Sentenza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 6642 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 1 Num. 6642 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 13/03/2024
stata definita a seguito della transazione del 2.8.07 attraverso la quale la società aveva estinto il derivato mediante il versamento della somma di euro 645.000,00 ottenuta con l’erogazione, da parte della banca, di un mutuo chirografario; tale accordo transattivo era estremamente chiaro nell’enunciar e la volontà delle parti, in particolare dell ‘appellante, di ‘ rinunciare ad ogni pretesa e/o contestazione, presente o futura, innanzi a qualsivoglia giurisdizione e autorità, nei confronti della banca e di qualsiasi altra società del gruppo RAGIONE_SOCIALE o qualunque altro titolo ricollegabile ai fatti ed al contratto ‘; in relazione al primo giudizio, il Tribunale, facendo specifico riferimento a quanto scritto dall’appellante nella comparsa conclusionale di primo grado, laddove si legge ‘ quanto alla dichiarazione di nullità di alcuni rapporti di swap effettivamente i rapporti del primo processo coincidono con quelli del secondo processo ‘, aveva evidenziato che
l’eccezione di giudicato della banca era fondata in quanto l’attrice aveva espressamente chiesto di accertare la nullità dei contratti swap e della successiva transazione; non era fondata l’eccezione dell’appellante , secondo la quale il Tribunale non aveva potuto trarre da dichiarazioni rese nella comparsa conclusionale la convinzione che la domanda fosse diretta alla dichiarazione di nullità dei contratti e della scrittura privata, in quanto alla base del petitum vi era la considerazione che i rapporti indicati risultavano chiaramente, già ad un esame sommario, tutti inesistenti o comunque affetti da nullità insanabile ed irrinunciabile in conseguenza della mancanza dell’accordo -quadro, nonché per le stesse caratteristiche intrinseche di svolgimento dei rapporti; peraltro, la tesi dell’appellante , secondo la quale la domanda proposta nel primo giudizio sarebbe diversa da quella introdotta con la causa in questione -diretta la prima a ottenere una sentenza costitutiva in ordine alla risoluzione dei rapporti dedotti, mentre la seconda riguardava una sentenza dichiarativa -non era condivisibile, in quanto entrambe avevano comunque come presupposto la dichiarazione di nullità dei rapporti; la medesima conclusione s’imponeva rispetto ai rapporti di conto corrente che il Tribunale aveva valutato in relazione al procedimento ex art. 696 c.p.c., conclusosi con provvedimento d’inammissibilità , con il richiamo al già pendente giudizio di merito definito con sentenza passata in giudicato del 2010.
RAGIONE_SOCIALE ricorre in cassazione avverso la suddetta sentenza della Corte d’appello , con tre motivi. RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
Si è costituito il fallimento della RAGIONE_SOCIALE -dichiarato con sentenza del 3.9.18 – con istanza d’estinzione del giudizio; risulta l’accettazione della rinuncia del fallimento al ricorso originario.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si denunzia violazione degli artt. 324 c.p.c., 1343, 1 965, 1972 c.c., per aver la Corte d’appello ritenuto che il Tribunale avesse correttamente riesaminato le diverse questioni tra le parti, dando la giusta interpretazione della loro volontà, come concretizzata nella scrittura privata del 2.8.07, in quanto essa non riguardava i rapporti di conto corrente e di derivati in swap, tranne l’ultimo richiamato nel documento che, però, non era connesso con i precedenti, trattandosi di rapporti indipendenti ed autonomi, aperti e chiusi senza continuità.
Al riguardo, la ricorrente lamenta che la Corte territoriale ha omesso la pronuncia su quanto sopra esposto, limitandosi ad affermare erroneamente che la banca aveva eccepito che la domanda di dichiarare la nullità del contratto di transazione era stata oggetto del giudizio precedente definito con sentenza definitiva, rilevando che invece: a) nel giudizio in questione si discute di nullità di rapporti swap e della scrittura privata per la mancanza dell’accordo quadro, domanda da considerare nuova rispetto al precedente giudizio; b) il giudice di secondo grado aveva erroneamente ritenuto non contestata la circostanza che nella comparsa conclusionale depositata nel primo giudizio e nel foglio di deduzioni allegato al verbale d’udienza – svoltosi con l’abrogato rito societario -fosse stata eccepita la nullità insanabile del rapporto di swap , mentre tale foglio era risultato inesistente; c) le conclusioni formulate nel primo giudizio avevano dunque riguardato la sola domanda di risoluzione dei contratti di swap ; le eccezioni d’invalidità non avevano dunque costituito oggetto del primo giudizio, anche considerando la tardività dell’eccezione della società nella memoria conclusionale e la mancata accettazione del contraddittorio da parte della banca convenuta; d) di conseguenza tali eccezioni non
erano coperte da giudicato; e) la ricorrente aveva dedotto la nullità ed invalidità della suddetta scrittura privata.
Riguardo a quest’ultima eccezione, la ricorrente -richiamando le difese svolte nelle fasi di merito -ha esposto che la suddetta transazione era nulla perché fondata sui contratti di swap, da considerare illeciti, poi tradotti nel mutuo, in quanto stipulati senza forma scritta, in violazione delle norme del TUF, sussistendo dunque un collegamento negoziale tra il mutuo e i predetti contratti, dato che il primo era diretto ad estinguere la pregressa passività derivante dagli swap. Tale transazione era stata pertanto stipulata in frode alla legge, al fine di sanare (ovvero, a dissimulare) violazione di norme imperative.
La ricorrente deduceva altresì la nullità della transazione anche per: indeterminatezza dell’oggetto in quanto relativa solo all’ultimo rapporto di swap e non anche a quelli precedenti; l’insussistenza di reciproche concessioni, non emergendo le rinunzie che la banca avrebbe effettuato; la relativa annullabilità per dolo nei confronti della società, in ordine all’intento fraudolento sopra evidenziato.
Infine, la ricorrente assume che, nell’ipotesi di ritenuta validità ed efficacia della transazione, essa riguarderebbe, come detto, solo l’ultimo rapporto indicato, ment re per gli altri non sarebbe invocabile l’inammissibilità della domanda proposta.
Il secondo motivo denunzia violazione degli artt. 324, 696, 696 bis , 696 septies, c.p.c., per aver la Corte d’appello ritenuto che il provvedimento d’inammissibilità del ricorso , ex art. 696 bis c.p.c., pronunciato dal Presidente del Tribunale, fosse suscettibile di giudicato, trattandosi di misura cautelare provvisoria che non detta una disciplina definitiva del rapporto controverso, considerando altresì che tale provvedimento è stato di rigetto, e dunque privo di decisorietà.
Il terzo motivo denunzia violazione degli artt. 2909, 1284, c. 3, 1325, 1418, c.2, c.c., per aver la Corte d’appello ritenuto non condivisibile la tesi dell’appellante secondo la quale la domanda avanzata nel primo giudizio del 2008 sarebbe diversa da quella di cui alla causa in questione, avendo entrambe come presupposto la dichiarazione di nullità dei rapporti controversi.
Al riguardo, la ricorrente assume che nel giudizio in esame si discute della nullità della scrittura privata del 2.8.07 e dei contratti di swap per mancanza dell’accordo -quadro, domanda nuova, non oggetto del precedente giudizio, nel quale la società aveva chiesto la risoluzione per colpa dell’RAGIONE_SOCIALE dei contratti di interest swap rate , e la condanna della banca al pagamento della somma di euro 876.866,22, nonché l’accertamento della nullità di alcuni rapporti di c onto corrente e di alcuni contratti swap , nonché della transazione; pertanto, vi sarebbero differenti causa petendi e petitum , precisando che, in ordine agli swap , pur trattandosi dei medesimi rapporti, nel primo giudizio era stata chiesta, come detto, la risoluzione contrattuale, e nel secondo la nullità.
In particolare, la ricorrente lamenta che: i rapporti di swap erano nulli, per una serie di violazioni, quali la mancanza dell’accordo quadro, l’ incompletezza dei moduli utilizzati, sottoscritti in bianco e predisposti unilateralmente dalla banca (alcuni dei quali privi di data); tali rapporti non avevano mai scadenza naturale, venendo sostituiti discrezionalmente dalla banca senza alcuna informazione, con altri più complessi; i parametri di riferimento delle operazioni erano incompleti, anche con riferimento agli interessi addebitati,.
L’RAGIONE_SOCIALE eccepisce l’inamm issibilità del ricorso, venendo in rilievo una ‘ doppia conforme ‘ , che avrebbe richiesto la dimostrazione
che le ragioni di fatto poste a base delle due decisioni di merito fossero tra loro diverse.
Con ordinanza interlocutoria del 2023, la Corte di Cassazione ha rinviato la causa alla udienza pubblica, rilevando che era da approfondire la questione della ammissibilità dell’intervento del fallimento, e dell’efficacia della transazione al fine della cessazione della materia del contendere.
Il Procuratore Generale ha depositato requisitoria, chiedendo che sia dichiarata l’estinzione del giudizio, data la rinuncia al ricorso ex art. 306 c.p.c., notificata ed accettata, come documentato in atti.
Il ricorso è inammissibile.
La questione che ha determinato il rinvio della causa in pubblica udienza riguarda l’efficacia da attribuire alla suddetta rinuncia, proposta dalla società in bonis , in ordine a ll’estinzione del giudizio , limitatamente al fallimento, in quanto regolarmente accettata.
Va osservato che d all’ordinanza in terlocutoria si desume, anzitutto, il riferimento problematico al l’inapplicabilità dell’interruzione del giudizio a seguito del sopravvenuto fallimento della parte ricorrente.
Al riguardo, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il fallimento di una delle parti che si verifichi nel giudizio di Cassazione non determina l’interruzione del processo ex art. 299 e ss. c.p.c., trattandosi di procedimento dominato dall’impulso di ufficio. Ne consegue che, una volta instauratosi il giudizio di Cassazione con la notifica ed il deposito del ricorso, il curatore del fallimento non è legittimato a stare in giudizio in luogo del fallito, essendo irrilevanti i mutamenti della capacità di stare in giudizio di una delle parti e non essendo ipotizzabili, nel giudizio di cassazione, gli adempimenti di cui all’art. 302 c.p.c. -il quale prevede la costituzione in giudizio di coloro ai quali spetta di proseguirlo -(Cass., n. 3630/21; n. 7477/17).
Ne consegue che il fallimento di una delle parti che si verifichi nel giudizio di Cassazione non determina l’interruzione del processo ex artt. 299 e ss. c.p.c., trattandosi di procedimento dominato dall’impulso d’ufficio, per cui non vi è un onere di riassunzione del giudizio nei confronti della curatela fallimentare.
È stato però rilevato che ciò non esclude, tuttavia, che il curatore del fallimento (dal 15 luglio 2022 il curatore della liquidazione giudiziale) possa intervenire nel giudizio di legittimità al fine di tutelare gli interessi della massa dei creditori, sia pure nei limiti delle residue facoltà difensive riconosciute dalla legge (Cass., n. 30785/23).
Nel caso di specie, il fallimento è intervenuto al solo fine di rinunziare al ricorso; la questione che si pone è, pertanto, se tale facoltà confligga con il citato principio dell’inoperatività delle cause d’interruzione del giudizio nei processi di cassazione, ovvero con il principio dell’i mpulso d’ufficio che lo informa, che equivale ad affermare che il giudizio prosegue tra le medesime parti.
Circa tale principio, la posizione della dottrina è stata da sempre critica, perché la lettura del dato normativo, secondo l’indirizzo seguito dalla giurisprudenza di legittimità, arrecherebbe pregiudizio al diritto di difesa costituzionalmente garantito.
Al riguardo, la Cass., Sez. Un., 14 ottobre 1992, n. 11195, ha affermato: « Prendendo spunto dall’argomento in precedenza riferito circa l’officiosità del giudizio di cassazione, una recente dottrina ha osservato che, anche in tale giudizio, dopo la proposizione del ricorso, sussistono numerose attività che si perfezionano solo ad istanza di parte (quali: il deposito del ricorso; la produzione di documenti che riguardino la nullità della sentenza impugnata e l’ammissibilità del ricorso e del controricorso …; l’integrazione del contraddittorio nel
corso del giudizio …; il rideposito del fascicolo di parte; la rinnovazione della notificazione; la facoltà di rinuncia, etc.) ».
Pertanto, attesa la coesistenza di atti di impulso di parte, non surrogabili dall’impulso d’ufficio ed il cui mancato compimento, pur non addebitabile alla parte stessa, conduce, inevitabilmente, ad una pronuncia di improcedibilità o di inammissibilità del ricorso, è stato altresì osservato che dovrebbe ammettersi l’applicabilità dell’istituto dell’interruzione, quanto meno per il compimento di tali attività e ciò per evitare un vulnus gravissimo alla garanzia costituzionale del pieno contraddittorio.
Ora, il collegio ritiene che debba essere confermato l’indirizzo tradizionale sulla base delle seguenti ulteriori osservazioni. L’errore in cui incorrono la dottrina e la giurisprudenza che ritengono applicabile l’interruzione del processo anche al giudizio di legittimità è quello di ritenere che, in presenza degli eventi di cui agli art. 299 ss. c.p.c., l’unico mezzo attraverso il quale realizzare il diritto di difesa costituzionalmente garantito sia quello di procedere all’interruzione del processo, con la conseguenza, da un lato, che in difetto di tale interruzione non ci sarebbe la possibilità di altra soluzione e, dall’altro, che anche nel giudizio di cassazione, si debba far luogo all’interruzione del processo, ove si verifichino le fattispecie previste per il giudizio di merito.
È ben vero che in tale giudizio, dominato dall’impulso d’ufficio, esiste una serie di attività che presuppongono la presenza del difensore, ma la circostanza che il legislatore non abbia previsto, proprio per tale motivo, la rilevanza degli eventi di cui agli art. 299 ss. c.p.c., non induce ne’ ad applicare in via analogica le norme predette, ne’ ad affermare l’incostituzionalità di tale mancata previsione, dovendosi invece ritenere che la struttura del giudizio di legittimità impone un
particolare onere di attenzione per la parte, sicché è da dire che la mancata osservanza di quest’onere, per fatti relativi al procuratore -come nel caso di specie -ricadono sulla parte stessa che non si è attivata per ovviare alle conseguenze derivanti da eventi che essa avrebbe potuto e dovuto conoscere.
In precedenza era stato detto che la piena tutela del diritto di difesa della parte su cui si riflette l’evento interruttivo viene assicurato dalla sopravvivenza della procura speciale rilasciata al difensore dalla società in bonis (Cass. 27 aprile 1992, n. 5012). Tale principio appare confermato anche in recente decisione di questa Corte, secondo cui il difensore della parte che fallisce nel corso del giudizio in cassazione conserva il potere di rappresentare il suo assistito nel processo, che non si interrompe per effetto della perdita della capacità di stare in giudizio della parte, ma non può chiedere, nel caso di vittoria della causa, la distrazione delle spese di lite, poiché il rapporto interno tra lui e il cliente si estingue (Cass. 23 dicembre 2022, n. 37719).
Altra recente pronuncia, pur ribadendo che il fallimento di una delle parti che si verifichi nel giudizio di Cassazione non determina l’interruzione del processo ex artt. 299 e ss. c.p.c., trattandosi di procedimento dominato dall’impulso d’ufficio, con la conseguenza che non vi è un onere di riassunzione del giudizio nei confronti della curatela fallimentare, afferma altresì che questo non esclude, tuttavia, che il curatore del fallimento (dal 15 luglio 2022 il curatore della liquidazione giudiziale) possa intervenire nel giudizio di legittimità al fine di tutelare gli interessi della massa dei creditori, sia pure nei limiti delle residue facoltà difensive riconosciute dalla legge (Cass., n. 30785/23).
Tale ultima decisione afferma la legittimità del l’intervento del fallimento operato ad adiuvandum del ricorso proposto dal fallito;
tuttavia, essa non appare afferire alla fattispecie in esame, in quanto il curatore rinuncia al ricorso proposto dalla parte fallita, alla quale non può subentrare, proprio perché il processo non si interrompe e prosegue tra le parti originarie.
Ne consegue la difficoltà di concepire il potere del curatore di rinunciare al ricorso, atteso che il processo prosegue nei confronti delle parti originarie, e considerando vieppiù che il difensore della parte fallita nel corso del giudizio di cassazione -come nel caso concreto -conserva il potere di rappresentare il suo assistito nel processo.
Ne consegue, in definitiva, l’inconfigurabilità di un potere del curatore fallimentare di rinunciare al ricorso per fallimento proposto dalla società, anteriormente all’apertura della procedura concorsuale, nel corso del giudizio di legittimità.
Detto questo, i tre motivi, esaminabili congiuntamente poiché tra loro connessi, sono inammissibili.
Al riguardo, va osservato che, sia il Tribunale che la C orte d’appello hanno accolto un’eccezione di giudicato, mentre il ricorrente per cassazione intende dimostrare che il giudicato non c’era , perché il giudice di merito avrebbe capito male qual era la domanda proposta nel giudizio precedente e quale nel giudizio successivo.
In proposito, viene in rilievo il principio a tenore del quale, l’accertamento e l’interpretazione del giudicato (cosiddetto esterno) formatosi fra le stesse parti in un giudizio diverso da quello in cui ne è invocata l’efficacia, costituiscono attività istituzionalmente riservate al giudice di merito e possono essere oggetto di ricorso per cassazione solo sotto il profilo della violazione e falsa applicazione della norma dell’art. 2909 cod. civ. e dei principi di diritto in tema di elementi costitutivi della cosa giudicata, nonché per vizi attinenti alla motivazione, i quali, peraltro, vanno specificamente dedotti, non
essendo sufficiente il mero richiamo all’art. 2909 cod. civ. o all’art. 324 cod. proc. civ. e non possono comunque sollecitare -essendo i poteri della Suprema Corte limitati al sindacato di legittimità -indagini circa il contenuto sostanziale della pronuncia, la cui ricostruzione, risolvendosi in un apprezzamento di fatto, è demandata in via esclusiva al giudice di merito e resta incensurabile in sede di legittimità (Cass. 12 dicembre 2006, n. 26523; S.U., n. 277/99).
Invero, nella specie, la ricorrente critica la sentenza impugnata per aver ritenuto che la domanda, oggetto di causa, relativa alla nullità di rapporti swap e della scrittura privata per la mancanza dell’accordo quadro, era da considerare nuova rispetto al precedente giudizio (riguardante la sola domanda di risoluzione dei contratti di swap ), avendo il giudice di secondo grado erroneamente ritenuto non contestata la circostanza che nella comparsa conclusionale depositata nel primo giudizio e nel foglio di deduzioni, allegato al verbale d’udienza – svoltosi con l’abrogato rito societario -fosse stata eccepita la nullità insanabile del rapporto di swap , mentre tale foglio era risultato inesistente.
Ora, è evidente come la suddetta doglianza tenda a provocare indagini sul contenuto sostanziale della pronuncia impugnata, anche attraverso esame documentale, risolvendosi in un apprezzamento di fatto.
Le spese seguono la soccombenza nei rapporti tra ricorrente e controricorrente, mentre vanno compensate per il resto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso, e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio che liquida nella somma di euro 5.200,00 oltre alla maggiorazione del 15% quale rimborso forfettario delle spese generale ed accessori di legge, compensando nel resto.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.p.r. n.115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso nella ca mera di consiglio dell’8 gennaio 2024 .