Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 23775 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 23775 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 23/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 2164/2020 R.G. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa da ll’avvocato COGNOME unitamente all’avvocato COGNOME NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa da ll’avvocato NOME COGNOME NOMECOGNOME unitamente all’avvocato NOMECOGNOME
– controricorrente –
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA n. 3051/2019, depositata il 29/10/2019;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Ferrara RAGIONE_SOCIALE esponendo di aver acquistato dalla convenuta, in data 10.03.2005, il complesso industriale sito in Quartesana, per l’importo complessivo di euro 2.196.206,40, e che successivamente all’acquisto veniva a conoscenza di vizi occulti e gravi dell’impianto di refrigerazione delle merci.
A seguito di procedimento per ATP dal quale emergevano gravi difetti degli impianti, per la cui eliminazione occorrevano €. 65.996,47, l’attrice chiedeva la riduzione del prezzo della vendita ex art. 1490 cod. civ. oltre al risarcimento del danno ed in via subordinata e/o alternativa la condanna della convenuta ex art. 2033, 2043 e 2041 cod. civ.
Costituitasi in giudizio, RAGIONE_SOCIALE contestava le domande attoree e, all’esito della trattazione, con sentenza n. 364/2013 , il Tribunale accoglieva la domanda attorea di riduzione del prezzo, condannando RAGIONE_SOCIALE a restituire all’attrice la somma di €. 152.810,00, oltre interessi legali.
Avverso la suddetta sentenza parte soccombente proponeva appello.
La Corte di Appello di Bologna rigettava il gravame e confermava integralmente la sentenza di primo grado.
RAGIONE_SOCIALE propone ricorso per Cassazione affidato a nove motivi di ricorso.
Resiste RAGIONE_SOCIALE con controricorso illustrato da memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, devono essere disattese le eccezioni elevate dalla controricorrente di improcedibilità, ex art. 369, comma 2, cod. proc civ., per deposito della sentenza d’appello impugnata in assenza di attestazione di conformità e di relata di notifica; e di inammissibilità,
per mancanza di idonea procura speciale con riferimento agli artt. 83, 360, 366, n. 5) cod. proc civ., (p. 7, punti A.1. e A.2.).
Quanto alla questione di improcedibilità, il Collegio constata la presenza in atti sia dell’attestazione di conformità della sentenza impugnata, sia della relata da cui la pronuncia risulta notificata in data 07.11.2019.
Per ciò che attiene la procura speciale, rileva il Collegio che essa contiene tutti gli elementi richiesti dalla legge ai fini della corretta rappresentanza dell’assistito innanzi a questa Corte (per tutte: Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 21938 del 2018), inclusa la qualifica del legale rappresentante p.t. della società RAGIONE_SOCIALE firmatario della procura.
Tanto precisato, è ora possibile affrontare lo scrutinio dei motivi di ricorso.
Con il primo motivo, ex art. 360, comma 1, n. 4) cod. proc civ., la società ricorrente lamenta l ‘ errata statuizione della Corte di Appello in ordine alla attendibilità delle testimonianze, in relazione all’art. 116 cod. proc civ. Si contesta la valutazione dell’attendibilità dei testimoni riferita alla dichiarazione verbale resa dal sig. COGNOME, rappresentante legale de RAGIONE_SOCIALE, in merito alla garanzia per i vizi. Con riferimento al teste COGNOME, la ricorrente si duole dell’interpretazione dell’art. 116 cod. proc civ. e in particolare, dello scorretto utilizzo da parte del giudice di merito della giurisprudenza che impone per la valutazione della credibilità dei testi, l ‘esame sia degli elementi oggettivi che soggettivi. Con riferimento agli elementi soggettivi, il giudice di merito non ha dato rilevanza al fatto che secondo il principio dell’ id quod plerumque accidit , la testimonianza di un parente o affine non può essere imparziale. Inoltre, non ha considerato che lo stesso ha partecipato attivamente all’affare. In relazione al teste COGNOME
lamenta il ricorso la mancata considerazione del ruolo di mediatore del teste nella compravendita, oltretutto qualificato come «nostro» dalla società convenuta. Infine, entrambe le testimonianze sarebbero prive degli elementi oggettivi essendo queste formate sull’interrogatorio formale del legale rappresentante di RAGIONE_SOCIALE, dato contestabile e sottoposto ancora a verifica processuale.
Con il secondo motivo, ex art. 360, comma 1, n. 4) cod. proc. civ. , si deduce violazione di norme di procedura in relazione all’art. 232 cod. proc civ. A giudizio della ricorrente, la Corte ha errato nella lettura dell’art. 232 cod. proc civ. perché ha confermato la statuizione del Tribunale ammettendo i fatti dedotti nell’interrogatorio formale nonostante la mancata risposta del teste. In particolare, sostiene la ricorrente che la norma è stata violata nella parte in cui richiede che l’ammissibilità sia subordinata alla valutazione di ogni altro elemento di prova, circostanza non emersa nel giudizio di appello ove, invece, è stata valorizzata la risposta del rappresentante legale de RAGIONE_SOCIALE
Con il terzo motivo si deduce, ex art. 360, comma 1, n. 4) cod. proc civ. , violazione dell’art. 116 cod. proc civ. in ordine alla mancata considerazione di tutti gli elementi di prova acquisiti nel giudizio. Sempre con riferimento alla dichiarazione resa dal rappresentante legale de RAGIONE_SOCIALE, a giudizio della ricorrente la Corte ha omesso la valutazione degli altri elementi di prova necessari per dimostrare che il rifiuto di rispondere potesse essere equiparabile alla mancata risposta e, di conseguenza, essere assimilata ad una dichiarazione di garanzia verbale. Osserva la ricorrente, la sentenza di appello non ha tenuto conto che: nel contratto definitivo era stata eliminata la garanzia prevista nel preliminare; nel contratto definitivo le parti si accordavano nel senso che il complesso industriale veniva
venduto nello stato materiale e giuridico in cui si trovava; nella lettera del 31.10.200 5 non si faceva alcun riferimento all’assunzione di garanzia di buon funzionamento da parte del rappresentante legale dell’odierna ricorrente. Tali elementi pretermessi dimostrano la insussistenza della dichiarazione del rappresentante legale che la cosa fosse immune da vizi, in segno opposto a quanto, invece, affermato dalla Corte di Appello. Detta circostanza comporta violazione del 116 cod. proc civ. nonché, se gli elementi di cui sopra fossero stati adeguatamente considerati, verrebbe in risalto l’assenza di logicità e l’inverosimiglianza della ricostruzione della Corte di merito.
I primi tre motivi possono essere esaminati congiuntamente, in quanto tutti censurano la pronuncia impugnata sotto il profilo del l’erronea o mancata considerazione delle risultanze probatorie.
Sono tutti inammissibili in quanto sollecitano una nuova valutazione dell’intero compendio istruttorio, oltre al fatto che si risolvono nel riproporre doglianze alle quali il giudice di seconde cure ha già dato risposta.
5.1. Quanto alla inattendibilità dei due testi – uno perché figlio del legale rappresentante della società acquirente, l’altro perché mediatore nella compravendita intercorsa tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE -questa Corte ha costantemente affermato che in tema di procedimento civile, la valutazione delle risultanze delle prove ed il giudizio sull’attendibilità dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili.
E’, pertanto, insindacabile, in sede di legittimità, il «peso probatorio» di alcune testimonianze rispetto ad altre, in base al quale
il giudice di secondo grado sia pervenuto a un giudizio logicamente motivato (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 35959 del 22/11/2021, Rv. 662908 -01; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 21187 del 08/08/2019, Rv. 655229 -01; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13054 del 10/06/2014, Rv. 631274 -01; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 1554 del 28/01/2004, Rv. 569765 01). A tal proposito, questa Corte -nel rimarcare la discrezionalità guidata dal prudente apprezzamento delle prove della quale gode il giudice del merito -in una delle sentenze citate dal ricorso (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 17384 del 30/08/2004, Rv. 576376 -01) sottolinea che l’insussistenza (per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 248 del 1994) del divieto di testimoniare sancito per i parenti (come anche per il coniuge e gli affini) dall’art. 247 cod. proc. civ. non consente al giudice del merito una aprioristica valutazione di non credibilità delle deposizioni rese dalle persone indicate da detta norma, ma neppure esclude che l’esistenza di uno dei vincoli in essa indicati possa, in concorso con ogni altro utile elemento, essere considerato ai fini della verifica della maggiore o minore attendibilità delle deposizioni stesse. Del resto, anche l’aver s ollecitato al giudice del merito il confronto tra le deposizioni raccolte e la credibilità dei testi in base ad elementi soggettivi ed oggettivi, quali la loro qualità e vicinanza alle parti, l’intrinseca congruenza di dette dichiarazioni e la convergenza di queste con gli eventuali elementi di prova acquisiti, deriva dalla particolare situazione -non ricorrente nel caso di specie – in cui sussiste un contrasto fra le dichiarazioni rese dai testimoni escussi (Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 1547 del 27/01/2015, Rv. 634239 -01, citata in ricorso; conf.: Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 15270 del 31/05/2024, Rv. 671510 – 01).
Deve, dunque escludersi la violazione dell’art. 116 c od. proc. civ., risolvendosi la doglianza in un’inammissibile revisione del le risultanze probatorie.
5.2 . Quanto alla violazione dell’art. 232 cod. proc civ. (v. secondo motivo), la ricorrente denuncia sia l’illogicità delle argomentazioni rese dalla Corte territoriale, laddove ha ritenuto come ammessi i fatti dedotti nell’interrogatorio; sia la mancanza di «valutazione di ogni altro elemento di prova» ai sensi della norma citata, essendosi la Corte limitata a valorizzare la risposta del solo rappresentante legale della società venditrice. Il fatto che entrambi i giudici del merito abbiano voluto equiparare la risposta reticente («non ricordo») resa dal legale rappresentante della venditrice al rifìuto di rispondere (ai sensi dell’art. 232 cod. proc civ., comma 1, 1° inciso) non solo è statuizione coerente con quanto affermato da questa Corte (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 17719 del 06/08/2014, Rv. 632150 -01; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 7783 del 31/03/2010, Rv. 612247 – 01), ma anche logica, atteso che si trattava di un teste che rappresenta la venditrice convenuta/appellante, responsabile di aver rilasciato dichiarazionichiave in merito all’insussistenza di vizi, come tali idonee a confermare la garanzia legale ex art. 1491 cod. civ. a favore dell’attrice/appellata (v. infra , punto 9.1.).
Deve, quindi, escludersi la violazione dell ‘art. 232 del codice di rito, mentre si rileva nuovamente l’inammissibilità della doglianza , in quanto si traduce nella sollecitazione di una nuova lettura del compendio probatorio.
5.3. Contrariamente a quanto sostenuto in ricorso, la Corte d’Appello è pervenuta al convincimento in merito alla sussistenza della garanzia per vizi ex art. 1490 cod. civ. proprio a valle della valutazione
del quadro probatorio comprendente audizioni di diversi testi, oltre ché degli interrogatori formali (v. sentenza p. 7, punto 24.).
Né ha pregio quanto sostenuto dalla ricorrente nel terzo motivo del ricorso, laddove si dilunga nel censurare la sentenza impugnata per non aver tenuto conto (tra l’altro) del fatto che la garanzia di assenza dei vizi e di conformità al contratto, già presente nel preliminare di compravendita era, poi, stata espunta dal contratto definitivo stipulato il 10.03.2005; tanto che, precisa la ricorrente, tale garanzia era stata invocata dall’acquirente nella lettera del 31.10.2005 con espresso riferimento al contratto preliminare, non già al definitivo.
Sul punto, osserva la Corte d’Appello che tali elementi probatori non potevano essere presi in considerazione dal giudice di seconde cure, atteso che il contratto preliminare, pur riguardando entrambe le parti e avendo formazione anteriore all’introduzione del giudizio di primo grado -quindi nella disponibilità di RAGIONE_SOCIALE, allora convenuta -non era stato prodotto in giudizio nei termini imposti dal codice di rito, senza che fosse dedotto alcunché in merito all’impossibilità di reperimento del documento in questione (v. sentenza p. 5, punto 11.).
Infine, sulla consistenza del compendio probatorio utilizzato dal giudice di seconde cure del quale ora la ricorrente si duole, è utile precisare che la stessa Corte ha avuto modo di evidenziare che in primo grado RAGIONE_SOCIALE ha espressamente rinunciato a formulare istanze istruttorie in sede di memoria ex art. 183, comma 6, n. 2, cod. proc. civ. (v. sentenza p. 5, punto 12.; p. 6, righi 29-30).
6. Con il quarto motivo si deduce, ex art. 360, n. 3) cod. proc civ., violazione o falsa applicazione dell’art. 1491 cod. civ. in ordine alla garanzia per i vizi facilmente riconoscibili. Ad avviso della ricorrente, la Corte d’Appello non si è pronunciata in merito all’eccepita riconoscibilità
dei vizi ma ha erroneamente ritenuto l’eccezione ed il relativo motivo superati dall’assunzione di garanzia de lla venditrice tramite la dichiarazione verbale del legale rappresentante. Tuttavia, osserva la ricorrente che la garanzia di buon funzionamento asseritamente resa dal legale rappresentante de RAGIONE_SOCIALE non rende operante la garanzia prevista dall’art. 1490 cod. civ. né quella prevista dall’art. 1491 cod. civ.
Con il quinto motivo si deduce, ex art. 360, comma 1, n. 4) cod. proc civ., nullità della sentenza per omissione di pronuncia sul secondo motivo di appello, in merito alla facile riconoscibilità dei vizi e conseguente assenza della relativa garanzia. La società ricorrente lamenta la mancata pronuncia in merito alla riconoscibilità dei vizi, nonché l’aver statuito in maniera contraria rispetto a quanto affermato in CTU.
Con il sesto motivo si deduce, ex art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc civ. , violazione o falsa applicazione dell’art. 1491 cod. proc civ. in ordine all’insussistenza dei requisiti e del contenuto della dichiarazione del venditore di esenzione della cosa da vizi. La ricorrente evidenzia come, anche nel caso in cui la dichiarazione del legale rappresentante trovi riscontro nella dinamica fattuale, comunque non sarebbe idonea ai fini dell’assunzione della garanzia da parte del venditore per i vizi facilmente riconoscibili per mancanza dei requisiti ex 1491 cod. civ. In primo luogo, mancherebbe infatti l’esteriorizzazione e la specificità della dichiarazione, in quanto quella fondativa appare generica ed astratta. In secondo luogo, mancherebbe la contestualità della dichiarazione rispetto al contratto, visto che la dichiarazione del Trovato sarebbe asseritamente avvenuta al momento del preliminare, irrilevante per la conoscibilità dei vizi, e non al momento della vendita come richiesto dall’art. 1491 cod. civ.
Il quarto, quinto e sesto motivo saranno scrutinati congiuntamente, in quanto tutti aggrediscono la pronuncia impugnata sotto il profilo dell’insussistenza della garanzia per vizi, stante la facile riconoscibilità degli stessi e l’inadeguatezza della dich iarazione della venditrice a garantirne l’assenza. Essi sono infondati per le ragioni di séguito esposte.
9.1. Innanzitutto, è opportuno sgombrare il campo dell’equivoco, invero ingenerato dalla terminologia ambigua talvolta utilizzata dalla Corte d’Appello, sul quale la ricorrente costruisce in parte le sue doglianze (v. quarto e sesto motivo).
La sentenza fonda la motivazione sulla sussistenza, nella compravendita de qua, o meglio sulla mancata esclusione, della garanzia per vizi ex art. 1490 cod. civ., non già sulla garanzia di buon funzionamento ex art. 1512 cod. civ., sebbene abbia impropriamente utilizzato questa espressione in taluni passaggi argomentativi (v. p.e. sentenza p. 7, righi 5 e 8).
Tanto si deduce dal fatto che, a giudizio della Corte distrettuale, le prove testimoniali e le risultanze degli interrogatori formali provano che l’assenza di vizi degli impianti era stata sostenuta dal legale rappresentante della venditrice durante i sopralluoghi della promissaria acquirente, in un tempo precedente alla vendita. Pertanto, conclude il giudice di seconde cure, ricorre l’ipotesi di cui all’art. 1491 cod. civ., ossia: avendo il venditore dichiarato che gli impianti erano esenti da vizi, essi non possono dirsi «facilmente riconoscibili» ai sensi della medesima norma; da qui, il giudice d’appello giunge ad affermare la mancata esclusione ex art. 1491 cod. civ. e, quindi, la sussistenza della garanzia per vizi ex art. 1490 cod. civ. (v. sentenza p. 7, punto 24.).
Inconferente risulta, pertanto, l’orientamento di questa Corte citato in ricorso (p. 15, 3° e 4° capoverso; p. 18, 4° capoverso), relativo alla
garanzia di buon funzionamento ex art. 1512 cod. civ., rispetto alla quale le pronunce menzionate ritengono evidentemente insufficiente la dichiarazione del venditore, volta ad ingenerare un particolare affidamento del compratore e a garantire la qualità del bene mobile per un tempo determinato.
9.2. Da quanto sopra riportato risulta evidente che la Corte territoriale: i. diversamente da quanto sostenuto nel quarto motivo del ricorso, si è pronunciata sulla facile riconoscibilità dei vizi eccepita da RAGIONE_SOCIALE escludendo la ricorrenza di tale ipotesi, benché non li abbia mai definiti «vizi occulti» ai sensi dell’art. 1490, comma 2, cod. civ.; ii. essa ha valorizzato -sulla scorta delle risultanze probatorie disponibili -le rassicurazioni della venditrice in ordine all’insussistenza dei vizi (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 24343 del 16/10/2017, Rv. 645864 – 01), comunque rese – anche oralmente, in forma non specifica o implicita e non contestualmente alla stipulazione del contratto (arg. da Cass. Sez. 2, Sentenza n. 18352 del 13/09/2004, Rv. 577022 – 01, ove è stata riconosciuta all’omissione del venditore valenza di un’indiretta garanzia di assenza dei vizi) piuttosto che la diligenza dell’acquirente che, appartenendo ad un settore merceologico affine, avrebbe potuto o dovuto adeguatamente controllare lo stato degli impianti (Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 2756 del 06/02/2020, Rv. 657247 -01).
In sintesi, sui punti oggetto di censura la motivazione della Corte risulta adeguata e scevra da omissioni o illogicità; pertanto, il giudizio sulla conoscibilità del vizio costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice di merito, non censurabile in sede di legittimità (Sez. 2, Ordinanza n. 24726 del 19/10/2017, Rv. 645802 – 01).
10. Con il settimo motivo si deduce, ex art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc civ., violazione o falsa applicazione dei criteri interpretativi dettati dall’art. 1362 cod. civ. in ordine alla clausola di vendita del
compendio nello «stato materiale e giuridico in cui si trova». La società ricorrente si duole dell’erronea interpretazione della clausola secondo cui l’immobile è compravenduto «nello stato materiale e giuridico in cui si trova», considerata dalla Corte di Appello come mera clausola di stile di carattere generico e non come clausola di esclusione della garanzia ex 1490 cod. civ. Sul punto, si lamenta l’omessa valutazione del complessivo comportamento delle parti imposto dall’art. 1362 cod. civ., ai fini della determinazione della comune volontà delle parti su detta clausola. In particolare, osserva il ricorso, il giudice di seconde cure non ha tenuto in considerazione che in luogo delle clausole di garanzia previste nel preliminare è stata inserita la clausola generica sullo stato dell’opera e che nella lettera del 31.10.2005 RAGIONE_SOCIALE invocava gli obblighi derivanti dal preliminare, non dal contratto definitivo. Infine, la Corte di Appello ha erroneamente interpretato la giurisprudenza della Suprema Corte sul punto, che riconduce tale clausola ad una di stile solamente come extrema ratio nel caso in cui, dopo l’attività interpretativa non sia stato possibile ritenere che la clausola sia stata oggetto di pattuizione tra le parti.
10.1. Il motivo è infondato.
La ricorrente sostiene che la Corte d’Appello avrebbe errato nel valutare la clausola di vendita del compendio come «clausola di stile», non avendo valutato il comportamento delle parti. A tal fine, prosegue la ricorrente, rilevava sia il fatto che le clausole di garanzia previste dai contraenti nel contratto preliminare fossero state espunte dal contratto definitivo; sia il fatto che nel la lettera del 31.10.2005 l’acquirente invocava l’adempimento degli obblighi di garanzia derivanti, appunto, dal contratto definitivo.
Come già rilevato supra (punto 5.3.), gli elementi probatori invocati non potevano essere presi in considerazione dal giudice di seconde
cure, neanche ai fini della rilevanza del comportamento delle parti successivo alla stipula del contratto, atteso che il contratto preliminare non era stato prodotto in giudizio nei termini imposti dal codice di rito; come sottolineato dalla Corte territoriale, inoltre, in sede di memorie ex art. 186, comma 6, n. 2, l’odierna ricorrente aveva espressamente rinunciato a formulare ulteriori istanze istruttorie.
Con l’ottavo motivo, ex art. 360, comma 1, n. 4) cod. proc civ., si deduce violazione dell’art. 116 cod. proc civ. in ordine alla valutazione dell’attendibilità dei testi in merito alla tempestività della denuncia dei vizi. La Corte di Appello ha erroneamente rigettato il motivo sulla decadenza della garanzia per intempestività della denuncia dei pretesi vizi da valer e nell’ipotesi di vizi occulti. Sul punto, la ricorrente lamenta la valutazione delle testimonianze dell’COGNOME e del COGNOME, ritenute non attendibili per le già esposte motivazioni, avvalorate anche dal fatto che il teste COGNOME non ha saputo dare una data precisa, a distanza di 5 anni, della telefonata con cui i vizi per la prima volta venivano denunciati, a differenza dei due testi portatori di interessi comuni con RAGIONE_SOCIALE, i quali invece hanno ritenuto di poter riferire il giorno esatto della denuncia telefonica.
Motivo 8bis . Con questa ulteriore doglianza, ex art. 360, comma 1, n. 5) cod. proc civ., si deduce omesso esame di un documento e del relativo fatto rappresentato e decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti. La ricorrente lamenta l’omessa valutazione della lettera del 31.10.2015 con cui RAGIONE_SOCIALE anticipava al rappresentante legale del RAGIONE_SOCIALE gli asseriti malfunzionamenti. Il contenuto della missiva si pone in netta contrapposizione con le dichiarazioni dei testi in ordine alla tempistica della denuncia dei vizi. Da ciò, dunque, si desume che RAGIONE_SOCIALE
non aveva fatto alcuna tempestiva denuncia dei vizi asseritamente scoperti dopo la vendita.
13. Le due ultime doglianze sono inammissibili.
Fermo restando che la denuncia dei vizi non è soggetta a forme particolari, potendo essere fatta anche per facta concludentia (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2733 del 05/02/2013, Rv. 624876 -01, in materia di appalto; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4893 del 01/04/2003, Rv. 561617 -01; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 4464 del 20/05/1997, Rv. 504522 01) e, quindi, anche per telefono, peraltro anche in forma del tutto generica (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 27488 del 28/10/2019, Rv. 655678 -01; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 25027 del 11/12/2015, Rv. 637661 -01; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 6234 del 15/05/2000, Rv. 536520 – 01), la Corte territoriale ha stabilito che così è avvenuto nel caso di specie.
Tale convincimento è maturato sulla scorta delle dichiarazioni dei testi, i quali hanno riferito che al legale rappresentante della venditrice era stata ripetutamente denunciata per via telefonica la presenza di vizi.
Come si è avuto modo di chiarire innanzi, si tratta di valutazioni che attengono alla valutazione delle prove e al merito della causa, come tali insindacabili in questa sede, non essendo affatto inverosimile -come invece affermato in ricorso -che nei loro rapporti gli imprenditori agiscano avvalendosi di mezzi di comunicazione per le vie brevi.
Per le stesse ragioni di attinenza al merito e alla revisione valutativa del compendio probatorio, è inammissibile la rilettura della lettera inviata dall’acquirente alla venditrice in data 31.10.2005 che, a detta della ricorrente, smentirebbe quanto sostenuto dai testi, posto che in essa si «anticipa» -così illustrando un fatto nuovo, mai prima
comunicato – la denuncia puntuale dei vizi occulti e gravi, unita alla richiesta di riduzione del prezzo e del risarcimento dei danni, che RAGIONE_SOCIALE avrebbe inviato alla venditrice in data 12.04.2006.
14. Con il nono motivo si deduce, ex art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc civ., violazione o falsa applicazione degli artt. 1495 e 2943 cod. civ. in ordine all’interruzione della prescrizione annuale dell’azione di riduzione del prezzo. In tesi: la Corte di merito ha errato nell’attribuire efficacia interruttiva della prescrizione alla lettera del 31.10.2005 e al deposito del ricorso per ATP del 26.04.2006. Criticando il diverso orientamento della Suprema Corte in ordine all’interruzione della prescrizione nelle azioni edilizie, con atto di messa in mora (per tutte: Cass. Sez. U, n. 18672/2019), in quanto non sorretto da plausibili ragioni, nel ricorso si contrasta l’idoneità dell’atto di messa in mora ad interrompere la prescrizione, e si sostiene che il termine prescrizionale per l’esercizio delle azioni attivabili nel caso di specie (azione di riduzione del prezzo e azione di risoluzione del contratto) possa essere interrotto solamente mediante proposizione di domanda giudiziale, in analogia a quanto sostenuto dai giudici di legittimità con riferimento all ‘interruzione della prescrizione nell’ordinaria fattispecie dell’azione di risoluzione del contratto, ex art. 1453 cod. civ. Con riferimento all’accertamento tecnico preventivo in particolare, sottolinea la ricorrente che l’effetto interruttivo non può essere realizzato mediante richiesta di un mero accertamento svolto tramite ATP, ancorché finalizzato all’attivazione della garanzia per i vizi: effetto interruttivo che si verificherebbe solo con la notifica, non anche con il mero deposito del ricorso.
15. Motivo 9bis . Con ulteriore censura, ex art. 360, comma 1, n. 3) cod. proc civ., si deduce violazione o falsa applicazione degli artt. 2943, comma 3, e 1219 cod. civ. in ordine all’interruzione della
prescrizione per effetto degli altri atti considerati dalla sentenza. Espone la ricorrente che, in ogni caso, anche gli altri atti indicati in sentenza per interrompere la prescrizione sono carenti dei requisiti previsti dall’art. 2943, comma 3, cod. civ. La ricorrente ribadisce, dunque, la non idoneità dell’atto di denuncia verbale dei vizi in data 10.03.2005, non essendo stata effettuata in forma scritta, e della lettera del 31.10.2005, essendo quest’ultima priva dell’esplicitazione di una pretesa e dell’intimazione o della richiesta scritta di adempimento. Inoltre, quest’ultima risulta inidonea anche sotto il profilo soggettivo perché non diretta alla società RAGIONE_SOCIALE ma al suo rappresentante legale, soggetto distinto dalla società.
16. Le due doglianze sono infondate sotto ogni profilo.
16.1. Quanto alla idoneità di manifestazioni extragiudiziali a interrompere la prescrizione dell’azione per far valere la garanzia per vizi, questa Corte, nel suo massimo consesso, ha affermato un principio di diritto dal quale questo Collegio non intende discostarsi, in virtù del quale: «In tema di compravendita, le manifestazioni extragiudiziali di volontà del compratore, compiute nelle forme di cui all’art. 1219, comma 1 cod. civ., costituiscono, ai sensi dell’art. 2943, comma 4, cod. civ., atti idonei ad interrompere la prescrizione dell’azione di garanzia per vizi, di cui all’art. 1495, comma 3 cod. civ., con l’effetto di determinare l’inizio di un nuovo periodo di prescrizione, ai sensi dell’art. 2945, comma 1 cod. civ.» (Cass. Sez. U, Sentenza n. 18672 del 11/07/2019, Rv. 654588 -01, conf. da: Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 11590 del 30/04/2024, Rv. 671124 – 01).
E’ opportuno precisare che alla denuncia verbale come atto interruttivo della prescrizione dell’azione edilizia non ha fatto riferimento la Corte d’Appello che, invece, ha attribuito valenza interruttiva alla lettera del 13.10.2005, cui ha fatto seguito il deposito
del ricorso per ATP del 26.04.2004 e, soprattutto, ai fini della conoscenza obbiettiva della gravità dei difetti (per tutte: Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 24486 del 17/10/2017, Rv. 645800 – 01) il deposito della relazione peritale il 13.12.2007: tutti atti interruttivi fino all’introduzione del giudizio con citazione notificata il 13.08.2008 (così sentenza impugnata p. 8, punto 32).
Il Collegio condivide la statuizione della Corte territoriale, alla luce della giurisprudenza di questa Corte sopra riportata, rispetto alla quale le argomentazioni in ricorso non costituiscono ragione per disattenderla Le ragioni di questa scelta sono state chiarite nelle pronunce menzionate: il termine breve prescrizionale, che si collega all’onere della preventiva denuncia il cui assolvimento è prescritto dal comma 1 dell’art. 1495 cod. civ., concerne la tutela contrattuale del compratore per far valere l’inesatto adempimento per difettosità del bene oggetto della vendita, a prescindere dal rimedio. Il presupposto di fondo, quindi, consiste nella configurazione di tale responsabilità dell’acquirente come obbligazione derivante ex contractu . Il diverso indirizzo, riproposto in ricorso senza addurre nuove argomentazioni, che ritiene necessario ai fini dell’interruzione del termine prescrizionale annuale l’esercizio dell’azione in via giudiziale è stato superato (nelle pronunce menzionate) in considerazione del fatto che non si verte propriamente nell’ipotesi di esercitare un singolo specifico potere, attraverso un diritto potestativo, ma di far valere il «diritto alla garanzia» derivante dal contratto, rispetto al quale, perciò, non si frappongono ostacoli decisivi che impediscono l’applicabilità della disciplina generale della prescrizione, ivi compresa quella in materia di interruzione e sospensione. Sì che, in definitiva «Quando si avvale della ‘garanzia’ il compratore fa valere l’inadempimento di una precisa obbligazione del venditore (contemplata dall’art. 1476 n. 3) cod. civ.)
e, conseguentemente, sul piano generale, deve ammettersi che lo possa fare attraverso una manifestazione di volontà extraprocessuale … Argomento di tipo logico-sistematico conforta, quindi, l’ammissibilità dell’interruzione della prescrizione con un atto stragiudiziale, fermo rimanendo che l’interruzione si limita a far perdere ogni efficacia al tempo già trascorso prima del compimento dell’atto, senza interferire con il modo di essere del diritto» (Cass. Sez. U, n. 18672 del 2019, cit.).
16.2. Quanto ai contenuti della lettera del 31.10.2005, e alla loro idoneit à oggettiva agli effetti dell’interruzione della prescrizione per l’esercizio dell’azione : si tratta di valutazioni che attengono al merito, e quindi è inammissibile la loro riproposizione in questa sede. Il fatto, poi, che la suddetta missiva fosse diretta non alla società ma al suo legale rappresentante non rileva sotto il profilo della sua idoneità soggettiva, atteso che ad un ente morale non ci si può che rivolgere per il tramite del suo legale rappresentante.
17. In definitiva, il Collegio rigetta il ricorso.
Le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013, stante il tenore della pronuncia, va dato atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore della controricorrente, che liquida in €. 7.500,00
per compensi, oltre ad €. 200,00 per esborsi e agli accessori di legge nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater D.P.R. n. 115 del 2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 -bis, del D.P.R. n. 115 del 2002, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda