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Garanzia oggetto sociale: quando è inefficace?

La Corte di Cassazione conferma l’inefficacia di un’ipoteca concessa da una società a garanzia di un debito del proprio socio unico, poiché l’atto era estraneo all’oggetto sociale. La decisione si fonda sul principio che la consapevolezza della banca circa la potenziale dannosità dell’operazione per la società garante integra il dolo richiesto dalla legge. Questo caso chiarisce i limiti della validità di una garanzia oggetto sociale nei confronti dei terzi, specialmente in un contesto fallimentare.

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Garanzia Oggetto Sociale: La Cassazione Conferma l’Inefficacia se Manca l’Interesse della Società

Quando una società concede una garanzia per un debito altrui, come quello del proprio socio, quali sono i limiti di validità? La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha affrontato un caso cruciale riguardante la garanzia oggetto sociale, stabilendo principi importanti sull’inefficacia degli atti che esulano dall’interesse economico della società garante e sulla consapevolezza del creditore beneficiario.

I Fatti di Causa

La vicenda trae origine dall’opposizione allo stato passivo del fallimento di una società immobiliare. Un istituto di credito aveva richiesto l’ammissione di un credito di 286.000 euro in via privilegiata, in virtù di un’ipoteca concessa dalla società poi fallita.

Tale ipoteca non garantiva un debito proprio della società immobiliare, bensì un mutuo concesso dalla banca al socio unico della stessa. In pratica, la società controllata aveva garantito un’obbligazione della sua controllante.

Il Tribunale, in prima istanza, aveva ammesso il credito della banca solo in via chirografaria (senza privilegio), dichiarando inefficace l’ipoteca. La ragione? L’atto di concessione della garanzia era stato ritenuto completamente estraneo all’oggetto sociale della società fallita, non portando alcun vantaggio economico, neppure indiretto, a quest’ultima. L’attività della società era infatti prettamente operativa (compravendita, costruzione, affitto di immobili) e la garanzia era stata prestata nell’esclusivo interesse della controllante.

La Decisione del Tribunale e i Motivi del Ricorso

Il giudice di merito aveva rilevato non solo l’estraneità dell’atto all’oggetto sociale, ma anche il ‘dolo’ della banca. Tale dolo consisteva nella piena consapevolezza che l’ipoteca veniva concessa dalla controllata per garantire un contratto concluso nell’esclusivo interesse della controllante, al punto che parte del finanziamento era stato usato per ridurre l’indebitamento di quest’ultima verso la banca stessa.

L’istituto di credito ha impugnato questa decisione dinanzi alla Corte di Cassazione, basando il ricorso su tre argomenti principali:
1. L’atto non poteva essere ritenuto inefficace perché autorizzato da delibere del socio unico e del consiglio di amministrazione.
2. Non sussisteva un conflitto di interessi, trattandosi di un’operazione infragruppo tra controllante e controllata.
3. Mancava la prova del ‘dolo’ specifico richiesto dall’art. 2384 c.c., ovvero l’intenzione di agire a danno della società, che non può coincidere con la mera consapevolezza di una potenziale dannosità.

L’Analisi della Cassazione sulla garanzia oggetto sociale

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando di fatto la decisione del Tribunale. I giudici di legittimità hanno smontato le argomentazioni della banca, chiarendo aspetti fondamentali in materia di garanzia oggetto sociale.

In primo luogo, le censure relative alle delibere autorizzative sono state ritenute inammissibili perché non discusse nel merito e comunque non decisive. Il punto centrale, secondo la Corte, non era l’esistenza di un’autorizzazione formale, ma la sostanza dell’operazione.

Il cuore della pronuncia risiede nell’analisi del terzo motivo, relativo al dolo. La Cassazione ha ribadito che la valutazione sulla sussistenza del dolo è un accertamento di fatto, riservato al giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato. Nel caso di specie, il Tribunale aveva spiegato in modo esauriente perché la banca fosse consapevole del pregiudizio che l’operazione arrecava alla società garante. La banca sapeva che l’ipoteca non rispondeva ad alcun interesse economico della società immobiliare e che, anzi, la esponeva a un rischio senza alcuna contropartita. Questa consapevolezza è stata ritenuta sufficiente a integrare il requisito dell’aver ‘agito intenzionalmente a danno della società’, come previsto dall’art. 2384 del codice civile per superare la generale inopponibilità ai terzi dei limiti al potere di rappresentanza degli amministratori.

Le Motivazioni

La Corte ha ritenuto il ricorso inammissibile perché, in sostanza, la banca chiedeva un riesame del merito della vicenda, pretendendo una nuova valutazione dei fatti già accertati dal Tribunale. La motivazione del giudice di merito sulla sussistenza del dolo era stata considerata logica e completa. La ricorrente, pur riconoscendo che l’estraneità dell’atto all’oggetto sociale le sarebbe stata opponibile in caso di exceptio doli, si è limitata a contestare la valutazione fattuale del Tribunale, senza evidenziare un vizio di motivazione nei ristretti limiti consentiti dalla legge (Cass. S.U. n. 8053/2014).

Le Conclusioni

Questa ordinanza offre un’importante lezione pratica. Un atto di un amministratore, anche se formalmente autorizzato, è inefficace se esorbita dall’oggetto sociale e non persegue alcun interesse, neanche indiretto, per la società. Tale inefficacia può essere fatta valere nei confronti del terzo (in questo caso, la banca) che ne trae vantaggio, qualora si provi che quest’ultimo era consapevole della potenziale dannosità dell’atto. La ‘consapevolezza’, secondo la Corte, è sufficiente a integrare quel ‘dolo’ che la legge richiede, senza necessità di dimostrare un fine specifico di danneggiare. Per le banche e gli altri operatori finanziari, ciò significa che è necessario un attento esame non solo formale ma anche sostanziale delle garanzie ricevute, specialmente in operazioni infragruppo, per accertarsi che l’atto corrisponda a un effettivo interesse economico della società garante.

Quando una garanzia prestata da una società è considerata estranea all’oggetto sociale?
Una garanzia è considerata estranea all’oggetto sociale quando non soddisfa alcun interesse economico, neppure indiretto, della società che la concede e non rientra nell’attività operativa tipica della stessa, come descritta nello statuto.

Cosa si intende per ‘agire intenzionalmente a danno della società’ ai fini dell’opponibilità di un atto ai terzi?
Secondo l’ordinanza, questo requisito, previsto dall’art. 2384 c.c., non richiede la prova di uno specifico intento di arrecare pregiudizio. È sufficiente la consapevolezza del terzo (es. la banca) della potenziale dannosità dell’atto compiuto dagli amministratori e del fatto che esso è concluso nell’esclusivo interesse di un altro soggetto, senza alcun vantaggio per la società.

Una delibera autorizzativa del CdA o del socio unico può rendere efficace un atto che esorbita dall’oggetto sociale a danno della società?
No, secondo la Corte, l’esistenza di delibere autorizzative non è di per sé sufficiente a rendere efficace l’atto se questo rimane estraneo all’interesse sociale e il terzo beneficiario ne è consapevole. La sostanza dell’operazione e il suo concreto interesse per la società prevalgono sulla validità formale dell’autorizzazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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