Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 29021 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 29021 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/11/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 24601/2021 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE), con sede in Modena, alla INDIRIZZO, in persona del procuratore AVV_NOTAIO, rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al ricorso, dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, presso il cui studio elettivamente domicilia in Roma, alla INDIRIZZO.
-ricorrente e controricorrente incidentale contro
RAGIONE_SOCIALE, con sede in Roma, alla INDIRIZZO, in persona del legale rappresentante pro tempore NOME COGNOME, rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al controricorso, dall’AVV_NOTAIO, presso il cui indirizzo di posta elettronica certificata (EMAIL) elettivamente domicilia.
-controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la SENTENZA, n. cron. 2303/2021, depositata dalla CORTE D’APPELLO DI BOLOGNA in data 02/09/2021. udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del giorno
22/10/2025 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE e poi divenuta RAGIONE_SOCIALE) ottenne dal Tribunale di Bologna una ingiunzione di pagamento, provvisoriamente esecutiva, nei confronti di RAGIONE_SOCIALE (debitrice principale) e NOME COGNOME (fideiussore), per la somma di € 558.964,11, oltre interessi, invocata quale esposizione debitoria del rapporto di conto corrente n. 01/012/1502 dalla prima intrattenuto con la menzionata società.
Con citazione unica notificata il 3 luglio 2013, gli ingiunti proposero opposizione avverso quel decreto, ex art. 645 cod. proc. civ., chiedendone, preliminarmente, la sospensione dell’efficacia esecutiva. Quanto al merito, dedussero, anche in via riconvenzionale, la nullità del contratto di conto corrente, per omessa pattuizione scritta di tutte le condizioni economiche del rapporto (interessi ultralegali ed anatocistici, commissioni e spese di varia natura), e contestarono l’addebito di illeciti interessi usurari. Venne lamentata, inoltre, la violazione degli artt. 27, 28 e 29 del Reg. RAGIONE_SOCIALE n. 11522/98, nonché l’operatività in conflitto d’interesse, la mancanza d’adeguatezza delle operazioni d’investimento e, dunque, la negligente esecuzione del mandato di gestione patrimoniale n. 20010 concluso con contratto del 24 maggio 1999, in forza del quale la RAGIONE_SOCIALE aveva conferito ad RAGIONE_SOCIALE l’incarico di gestire, su base individuale, il proprio patrimonio di oltre sei milioni di euro e che la mala gestio della banca aveva quasi integralmente dissipato. Chiesero, pertanto, la condanna di quest’ultima al risarcimento di tutti danni patiti, liquidati nella misura sia delle perdite subite a titolo di danno emergente sia delle somme perdute quali mancati guadagni, a titolo di lucro cessante, oltre interessi e rivalut azione dal dovuto al saldo, ed ammontanti, quantomeno, ad €
4.475.572,00, o al maggiore o minore importo da accertarsi in corso di causa. Fu eccepita, inoltre, la invalidità della fideiussione omnibus prestata dal COGNOME, perché carente della indicazione dell’importo massimo garantito, altresì sottolineandosi che mai la banca aveva presentato tempestive istanze contro la debitrice principale, così dovendosi considerare decaduta dalla garanzia ex art. 1957 cod. civ.
Costituitasi RAGIONE_SOCIALE, che contestò interamente le avverse pretese, il giudizio fu interrotto, per il sopravvenuto fallimento di RAGIONE_SOCIALE, e riassuntol da COGNOME con ricorso notificato anche alla curatela fallimentare che, però, non si costituì, mentre lo fece nuovamente la banca.
Successivamente, dopo l’intervenuta revoca del suddetto fallimento, divenuta definitiva il 22 gennaio 2015, RAGIONE_SOCIALE, tornata in bonis , con comparsa di costituzione in prosecuzione del 16 marzo 2015, si costituì riportandosi integralmente a tutte le domande, eccezioni e deduzioni già ritualmente svolte nell’atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo.
Espletata l’istruttoria, nel corso della quale fu disposta ed e ffettuata una consulenza tecnica di ufficio contabile, l’adito Tribunale di Bologna, con sentenza del 25 luglio 2019, n. 1766, così dispose: « Accoglie l’opposizione e, per l’effetto, revoca il decreto ingiuntivo opposto; condanna RAGIONE_SOCIALE al pagamento, in favore di RAGIONE_SOCIALE, di € 148.796,1 0, oltre interessi legali dalla domanda al saldo; accoglie la domanda riconvenzionale e, per l’effetto, condanna RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE pagamento, in favore di RAGIONE_SOCIALE, dell’importo di € 1.185.259,66 a titolo di risarcimento danni, oltre interessi legali dalla presente sentenza al saldo. Condanna l’opposta al pagamento del 70% delle spese di lite a favore degli opponenti i n solido che liquida, per l’intero, in € 35.000,00 per compensi e in € 1.493,00 per spese, oltre a spese generali, iva e c.p.a. come per legge, compensando le restanti spese di lite ». Ancorché omettendo la corrispondente statuizione in dispositivo, il tribunale dichiarò anche la nullità della fideiussione contratta dal COGNOME per la mancata predeterminazione dell’importo massimo garantito.
2. Pronunciando sui gravami, principale ed incidentale, promossi contro quella decisione, rispettivamente, da RAGIONE_SOCIALE e da RAGIONE_SOCIALE, l’adita Corte di appello di Bologna, con sentenza del 2 settembre 2021, n. 2303, così dispose: « In accoglimento dell’appello incidentale ed in parziale riforma della sentenza n. 1766 del 25 luglio 2019 emessa dal Tribunale di Bologna, condanna RAGIONE_SOCIALE a pagare a RAGIONE_SOCIALE euro 2.975.410,02, oltre agli interessi legali dalla data della sentenza di primo grado (22 luglio 2019); rigetta l’appello principale proposto avverso la sentenza predetta; dichiara compensate per il 20% le spese dei due gradi di giudizio e condanna RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE s.p.a. a rifondere in solido a RAGIONE_SOCIALE ed a NOME COGNOME le spese predette, che liquida per l’intero in € 35.000,00 per onorari ed in € 1.493,00 per esborsi quanto al primo ed in euro 25.367,00 quanto al secondo grado, oltre al rimborso forfettario delle spese in ragione del 15%, oltre alla c.p.a. ed all’iva, se dovuta; pone a carico di RAGIONE_SOCIALE il 20% delle spese di c.t.u., come liquidate dal primo giudice con decreto del 14 dicembre 2017 e per il residuo 80% a carico di RAGIONE_SOCIALE ».
Per quanto qui ancora di interesse, quel giudice: i ) disattese l’eccezione con cui l’appellante principale aveva contestato al tribunale di avere omesso di rilevare d’ufficio l’estinzione del giudizio e la tardività della comparsa ex art. 166 e 302 cod. proc. civ. depositata da RAGIONE_SOCIALE, con la conseguenza che le domande riconvenzionali di risarcimento non avrebbero potuto trovare ingresso nel giudizio di primo grado, né accoglimento, in quanto quella comparsa, depositata il 16 marzo 2015, non poteva essere in alcun modo considerata come un atto in prosecuzione dell’attività svolta prima dell’interruzione. Osservò, in proposito, che, « A seguito dell’interruzione del processo, la parte colpita dall’evento interruttivo , che non si costituisca in sede di riassunzione, va dichiarata contumace, ma tale contumacia non implica alcun abbandono delle domande da lei già precedentemente formulate (per tutte Cass. n. 26372/2014). Pertanto, venuto meno il fallimento, l’ ex fallito può costituirsi e proseguire il giudizio nello stato in cui si trova, non comportando la chiusura della procedura
concorsuale alcuna successione nel processo, ma solo il riacquisto della capacità d’agire della parte già colpita da tale evento. In conclusione, quando la RAGIONE_SOCIALE tornata in bonis si costituì in primo grado con la comparsa depositata il 16 marzo 2015 (entro tre mesi dal 19 gennaio 2015, data di iscrizione della sentenza di revoca del fallimento nel registro delle imprese, passata in giudicato il 22 gennaio 2015), non fece altro che coltivare le domande che essa stessa aveva proposto al momento iniziale della lite e che non furono proseguite dalla curatela in sede di riassunzione, nonostante la notifica del ricorso per riassunzione anche al curatore »; ii ) condivise il rilievo del c.t.u. secondo cui l’unica linea di gestione doveva essere quella prevista nel contratto del 24 maggio 1999, denominata ‘ Bilanciata 20 ‘, da ciò traendosi la conseguenza « che le perdite patrimoniali derivate a seguito degli ingiustificati scostamenti di gestione (ossia dal mancato rispetto del benchmark ) dovessero essere poste a carico della banca, in ragione del suo inadempimento, detratta quella parte, pari al 20%, corrispondente alla quota azionaria del paniere di titoli che legittimamente avrebbe potuto comporre il portafoglio della cliente. Il tutto è ben rappresentato nell’allegato n. 14 alla c.t.u., nel quale viene indicata nella colonna ‘F’ la perdita determinata dal c.t.u. e riferibile a titoli azionari, warrant e quote di fondi comuni eccedente il predetto 20% »; iii ) considerò sussistente il nesso causale tra perdite e gestione del patrimonio, negato invece dalla banca appellante principale. Spiegò, infatti, che il c.t.u. ha ben chiarito « che la perdita, oltre ad essere stata generata per la gran parte dai titoli azionari RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE ed RAGIONE_SOCIALE è stata ricostruita prendendo in considerazione le sole minusvalenze delle azioni, dei warrant azionari e delle quote di Oicr per la quota parte superiore al 20% del patrimonio investito, che è la percentuale entro la quale dovevano essere mantenuti i predetti valori mobiliari. Sicché il fatto che le perdite siano state generate dai maggiori acquisiti di tali titoli, più che una presunzione appare un dato di fatto comprovato dalla semplice lettura dell’allegato n. 14 della c.t.u., nel quale sono ben visibili i maggiori acquisti eseguiti senza l’osservanza del benchmark e le minusvalenze da essi derivate. Del resto, deve anche osservarsi che il benchmark , se anche non impone al gestore di
acquistare titoli nelle proporzioni indicate, costituisce un modo per valutare la razionalità e l’adeguatezza dell’attività dell’intermediario, per cui, ove la gestione sia risultata in contrasto con il predetto parametro e, quindi, con i rischi contrattualmente assunti dagli investitori, l’intermediario risponde delle perdite che gli stessi abbiano, per l’effetto, subìto (Cass. 23568/2020, con menzione di altri precedenti) »; iv ) escluse che il danno invAVV_NOTAIO da RAGIONE_SOCIALE fosse riconducibile anche al lamentato conflitto di interessi dell’intermediario ed alla carenza di informazioni che la banca avrebbe dovuto fornire in ordine alla gestione, mentre condivise la doglianza della menzionata società che aveva rimproverato alla banca di aver investito gran parte del suo patrimonio in pochi titoli (RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE) che ebbero perdite molto rilevanti. Opinò, infatti, che « Questa condotta di investimento costituisce violazione della norma di comportamento prevista dall’art. 21 Tuf, lettera a), in quanto è nozione di comune esperienza che la concentrazione di un rilevante investimento (come quello effettuato per conto di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE) in pochi valori mobiliari integri un comportamento negligente, che non tutela ‘al meglio l’interesse dei clienti’, post o che esso comporta un rischio molto maggiore rispetto ad un collocamento caratterizzato dalla diversificazione, ossia dall’impiego di plurime ma modeste somme in una molteplicità di titoli »; v ) negò che il danno, come liquidato, potesse essere ridotto a causa del concorso di colpa del creditore. Osservò, in proposito, che detto concorso « ricorre ove il creditore si sia volontariamente esposto ad un rischio, o, comunque, abbia avuto la consapevolezza di porsi in una situazione da cui consegua la probabilità che si produca a proprio danno un evento pregiudizievole o, quanto meno, l’inosservanza delle comuni regole di prudenza (Cass. 17333/2015, con menzione di altri precedenti). Ora, nella presente fattispecie era la banca ad avere la facoltà di acquisto, di mantenimento e di vendita dei titoli del portafoglio, mentre non risulta in causa che RAGIONE_SOCIALE o il COGNOME abbiano dato disposizioni vincolanti di acquisto o di conservazione dei valori mobiliari causativi del danno. Sicché non è dato com prendere perché l’investitore debba essere ritenuto colpevole della perdita patrimoniale che la banca stessa, agendo nel
rispetto dell’art. 21 Tuf, doveva autonomamente evitare, senza che i rendiconti resi a RAGIONE_SOCIALE e non contestati potessero comunque mandare esente l’intermediario dall’agire conformemente al principio espresso dal citato art. 21 Tuf »; vi ) quantificò il danno da riconoscersi a RAGIONE_SOCIALE in base alle risultanze della c.t.u., la quale aveva dato atto « che le perdite complessivamente verificatesi per effetto dello scostamento dal benchmark e per l’investimento non sufficientemente differenziato in valori mobiliari, mantenuti per anni nonostante le perdite registrate, è pari ad euro 2.560.973,54. Tale somma va rivalutata e incrementata degli interessi nella stessa proporzione adottata dal giudice di primo grado (16,1828%) e non contestata da alcuna parte, giungendosi così all’importo di euro 2.975.410,02 alla data del 22 luglio 2019 (data di deliberazione della sentenza appellata). Su tale cifra decorreranno gli interessi dal 23 luglio 2019, come statuito dal primo giudice »; vii ) escluse il lucro cessante dal perimetro del danno risarcibile, atteso che « l’investimento in prodotti meno rischiosi, che RAGIONE_SOCIALE avrebbe potuto effettuare al posto di quelli posti in essere da RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, non sembra ricollegabile in modo immediato e diretto (art. 1223 c.c.) alla condotta dell’azienda intermediaria, poiché tale diverso impiego dipendeva, in tutta evidenza, da scelte opinabili della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, non identificabili a priori . Deve poi osservarsi che anche il guadagno prospettato da ll’appellante incidentale e ricavabile dal preteso diverso impegno delle somme non era quantificabile se non col ‘senno di poi’ »; viii ) negò il risarcimento invAVV_NOTAIO da RAGIONE_SOCIALE per l’avvenuta sua segnalazione in RAGIONE_SOCIALE rischi. Rimarcò, infatti, che « Il c/c della RAGIONE_SOCIALE, nonostante l’esclusione degli interessi e degli altri oneri non dovuti, era comunque passivo per euro 148.796,10 e tale passività rendeva obbligatoria la segnalazione in RAGIONE_SOCIALE rischi, considerato che la RAGIONE_SOCIALE si trovava in una situazione economico-patrimoniale negativa, che, anche se non equivalente all’insolvenza (art. 5 legge fallimentare), era caratterizzata dalla oggettiva difficoltà di recupero del credito (Cass. 15609/2014). Su tale situazione non influiva il controcredito della RAGIONE_SOCIALE accertato
con la sentenza di primo grado e nella presente sede, posto che esso era contestato, oggettivamente controvertibile e di non agevole RAGIONE_SOCIALE. Peraltro, giova anche segnalare che nella presente fattispecie la società segnalata ha del tutto omesso di allegare e provare gli elementi costitutivi del suo diritto, come specificamente indicati da Cass. n. 13264/2020 »; ix ) considerò, infine, che la parziale reciproca soccombenza, determinata dall’integrale rigetto dell’appello principale e dall’accoglimento solo parziale di quello incidentale, consentisse la compensazione parziale delle spese dei due gradi di giudizio, « che può essere quantificata nella misura del 20%, tenuto conto della maggiore somma qui attribuita a parte appellante rispetto a quella riconosciuta in primo grado », ponendone il residuo a carico della banca appellante principale e disponendo allo stesso modo con riguardo alle spese della espletata c.t.u.
Per la cassazione di questa sentenza RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE) ha promosso ricorso affidato a cinque motivi. Ha resistito, con controricorso, RAGIONE_SOCIALE in RAGIONE_SOCIALE, contestualmente proponendo ricorso incidentale recante cinque motivi, a sua volta resistito da RAGIONE_SOCIALE con controricorso ex art. 371, comma 4, cod. proc. civ. Sono state depositate memorie ex art. 380bis .1 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I formulati motivi del ricorso principale di RAGIONE_SOCIALE denunciano, rispettivamente, in sintesi:
« Violazione e falsa applicazione ex art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., dell’art. 81 c.p.c. in punto di difetto di legittimazione attiva del garante sig. NOME COGNOME rispetto alle domande risarcitorie relative al rapporto di gestione ». Si contesta alla corte di appello di non aver « rilevato d’ufficio che il garante, sig. COGNOME, difettava chiaramente di legittimazione attiva rispetto alle deduzioni e domande risarcitorie che RAGIONE_SOCIALE aveva proposto nel giudizio di primo grado rispetto al rapporto di gestione patrimoniale intercorso unicamente fra la medesima e la RAGIONE_SOCIALE, e che, pertanto, la riassunzione del processo interrotto proposta dal sig. COGNOME avrebbe dovuto essere limitata alle sole domande afferenti al conto
corrente per il quale il medesimo si era costituito garante. . La questione è di preminente importanza, in quanto ha determinato l’ulteriore conseguente errore della Corte territoriale, per aver ritenuto che nel processo di primo grado riassunto dal sig. COGNOME potessero costituire oggetto di accertamento anche le domande risarcitorie relative al rapporto di gestione intercorso fra RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, mentre il processo riassunto in primo grado, proprio in quanto proseguito per impulso del solo garante, avrebbe dovuto vertere unicamente sulle domande per le quali il ricorrente sig. COGNOME era legittimato attivo, ossia esclusivamente quelle relative al rapporto di conto corrente di cui era garante e al contratto di fideiussione »;
II) « (segue) – Violazione e falsa applicazione ex art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., dell’art. 305 c.p.c. in punto estinzione del giudizio di primo grado nei confronti di RAGIONE_SOCIALE rispetto alle domande aventi ad oggetto il rapporto di gestione ». Si lamenta nuovamente -quale conseguenza del precedente primo motivo di ricorso -l’omessa declaratoria di estinzione del giudizio relativamente alle domande risarcitorie vertenti sul rapporto di gestione patrimoniale, posto che RAGIONE_SOCIALE non aveva tempestivamente riassunto il processo dopo la sua interruzione ma era rimasta contumace: processo che, dunque, nella sua prosecuzione, aveva avuto ad oggetto solo le domande afferenti al rapporto di conto corrente, le uniche ad essere state legittimamente avanzate dal COGNOME;
III) « Violazione e falsa applicazione, ex art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c. dell’art. 1223 c.c., per omessa considerazione delle effettive perdite verificatesi nella gestione patrimoniale ». Si censura la sentenza impugnata nella parte in cui, riformando la decisione di primo grado, ha condannato la RAGIONE_SOCIALE a risarcire alla RAGIONE_SOCIALE una perdita quantificata in modo palesemente errato e, soprattutto, in evidente violazione del principio generale di cui all’art. 1223 cod. civ., perché quella riscont rata dalla c.t.u. non aveva tenuto conto delle effettive perdite di gestione, che secondo la RAGIONE_SOCIALE sarebbero state liquidabili tutt’al più nella minor somma di € 1.089.393,00, mentre quelle accertate in corso di causa avevano fatto
riferimento solo allo scostamento dal benchmark e dalla linea di gestione concordata;
IV) « Violazione e falsa applicazione, ex art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., degli artt. 23 TUF e 1218 c.c. in punto di errata valutazione della sussistenza del nesso causale tra inadempimento e danno ». Si critica nuovamente la ritenuta sussistenza del nesso di causalità, assumendosi che quest’ultimo non può essere individuato nello scostamento degli investimenti azionari rispetto alla misura massima del 20% pattuita con la linea di gestione. Secondo RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE s.p.a., nel caso di specie, « parte avversa non ha in alcun modo provato che le perdite lamentate (peraltro, come detto, mai accertate e comunque quantificate in misura esorbitante rispetto alle perdite effettive) fossero conseguenza immediata e diretta del predetto scostamento e non dell’andamento del m ercato. In altri termini, non è mai stato neppure allegato che l’investimento in tipologie di titoli differenti e rientranti tra quelli ammessi dalla linea di gestione non avrebbe prodotto perdite in quel frangente di mercato, ovvero avrebbe prodotto perdite inferiori »;
V) « Violazione e falsa applicazione, ex art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., dell’art. 1227 c.c. in punto di concorso di colpa di RAGIONE_SOCIALE nella realizzazione del danno ». Si ascrive alla corte felsinea di avere escluso la configurabilità del concorso di colpa ex art. 1227 cod. civ. della RAGIONE_SOCIALE, già riconosciuto, invece, dal tribunale, il quale aveva ridotto la condanna della RAGIONE_SOCIALE al pagamento della somma di € 1.020.168,18. Si deduce essere evidente, « dalla stessa prospettazione avversaria, che, nel caso di specie, si sia in presenza di un contegno palesemente imprudente e negligente da parte della cliente, posto che la medesima non risulta avere mai contestato alcunché per anni (si ricorda che la gestione è iniziata nel 1999 ed è stata chiusa nel 2011), né in relazione alle presunte operazioni non rientranti nella linea di gestione concordata, né in relazione alle perdite asseritamente verificatesi. È evidente, peraltro, che sia le operazioni effettuate che i risultati della gestione erano puntualmente indicati e rappresentati nella rendicontazione trimestrale che la cliente ha sempre regolarmente ricevuto. Appare dunque incontestabile il comportamento di
totale acquiescenza della RAGIONE_SOCIALE nella vicenda oggetto di causa, e ciò sebbene si trattasse di un soggetto ampiamente dotato di tutti gli strumenti e delle funzioni aziendali idonei a valutare l’andamento e lo svolgimento del rapporto di gestione in essere con RAGIONE_SOCIALE. La responsabilità della RAGIONE_SOCIALE deve pertanto ritenersi attenuata, o addirittura esclusa, nel momento in cui la condotta tenuta dall’odierna resistente presenti connotati anomali, com’è appunto accaduto, ossia vale a dire, se non di collusione, quanto meno di consapevole e fattiva acquiescenza alla presunta violazione delle clausole negoziali del contratto di gestione patrimoniale ».
I primi due descritti motivi, scrutinabili congiuntamente perché chiaramente connessi, si rivelano complessivamente infondati alla stregua delle dirimenti considerazioni di cui appresso. Ciò esime, quindi, dal soffermarsi ulteriormente a valutare eventuali profili di novità (e, se ravvisabili, di conseguente inammissibilità in questa sede) della censura come specificamente argomentata nel primo di essi (laddove è stata invocata la carenza di legittimazione ex art. 81 cod. proc. civ. del COGNOME a riassumere il giudizio interrotto per il sopravenuto fallimento della RAGIONE_SOCIALE anche con riferimento a domande, quelle risarcitorie, originariamente proposte solo da quest’ultima) rispetto a quanto specificamente la mentato da RAGIONE_SOCIALE (poi divenuta RAGIONE_SOCIALE) in sede di gravame a supporto della eccezione di estinzione del giudizio dalla stessa ivi svolta.
Orbene, è opportuno premettere che la pendenza del giudizio di primo grado risale al 10 dicembre 2012 ( ex art. 643, ultimo comma, cod. proc. civ.), con conseguente applicabilità dell’art. 307, ultimo comma, cod. proc. civ. nel testo modificato dalla legge n. 69 del 2009, che avrebbe consentito il rilievo anche di ufficio della estinzione.
È doveroso puntualizzare, altresì, che, nella vicenda in esame, nell’unica opposizione proposta, ex art. 645 cod. proc. civ., da RAGIONE_SOCIALE (debitrice principale) NOME COGNOME (garante), tra loro in posizione di litisconsorzio meramente facoltativo, erano cumulate più domande: quella di nullità di alcune clausole del contratto di conto corrente intercorso tra la prima e la banca; quella concernente il preteso
inadempimento d i quest’ultima nel rapporto di gestione patrimoniale con la menzionata debitrice; quella di invalidità della fideiussione omnibus prestata dal COGNOME per mancata indicazione del suo limite massimo. È palese, dunque, che si fosse al cospetto di cause scindibili.
Questa corte ha già avuto modo di chiarire che, nel caso di cumulo di cause scindibili, ove il giudice -a fronte di un evento che concerna uno solo dei soggetti coinvolti nelle diverse vertenze -non separi le cause ma interrompa l’intero processo, la riassunzione, effettuata mediante deposito del relativo ricorso in cancelleria nel termine previsto dall’art. 305 cod. proc. civ., deve ritenersi tempestiva rispetto a tutte le parti e non può essere dichiarata, rispetto a costoro, l’estinzione parziale del processo (arg. da Cass. n. 8975 del 2020; Cass. n. 18318 del 2015; Cass., su., n. 9686 del 2013).
Il Collegio condivide tale approdo interpretativo (pur conscio della diversa opinione espressa, sul punto, da Cass. n. 8123 del 2020) e ritiene che la conclusione ivi raggiunta a maggior ragione deve essere ribadita in un caso, quale quello di specie, in cui, a ben vedere, l’evento interruttivo aveva riguardato una parte (la società debitrice principale RAGIONE_SOCIALE) comune a tutte le diverse cause cumulate.
È evidente che, in una simile ipotesi, dichiarata l’interruzione, neppure si poneva la possibilità di separare le cause cumulate dal momento che tutte erano interessate e coinvolte dal medesimo evento e dalla conseguente declaratoria. Per converso, per la riassunzione del processo, era necessaria, ma anche sufficiente, l’iniziativa di una sola delle parti interessate, realizzandosi attraverso di essa, una volta notificata alle altre parti, l’effetto della riattivazione dell’unico processo nei confronti di tutte.
Nella descritta situazione, invero, non essendo in potere di chi riassume scindere il processo cumulato, correttamente l’atto riassuntivo fu notificato a tutte le altre parti e, stante la sua ascrivibilità ad un processo cumulativo, fu idoneo a determinarne la ripresa. Ritenere il contrario si potrebbe solo immaginando che l’atto riassuntivo potesse non attingere la debitrice originaria ( rectius : il suo fallimento), ma ciò implicherebbe, in modo del tutto improprio, attribuire alla parte un potere di riassunzione congiunto ad un
potere di scioglimento del cumulo che la legge non prevede, atteso che compete al giudice, in presenza di processo cumulato per iniziativa delle parti, il potere di separazione.
In definitiva, quindi, poiché RAGIONE_SOCIALE era ritualmente costituita in primo grado (avendo la medesima intrapreso, congiuntamente al COGNOME, l’opposizione ex art. 645 cod. proc. civ. nei confronti di RAGIONE_SOCIALE) anteriormente al l’interruzione del giudizio determinata dal suo sopravvenuto fallimento, ne consegue che, con la successiva costituzione, in data 16 marzo 2015, tempestivamente avvenuta una volta revAVV_NOTAIO quest’ultimo (con sentenza passata in giudicato il 22 gennaio 2015), nel giudizio medio tempore complessivamente riassunto dal COGNOME, la stessa non fece altro che coltivare le domande già proposto al momento iniziale della lite e che non furono proseguite dal curatore del suo fallimento in sede di riassunzione, nonostante la notifica, anche a lui, del ricorso per riassunzione del COGNOME. In proposito, peraltro, va qui solo ricordato, che, secondo la qui condivisa giurisprudenza di legittimità, a seguito dell’interruzione del processo, la parte colpita dall’evento interruttivo, che non si costituisca in sede di riassunzione, va dichiarata contumace, ma tale contumacia non implica alcun abbandono delle domande da lei già precedentemente formulate ( cfr ., per tutte, Cass. n. 26372 del 2014).
Il terzo ed il quarto motivo di questo ricorso parimenti possono essere trattati congiuntamente perché caratterizzati dalla medesima ragione di inammissibilità.
Entrambi, infatti, per come concretamente formulati, si rivelano volti, sostanzialmente, ad ottenere una rivisitazione del merito in punto di quantificazione del danno riconosciuto alla RAGIONE_SOCIALE e di sussistenza del nesso di causalità tra lo stesso e la condotta inadempiente ascritta alla banca, oltre che implicanti, comunque, accertamenti in fatto incompatibili con il giudizio di legittimità.
È sufficiente ricordare, allora, che: i ) come sancito da Cass. n. 23568 del 2020, « nei contratti aventi ad oggetto la gestione di portafogli di valori mobiliari, il “benchmark” , cioè la linea d’investimento prescelta dal cliente, di
cui all’art. 42 del Regolamento RAGIONE_SOCIALE n. 11522 del 1998, importa la costituzione di obblighi di condotta da parte del gestore, rappresentando un parametro di riferimento coerente con i rischi della gestione, al quale devono essere commisurati i risultati di questa ; pertanto il “benchmark” prescelto, se anche non impone al gestore di acquistare titoli nelle proporzioni indicate, costituisce un modo per valutare la razionalità e l’adeguatezza dell’attività dell’intermediario, derivandone che, ove la gestione sia risultata in contrasto con il predetto parametro e, quindi, con i rischi contrattualmente assunti dall’investitore, l’intermediario risponde delle perdite che il cliente abbia subìto in conseguenza » ( cfr . Cass. n. 24 del 2017, Si vedano pure Cass. nn. 24545 e 17290 del 2016); ii ) il vizio di violazione di legge (invAVV_NOTAIO nella rubrica di entrambi i motivi) deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, cod. proc. civ., non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella decisione gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione ( cfr. tra le più recenti, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 20895 del 2025; Cass. nn. 16448 e 15033 del 2024; Cass. nn. 13408, 10033 e 9014 del 2023; Cass. n. 31071 del 2022; Cass. nn. 28462 e 25343 del 2021; Cass. n. 16700 del 2020. Si veda pure Cass., SU, n. 23745 del 2020, a tenore della quale , ‘ in tema di ricorso per cassazione, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non
potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni -la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa ‘); iii ) il giudizio di legittimità non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative ( cfr . Cass. n. 21381 del 2006, nonché, tra le più recenti, Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. nn. 1822, 2195, 3250, 5490, 9352, 13408, 5237, 21424, 30435, 35041 e 35870 del 2022; Cass. nn. 1015, 7993, 11299, 13787, 14595, 17578, 27522, 30878 e 35782 del 2023; Cass. nn. 4582, 4979, 5043, 6257, 9429, 10712, 16118, 19423, 27328 e 35006 del 2024; Cass. n. 1166, 8671 e 20895 del 2025), posto che, come puntualizzato, in motivazione, da Cass. n. 7612 del 2022 e da Cass. nn. 8671, 20895 del 2025, 25907 e 27478 del 2025, « Il compito di questa Corte, , non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito (Cass. n. 3267 del 2008), anche se il ricorrente prospetta un migliore e più appagante (ma pur sempre soggettivo) coordinamento dei dati fattuali acquisiti in giudizio (Cass. n. 12052 del 2007), dovendo, invece, solo controllare, a norma degli artt. 132, n. 4, e 360 comma 1, n. 4, c.p.c., se costoro abbiano dato effettivamente conto delle ragioni in fatto della loro decisione e se la motivazione al riguardo fornita sia solo apparente ovvero perplessa o contraddittoria (ma non più se sia sufficiente: Cass. SU n. 8053 del 2014), e cioè, in definitiva, se il loro ragionamento probatorio, qual è reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto, com’è in effetti accaduto nel caso in esame, nei limiti del ragionevole e del plausibile (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.) ».
Il quinto motivo di questo ricorso, infine, risulta anch’esso inammissibile perché, così come i due precedenti, comunque implicante accertamenti in fatto incompatibili con il giudizio di legittimità.
Invero, nel sistema della responsabilità civile (ma per l’applicazione di questo stesso principio anche alla responsabilità contrattuale si veda Cass. n. 11629 del 1999) occorre distinguere nettamente, da un lato, il nesso che deve sussistere tra comportamento ed evento perché possa configurarsi, a monte, una responsabilità e, dall’altro, il nesso che, collegando l’evento al danno, consente l’imputazione delle singole conseguenze dannose ed ha, quindi, la precipua funzione di delimitare, a valle, i confini di una (già accertata) responsabilità, essendosi anche rimarcato il diverso ambito di operatività, in relazione a tali accertamenti, dell’art. 1227 cod. civ. -richiamato, in materia di illecito aquiliano, dall’art. 2056, comma 2, cod. civ. -visto che il solo primo comma ” attiene al contributo eziologico del debitore nella produzione dell’evento dannoso “, mentre il secondo ” attiene al rapporto evento-danno conseguenza, rendendo irrisarcibili alcuni danni ” (cfr., in motivazione, Cass. n. 4043 del 2013, richiamata dalla più recente Cass. n. 1165 del 2020).
4.1. Tanto premesso, e tenuto conto di quanto specificamente eccepito da RAGIONE_SOCIALE in RAGIONE_SOCIALE alle pag. 33 e ss. del suo controricorso, va rimarcato che la corte distrettuale, nell’escludere il concorso di colpa della menzionata società, invece riconosciuto dal tribunale, non ha detto, espressamente, se ciò ha fatto riferendosi al comma 1 o al comma 2 dell’art. 1227 cod. civ. , dovendosi qui ricordare che, notoriamente, solo il primo di essi è applicabile di ufficio ( cfr . Cass. n. 11138 del 2025; Cass. n. 27258 del 2024; Cass. n. 15750 del 2015).
È ragionevole ritenere, tuttavia, ad avviso del Collegio che, nella specie, la fattispecie di riferimento fosse quella di cui al comma 2 dell’art. 1227, cod. civ., essendo palese che, sostanzialmente, si discuteva di un aggravamento del danno già prodottosi per effetto della condotta della banca (inadempiente a quanto pattuito nel contratto di gestione patrimoniale), ma asseritamente incrementatosi, nel tempo, per effetto del comportamento inerte della controricorrente suddetta, che nulla contestò pur avendo ricevuto, negli anni, i rendiconti di quella gestione da cui erano ricavabili le operazioni eseguite dalla banca in spregio alla linea di gestione originariamente pattuita.
Si rivela, dunque, affatto dirimente (così da assorbire anche le osservazioni rinvenibili alle già richiamate pag. 33 e ss. del controricorso di RAGIONE_SOCIALEin RAGIONE_SOCIALE) il principio, sancito da Cass. n. 15231 del 2007, ribadito da Cass. n. 3319 del 2020 e qui condiviso, secondo cui « in tema di risarcimento del danno, l’accertamento dei presupposti per l’applicabilità della disciplina di cui all’art. 1227, secondo comma, cod. civ. -che esclude il risarcimento in relazione ai danni che il creditore (o il danneggiato) avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza -integra indagine di fatto, come tale riservata al giudice di merito e sottratta al sindacato di legittimità, se sorretta da congrua motivazione ». Né può seriamente dubitarsi, nella specie, dell’esistenza di una siffatta motivazione nella sentenza oggi impugnata ( cfr . pag. 19).
Passando, ora, allo scrutinio del ricorso incidentale di RAGIONE_SOCIALE in RAGIONE_SOCIALE, da considerarsi tempestivo, ex art. 333 cod. proc. civ., perché proposto entro i sessanta giorni dall’avvenuta e documentata notificazione della sentenza impugnata), i suoi formulati motivi denunciano, rispettivamente, in sintesi:
«Ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.: violazione e o falsa applicazione degli artt. 27 e 45 del Regolamento RAGIONE_SOCIALE n. 11522/1998 e dei successivi artt. 23 e ss. del regolamento congiunto RAGIONE_SOCIALE d’Italia RAGIONE_SOCIALE del 29 ottobre 2007 e dell’art. 113 c.p.c. per ave r la sentenza escluso il compimento, da parte di RAGIONE_SOCIALE, di operazioni in conflitto d’interesse ». Si contestano le argomentazioni utilizzate dalla corte territoriale per escludere il compimento di operazioni in conflitto di interesse da parte di RAGIONE_SOCIALE Si deduce che gli artt. 27, comma 2, e 45 del Regolamento RAGIONE_SOCIALE. n. 11522 del 2998 impongono che la preventiva informazione e l’espresso consenso scritto dal cliente devono riguardare le singole e specifiche operazioni distintamente individuate, onere, che ovviamente non può essere sostituito e/o derogato dalla clausola contrattuale richiamata nella sentenza impugnata che si riferisce, invece, in maniera indistinta ed in via preventiva, alla generalità delle operazioni che l’intermediario sarà chiamato a porre in essere senza alcuna dovuta specificazione;
II) «Ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.: violazione e o falsa applicazione dell’art. 1223 c.c. nel capo in cui la sentenza ha ingiustamente escluso il risarcimento del lucro cessante quantificato dalla società in Euro 637.470,00 ». Si censurano gli assunti con cui la corte distrettuale ha negato il risarcimento del danno da lucro cessante come invAVV_NOTAIO da RAGIONE_SOCIALE;
III) «Ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.: violazione e o falsa applicazione dell’art. 1363 c.c. per aver la sentenza travisato il contenuto degli atti processuali avendo osservato che il quarto motivo di appello incidentale avesse riguardato un tema dedotto per la prima volta in grado di appello nonché per aver fornito un’erronea interpretazione dell’art. 117, comma 4, TUB e dell’art. 1421 c.c.; nonché violazione dell’art. 329, comma 2, c.p.c. ». Si contesta alla corte di appello di avere erroneamente escluso il tema dell’erronea determinazione del saldo passivo di conto corrente dalla materia del contendere perché sarebbe stata, a suo dire, una questione dedotta per la prima volta in sede di gravame;
IV) «Ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.: violazione e o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 1362 c.c. nella parte in cui la sentenza ha rigettato il quinto motivo di appello incidentale relativo alla domanda di risarcimento del danno per illegittima segnalazione ». Viene censurato il mancato riconoscimento del risarcimento del danno per illegittima segnalazione in centrale rischi;
V) «Ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.: violazione e o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. nella parte in cui la sentenza ha disposto la compensazione delle spese di lite ». Viene contestata la disposta compensazione delle spese dei due gradi di giudizio nella misura del 20%.
6. Il primo di questi motivi risulta fondato.
Giova premettere, invero, che: i ) giusta il previgente art. 27, comma 2, del Regolamento RAGIONE_SOCIALE 11522/1998, ‘ Gli intermediari autorizzati non possono effettuare operazioni con o per conto della propria clientela se hanno direttamente o indirettamente un interesse in conflitto, anche derivante da rapporti di gruppo, dalla presentazione congiunta di più servizi o da altri
rapporti di affari propri o di società del gruppo, a meno che non abbiano preventivamente informato per iscritto l’investitore sulla natura e l’estensione del loro interesse nell’operazione e l’investitore non abbia acconsentito espressamente per iscritto all’effettuazione dell’operazione. Ove l’operazione sia conclusa telefonicamente, l’assolvimento dei citati obblighi informativi e il rilascio della relativa autorizzazione da parte dell’investitore devono risultare da registrazione su nastro magnetico o su altro supporto equivalente ‘ ; ii ) ai sensi dell’art. 45, comma 3, del medesimo Regolamento, poi, ‘ Le disposizioni di cui all’articolo 27 non si applicano alle operazioni in conflitto di interessi derivante da rapporti di gruppo o dalla prestazione congiunta di più servizi quando tali operazioni hanno ad oggetto strumenti finanziari diversi da quelli di cui al comma 1, a condizione che la natura dei singoli conflitti sia descritta nel contratto e che l’investitore le abbia espressamente autorizzate nel contratto medesimo. Gli strumenti finanziari inseriti nel portafoglio di ogni singolo investitore, per effetto di tali operazioni, non possono superare il 25% del suo controvalore. Le operazioni comportanti il superamento del predetto limite sono consentite nel rispetto, per ogni singola operazione, delle disposizioni di cui all’articolo 27. Ogni singolo strumento finanziario inserito nel portafoglio di ogni singolo investitore in base alle disposizioni del presente comma non può comunque superare il 5% del suo controvalore ‘.
Si tratta, dunque, di disposizioni da cui emerge che la preventiva informazione e l’espresso consenso scritto d el cliente devono riguardare le singole e specifiche operazioni distintamente individuate, onere che, evidentemente, non può essere validamente sostituito e/o derogato da una clausola contrattuale, come quella rinvenibile nell’art. 13 del contratto di gestione intercorso tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE (con cui quest’ultima aveva autorizzato preventivamente la prima ad ‘ utilizzare banche del gruppo come depositarie; utilizzare il servizio raccolta ordini di intermediari appartenenti al gruppo; eseguire operazioni su strumenti finanziari emessi o collocati da società del gruppo; negoziare strumenti finanziari con società del gruppo; sottoscrivere quote di un fondo di società del gruppo ‘ ), cui ha fatto riferimento la sentenza impugnata, che si riferisce,
invece, in maniera generale, indifferenziata ed in via preventiva, alla totalità delle operazioni che l’intermediario sar ebbe stato chiamato a porre in essere senza alcuna dovuta specificazione.
Opinare diversamente, infatti, significherebbe svuotare di qualsivoglia senso il precetto di cui ai riportati artt. 27 e 45 del Regolamento RAGIONE_SOCIALE 11522/1998. Così, pertanto, non è, né può esserlo, perché, come condivisibilmente dedotto dalla difesa di RAGIONE_SOCIALE, « solo onorando l’art. 27, comma 2 e l’art. 45, comma 3, del Reg. RAGIONE_SOCIALE 11522/1998 l’intermediario pone il cliente nella condizione di poter prendere una decisione informata, dando così attuazione al principio di trasparenza e correttezza, che sempre deve uniformare il rapporto nel rispetto, d’altronde, del principio generale espresso nell’art. 21, comma 1 -bis , TUF che impone all’intermediario di adottare ‘ogni misura idonea ad identificare e prevenire o gestire i conflitti di interesse che potrebbero insorgere con il cliente o tra clienti’ (lett. a) e a gestire ‘i conflitti di interessi anche adottando tutte l e misure organizzative ragionevoli volte ad evitare che tali conflitti incidano negativamente sugli interessi dei clienti’ (lett. b); e ciò non senza, però, fare nel contempo salva l’avvertenza che ‘quando le misure adottate ai sensi della lett. b) non sono sufficienti per assicurare, con ragionevole certezza che il rischio di nuocere agli interessi dei clienti sia evitato, gli intermediari informano chiaramente i clienti, prima di agire per loro conto, della natura generale e/o delle fonti dei conflitti’ ( lett. c) affinché essi possano assumere una decisione realmente informata sui servizi prestati in proprio favore » ( cfr . pag. 36-37 del suo controricorso).
6.1. A tanto deve aggiungersi che: i ) la corte distrettuale nemmeno ha tenuto conto della normativa successiva al Regolamento RAGIONE_SOCIALE 11522/1998, in particolare del l’art. 23 del Regolamento congiunto RAGIONE_SOCIALE d’Italia –RAGIONE_SOCIALE del 29 ottobre 2007, che imponeva alla banca di ottemperare a plurimi obblighi inerenti ( a ) l’individuazione dei conflitti di interesse attuali e potenziali e delle misure per prevenirli, ( b ) il definire un’opportuna politica di gestione di detti conflitti ed infine ( c ) l’adempiere (sempre) all’obbligo di disclosure al cliente; ii ) questa Corte ha già chiarito che, « In tema di
intermediazione finanziaria, l’art. 23, comma 3, Regolamento congiunto RAGIONE_SOCIALE d’Italia-RAGIONE_SOCIALE del 29 ottobre 2007, nel testo applicabile “ratione temporis”, non ha abdicato al principio “disclose or abstain”, posto alla base della previgente disciplina del conflitto di interesse, risultante dall’art. 27 Regolamento RAGIONE_SOCIALE n. 11522 del 1998, poiché le nuove disposizioni, pur essendo finalizzate a prevenire le situazioni di conflitto, prevedono che, ove queste ultime comunque si presentino, l’intermediario sia tenuto ad informare chiaramente il cliente prima di agire per suo conto, mettendolo nella condizione di assumere decisioni consapevoli, che non possono non essere espressione di un assenso, anche solo tacito, all’esecuzione dell’operazione in conflitto» ( cfr . Cass. n. 20251 del 2021); iii ) assai significativo si rivela il passaggio motivazionale dell’arresto appena riportato laddove si afferma ( cfr . pag. 67) che l’art. 23 predetto « rafforza la convinzione che l’intermediario che intenda promuovere la conclusione di un’operazione in conflitto di interessi deve informarne previamente il cliente (‘gli intermediari informano chiaramente i clienti prima di agire per loro conto’) e solo do po averne ottenuto il consenso (‘possano assumere una decisione informata’) l’operazione può avere seguito. È vero, a questo riguardo, che la norma non ne fa cenno, ma la prestazione del consenso è implicitamente presupposta dalla circostanza che l’intermediario non può agire se non dopo aver posto il cliente nella condizione di prendere una decisione informata, che non può che essere perciò espressione di assenso da parte sua, dato che diversamente l’intermediario si troverebbe nella condizione di non potere portare a termine l’operazione. Il passaggio normativo rilevante sta piuttosto nel fatto non già che l’intermediario possa prescindere dal consenso dell’investitore, ma che quel consenso che in precedenza doveva essere prestato in forma espressa oggi può essere manifestato anche per mezzo di un comportamento concludente, quale è da ravvisarsi nel fatto che l’investitore, debitamente notiziato della conflittualità dell’operazione, non si opponga ad essa e ne autorizzi così tacitamente la conclusione ».
6.2. Nella specie, nessuna puntuale e corrispondente analisi risulta essere stata effettuata, in proposito, dalla corte distrettuale, -semplicemente
adagiatasi, come si è già riferito, sul tenore testuale della richiamata clausola di cui all’art. 13 del contratto di gestione intercorso tra le parti, da ritenersi, tuttavia, invalida perché in evidente contrasto con gli artt. 27 e 45 del regolamento RAGIONE_SOCIALE 11522 del 1998 -malgrado dalle risultanze della c.t.u. espletata in primo grado emergessero plurime operazioni in conflitto d’interessi posti in essere dalla banca ( cfr . lo stralcio della relazione del c.t.u. riportato alla pagina 37 del menzionato controricorso).
Il secondo motivo di questo ricorso è parimenti fondato.
Invero, l’affermazione con cui la corte felsinea ha disatteso il secondo motivo dell’appello incidentale della RAGIONE_SOCIALE (« L’investimento in prodotti meno rischiosi, che RAGIONE_SOCIALE avrebbe potuto effettuare al posto di quelli posti in essere da RAGIONE_SOCIALE banca, non sembra ricollegabile in modo immediato e diretto (art. 1223 cc) alla condotta dell’azienda intermediaria , poiché tale diverso impiego dipendeva, in tutta evidenza, da scelte opinabili della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE, non identificabili a priori . Deve poi osservarsi che anche il guadagno prospettato dall’appellante incidentale e ricavabile dal preteso diverso impegno delle somme non era quantificabile se non col ‘senno di poi’ ». Cfr. pag. 21 della sentenza impugnata), non può essere condivisa se si tiene conto della concreta tipologia di rapporto di cui oggi si discute, vale a dire un rapporto di gestione di portafoglio di valori mobiliari e non già un servizio di ricezione, trasmissione, amministrazione e negoziazione di ordini ricevuti dal cliente.
Ad avviso del Collegio, infatti, nel primo di essi -diversamente dal secondo in cui è l’investitore, doverosamente e specificamente informato dalla intermediario, a scegliere la tipologia di investimento -l’ odierna ricorrente incidentale, una volta affidato il proprio patrimonio all’intermediario, concordando con quest’ultimo anche una linea di gestione (che prevedeva un impiego di azioni entro il limite del 20% del patrimonio), non avrebbe potuto in alcun modo interferire sulle scelte dell’operatore, limitandosi, invero, a confidare nella redditività degli investimenti che avrebbero dovuto essere coerenti con i rischi assunti con quella specifica strategia di investimento prescelta in sede di apertura del rapporto.
In quest’ottica, dunque, il riportato assunto della corte distrettuale è certamente erroneo. Altro, ovviamente, sarà stabilire se, in concreto, l’invAVV_NOTAIO lucro cessante sia, nella specie, configurabile, o non, ma questo accertamento non può che essere devoluto al giudice di rinvio.
Fondato è pure il terzo motivo di questo ricorso.
Invero, quanto sostenuto dalla corte territoriale al fine di dichiarare inammissibile il quarto motivo dell’appello incidentale di RAGIONE_SOCIALE («I l motivo è inammissibile, in quanto contenente un tema proposto per la prima volta nel presente giudizio di secondo grado. Deve infatti osservarsi che all’esito degli accertamenti peritali nessuna delle parti aveva fatto questione intorno a tale somma e tantomeno era stato dedotto una svista del c.t.u. Anche il c.t.p. della RAGIONE_SOCIALE non aveva opposto alcuna osservazione sul punto in relazione alle conclusioni del c.t.u., che sono rimaste prive di critica -sempre in ordine all’importo di euro 10.009,48 anche nel successivo iter processuale di primo grado ». Cfr . pag. 21-22 della sentenza impugnata), si rivela essere in totale contrasto con lo specifico contenuto degli atti processuali puntualmente richiamati e riprodotti dalla menzionata società alle pag. 50 e ss. del suo controricorso cui può qui farsi rinvio per intuitive ragioni di sintesi.
Il quarto motivo di questo ricorso risulta, invece, inammissibile.
Esso, infatti, per come concretamente formulato, si rivela volto, sostanzialmente, ad ottenere una rivisitazione del merito in punto di mancato riconoscimento del danno invAVV_NOTAIO dalla RAGIONE_SOCIALE per l’asserita sua segnalazione alla RAGIONE_SOCIALE da parte della banca, oltre che implicante, comunque, accertamenti in fatto incompatibili con il giudizio di legittimità.
Pertanto, è sufficiente ribadire anche in questa sede i principi giurisprudenziali già richiamati nel precedente § 3. di questa motivazione (specificamente sub ii] e iii] ) a supporto della declaratoria di inammissibilità del terzo e quarto motivo del ricorso principale di RAGIONE_SOCIALE
Il quinto ed ultimo motivo di questo ricorso, infine, deve considerarsi assorbito, posto che la cassazione della sentenza qui impugnata si riflette, ex
art. 336, comma 1, cod. proc. civ., anche sulla statuizione riguardante le spese processuali ivi contenuta, alla cui nuova determinazione provvederà il giudice di rinvio.
In conclusione, dunque, il ricorso principale di RAGIONE_SOCIALE deve essere rigettato, mentre quello incidentale di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE va accolto limitatamente ai suoi primi tre motivi, dichiarandosene inammissibile il quarto ed assorbito il quinto.
La sentenza impugnata, pertanto, deve essere cassata in relazione ai motivi accolti e la causa va rinviata alla Corte di appello di Bologna, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e per la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.
Deve darsi atto, infine, -in assenza di ogni discrezionalità al riguardo ( cfr . Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 -che, stante il tenore della pronuncia adottata, sussistono, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater del d.P.R. n. 115/02, i presupposti processuali per il versamento, da parte di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE s.p.a., di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il suo ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto, mentre « spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento ».
PER QUESTI MOTIVI
La Corte rigetta il ricorso principale di RAGIONE_SOCIALE
Accoglie il ricorso incidentale di RAGIONE_SOCIALE in RAGIONE_SOCIALE limitatamente ai suoi primi tre motivi, dichiarandone inammissibile il quarto ed assorbito il quinto.
Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di appello di Bologna, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e per la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE s.p.a., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il suo ricorso, giusta il comma 1bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile della Corte Suprema di cassazione, il 22 ottobre 2025.
Il Presidente NOME COGNOME