Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 7772 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 7772 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10577/2018 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALECODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) , rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso il DECRETO del TRIBUNALE di MILANO n. 2683/2018 depositato il 07/03/2018; udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/02/2024
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
1. -Con il decreto indicato in epigrafe il Tribunale di Milano ha rigettato l’opposizione allo stato passivo del RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, proposto da RAGIONE_SOCIALE contro l’esclusione del credito chirografario di € 1.215.877,118 vantato verso la subappaltatrice RAGIONE_SOCIALE , di cui € 1.048.160,00 a titolo di penale per ritardi (art. 8.9 contratto), € 131.109,02 per costi di riaffidamento a terzi dell’appalto, € 2.096,32 per la mancata prestazione di garanzia fideiussoria (art. 24.2 contratto), € 10.481,60 per l’ottenimento della polizza decennale, € 10.000,00 per spese di perizia, ed € 14.030,17 per spese di guardiania.
1.1. -In particolare il tribunale, dopo aver ritenuto opponibili ai sensi dell’art. 2704 c.c. i documenti prodotti, e segnatamente il contratto di subappalto inter partes del 02/07/2010 e i successivi atti integrativi del 15/11/2010 e 23/03/2012 -in quanto allegati dalla stessa curatela del RAGIONE_SOCIALE nel giudizio promosso dinanzi al Tribunale di Roma per la condanna della subcommittente NOME al pagamento del corrispettivo di € 486.901,00 -ha ritenuto che l’ atto integrativo del 23/03/2012, in quanto stipulato ben oltre il termine fissato nel contratto originario per l’esecuzione dei lavori, fosse sintomatico di una volontà della subcommittente di non avvalersi della clausola risolutiva espressa contenuta nel contratto originario, e conseguentemente delle penali ad essa ricollegate, bensì di proseguire nel rapporto negoziale, senza neppure fissare un ulteriore termine per l’ultimazione dei lavori; omissione, questa, che, lungi dall’essere espressiva di un richiamo all’essenzialità del l’originario termine del 12/04/2011, appariva incompatibile con la volontà di tener ferma la precedente scadenza temporale -da intendersi perciò rinunciata -tanto più che NOME aveva sempre pagato le fatture emesse sulla base dei SAL predisposti da RAGIONE_SOCIALE, senza avanzare alcuna riserva o contestazione per il ritardo nella progressiva esecuzione dei lavori, e che, nonostante il mancato rispetto del termine, non aveva mai azionato le prerogative previste nel medesimo contratto per il caso di ritardo nella esecuzione, tra cui quella di trattenere gli importi dovuti in base ai SAL (art. 8.11).
1.2. -Di conseguenza, il tribunale ha reputato che il credito insinuato a titolo di penale per gli asseriti ritardi non trovasse titolo né nel contratto di subappalto, superato sulla data di ultimazione dall’atto integrativo 23/03/2012, né in quest’ultimo, che non fissava alcun termine per la conclusione dell’opera, e nemmeno nell ‘espletata prova testimoniale, non avendo i testi escussi reso dichiarazioni unanimemente significative dell’essenzialità del termine in questione.
1.3. -Quanto alle ulteriori voci (costi per il riaffidamento a terzi dell’appalto, mancata prestazione di garanzia fideiussoria, polizza decennale e spese di guardiania), il tribunale ha ritenuto che l’opponente non avesse fornito la prova dei relativi esborsi né con la domanda ex art. 93 l.fall., né con il ricorso ex art. 98 l.fall. -non potendosi ammettere depositi documentali successivi, una volta maturate le relative preclusioni -ma che si fosse limitata a produrre «mere fatture prive di efficacia euristica».
–RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione in tre mezzi, cui il RAGIONE_SOCIALE intimato ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
-Con il primo motivo il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 e 1383 c.c., per avere il tribunale erroneamente ritenuto che la stipula dell’atto integrativo del 23/03/2012 fosse sintomatica della volontà della subappaltante di non avvalersi della clausola risolutiva espressa e delle conseguenti penali, poiché le clausole del contratto di subappalto (artt. 8.7, 8.11) evidenzierebbero la compatibilità della penale da ritardo con la prosecuzione del rapporto, e comunque la clausola penale è azionabile non solo in caso di risoluzione del contratto, ma anche a fronte della richiesta di adempimento, poiché l’art. 1383 c.c. vieta il cumulo tra la domanda di condanna all’adempimento della prestazione principale e quella di condanna al pagamento della penale per inadempimento della stessa prestazione, ma non anche della penale per il danno da ritardo nell’adempimento.
1.1. -Il motivo è inammissibile.
1.2. -Non vi è dubbio, in diritto, che la penale stabilita per l’inadempimento sia ontologicamente diversa da quella pattuita per il semplice ritardo, posto che quest’ultima, per espressa previsione di legge, concorre con l’adempimento dell’obbligazione, cui è collegata, laddove avvenuto, benché in ritardo (Cass. 22050/2019). Ed è altresì vero che l’art. 1383 c.c. vieta il cumulo tra la domanda della prestazione principale e quella diretta ad ottenere la penale per l’inadempimento, ma non esclude che si possa chiedere detta prestazione insieme con la penale per il ritardo, così come -in ipotesi di risoluzione del contratto -il risarcimento del danno da inadempimento e la penale per la mancata esecuzione dell’obbligazione nel termine stabilito ovvero, cumulativamente, la penale per il ritardo e quella per l’inadempimento, salva, nel caso di cumulo di penale per il ritardo e prestazione risarcitoria per l’inadempimento, la necessità di tenere conto, nella liquidazione di quest’ultima, della entità del danno ascrivibile al ritardo che sia stato già autonomamente considerato nella determinazione della penale, al fine di evitare un ingiusto sacrificio del debitore (Cass. 27994/2018).
1.3. -Tuttavia, nel caso in esame il tribunale è giunto ad una diversa ricostruzione del fatto, attraverso l’esame dei documenti prodotti, della condotta delle parti e delle testimonianze assunte, pervenendo alla conclusione che l’atto integrativo del 23/03/2012 abbia totalmente ridefinito il rapporto contrattuale inter partes , con l’assunzione di n uove obbligazioni per ulteriori interventi del subappaltatore , e che solo dall’inadempimento di queste ultime sarebbero potuti scaturire eventuali danni forfettizzati nell’apposita penale, anche tenendo conto che una parte dei lavori era stata frattanto eseguita, che il cantiere era ripartito e che pertanto il subcommittente aveva sostanzialmente rinunciato alla penale da ritardo stabilita nel primo contratto (che il tribunale non ha interpretato come prima fase di un unico negozio, disattendendo la prospettazione del ricorrente di una pretesa unitarietà del primo e del secondo contratto, asseritamente avvalorata dal riferimento testuale a ‘ termini intermedi ‘ ).
1.4. -Una simile lettura della vicenda è ben possibile, ed anche in casi analoghi è stato parimenti ritenuto che quando, nel corso dell’esecuzione del contratto d’appalto, sia stato mutato l’originario piano dei lavori, il termine di consegna e la penale per il ritardo pattuiti nel detto contratto vengono meno, e dunque, affinché la penale conservi efficacia, occorre che le parti di comune accordo fissino un nuovo termine, in mancanza incombendo al committente, che persegua il risarcimento del danno da ritardata consegna dell’opera, l’onere di fornire la prova delle concrete ricadute pregiudizievoli subite (Cass. 8405/2019, 20484/2011).
1.5. -Va allora applicato il principio per cui, in tema di ermeneutica contrattuale, l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto (cfr. Cass. 3590/2021, 9461/2021, 15603/2021, 32876/2022), affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità solo in relazione al profilo della mancata osservanza dei criteri legali d’interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e s. c.c., o della radicale inadeguatezza della motivazione -donde l’ onere del ricorrente di indicare espressamente i canoni ermeneutici dei quali si allega la violazione, di precisare in quale modo il giudice del merito se ne sia discostato, e di riportare in ricorso il testo in discussione (Cass. Sez. U, 10374/2007) -fermo restando, in ogni caso, che il sindacato sull’interpretazione dei contratti e degli atti unilaterali in sede di legittimità non può mai risolversi nella mera contrapposizione fra l’interpretazione proposta dal ricorrente e quella diversa che, tra le varie opzioni possibili, sia stata divisata dai giudici di merito ( ex multis , Cass. 27136/2017, 11254/2018, 873/2019, 995/2021, 9461/2021).
Detto altrimenti, ove non risultino violati i criteri dettati dagli artt. 1362 e s. c.c. e non emergano radicali vizi logico-giuridici della motivazione -come è nel caso in esame -l’accertamento della reale volontà delle parti integra una valutazione di fatto, rientrante nella discrezionalità del giudice di merito e come tale insindacabile in sede di legittimità (Cass. 7945/2020, 21576/2019), poiché il sindacato di legittimità non può avere ad oggetto la ricostruzione della volontà delle parti (Cass. 8810/2020, 1547/2019).
-Con il secondo mezzo il ricorrente lamenta l ‘omesso esame di fatti decisivi, per non avere il tribunale tenuto conto: i) di quanto previsto nel contratto integrativo del 23/03/2012 in punto di u ltrattività delle disposizioni del contratto d’appalto e, quindi, anche di quelle relative all’essenzialità dei termini e alla clausola penale; ii) delle contestazioni formalizzate da NOME in data 26 e 29 marzo, 1 e 2 agosto, 13 settembre e 4 ottobre del 2012; iii) di quanto dichiarato dal collaudatore nel contesto dei verbali di verifica approntati in corso d’opera. Fatti storici debitamente sottoposti all’attenzione del tribunale ed asseritamente decisivi, in quanto idonei a palesare l’inesistenza di qualsivoglia rinuncia tacita alla penale prevista per il mancato rispetto dei termini indicati nel contratto originario di subappalto per la consegna delle opere.
2.1. -Il motivo, che integra sostanzialmente una iterazione delle censure già svolte con quello precedente, ne segue le sorti, poiché impinge nel merito.
2.2. -Come già visto, difatti, l’interpretazione degli atti negoziali da parte del tribunale è sorretta da una congrua motivazione, senza che in sede di legittimità possa essere rimesso in discussione l’accertamento di fatto compiuto dai giudici di merito circa il rapporto di incompatibilità ravvisato con la volontà di avvalersi della penale per ritardo nell’adempimento , necessario per potersene desumere una rinuncia implicita all’esercizio del diritto (cfr. Cass. 18224/2002, 12401/1995).
-Con il terzo motivo il ricorrente si duole della omessa pronuncia, ex art. 112 c.p.c., sulla domanda ex art. 29, d.lgs. n. 276 del 2003, asseritamente spiegata da NOME come domanda di ‘ ammissione con riserva ‘ , tanto nel ricorso ex art. 93 l.fall., quanto nell’ opposizione ex artt. 98 l.fall., e poi modificata, in sede di precisazione delle conclusioni, come domanda di ‘ ammissione ‘ tout court del credito, frattanto divenuto attuale, a titolo di ripetizione dei pagamenti eseguiti in favore degli operai dipendenti della RAGIONE_SOCIALE -e delle altre ditte impiegate dalla stessa, in violazione del divieto di sub appalto -sulla base dei verbali di conciliazione conclusi dinanzi al Tribunale di Milano, nei giudizi promossi dai lavoratori medesimi.
3.1. -Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza.
3.2. -Invero, il ricorrente trascrive le conclusioni precisate nel giudizio di opposizione ma non anche quelle contenute nella domanda ex art. 93 l.fall. e nel ricorso ex art. 98 l.fall., riguardo alle quali, peraltro, il RAGIONE_SOCIALE controricorrente eccepisce essersi trattato non già di una domanda con riserva, bensì di una ‘riserva di integrazione della domanda’, come tale effettivamente non configurabile nel giudizio di opposizione allo stato passivo ex art. 99 l.fall., stante la sua natura pacificamente impugnatoria, a fronte della possibilità di proporre domanda tardiva, ex art. 101 l.fall.
3.3. -Del resto, più volte questa Corte ha messo in evidenza che il procedimento di opposizione allo stato passivo -nei suoi evidenti tratti di peculiarità, che non ne consentono la completa assimilazione ad alcuno dei procedimenti tipici regolati dal secondo e quarto libro del codice di rito -non si presta all’introduzione di domande nuove, proprio in ragione della sua natura impugnatoria (Cass. 32750/2022, 21991/2021, 27902/2020, 11366/2018, 26225/2017, 24489/2016, per citarne solo alcune di quelle successive al noto arresto di Cass. Sez. U, 12310/2015 in tema di configurabilità di una emendatio libelli anche in caso di mutamento del petitum e/o della causa petendi , fermo restando il thema decidendum , nel giudizio ordinario di primo grado).
-Occorre infine prendere in considerazione il giudicato esterno invocato, in memoria, dal ricorrente.
Viene allegato l’intervenuto passaggio in giudicato della sentenza della Corte di Appello di Roma n. 6606/2022 (come da certificazione ex art. 124 disp. att. c.p.c.), resa nel giudizio promosso dal RAGIONE_SOCIALE contro NOME, per il pagamento del corrispettivo del subappalto qui in esame, nella quale viene tra l’altro esclusa , in accoglimento dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. sollevata dalla convenuta, la configurabilità di una sua rinuncia ad avvalersi dei rimedi connessi al mancato rispetto del termine, e, quindi, del diritto di credito portato dalla relativa penale.
In effetti, a pag. 7 della suddetta sentenza si legge: « ciò detto, in primo luogo, non può ritenersi che ‘COGNOME‘ abbia rinunciato ad avvalersi del termine convenuto nel contratto (12.04.2011) dal momento che i fatti e la condotta descritti nell’atto di impugnazione non sono certo incompatibili con la volontà della subappaltante di tutelare il suo diritto e di far valere l’inadempimento della subappaltatrice ben potendo rispondere l’affidamento di ulteriori opere (…) ad esigenze di economicità rispetto all’affidamento ad un soggetto terzo, senza che ciò comporti rinuncia ad avvalersi dei rimedi connessi al mancato rispetto del termine. La conclusione del contratto integrativo del 23.03.2012, infatti, non è indice di acquiescenza al ritardo nell’esecuzione della prestazione pattuita con il primo contratto del 2.07.2010, come emerge anche dalle missive inviate ad RAGIONE_SOCIALE in data 26 e 29 marzo 2012 (…), dopo l’affidamento degli ulteriori lavori, con cui si contestavano i gravi inadempimenti e si riservava ogni diritto azione e pretesa. Del resto, l’accettazione, senza riserve, dell’adempimento tardivo di una prestazione, equiparabile all’accettazione dell’adempimento parziale di essa (art. 1181 c.c.), non determina la decadenza dal far valere l’inosservanza del termine, né implica la rinuncia al risarcimento del danno derivatone’ (Cass. n. 9939 del 13.10.1997; Cass. n. 14573 del 22.06.2007) ».
4.1. -Preliminarmente si rileva che il deposito della sentenza per la prima volta in sede di legittimità, in allegato alle memorie, non incontra ostacolo nel divieto di cui all’art. 372 c.p.c. , risultando gi ustificato dall’essersi il giudicato esterno formato in un momento successivo alla proposizione del ricorso (Cass. Sez. U, 13916/2006; Cass. 1534/2018, 12754/2022, 15846/2023).
4.2. -Va altresì rammentato che il giudice di legittimità può direttamente accertare l’esistenza e la portata del giudicato esterno, con cognizione piena che si estende al diretto riesame degli atti del processo e alla diretta valutazione ed interpretazione degli atti processuali, mediante indagini e accertamenti, anche di fatto, indipendentemente dall’interpretazione data al riguardo dal giudice di merito (Cass. Sez. U, 24664/2007, 11501/2008, 21200/2009, 15339/2018, 38767/2021).
4.3. -Ciò premesso, l’ambito di operatività del giudicato, in virtù del principio secondo il quale esso copre il dedotto e il deducibile, viene generalmente correlato all’oggetto del processo, e colpisce perciò tutto quanto rientri nel suo perimetro, incidendo, da un punto di vista sostanziale, non soltanto sull’esistenza del diritto azionato, ma anche sull’inesistenza di fatti impeditivi, estintivi e modificativi, ancorché non dedotti, senza però estendersi a fatti ad esso successivi e a quelli comportanti un mutamento del petitum e della causa petendi , fermo restando il requisito dell’identità delle persone (Cass. 33021/2022).
Ne consegue, sempre in termini generali, che, qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano per oggetto un medesimo negozio o rapporto giuridico, e uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento compiuto circa una situazione giuridica, o la risoluzione di una questione di fatto o di diritto incidente su un punto decisivo comune ad entrambe le cause, o costituente indispensabile premessa logica della statuizione in giudicato, preclude il riesame del punto accertato e risolto, anche nel caso in cui il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che costituiscono lo scopo e il petitum del primo (Cass. 27013/2022, 32370/2023, 2387/2024).
4.4. -Sennonché, tali criteri non possono valere, sic et simpliciter , in caso di interferenza tra un giudizio ordinario e un giudizio di accertamento del passivo fallimentare.
Deve infatti tenersi conto, per un verso, del principio di esclusività che presiede l’accertamento del passivo fallimentare (art. 52, commi 2 e 3, l.fall. , ripreso dall’ art. 151, commi 2 e 3, CCI) -la cui cifra distintiva è il cd. contraddittorio incrociato -e, per altro verso, della peculiare natura del cd. giudicato endofallimentare -nel senso che il decreto che rende esecutivo lo stato passivo e le decisioni assunte dal tribunale all’esito dei giudizi di impugnazione «producono effetti soltanto ai fini del concorso» (art. 96, ult.co., l.fall.; cfr. art. 204, comma 5, CCI) -i quali precludono quell ‘effetto vincolante di ‘travaso’ , dall’uno all’altro giudizio, dell’accertamento cristallizzatosi nel giudicato formatosi in sede ordinaria, di cui sopra si è detto.
Nel tempo, peraltro, il principio di esclusività ha subito una significativa espansione, in linea con gli obiettivi di specializzazione, celerità e concentrazione delle procedure concorsuali (Cass. 27709/2020, 2990/2020, 2991/2020).
Ciò si è verificato soprattutto con la riforma fallimentare del 2006, che ha rafforzato la competenza funzionale inderogabile del tribunale fallimentare eliminando dal nuovo art. 24, comma 1, l.fall. la regola per cui «le azioni reali immobiliari» erano sottratte alla competenza del tribunale fallimentare (e soggette alle «norme ordinarie di competenza»), con conseguente dilatazione dell’art. 52 l.fall. sino a ricomprendere omnicomprensivamente «ogni diritto reale o personale, mobiliare o immobiliare» (come ricorda in motivazione Cass. Sez. U, 8557/2023); ma anche con il Codice della crisi e dell’insolvenza, che ha ulteriormente attratto nell’orbita del procedimento di accertamento del passivo le «domande di partecipazione al riparto delle somme ricavate dalla liquidazione di beni compresi nella procedura ipotecati a garanzia di debiti altrui» (art. 201, comma 1).
D ‘altro canto, lo stesso Codice ha inciso sul perimetro del cd. giudicato endofallimentare, conferendo una più concreta operatività al l’ estensione della giurisdizione concorsuale sui diritti reali immobiliari, mediante la precisazione che «il decreto che accoglie la domanda di rivendica di beni o diritti il cui trasferimento è soggetto a forme di pubblicità legale deve essere reso opponibile ai terzi con le medesime forme» (art. 210, comma 3). Il che ha comportato la necessità di chiarire che la natura endofallimentare dell’accertamento del passivo vale «limitatamente ai crediti accertati ed al diritto di partecipare al riparto quando il debitore ha concesso ipoteca a garanzia di debiti altrui» (art. 204, comma 5).
Anche n ell’ orizzonte così ridisegnato dal legislatore, le decisioni assunte in sede di accertamento del passivo precludono il riesame delle questioni inerenti a esistenza, natura ed entità dei crediti in sede concorsuale, ma non creano un vincolo sulle questioni comuni ad altra eventuale controversia vertente tra le stesse parti, in sede ordinaria, sul medesimo rapporto giuridico (Cass. 19940/2006, 25640/2017, 27709/2020, 8010/2022, 34421/2023).
Altro è, infatti, la limitata proiezione esterna prevista dall’art. 120, comma 4, l.fall. (ripetuto nell’art. 236, comma 4, CCI).
Così come altro è il meccanismo che prevede, in via tassativa ed eccezionale, l’ammissione al passivo ‘ con riserva ‘ , a fronte d ell’accertamento del credito con sentenza del giudice ordinario o speciale non passata in giudicato, pronunziata prima della dichiarazione di fallimento, che consente al curatore di proporre o proseguire il giudizio di impugnazione in sede ordinaria (art. 96, comma 2, n. 3 l.fall. , riproposto nell’ art. 204, comma 2, lett. c) CCI), in vista del successivo scioglimento della riserva (art. 113-bis l.fall., ripetuto nell’art. 228 CCI).
4.5. -Anche di recente è stata ribadita la peculiare fisionomia del procedimento di accertamento del passivo, nel quale la situazione sostanziale che viene in rilievo non è tanto il diritto di credito, quanto il ‘ diritto al concorso ‘ , o comunque il diritto di credito nella sua declinazione concorsuale: una sorta di diritto sostanziale ‘a tempo’, destinato indissolubilmente e ab origine ad essere realizzato, nel concorso con gli altri creditori, all’interno della procedura fallimentare, attraverso la partecipazione ai riparti (Cass. 11808/2022, 4632/2023).
Non è dunque un caso che la rubrica del capo V del titolo II della legge fallimentare menzioni l’accertamento non già dei ‘ diritti di credito ‘ bensì, più genericamente, del “passivo” (Cass. 11808/2022), mentre la nuova rubrica del Capo III del Titolo V del CCI recita, con maggiore precisione, ‘Accertamento del passivo e dei diritti dei terzi sui beni compresi nella liquidazione giudiziale’.
4.6. -Quanto appena esposto rappresenta sommariamente il sostrato euristico dell’assunto, ampiamente consolidato, per cui tra la decisione assunta in sede ordinaria e quella assunta in sede concorsuale secondo il rito speciale ed esclusivo dell’accertamento del passivo -quand’anche tra le stesse parti e sul medesimo rapporto -non sussiste il rischio di un contrasto di giudicati (Cass. 11808/2022), in ragione, appunto, della diversa attitudine alla stabilità dei provvedimenti conclusivi dei rispettivi giudizi: il primo con autorità di giudicato ex art. 2909 c.c., il secondo con valenza endoconcorsuale ex art. 96, ult.co., l. fall. (Cass. 27709/2020).
E così si è detto, anche di recente, che la contemporanea pendenza di un’azione di responsabilità instaurata dal curatore fallimentare nei confronti di un amministratore o sindaco della società fallita, e della opposizione allo stato passivo instaurata dal medesimo amministratore o sindaco per il riconoscimento del compenso per l’attività svolta, «non giustifica né l’ammissione del credito con riserva, che è consentita solo nei casi tassativamente indicati nell’art. 96, comma 2, l. fall., né la sospensione necessaria ex art. 295 c.p.c. del giudizio di opposizione al passivo, in quanto in sede di verifica del passivo il curatore può eccepire i fatti estintivi, modificativi o impeditivi del diritto fatto valere dal creditore» (Cass. 3804/2022).
Specularmente, a fronte di un giudizio promosso dal curatore per il recupero di un credito contrattuale del fallito, in cui il convenuto proponga domanda riconvenzionale diretta all’accertamento di un proprio credito nei confronti del fallimento, derivante dal medesimo rapporto, quest’ultima domanda, « per la quale opera il rito speciale ed esclusivo dell’accertamento del passivo ai sensi degli artt. 93 e ss. della legge fallimentare, deve essere dichiarata inammissibile (o improcedibile se formulata prima della dichiarazione di fallimento e riassunta nei confronti del curatore) nel giudizio di cognizione ordinaria, e va eventualmente proposta con domanda di ammissione al passivo su iniziativa del presunto creditore, mentre la domanda proposta dalla curatela resta davanti al giudice per essa competente, che pronuncerà al riguardo nelle forme della cognizione ordinaria», fatta salva la possibilità -ricorrendone gli specifici presupposti processuali ratione temporis -di una trattazione unitaria delle due cause nel quadro dell’art. 274 c.p.c., ovvero di una translatio nella sede fallimentare ed eventualmente dell’applicazione dell’art. 295 c.p.c., «fermo restando che la sospensione deve riguardare la causa promossa in sede ordinaria» (Cass. Sez. U, 21499/2004, 21500/2004; conf. Cass. 28833/2017).
4.7. -Alla luce dei principi sopra riepilogati, deve concludersi che il giudicato esterno invocato dal ricorrente non trovi spazio in questa sede.
Difatti, per quanto sia passata in giudicato la sentenza che lo contiene, l’accertamento compiuto dal giudice ordinario sulla non ravvisabilità di una rinuncia di NOME alla penale da ritardo, sebbene possibile -in quanto correlato non già ad una domanda riconvenzionale (che sarebbe stata inammissibile in forza del più volte evocato principio di esclusività ex art. 52 l.fall.) bensì ad una eccezione di inadempimento, finalizzata solo a paralizzare la pretesa ivi azionata dal RAGIONE_SOCIALE -non può spiegare efficacia di giudicato ai fini dell’accertamento del credito vantato da NOME, che deve necessariamente avere luogo, ai suoi limitati effetti, in sede concorsuale.
-Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna alle spese, liquidate in dispositivo.
-Sussistono i presupposti di cui all’ art. 13, comma 1quater, d.P.R. 115/02 (cfr. Cass. Sez. U, 23535/2019, 4315/2020).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 20.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 14/02/2024.