Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 21372 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 21372 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8776/2023 R.G. proposto da : COGNOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t., domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME
-controricorrente-
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante p.t., domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME
-controricorrente-
Avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di FIRENZE n. 2402/2022 depositata il 26/04/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 09/05/2025 dalla Consigliera NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. La presente controversia origina dalla scrittura privata stipulata il 25 luglio 1991 tra la RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME avente ad oggetto un contratto preliminare di compravendita relativo alla metà di un fabbricato, al prezzo di lire 75 milioni, con previsione di stipula del definitivo entro il 31 dicembre 1993. Nel 1999, il COGNOME sollecitava la conclusione del definitivo, ricevendo però il rifiuto della RAGIONE_SOCIALE, che eccepiva la nullità del preliminare per mancata allegazione del certificato di destinazione urbanistica, richiesto dall’art. 18 della legge n. 47/1985. Nel 2003, COGNOME conferiva l’intero immobile alla RAGIONE_SOCIALE, in sede di aumento di capitale. Nel 2004, COGNOME conveniva in giudizio il COGNOME (RG n. 2047/04), chiedendo la declaratoria di nullità della scrittura; il convenuto proponeva domanda riconvenzionale ex art. 2932 c.c., riunita a un parallelo giudizio (RG n. 4011/04) promosso per la medesima finalità. Nel 2008, COGNOME proponeva il presente giudizio (RG n. 13955/08),
agendo in revocatoria ex art. 2901 c.c. contro l’atto di conferimento dell’immobile da Brugi a Philia, deducendo che esso era stato compiuto in frode ai propri diritti derivanti dall’inadempimento del preliminare. Nel 2009, il Tribunale di Firenze accoglieva la domanda di Brugi e dichiarava la nullità della scrittura per carenza del certificato urbanistico; la decisione veniva confermata dalla Corte d’appello di Firenze con sentenza n. 1123/2016, passata in giudicato. Nel corso del presente giudizio, COGNOME depositava un atto di convalida della scrittura ai sensi dell’art. 30, comma 4bis, del d.P.R. n. 380/2001, deducendo l’avvenuta sanatoria del vizio formale mediante produzione postuma del certificato urbanistico e ribadendo la validità del preliminare quale titolo fondante la propria pretesa creditoria. Nelle more, i giudizi riuniti n. 2047/04 e n. 4011/04 venivano definiti con sentenza del Tribunale di Firenze che, nel 2009, accoglieva la domanda attorea e dichiarava la nullità della scrittura privata per mancata allegazione del certificato di destinazione urbanistica, ai sensi dell’art. 18 della legge n. 47/1985. La pronuncia veniva confermata dalla Corte d’appello di Firenze con sentenza n. 1123/2016, divenuta definitiva.
Il Tribunale di Firenze rigettava la domanda revocatoria.
Con sentenza n. 2402/2022 del 26 ottobre 2022, la Corte d’appello di Firenze confermava la decisione impugnata, rilevando che il sig. COGNOME pur essendo a conoscenza, sin dal 2004, della tesi difensiva di controparte circa la natura definitiva e la nullità della scrittura del 1991, e pur avendo la possibilità di sanare tale nullità sin dal 2005, aveva omesso di farlo nel giudizio conclusosi con sentenza passata in giudicato.
La Corte territoriale riteneva che l’attore avrebbe potuto trarre utilità dall’integrazione documentale solo previa modifica della domanda originaria, da esecuzione in forma specifica ex art. 2932 c.c. ad azione fondata sull’obbligo di immissione nel godimento del
bene, con conseguente rimodulazione del danno subito e, quindi, del credito azionato in via revocatoria. Al contrario, il COGNOME aveva continuato a qualificare la scrittura del 1991 come preliminare e non come contratto definitivo.
In tale contesto, la Corte riteneva preclusa l’azione revocatoria dall’intervenuto giudicato sulla nullità del contratto, sancito con la sentenza della Corte d’appello di Firenze n. 1123/2016, rilevando che l’attore avrebbe dovuto dedurre la convalida del contratto nel giudizio in cui la nullità era stata accertata, impedendo il formarsi di tale giudicato. Osservava, infine, che il COGNOME, pur essendo a conoscenza sin dal 2004 della ricostruzione giuridica di controparte e disponendo dal 2005 dello strumento previsto dalla legge n. 246/2005 per sanare il vizio, aveva atteso la definizione del giudizio con sentenza sfavorevole prima di attivarsi in tal senso.
Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito il COGNOME propone ora ricorso per cassazione affidato a tre motivi illustrati da memoria.
Resistono con separati controricorsi la società RAGIONE_SOCIALE e la società RAGIONE_SOCIALE che hanno entrambe depositato anche memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
4.1. Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 99, 101, 112, 132, comma 2, n. 4, 276 c.p.c., nonché degli artt. 1362 ss., 2901 e 2909 c.c., in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c.
Il ricorrente deduce la violazione dell’ordine logico -giuridico nell’esame delle domande, lamentando che la Corte d’appello abbia esaminato prioritariamente la domanda risarcitoria, relegando in secondo piano l’azione revocatoria ex art. 2901 c.c., che costituiva invece la domanda principale e logicamente presupposta.
Censura, in particolare, la motivazione della sentenza nella parte in cui, ritenuta intangibile -per effetto del giudicato -la nullità del
contratto preliminare del 1991, ha affermato la validità dell’atto di conferimento del 2003, omettendo tuttavia di verificare se tale atto, pur valido sotto il profilo formale, potesse essere dichiarato inefficace nei confronti del creditore in presenza dei presupposti dell’azione revocatoria.
Assume che la Corte territoriale, pur avendo accertato la validità dell’atto dispositivo, abbia omesso ogni valutazione circa la sua eventuale inefficacia relativa, incorrendo così in un vizio di omessa pronuncia e nella violazione dell’art. 112 c.p.c., per mancata corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato.
4.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 99, 112, 183 e 324 c.p.c., nonché dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 12 della legge 28 novembre 2005, n. 246, in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, c.p.c.
Il ricorrente censura la statuizione con cui la Corte d’appello ha attribuito efficacia vincolante, anche nel presente giudizio, al giudicato formatosi nel precedente contenzioso definito con sentenza della Corte d’appello di Firenze n. 1123/2016, che aveva dichiarato la nullità della scrittura del 1991 per mancata allegazione del certificato di destinazione urbanistica, ai sensi dell’art. 18 della legge n. 47/1985.
Deduce che tale valutazione risulterebbe erronea, in quanto la società RAGIONE_SOCIALE destinataria del conferimento dell’immobile e parte evocata nell’ambito del presente giudizio revocatorio, non aveva partecipato al precedente giudizio, conclusosi con la pronuncia su cui si fonda il giudicato.
Sostiene, pertanto, che l’efficacia del giudicato formatosi tra COGNOME e COGNOME non potrebbe estendersi a soggetti terzi rimasti estranei al relativo processo, sicché la sentenza del 2016 non poteva essere legittimamente assunta quale presupposto logico-giuridico della decisione adottata nel presente giudizio.
4.3. Con il terzo motivo, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 294 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, c.p.c., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto irrituale la produzione della dichiarazione di convalida della scrittura del 25 luglio 1991, per non essere stata preceduta da istanza di rimessione in termini.
Assume che tale conclusione si fondi su un presupposto giuridicamente errato, in quanto la rimessione in termini non sarebbe imposta dalla legge nei casi in cui il documento, ancorché tardivamente prodotto, sia stato comunque acquisito dal giudice di primo grado all’udienza di precisazione delle conclusioni, senza rilievi di inammissibilità.
Deduce, pertanto, che la Corte d’appello, nel ritenere inammissibile la produzione per mancata istanza di rimessione in termini, abbia violato l’art. 294 c.p.c. e trascurato che l’acquisizione da parte del Tribunale escludeva, implicitamente, la necessità di tale istanza, non potendo il giudice accogliere un documento tardivo senza previamente valutarne l’ammissibilità.
I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati in quanto connessi, sono inammissibili.
Il ricorso, infatti, non soddisfa il requisito dell’esposizione sommaria dei fatti di causa, prescritto dall’art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c., quale elemento essenziale di contenutoforma. L’omessa o insufficiente esposizione dei fatti impedisce alla Corte di avere diretta e autonoma cognizione sia del fatto sostanziale che di quello processuale, non potendosi supplire mediante il rinvio ad atti o alla sentenza impugnata (cfr. Cass., Sez. Un., 18 maggio 2006, n. 11653; Cass., Sez. Un., 26 febbraio 2003, n. 2602).
Inoltre, i motivi difettano della specifica indicazione degli atti e dei documenti rilevanti, imposta dall’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., poiché il ricorrente non ha riprodotto né indicato in modo puntuale il contenuto delle produzioni documentali e processuali su cui fonda
le proprie censure, impedendo così ogni valutazione in ordine alla loro decisività.
Le doglianze si risolvono, peraltro, in una inammissibile richiesta di riesame del merito, mediante rivalutazione delle risultanze istruttorie, in contrasto con la funzione del giudizio di legittimità. Come affermato da consolidata giurisprudenza di questa Corte, la deduzione del vizio di violazione di legge postula un errore nell’individuazione o nell’interpretazione della norma applicabile, e non può essere surrogata dalla contestazione della ricostruzione fattuale operata dal giudice di merito (Cass. n. 11892/2016; Cass. n. 8753/2017).
Nel caso di specie, le censure mosse dal ricorrente attengono non alla corretta individuazione della norma applicabile, bensì alla ricostruzione della fattispecie concreta sulla base delle risultanze istruttorie, valutazione che rientra nell’esclusiva competenza del giudice di merito e che è, per sua natura, insindacabile in sede di legittimità, se sorretta da motivazione congrua, logica e immune da vizi rilevanti ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. (v., Cass. civ., Sez. III, Ord., 23 febbraio 2024, n. 4955; Cass. civ., Sez. III, Ord., 6 febbraio 2024, n. 3399; Cass. civ., Sez. I, Ord., 15 gennaio 2024, n. 1398; Cass. civ., Sez. I, Ord., 3 novembre 2023, n. 30660; Cass. civ., Sez. I, Ord., 10 ottobre 2023, n. 28369; Cass. civ., Sez. I, Ord., 18 agosto 2023, n. 24820; Cass. civ., Sez. lav., 25 luglio 2023, n. 22391; Cass. civ., Sez. V, Ord., 7 giugno 2023, n. 16134).
5.1. Con particolare riferimento al primo motivo va d’altro canto osservato che la tesi difensiva sostenuta dal ricorrente in sede di merito era imperniata sull’efficacia sanante dell’atto di conferma stipulato il 2 febbraio 2017, in relazione alla scrittura privata del 1991. Secondo il ricorrente, tale atto -intervenuto anteriormente al passaggio in giudicato della sentenza della Corte d’appello di Firenze (13 giugno 2017), che aveva dichiarato la nullità del
contratto -avrebbe prodotto effetto convalidante, sanando il vizio formale originario. Il COGNOME assumeva, inoltre, che l’atto era stato tempestivamente prodotto alla prima udienza utile, con conseguente dovere del giudice di ammetterlo, anche mediante implicita rimessione in termini.
La corte di merito ha tuttavia disatteso tale ricostruzione, rilevando che l’acquisizione dell’atto di conferma non avrebbe potuto produrre alcuna utilità processuale, atteso che il riconoscimento della validità della scrittura come contratto definitivo -e non più come preliminare -avrebbe determinato un radicale mutamento del petitum e della causa petendi della domanda originariamente proposta ex art. 2932 c.c., rimasta immutata sino alla precisazione delle conclusioni.
La corte territoriale ha al riguardo osservato che tale mutamento avrebbe implicato una trasformazione del titolo creditorio posto a fondamento dell’azione revocatoria: non più il diritto alla stipula del contratto definitivo e alla sua esecuzione in forma specifica, ma un preteso diritto al godimento del bene già trasferito, con conseguente mutamento della posizione creditoria allegata.
Pertanto, il giudice d’appello ha correttamente escluso la possibilità di esaminare nel merito l’azione ex art. 2901 c.c., rilevando l’assenza di corrispondenza tra il credito dedotto e il pregiudizio lamentato, in difetto di una puntuale allegazione del titolo e delle ‘ragioni’ creditorie, come richiesto dalla norma per l’ammissibilità dell’azione.
5.2. Anche in relazione al secondo motivo va innanzitutto rilevato come esso si ponga in contraddizione logica con il primo motivo di ricorso, nel quale lo stesso ricorrente assume, come presupposto incontestabile, che la scrittura del 1991 costituisca un contratto definitivo di compravendita, sul rilievo che tale qualificazione risulterebbe ormai coperta da giudicato. Con il secondo motivo, viceversa, si contesta proprio l’efficacia vincolante di tale giudicato
nel presente giudizio, determinandosi così un’inammissibile contraddittorietà logica nell’articolazione delle censure.
5.3. La censura proposta con il terzo motivo è inammissibile sotto un duplice profilo.
Anzitutto, essa risulta nuova in sede di legittimità, atteso che, come emerge dalla stessa sentenza impugnata (cfr. pag. 6), la questione era stata prospettata dall’appellante unicamente in termini di tempestività della produzione dell’atto di conferma, sostenendone l’ammissibilità per essere stato depositato alla prima udienza utile. Solo in questa sede di legittimità, invece, il ricorrente deduce la necessità (o meno) di una previa istanza di rimessione in termini, configurando così un tema non previamente introdotto nel giudizio di merito.
Inoltre, il motivo è inammissibile perché si fonda su una ricostruzione incompatibile con la ratio decidendi della sentenza impugnata. La Corte d’appello ha infatti affermato che, quand’anche si ritenesse efficace la convalida dell’atto del 2 febbraio 2017, tale evenienza non condurrebbe all’accoglimento delle domande proposte, essendo queste -sin dall’origine fondate su un diverso assetto negoziale. In particolare, COGNOME ha costantemente agito per ottenere una pronuncia ex art. 2932 c.c. sull’inadempimento dell’obbligo di trasferimento derivante da un contratto preliminare. Tuttavia, l’intervenuto giudicato ha definitivamente qualificato l’atto del 1991 come contratto definitivo di compravendita. Ne consegue che l’azione ex art. 2901 c.c. non risulta più sorretta dal credito inizialmente dedotto, risultando priva del presupposto fondamentale di cui all’art. 2901, comma 1, c.c., ovvero l’esistenza di una ‘ragione’ di credito effettiva e persistente.
Il motivo risulta dunque privo di incidenza sull’esito della controversia, e va disatteso per irrilevanza logico-giuridica rispetto alla decisione adottata.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo in favore di ciascuna delle controricorrenti, seguono la soccombenza.
Va altresì disposta la condanna del ricorrente al pagamento di somme ex art. 96, 3° comma, c.p.c., liquidate come in dispositivo, ricorrendone i presupposti di legge.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore di ciascuna delle controricorrenti: delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi euro 17.200,00, di cui euro 17.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge; della somma di euro 17.000,00 ex art. 96, 3° co., c.p.c.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis del citato art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza