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Garanzia del venditore: quando la dichiarazione è vincolante

Una società immobiliare ha acquistato un terreno scoprendo l’assenza di un diritto di passaggio dichiarato e la presenza di una servitù di elettrodotto non menzionata. La Cassazione chiarisce che una dichiarazione fattuale del venditore non equivale a una garanzia del venditore, ponendo un onere di diligenza sul compratore. La Corte ha confermato il risarcimento solo per la servitù non dichiarata, respingendo le altre pretese per mancanza di una vera e propria garanzia e di prove sui danni.

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Garanzia del Venditore: Quando una Dichiarazione Diventa un Impegno

Nell’ambito delle compravendite immobiliari, la distinzione tra una semplice dichiarazione e una vera e propria garanzia del venditore è cruciale e può determinare l’esito di complesse controversie legali. Un’ordinanza della Corte di Cassazione ha recentemente affrontato questo tema, offrendo chiarimenti fondamentali sull’interpretazione delle clausole contrattuali e sugli oneri di diligenza che gravano sull’acquirente. Il caso esaminato riguarda l’acquisto di un terreno per un progetto edilizio, complicato dalla scoperta di una servitù passiva non dichiarata e dall’assenza di una servitù attiva che si riteneva esistente.

I fatti di causa: una compravendita con sorprese

Una società immobiliare acquistava un terreno con l’intento di realizzarvi un progetto edilizio. Il contratto definitivo, preceduto da un preliminare, conteneva una clausola in cui si affermava che l’accesso al bene “si pratica, come in fatto, pacificamente, pubblicamente e senza opposizione di terzi, da oltre 20 anni”. Dopo l’acquisto, la società scopriva due problemi significativi:

1. Il presunto diritto di passaggio su un fondo vicino, di proprietà di un terzo, non esisteva legalmente.
2. Sul terreno acquistato gravava una servitù passiva di elettrodotto sotterraneo, mai dichiarata dai venditori.

Questi imprevisti impedivano alla società di completare il progetto edilizio nei tempi e modi previsti. Di conseguenza, l’acquirente citava in giudizio i venditori e la proprietaria del fondo vicino, chiedendo il risarcimento dei danni, la riduzione del prezzo e l’accertamento dell’usucapione della servitù di passaggio.

L’iter giudiziario: dal Tribunale alla Corte d’Appello

Il Tribunale di primo grado rigettava tutte le domande dell’acquirente. La società proponeva appello e la Corte territoriale riformava parzialmente la sentenza. I giudici di secondo grado riconoscevano il diritto dell’acquirente a un risarcimento di circa 11.000 euro per la mancata dichiarazione della servitù di elettrodotto, ma confermavano il rigetto di tutte le altre richieste. In particolare, la Corte d’Appello riteneva che la clausola sul diritto di passaggio non costituisse una garanzia legale, ma una mera descrizione della situazione di fatto, e che spettasse all’acquirente l’onere di verificarne l’effettiva consistenza giuridica.

Il ricorso in Cassazione e l’analisi della garanzia del venditore

Insoddisfatta, la società acquirente ricorreva in Cassazione, basando le proprie doglianze su sei motivi. I punti centrali del ricorso riguardavano l’errata interpretazione della clausola contrattuale come non integrante una garanzia del venditore e il mancato riconoscimento di ulteriori danni, inclusa la perdita di chance.

L’interpretazione della clausola sul diritto di passaggio

La Suprema Corte ha respinto i motivi relativi alla garanzia del venditore. Ha confermato la valutazione della Corte d’Appello, secondo cui la frase “si pratica, come in fatto” non poteva essere interpretata come un’assunzione di garanzia sull’esistenza giuridica della servitù. Si trattava, piuttosto, di una dichiarazione descrittiva. A fronte di un tenore testuale così chiaro, la Corte ha sottolineato che rientra nell’onere di diligenza dell’acquirente accertare la reale situazione giuridica, specialmente quando si tratta di diritti su fondi altrui.

La mancata prova dei danni ulteriori

La Cassazione ha rigettato anche i motivi relativi al risarcimento per il lucro cessante e la perdita di chance. La Corte d’Appello aveva motivato in modo strutturato che le richieste risarcitorie erano generiche e non supportate da prove specifiche. Il compito della Corte di legittimità non è quello di riesaminare il merito delle prove, ma di verificare che il giudice inferiore abbia applicato correttamente i principi logico-giuridici nel proprio apprezzamento, cosa che nel caso di specie era avvenuta.

La questione delle spese legali

L’unico motivo accolto dalla Corte riguardava la liquidazione delle spese legali. La Cassazione ha riscontrato una contraddizione tra la motivazione della sentenza d’appello, che preannunciava una nuova liquidazione complessiva delle spese, e il dispositivo, che si limitava a condannare i venditori al rimborso del 50% delle spese del solo secondo grado. Di conseguenza, ha corretto la decisione estendendo la condanna al rimborso anche al 50% delle spese del primo grado.

Le motivazioni della Suprema Corte

La Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale nell’interpretazione contrattuale: il significato letterale delle parole è il punto di partenza, e una dichiarazione di fatto non può essere elevata a garanzia formale senza una chiara intenzione delle parti in tal senso. I giudici hanno ritenuto che la motivazione della Corte d’Appello, seppur sintetica, fosse immune da censure, in quanto rientrava nel prudente apprezzamento del giudice di merito. Le doglianze della ricorrente, secondo la Corte, manifestavano l’intenzione di sovrapporre la propria valutazione a quella, legittima, del giudice.

Le conclusioni

Questa ordinanza offre spunti pratici importanti. Per chi acquista un immobile, emerge la necessità di una due diligence approfondita, che non si fermi alle dichiarazioni fattuali del venditore ma verifichi la situazione giuridica attraverso visure e accertamenti specifici. Per chi vende, sottolinea l’importanza di formulare le clausole contrattuali con precisione, distinguendo chiaramente tra descrizioni dello stato di fatto e assunzione di specifiche garanzie. La decisione finale, pur accogliendo una censura procedurale sulle spese, conferma la linea rigorosa della giurisprudenza nel definire i contorni della garanzia del venditore e l’onere probatorio a carico di chi lamenta un danno.

Una dichiarazione del venditore su una caratteristica dell’immobile costituisce sempre una garanzia legalmente vincolante?
No. Secondo la sentenza, una semplice dichiarazione che descrive una situazione di fatto (es. “l’accesso si pratica di fatto da 20 anni”) non costituisce automaticamente una garanzia sull’esistenza giuridica di tale diritto (es. una servitù di passaggio). È necessario che dal contratto emerga una chiara volontà di prestare tale garanzia.

Il compratore ha l’obbligo di verificare le dichiarazioni del venditore?
Sì. La Corte ha stabilito che, a fronte di una dichiarazione puramente descrittiva dello stato di fatto, è onere di una parte acquirente diligente accertare l’effettiva situazione giuridica, ad esempio verificando l’esistenza di una servitù di passaggio trascritta.

Per ottenere un risarcimento per la perdita di opportunità commerciali (lucro cessante) è sufficiente dimostrare il difetto del bene acquistato?
No. La sentenza chiarisce che il danno da lucro cessante o perdita di chance non può essere presunto. L’acquirente deve allegare e provare con la necessaria specificità la natura e la portata dei danni subiti, dimostrando il nesso di causalità tra l’inadempimento del venditore e il mancato guadagno.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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