Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 17080 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 17080 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 25/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4962/2021 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, domiciliata ex lege
in ROMA, INDIRIZZO
COGNOME presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME
– ricorrente –
contro
COGNOME ANNUNZIATA, rappresentati e difesi dall’avvocato COGNOME
– controricorrenti –
nonchè contro
COMUNE COGNOME;
– intimato –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO DI CATANZARO n. 1058/2020, depositata il 16/07/2020;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 05/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 1058/2020, l a Corte d’Appello di Catanzaro, confermando la pronuncia emessa dal Tribunale di Cosenza – Sezione Distaccata di San Marco Argentano, condannava NOME COGNOME nella qualità di erede di NOME COGNOME e NOMECOGNOME al pagamento in favore di NOME COGNOME e NOME COGNOME della somma di €. 28.800,00 , comprensiva di oneri per la sanatoria di abusi edilizi realizzati dalla venditrice prima dell’acquisto, nonché al risarcimento del danno pari ad €. 3.000,00.
1.1. Era accaduto che NOME COGNOME e NOME COGNOME in data 12 novembre 1999, avevano acquistato da NOME NOME, per atto notarile del 26 ottobre 1999, una unità immobiliare -della quale avevano ottenuto l’immissione anticipata nel godimento già dal 1993 – composta da fabbricato con annessa corte, sito in Fagnano Castello, composto da locale magazzino al piano terra e tre vani, bagno e veranda al piano primo, oltre ad un terreno agricolo sito nel medesimo Comune, per l’importo complessivo di vecchie lire 118.500.000 (oggi €. 61.200,14).
Nell’atto pubblico di compravendita l’alienante aveva garantito (art. 1) che l’immobile era conforme alla licenza edilizia n. 40 dell’anno 1976 e, all’art. 4), che il bene era libero da qualunque peso, vincolo ed onere pregiudizievole.
A séguito di taluni controlli, il Comune di Fagnano Castello appurava che la licenza edilizia consentiva la costruzione del solo piano terreno, mentre, invece, era stato eseguito un ampliamento dello stesso e la sopraelevazione di un piano in difformità della predetta licenza. Nel 2005 il Comune disponeva la demolizione delle
opere abusive realizzate in difformità della suddetta licenza edilizia, con conseguente revoca del certificato di agibilità del fabbricato.
1.2. Gli attori lamentavano, quindi, innanzi al Tribunale di Cosenza la restituzione del prezzo di acquisto per la differenza fra la somma originariamente pagata per l’intero fabbricato e il reale valore di esso a causa degli abusi edilizi, nonché il risarcimento del danno patrimoniale subìto.
A sostegno della sua decisione, per quel che qui ancora rileva, il giudice di seconde cure così statuiva:
non supera il vaglio di ammissibilità l’eccezione sollevata dall’appellante di intervenuta prescrizione del diritto degli appellati alla garanzia ex art. 1495 cod. civ.: in quanto eccezione in senso stretto, proposta per la prima volta in appello, essa è inammissibile per violazione del divieto di ius novorum ;
-non ha pregio la tesi sostenuta dall’appellante della conoscenza delle difformità dell’immobile acquistato rispetto al progetto correlato alla licenza edilizia n. 40/1976. Sulla scorta dei principi espressi dalla Corte di legittimità, e secondo la stessa formulazione letterale dell’art. 1489 cod. civ., il presupposto cui è subordinata la domanda di riduzione del prezzo o di risoluzione del contratto è costituito dal fatto che il compratore non abbia conoscenza dei suddetti oneri: l’espressa dichiarazione della venditrice contenuta nel rogito che il bene compravenduto era conforme alla licenza edilizia n. 40/1987 (art. 1) ed era libero da oneri o diritti reali o personali di godimento (art. 4) esonera gli acquirenti dall’onere di qualsiasi indagine, operando a loro favore il principio dell’affidamento nell’altrui dichiarazione;
quanto al risarcimento dei danni riconosciuti agli acquirenti, la somma di €. 2.800,00 quantificata per oneri sostenuti dagli appellati
per la sanatoria dei soli abusi edilizi realizzati prima dell’acquisto, non si duplica con i 3.000,00 euro riconosciuti in via equitativa in applicazione delle norme generali di cui agli artt. 1218 e 1223 cod. civ. Inoltre, con riferimento alla quantificazione del minor prezzo dell’immobile, il CTU lo ha ottenuto (quantifican dolo in € . 26.000,00) decurtando il valore di mercato – quantificato secondo il metodo della stima del costo di costruzione – del primo piano (abusivo).
Avverso la sentenza n. 1058/2020 della Corte d’Appello di Catanzaro propone ricorso in cassazione NOME affidandolo a tre motivi e illustrandolo con memoria.
Resistono COGNOME NOME e COGNOME, depositando controricorso illustrato da memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 1495 cod. civ., violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ. In tesi: poiché in primo grado era stato evocato dagli attori anche il Comune di Fagnano Castello (successivamente estromesso in seconde cure), e poiché il Comune regolarmente citato e costituitosi si era difeso nel merito eccependo la conoscenza effettiva da parte degli acquirenti della non conformità del fabbricato rispetto alla licenza menzionata in contratto, considerando che il Comune era parte del giudizio di primo grado, ne deriva che la sentenza appellata non poteva decidere la questione relativa al l’eccezione limitandosi a dichiararla inammissibile.
1.1. Il motivo è infondato, atteso che non risulta in atti che il Comune di Fagnano Castello avesse sollevato l’eccezione di prescrizione della garanzia ex art. 1495 cod. civ. Come rilevato in sentenza (p. 5, 2 o e 3 o capoverso), l’Ente eccepiva la sua carenza di
legittimazione passiva in quanto soggetto estraneo al rapporto contrattuale intercorrente tra le parti, limitandosi ad osservare che gli acquirenti non potevano al momento del rogito non conoscere la difformità dell’immobile rispetto al progetto originario.
Né i ricorrenti forniscono puntuali indicazioni, necessarie ai fini del rispetto dei principio di specificità e autosufficienza, con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, senza riprodurli nel ricorso per la parte rilevante, con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, e se essi siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti (anche) in sede di giudizio di legittimità.
2. Con il secondo motivo si deduce violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 1489 cod. civ., con riferimento all’art. 360, comma 1, n. 3 ) cod. proc. civ. La ricorrente denuncia l’errata applicazione dell’art. 1489 cod. civ.: la norma e la giurisprudenza di legittimità richiamata in sentenza distingue il caso in cui gli eventuali vizi non possono considerarsi apparenti, quindi non conosciuti o conoscibili, dal caso in cui i vizi sono non solo apparenti, quindi conoscibili, ma addirittura chiaramente conosciuti dagli acquirenti: nel quale ultimo caso è esclusa la responsabilità dei venditori. Nel caso di specie, espone la ricorrente, gli acquirenti non potevano non essere consapevoli della difformità dell’immobile acquistato dalla licenza menzionata nel rogito: ciò sia in considerazione del lasso di tempo trascorso tra l’immissione degli acquirenti nel godimento dell’immobile e la stipulazione del rogito (peraltro ritardata proprio in virtù della necessità di attendere la sanatoria), sia delle difformità esteriori rispetto al progetto iniziale di cui alla licenza edilizia. Inoltre, prosegue la ricorrente, se il giudice di seconde cure avesse ammesso la prova testimoniale ai sensi dell’art.
257 cod. proc. civ. (dopo averla dichiarata inammissibile) sarebbe stata accertata la conoscenza effettiva dei vizi, che neanche può dirsi esclusa dalla clausola di stile inserita nel rogito (all’art. 4), e che invece avrebbe dovuto emergere dall’art. 7 de l contratto preliminare di compravendita ove espressamente veniva indicato che «le spese tecniche sarebbero state a carico delle parti ». In tesi: gli acquirenti, usando l’ordinaria dil igenza, avrebbero potuto accertare in via amministrativa quanto sarebbe stato oggetto del futuro atto di acquisto.
2.1. Il motivo è inammissibile sotto due diversi profili.
2.2. Innanzitutto, la doglianza si traduce in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito, tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. sez. 2, n. 19717 del 17.06.2022; Cass. Sez. 2, n. 21127 dell’08.08.2019).
Il giudice di seconde cure ha ritenuto non provata la conoscenza delle difformità edilizie da parte degli appellanti al momento dell’acquisto: tanto basta a giustificare la conclusione cui perviene la Corte territoriale, ossia la sussistenza dei presupposti di applicabilità della garanzia di cui all’art. 1489 cod. civ. In effetti, il principio d i diritto che emerge dall’orientamento di questa Corte richiamato in sentenza è nel senso che la subvalenza del principio di affidamento operante a favore del compratore garantito ex art. 1489 cod. civ. si impone solo accertata la presenza di servitù apparenti, oppure – in via alternativa – accertata la conoscenza effettiva di servitù, vincoli, oneri sull’immobile acquistato (per tutte: Cass. n. 57/2018, Cass. n. 14289/2018, che conf. Cass. Sez. 2, n. 976 del 19.01.2006).
2.3. La doglianza è, altresì, inammissibile nella parte in cui lamenta la mancata ammissione della prova testimoniale.
L’affermazione, oltre a difettare di specificità posto che la ricorrente non dice dove e per quali ragioni la prova testimoniale non sarebbe stata ammessa dal giudice di prime cure, investe la valutazione del materiale probatorio, destinata a risolversi nella scelta di uno o più tra i possibili contenuti informativi che il singolo mezzo di prova è, per sua natura, in grado di offrire all’osservazione e alla valutazione del giudice, espressione della discrezionalità valutativa del giudice di merito, ed è estranea ai compiti istituzionali della Corte di legittimità (con la conseguenza che non è denunciabile, dinanzi a quest’ultima, come vizio della decisione di merito, a seguito della definitiva riformulazione dell’art. 360, n. 5) cod. proc. civ.) restando totalmente interdetta alle parti la possibilità di discutere, in sede di legittimità, del modo attraverso il quale il giudice di merito ha compiuto le proprie valutazioni discrezionali di carattere probatorio.
Ad ogni modo, sarebbe stata inammissibile la richiesta di prova testimoniale ex art. 257 cod. proc. civ., norma che consente la disposizione d’ufficio, a cura del giudice istruttore, della deposizione di altre persone indicate dai testi a loro volta chiamati nei modi e termini di cui al codice di rito (art. 257, comma 1, cod. proc. civ.); ovvero consente l’audizione di testi (sempre ritualmente chiamati a deporre) dei quali aveva in prima battuta ritenuto superflua la deposizione ex art. 245 cod. proc. civ. e dei quali ha consentito la rinuncia, ovvero dei quali può chiedere che un nuovo esame; ma non è norma che consente di ignorare le decadenze processuali.
Con il terzo motivo si deduce violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 1218 e 1223 cod. civ.,
violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc. civ. Quanto ai danni risarcibili, con due diverse censure il ricorso denuncia dapprima che la Corte di Catanzaro ha riconosciuto in favore degli appellati la somma di € . 2.800,00 «per la sanatoria degli abusi edilizi realizzati prima dell’acquisto » di opere edilizie abusive e segnatamente per «la variazione strutturale» del piano terra del fabbricato preesistente. Sugli stessi presupposti ha, poi, il primo giudice riconosciuto in loro favore la somma di €. 3.000,00 a titolo di risarcimento «considerata la sanatoria di parte del piano terra ed altre irregolarità tra cui il diverso utilizzo del materiale previsto». Di fatto è stata così posta in essere una sorta di duplicazione del danno, in violazione degli artt. 1218 e 1223 cod. civ. Inoltre, la sentenza è erronea sotto il profilo della quantificazione del minor prezzo dell’immobile senza il piano sopraelevato: il CTU, nel quantificare il valore del primo piano dell’immobile al fine di decurtare il suo valore – in quanto abusivo dal prezzo globale della compravendita, lo ha determinato nella misura di €. 26.000,00 calcolato su un valore di stima di un «immobile finito», e non di un immobile «rustico», come invece era quello oggetto di perizia.
3.1. Il motivo è infondato.
Quanto alla prima doglianza, inerente l’asserita duplicazione delle voci risarcitorie: sottolinea la Corte territoriale che si tratta di due voci distinte. La prima riguarda l’esborso relativ o alla sanatoria dei soli abusi edilizi realizzati prima dell’acquisto (v. sentenza impugnata p. 13, 7° capoverso). La seconda voce rappresenta, invece, il ristoro per la perdita di valore commerciale dell’immobile, determinato in via equitativa.
Il Collegio non condivide neanche la seconda doglianza, laddove si sostiene che nella valutazione della differenza tra il valore della intera compravendita e il minor prezzo dell’immobile senza il piano sopraelevato il consulente abbia stimato l’immobile finito , anziché il rustico oggetto di perizia. La Corte d’Appello ha, infatti, sottolineato che il CTU ha individuato il criterio di stima nel cosiddetto metodo del costo di costruzione a metro quadro dell’immobile, che consiste nella determinazione del costo che occorrerebbe sopportare per la realizzazione di un immobile analogo a quello oggetto di stima (v. sentenza p. 13, 4° capoverso): dunque tenendo conto dello stato rustico, non già finito, in cui si trovava appunto il primo piano al momento della stima.
In definitiva, il Collegio rigetta il ricorso.
Le spese seguono la soccombenza come da dispositivo, da distrarsi in favore del difensore dichiaratosi antistatario.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il primo e terzo motivo del ricorso;
dichiara inammissibile il secondo;
condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore dei controricorrenti , che liquida in €. 5.5 00,00 per compensi, oltre ad €. 200,00 per esborsi e agli accessori
di legge nella misura del 15%, con distrazione in favore del procuratore antistatario che ne ha fatto richiesta.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis , del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda