Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 2387 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 2387 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 24/01/2024
Oggetto
Affitto d’azienda – Cessione del contratto – Fattispecie
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 16833/2020 R.G. proposto da RAGIONE_SOCIALE in liquidazione, rappresentata e difesa dagli AVV_NOTAIO.ti NOME COGNOME (p.e.c. indicata: EMAIL) e NOME COGNOME (p.e.c. indicata: EMAIL), con domicilio eletto in Roma, INDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO;
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE la Provincia di RAGIONE_SOCIALE, in liquidazione RAGIONE_SOCIALE, e RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE (RAGIONE_SOCIALE);
-intimati – avverso la sentenza della Corte d’appello di Palermo n. 2478/2019, depositata il 29 gennaio 2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 4 luglio 2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La società RAGIONE_SOCIALE in liquidazione convenne in giudizio, nel 2016, davanti al Tribunale di RAGIONE_SOCIALE il RAGIONE_SOCIALE della Provincia di RAGIONE_SOCIALE in liquidazione e l’RAGIONE_SOCIALE). Premesso di condurre in locazione tre immobili concessigli in godimento dal RAGIONE_SOCIALE predetto con contratti rispettivamente stipulati il 9 dicembre 1996, il 24 luglio 2003 e il 25 maggio 2005, dedusse di avere diritto alla loro trasformazione in contratti d’uso gratuiti, ai sensi dell’art. 79, primo comma, legge reg. Sicilia n. 9 del 2015, e chiese accertarsi tale trasformazione dei rapporti in essere e la non debenza di somme a titolo di canoni.
Il Tribunale, respinta la preliminare eccezione di difetto di legittimazione passiva opposta dall’RAGIONE_SOCIALE (sul rilievo che non si trattava di soggetto diverso dal RAGIONE_SOCIALE, ma solo di una forma di separazione di alcuni rapporti attivi e passivi rispetto al patrimonio principale), rigettò la domanda ritenendo che non si era verificato l’effetto novativo previsto dalla citata legge RAGIONE_SOCIALE per non essere stati conclusi tra le parti i nuovi contratti di comodato, in sostituzione di quelli di locazione.
Con sentenza n. 2478/2019, depositata il 29 gennaio 2020, la Corte d’appello di Palermo ha rigettato l’appello interposto dalla società, confermando la decisione impugnata.
Ha rilevato in motivazione che:
─ in pregresso giudizio il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, con sentenza del 19 dicembre 2012, aveva dichiarato la risoluzione dei contratti,
condannando la società conduttrice al rilascio degli immobili ed al pagamento dei canoni scaduti;
─ tale sentenza venne confermata in appello quanto alla risoluzione ed al rilascio, mentre fu riformata con riguardo all’entità delle somme ingiunte;
─ pronunciando sul ricorso per cassazione proposto da RAGIONE_SOCIALE, la RAGIONE_SOCIALE, con sentenza ( recte : ordinanza) del 23 marzo 2017 (n. 7433), ha accolto il primo motivo di ricorso, rigettando il secondo ed il terzo (relativi alla pronuncia di risoluzione e di rilascio), rinviando al giudice a quo ;
─ pur se nessuna delle parti ha provveduto a riassumere il giudizio la pronuncia di risoluzione è passata in giudicato ed ha effetto retroattivo, ai sensi dell’art. 1458 c.c., nessun fondamento avendo l’argomento al riguardo addotto dall’appellante secondo cui la mancata riassunzione del giudizio di rinvio avrebbe comportato la caducazione (anche) della pronuncia di risoluzione;
─ ed invero, poiché la decisione di annullamento ha effetto soltanto sulle parti cassate, i capi di pronuncia non cassati non sono travolti dall’estinzione e acquistano autorità di giudicato (Cass. n. 21469 del 31/08/2018);
─ ne consegue che al momento in cui il RAGIONE_SOCIALE ha chiesto la trasformazione dei rapporti (2015) gli stessi non erano più in essere.
Avverso tale decisione la RAGIONE_SOCIALE liquidazione ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
Gli enti intimati non hanno svolto difese.
La trattazione è stata fissata in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ..
Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.
La ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia « nullità della sentenza
e del procedimento per violazione, falsa applicazione ed erronea interpretazione dell’art. 393 c.p.c. » , per avere la Corte d’appello ritenuto passati in giudicato (e non invece travolti dall’estinzione susseguente alla mancata riassunzione del giudizio di rinvio a seguito della ordinanza della S.C. n. 7433 del 2017) i capi della sentenza n. 78 del 2015 della Corte d’appello di Palermo che, nel menzionato pregresso giudizio, aveva dichiarato risolti i contratti di locazione per inadempimento della conduttrice.
Richiamato il principio, affermato da Cass. 21/03/1989, n. 1403 (e prima ancora da Cass. 12/03/1980, n. 1669), secondo cui « qualora, in seguito alla cassazione per motivi processuali della sentenza di appello (che aveva rigettato le domande proposte dall’attore), la causa non sia stata riassunta in sede dl rinvio nel termine di cui all’art. 392 c.p.c., si verifica l’estinzione dell’intero giudizio, a norma dell’art. 393 c.p.c., con la conseguenza che deve escludersi la formazione di un giudicato opponibile in un successivo processo, avente per oggetto la medesima domanda », ne sostiene l’applicabilità al caso di specie nel quale ─ afferma ─ non può esservi alcun dubbio che la sentenza della Corte d’appello n. 78 del 2015 sia stata cassata proprio per motivi processuali.
Rimarca in tal senso che, come espressamente specificato dalla Suprema Corte nella menzionata ordinanza, l’eccezione di compensazione atecnica (del credito relativo ai canoni con il controcredito risarcitorio vantato dalla conduttrice per taluni asseriti inadempimenti del RAGIONE_SOCIALE), il cui illegittimo e mancato esame ha determinato la cassazione della sentenza d’appello, avrebbe potuto, in caso di accoglimento, « paralizzare eventualmente la domanda principale di parte attrice » (ossia, secondo la ricorrente, quella tesa alla risoluzione dei contratti e al rilascio degli immobili).
Con la conseguenza ─ argomenta in conclusione la ricorrente ─ che il capo della sentenza d’appello avente ad oggetto detta risoluzione,
in quanto connesso e dipendente da quello cassato dalla Suprema Corte, non può ritenersi rimasto indenne dall’effetto demolitorio della pronuncia della Suprema Corte e tanto meno può ritenersi passato in giudicato.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia « nullità della sentenza e del procedimento per violazione, falsa applicazione ed erronea interpretazione degli artt. 447 bis e 416 c.p.c. ».
Rileva che, in considerazione della tardiva costituzione avversaria, tempestivamente segnalata e sollevata dalla società RAGIONE_SOCIALE sin dal primo grado di giudizio, la Corte d’appello di Palermo avrebbe dovuto ritenere inammissibile, in quanto tardivamente formulata, l’eccezione di risoluzione per inadempimento avanzata dal RAGIONE_SOCIALE in primo grado e reiterata in appello.
Con la memoria depositata nel termine previsto dall’art. 380 -bis.1 , primo comma, cod. proc. civ., la ricorrente segnala che gli argomenti svolti con il primo motivo di ricorso, circa la ricostruzione degli effetti demolitori derivanti dalla ordinanza della S.C. n. 7433 del 2017, hanno trovato « piena, specifica e diretta conferma » nella sopravvenuta ordinanza di questa stessa Sezione n. 1853/2023, resa pubblica l’8 maggio 2023 , che, pronunciandosi su altra controversia (avente ad oggetto opposizione a precetto) pendente tra le medesime parti del presente giudizio, ha affrontato proprio la specifica questione concernente la configurabilità nel caso di specie di un giudicato in ordine alla pronuncia di risoluzione de contratti di locazione de quibus , concludendo nel senso che « la mancata riassunzione del giudizio di rinvio, a seguito di Cass. n. 7433/2017, comporti necessariamente gli effetti anelati dalla ricorrente, ma erroneamente negletti dal giudice del merito ».
Reputa il Collegio che, proprio in virtù e per effetto della pronuncia di Cass., Sez. 3, Ord. n. 12183/2023 del 08/05/2023, segnalata in memoria dalla ricorrente, il primo motivo di ricorso
debba essere accolto.
4.1. Detta pronuncia è intervenuta in un giudizio di opposizione all’ esecuzione tra le stesse parti che, in sintesi, aveva avuto il seguente svolgimento:
─ proprio in forza della sentenza della Corte d’appello di Palermo n. 78 del 27 aprile 2015 della cui forza di giudicato si discute nel presente giudizio nel capo dichiarativo della risoluzione dei rapporti locativi, il RAGIONE_SOCIALE intimò precetto per il rilascio dei tre rustici locati e per il pagamento delle spese di lite di primo e di secondo grado;
RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE in liquidazione propose opposizione ex art. 615, primo comma, c.p.c.;
─ l’adito Tribunale di RAGIONE_SOCIALE dichiarò l’inefficacia del precetto limitatamente all’intimazione di rilascio degli immobili (perché effettuata prima del termine di tre mesi previsto dal titolo esecutivo), respingendo nel resto l’opposizione;
─ la Corte d’appello di Palermo sull’appello di RAGIONE_SOCIALE, che, si rileva, concerneva anche la richiesta di accertare l’insussistenza del titolo esecutivo pure per il rilascio a prescindere dalla inosservanza del termine di rilascio – confermò tale decisione osservando che:
nonostante il giudizio a quo si fosse estinto, ex art. 393 c.p.c., non avendo le parti riassunto la causa nel giudizio di rinvio a seguito di Cass. n. 7433 del 2017 (che aveva appunto parzialmente cassato la sentenza della Corte d’appello di Palermo del 27 aprile 2015), s’era comunque formato il giudicato sulle parti della sentenza non impugnate, o comunque non investite dall’ordinanza della S.C., che solo aveva accolto il primo motivo di ricorso già proposto dalla stessa RAGIONE_SOCIALE, rigettando il secondo e il terzo; pertanto, le statuizioni relative alle spese giudiziali, per come liquidate nel giudizio a quo sia in primo che in secondo grado, erano da ritenersi coperte dal giudicato;
lo stesso doveva dirsi della dichiarata risoluzione dei contratti di locazione per inadempimento della società conduttrice, giacché con la pronuncia di legittimità era stato rigettato il terzo motivo del ricorso per cassazione della stessa RAGIONE_SOCIALE, afferente a detta specifica questione; né l’accoglimento del primo motivo con cui era stata censurata la declaratoria di inammissibilità della eccezione di compensazione sollevata dalla società, quanto ai canoni dovuti, in forza dei controcrediti da essa vantati nei confronti della locatrice -poteva in alcun modo incidere sulla dichiarata risoluzione dei contratti, perché la RAGIONE_SOCIALE aveva utilizzato detta eccezione al solo fine di paralizzare il pagamento di quanto eventualmente dovuto, non anche per contrastare la chiesta risoluzione della locazione;
─ detta sentenza venne impugnata, nel 2021, da RAGIONE_SOCIALE con ricorso per cassazione affidato a due motivi, il primo dei quali (nella sostanza ribadendo la tesi dell’inesistenza del titolo esecutivo per il rilascio) ricalcava pienamente il primo dei motivi dedotti a fondamento del ricorso qui in esame, mentre il secondo denunciava, sulle spese, anche la violazione dell’art. 336 cod. proc. civ..
4.2. Con la citata ordinanza n. 12183 del 2023 questa Corte ha accolto entrambi i motivi, sottoponendoli a congiunto esame, non senza aver prima rilevato che, nonostante il giudicato interno formatosi sull’inefficacia del precetto opposto, già dichiarata dal Tribunale di RAGIONE_SOCIALE, perché notificato ante tempus , permaneva l’interesse a ricorrere della società, avendo questa « indubbio interesse alla declaratoria di inesistenza del diritto di procedere ad esecuzione forzata (anche in relazione ad una nuova eventuale intimazione per rilascio dei capannoni in questione) in base alla sentenza della Corte d’appello di Palermo del 27.4.2015, evidentemente spendibile, in caso contrario, con altro precetto ».
Queste, dunque, nel loro nucleo essenziale, le considerazioni svolte sul tema posto dal primo motivo di ricorso:
─ costituisce principio ampiamente ricevuto, nella giurisprudenza di questa Corte, quello secondo cui « la mancata riassunzione del giudizio di rinvio determina, ai sensi dell’art. 393 cod. proc. civ., l’estinzione non solo di quel giudizio ma dell’intero processo, con conseguente caducazione di tutte le sentenze emesse nel corso dello stesso, eccettuate quelle già coperte dal giudicato, in quanto non impugnate » (per tutte, Cass. n. 1680 del 2012);
─ con l’ordinanza n. 7433 del 2017 questa Corte accolse il primo motivo del ricorso, annullando la decisione d’appello perché aveva considerato la questione del controcredito vantato dalla società -posta solo in seno alla memoria integrativa ex art. 426 c.p.c. – come oggetto di domanda riconvenzionale, e quindi inammissibile, anziché come mera eccezione riconvenzionale (e neppure tecnicamente intesa, trattandosi in realtà di controcredito, in tesi, nascente dal medesimo rapporto su cui si fondavano le pretese avversarie);
─ è pur vero che con la stessa ordinanza venne poi respinto il terzo motivo (con cui RAGIONE_SOCIALE aveva a suo tempo denunciato la ‘violazione, falsa applicazione ed errata interpretazione dell’art. 1460 c.c. in combinato disposto con l’art. 1584 c.c.’, da cui in tesi risultava affetta la sentenza della Corte d’appello di Palermo del 27 /4/2015, nella parte in cui si era dichiarata la risoluzione del contratto di affitto), sicché è innegabile che effettivamente è venuto a formarsi, in parte qua , un giudicato parziale, come anche sostenuto dal RAGIONE_SOCIALE controricorrente;
─ una tale statuizione di rigetto, però, coesiste e va coordinata pur sempre con il contemporaneo accoglimento del primo motivo del ricorso da parte di Cass. n. 7433/2017, che invece imponeva al giudice del rinvio di tener conto dell’eccezione di compensazione (benché atecnica) sollevata da RAGIONE_SOCIALE, la cui fondatezza (minimamente valutata dalla stessa Corte territoriale) avrebbe addirittura potuto anche escludere la sussistenza dell’inadempimento
dell’affittuaria, su cui evidentemente la pronuncia risolutoria trovava fondamento; ciò è inequivoco nelle stesse parole della citata ordinanza, là dove si precisa che detta eccezione venne proposta da RAGIONE_SOCIALE « al limitato effetto di paralizzare eventualmente la domanda principale di parte attrice »;
─ pertanto, il giudicato formatosi a seguito del rigetto del terzo motivo del ricorso, nel giudizio a quo , non implica affatto la definitività del capo decisorio circa la risoluzione del contratto inter partes , ma al più di quella parte della sentenza d’appello con cui si era ritenuta infondata l’eccezione di inadempimento del locatore, sollevata dalla conduttrice in relazione a ben determinate specifiche circostanze dalla stessa addotte, ancora valorizzate con lo stesso terzo motivo di ricorso, poi appunto respinto;
─ in altre parole, risulta coperta dal giudicato la statuizione per cui non sussisteva alcun inadempimento agli obblighi contrattuali da parte del RAGIONE_SOCIALE, tale da giustificare l’elisione dell’obbligo di corresponsione dei canoni da parte della conduttrice, che pure aveva continuato a godere degli immobili. In un eventuale nuovo giudizio tra le parti, dunque, solo l’infondatezza di tale eccezione, per come sollevata da RAGIONE_SOCIALE, potrà dirsi coperta dal giudicato, non altro;
─ a piena ragione la società ricorrente sostiene, dunque, che il capo sulla risoluzione del contratto per inadempimento della conduttrice fosse ancora sub iudice , nel giudizio di rinvio, sicché nessun giudicato sulla pronuncia di rilascio può essersi formato sul capo della sentenza con cui -in virtù di detta risoluzione -si condannava RAGIONE_SOCIALE al rilascio dei capannoni; il che comporta che non solo tale pronuncia della sentenza della Corte d’appello isolana del 27/4/2015 non avrebbe comunque potuto sopravvivere all’estinzione del giudizio ex art. 393 c.p.c., ma a ben vedere che essa neppure avrebbe potuto eseguirsi in ogni caso, perché travolta dalla ripetuta ordinanza n.
7433/2017, in forza dell’effetto espansivo ‘interno’ di cui all’art. 336, primo comma, c.p.c.
5. Orbene, non può dubitarsi che, in forza dell’interpretazione fornita degli effetti caducatori della ordinanza della S.C. n. 7433 del 2017, fondata o meno ch’essa sia stata, la statuizione finale resa nella richiamata ordinanza n. 12183 del 2023 ─ ossia l’accertamento della eliminazione dalla realtà giuridica, proprio per effetto della pronuncia cassatoria del 2017, in tutte le sue statuizioni, della sentenza della Corte d’appello di Palermo n. 78 del 2015 (con conseguente inidoneità di quella sentenza a costituire titolo esecutivo) ─ rilevi pienamente e spieghi effetti di giudicato esterno vincolante anche nel presente giudizio, con l’effetto di privare di fondamento il contrario accertamento postulato nella sentenza qui impugnata (quello cioè dell’insensibilità della sentenza n. 78 del 2015 della Corte d’appello di Palermo, nella parte in cui ebbe a dichiarare la risoluzione dei rapporti locativi, agli effetti demolitori di Cass. n. 7433 del 2017, e, dunque, del passaggio in giudicato di quella pronuncia risolutiva) come passaggio logico indefettibile per giungere alla statuizione della insussistenza di un pendente rapporto locativo, suscettibile di trasformazione in rapporto di comodato secondo l’invocata previsione della legge RAGIONE_SOCIALE.
In tal senso è consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, e va qui ribadito, il principio secondo cui « qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe la cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle
che hanno costituito lo scopo ed il petitum del primo » (Cass. Sez. U. n. 13916 del 16/06/2006; v. anche, tra le numerose pronunce successive conformi massimate, Cass. Sez. 3 n. 27013 del 14/09/2022; v. anche, tra le pronunce non massimate sul punto, Cass. Sez. 3 n. 1165 del 17/01/2022; n. 42080 del 30/12/2021).
6. È poi appena il caso di rammentare che, secondo principio pure enunciato nella citata pronuncia delle Sezioni Unite del 2006, « nel giudizio di cassazione, l’esistenza del giudicato esterno è, al pari di quella del giudicato interno, rilevabile d’ufficio, non solo qualora emerga da atti comunque prodotti nel giudizio di merito, ma anche nell’ipotesi in cui il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata. Si tratta infatti di un elemento che non può essere incluso nel fatto, in quanto, pur non identificandosi con gli elementi normativi astratti, è ad essi assimilabile, essendo destinato a fissare la regola del caso concreto, e partecipando quindi della natura dei comandi giuridici, la cui interpretazione non si esaurisce in un giudizio di mero fatto. Il suo accertamento, pertanto, non costituisce patrimonio esclusivo delle parti, ma, mirando ad evitare la formazione di giudicati contrastanti, conformemente al principio del ne bis in idem , corrisponde ad un preciso interesse pubblico, sotteso alla funzione primaria del processo, e consistente nell’eliminazione dell’incertezza delle situazioni giuridiche, attraverso la stabilità della decisione. Tale garanzia di stabilità, collegata all’attuazione dei principi costituzionali del giusto processo e della ragionevole durata, i quali escludono la legittimità di soluzioni interpretative volte a conferire rilievo a formalismi non giustificati da effettive e concrete garanzie difensive, non trova ostacolo nel divieto posto dall’art. 372 cod. proc. civ., il quale, riferendosi esclusivamente ai documenti che avrebbero potuto essere prodotti nel giudizio di merito, non si estende a quelli attestanti la successiva formazione del giudicato; questi ultimi,
d’altronde, comprovando la sopravvenuta formazione di una regula iuris alla quale il giudice ha il dovere di conformarsi in relazione al caso concreto, attengono ad una circostanza che incide sullo stesso interesse delle parti alla decisione, e sono quindi riconducibili alla categoria dei documenti riguardanti l’ammissibilità del ricorso. La produzione di tali documenti può aver luogo unitamente al ricorso per cassazione, se si tratta di giudicato formatosi in pendenza del termine per l’impugnazione, ovvero, nel caso di formazione successiva alla notifica del ricorso, fino all’udienza di discussione prima dell’inizio della relazione; qualora la produzione abbia luogo oltre il termine stabilito dall’art. 378 cod. proc. civ. per il deposito delle memorie, dovendo essere assicurata la garanzia del contraddittorio, la Corte, avvalendosi dei poteri riconosciutile dall’art. 384 cod. proc. civ.,, comma 3, nel testo modificato dal d.lgs. n. 40 del 2006, deve assegnare alle parti un opportuno termine per il deposito in cancelleria di eventuali osservazioni » (v. anche, e pluribus , Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1883 del 27/01/2011).
Nel caso di specie, anzi, essendosi il giudicato esterno fra le stesse parti formato, come detto, a seguito di ordinanza della Corte di cassazione, i poteri cognitivi del giudice possono pervenire alla cognizione della precedente pronuncia anche prescindendo dalle allegazioni delle parti e facendo ricorso, se necessario, a strumenti informatici e banche dati elettroniche (Cass. n. 29923 del 30/12/2020; n. 8614 del 15/04/2011).
Discende dunque dalle superiori considerazioni che, in accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio al giudice a quo perché valuti nuovamente la fondatezza della domanda in primo grado proposta da RAGIONE_SOCIALE in liquidazione.
Al riguardo, dovendo dunque darsi per acquisito e irretrattabile l’accertamento negativo della risoluzione di quei rapporti locativi e
dunque , per converso, l’accertamento positivo della loro pendenza al momento della entrata in vigore della invocata legge RAGIONE_SOCIALE, dovrà il giudice di rinvio valutare la sussistenza nella fattispecie concreta degli altri presupposti richiesti da detta fonte normativa per l’ottenimento della chiesta trasformazione dei rapporti .
Al giudice di rinvio va anche demandato il regolamento delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo nei termini di cui in motivazione; dichiara assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto; rinvia la causa ad altra Sezione della Corte d’appello di Palermo, comunque in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche al regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità.
Si dà atto che il Presidente del Collegio ha sostituito come estensore il Cons. COGNOME al relatore Cons. COGNOME.
Così deciso, a seguito di riconvocazione, nella Camera di consiglio