di attrice in senso sostanziale.
Detta circostanza, infatti, risultando oggetto di contestazione, da parte della committente, sin dall’atto di citazione, non può ritenersi un fatto pacifico, come tale riconducibile alla previsione di cui all’art. 115 co. 1 c.p.c.
Deve precisarsi che detto onere probatorio, avendo ad oggetto un fatto costitutivo della pretesa azionata, sussiste a prescindere dalla proposizione, da parte della debitrice, di una eccezione di inadempimento stricto sensu ex art. 1460 c.c.
Pertanto, benché – come correttamente evidenziato dalla convenuta – l’eccezione di inadempimento proposta dall’attrice ai sensi dell’art. 1460 c.c. risulti inammissibile, in quanto eccezione in senso stretto sollevata per la prima volta in sede di precisazione delle conclusioni (Cass. ord. 24.11.2021 n. 36531), ciò non comporta il venir meno dell’onere della prova dell’adempimento in capo
all’appaltatrice, la quale riveste, nella fattispecie in esame, anche la qualifica di attore in senso sostanziale.
Invero, il riparto dell’onere probatorio sarebbe il medesimo anche qualora, in mancanza di giudicato, si fosse ritenuto che la committente avesse legittimamente esercitato il proprio diritto di recesso ad nutum ai sensi dell’art. 1671 c.c.
Tale norma, infatti, riconosce all’appaltatore il diritto alla corresponsione del prezzo per i servizi svolti, purché ne dimostri l’effettivo compimento, secondo l’ordinaria previsione di cui all’art. 2697 co. 1 c.c.
Tanto premesso, non ha provato giudizialmente di avere effettivamente svolto i servizi oggetto della stipula del 3.02.2022 nel periodo compreso tra giugno del 2023 e maggio del 2024.
L’appaltatrice ha, infatti, prodotto, a sostegno della propria pretesa, esclusivamente l’accordo con cui, in data 30.06.2010, furono modificate le condizioni contrattuali relative al rapporto di lavoro tra la società e il soggetto incaricato di svolgere le mansioni di custode presso lo stabilimento ubicato nel complesso industriale oggetto di causa (doc. 9 parte convenuta), nonché la comunicazione di avvio della cassa integrazione guadagni straordinaria inviata al medesimo lavoratore il 7.05.2024 (doc. 10 parte convenuta).
Deve osservarsi che i predetti documenti nulla provano in merito al compimento dei servizi pattuiti in favore di da parte dell’appaltatrice.
In primo luogo, infatti, l’accordo di modifica contrattuale tra e
, prodotto dalla convenuta sub doc. 9, concerne un periodo di tempo totalmente avulso dal rapporto oggetto di causa.
La trasformazione del contratto tra la società convenuta e il custode, infatti, venne pattuita il 30.06.2010, con una durata limitata ai mesi di luglio e agosto del 2010, come si evince chiaramente dalle clausole relative alla decorrenza della modifica contrattuale e alla durata del rapporto (‘ DECORRENZA TRASFORMAZIONE : dal giorno 1.07.2010 . DURATA : a tempo determinato fino al 31.08.2010 , data in cui il rapporto di lavoro si intenderà risolto senza preavviso da parte della scrivente, salvo proroghe o trasformazioni a tempo indeterminato ‘ p. 1 doc. 9 parte convenuta).
Tale pattuizione, pertanto, fu sottoscritta oltre dieci anni prima della stipula del contratto di appalto tra e e riguardò un periodo di tempo estremamente circoscritto, atteso che non risulta, agli atti, la prova dell’avvenuta proroga o trasformazione a tempo indeterminato del rapporto di lavoro.
Inoltre, dal predetto contratto, non può evincersi in alcun modo che l’attività lavorativa del custode sarebbe stata prestata a beneficio di soggetti diversi da atteso che, sulla base delle deduzioni attoree, incontestate sul punto dalla convenuta, all’epoca della sottoscrizione di tale accordo, l’intero complesso immobiliare risultava essere di proprietà dell’appaltatrice (cfr. p. 4 atto di citazione).
In secondo luogo, la comunicazione di avvio della cassa integrazione guadagni straordinaria del 7.05.2024 fornisce prova esclusivamente dell’esistenza di un rapporto di lavoro tra
e , senza che dalla stessa sia possibile inferire alcunché circa la natura, la durata e l’ubicazione delle prestazioni svolte dal lavoratore.
Parimenti, deve nuovamente ribadirsi l’inammissibilità della prova costituenda per testimoni formulata dalla convenuta opposta nella memoria ex art. 171 ter co. 1 n. 2 c.p.c.
L’unico capitolo di prova testimoniale articolato da parte convenuta risulta, infatti, generico, in quanto non circoscritto specificamente né dal punto di vista temporale – atteso il riferimento a prestazioni svolte ‘ ininterrottamente ‘ nel periodo contestato – né dal punto di vista spaziale – stante il richiamo alle ‘ aree comuni del complesso ‘, privo di indicazioni specifiche relative all’ubicazione dei luoghi interessati dai servizi prestati.
Per giurisprudenza pacifica, infatti, ‘l a richiesta di provare per testimoni un fatto esige non solo che questo sia dedotto in un capitolo specifico e determinato, ma anche che sia collocato univocamente nel tempo e nello spazio, al duplice scopo di consentire al giudice la valutazione della concludenza della prova ed alla controparte la preparazione di un’adeguata difesa ‘ (Cass. 2.02.2015 n. 1808).
Tanto premesso, in mancanza di prova circa l’effettivo svolgimento delle prestazioni da parte dell’opposta, il decreto ingiuntivo deve essere revocato.
3. L’appaltatrice opposta è risultata soccombente e, di conseguenza, è tenuta a rifondere le spese processuali alla parte opponente, le quali vengono liquidate sulla base del D.M. 147/2022, in relazione al valore della causa di euro 23.022,67, con applicazione dei valori prossimi ai medi dello scaglione di riferimento per quanto concerne le fasi di studio, introduttiva e decisoria, nonché dei valori inferiori ai medi dello scaglione di riferimento per la fase istruttoria, attesa la natura documentale della causa.
Va, altresì, rigettata la domanda attorea di condanna della convenuta al pagamento di una somma equitativamente determinata.
Si osserva, infatti, che la mera soccombenza dell’opposta non risulta, ex se , idonea a configurare un abuso dello strumento processuale, che – secondo la giurisprudenza maggioritaria – costituisce
presupposto indefettibile della pronuncia di cui all’art. 96 co. 3 c.p.c. (Cass. n. 3830/2021; Cass. n. 20018/2020; Cass. n. 29812/2019; Cass. n. 27623/2017).
P.Q.M.
Il Tribunale di Milano ogni altra istanza, eccezione o deduzione disattesa, definitivamente pronunciando, così decide:
1) revoca il decreto ingiuntivo n. 9459/2024 dell’8.07.2024;
2) condanna a rifondere le spese processuali, a favore di che si liquidano in € 145,50 per spese esenti ed € 4.237,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario spese generali al 15%, oltre IVA se e in quanto dovuta e CPA come per legge.
Così deciso in Milano, il 25 luglio 2025
Il Giudice
(NOME COGNOME
Provvedimento redatto con la collaborazione del magistrato ordinario in tirocinio dott.ssa NOME COGNOME