Sentenza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 6002 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 3 Num. 6002 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/03/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 17408/2021 R.G. proposto da: COGNOME NOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME NOMECODICE_FISCALE), DI DIONISIO NOME (CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME (CODICE_FISCALE) che la rappresenta e difende
-controricorrente-
nonchè
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE)
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO MILANO n. 1206/2021 depositata il 16/04/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15/06/2023 dal Consigliere NOME COGNOME
Fatti di causa
NOME e NOME COGNOME hanno proposto opposizione al decreto ingiuntivo emesso in favore di RAGIONE_SOCIALE, con il quale si è ingiunto loro di pagare la somma di 295.710,75 € a seguito della risoluzione di quattro contratti di locazione finanziaria stipulati tra la società creditrice e la RAGIONE_SOCIALE poi fallita: i due avevano infatti prestato garanzia a favore di tale società.
Con l’opposizione a decreto ingiuntivo, il COGNOME NOME, in particolare, ha assunto che uno dei contratti era stato sottoscritto non da lui ma da un suo omonimo.
Entrambi hanno chiamato in causa il terzo RAGIONE_SOCIALE, indicato come effettivo utilizzatore del bene oggetto di uno dei quattro contratti, e quindi obbligato al pagamento.
Separatamente ha proposto opposizione al decreto ingiuntivo NOME COGNOME, disconoscendo l’autenticità delle firme apparentemente apposte a suo nome sui contratti di fideiussione.
Si è costituita in giudizio anche la RAGIONE_SOCIALE, che ha dedotto la propria carenza di legittimazione passiva.
Nel corso del primo grado del giudizio, previa CTU calligrafica, si è accertato che tutte le firme a nome NOME COGNOME erano apocrife, e
che risultavano false anche le firme a nome NOME COGNOME in calce alle clausole vessatorie di uno dei quattro contratti. La RAGIONE_SOCIALE ha rinunciato al credito in riferimento ad uno dei contratti, in cui la firma ‘NOME COGNOME‘ risultava apposta da altro soggetto, omonimo dell’opponente.
Il Tribunale di Milano ha revocato il decreto ingiuntivo nei confronti del COGNOME e lo ha revocato anche nei confronti del COGNOME NOME, riducendo il credito a 114.000 € circa, mentre ha confermato il decreto ingiuntivo nei confronti di NOME COGNOME ritenendo irrilevante la falsità della sua firma in calce alle clausole vessatorie ai fini della validità complessiva del contratto. Ha ritenuto anche infondate le eccezioni dei debitori relative all’inerzia del creditore, puntualizzando che gli opponenti avevano prestato garanzie a prima richiesta con espressa rinuncia ad avvalersi della facoltà di opporre le eccezioni di cui all’articolo 1955 c.c., con conseguente impossibilità di far valere un eventuale comportamento colposo del creditore ai sensi dell’articolo 1227 c.c.
Entrambi i COGNOME hanno proposto appello ed hanno contestato la qualificazione di uno dei quattro contratti come contratto autonomo di garanzia sulla base della falsità delle firme apposte da NOME COGNOME, facendo presente che -stante la nullità di quella clausolapermaneva la loro facoltà di opporre i comportamenti assunti dal creditore, in particolar modo la sua inerzia in relazione al recupero dei beni concessi in leasing.
La Corte d’appello di Milano ha rigettato l’impugnazione affermando l’ insussistenza della violazione dei doveri di correttezza e buonafede in capo al creditore, confermando la natura dei contratti quali contratti autonomi di garanzia, con conseguente impossibilità dei garanti di svolgere eccezioni riguardo all’inerzia e alle condotte del creditore, del quale escludeva comunque una responsabilità ai sensi dell’articolo 1227 CC.
Propongono ricorso per Cassazione Crhistian e NOME COGNOME con cinque motivi di ricorso.
Resistono con distinti controricorsi RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE , quest’ultima ha depositato anche memoria.
Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte, ed ha chiesto il rigetto del ricorso.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso i ricorrenti prospettano violazione e falsa applicazione degli articoli 1362 e seguenti c.c. in relazione all’articolo 360 numero 3 c.p.c., là dove la Corte d’appello ha ritenuto pacifica la qualificazione del contratto sottoscritto dai COGNOME come contratto autonomo di garanzia, piuttosto che come fideiussione, e denunciano la carenza di motivazione in relazione alla qualificazione del contratto, attesa la assoluta mancanza di argomenti a supporto di essa. Sottolineano che si trattava di un contratto sottoscritto su modulo standard, predisposto dalla società, denominato fideiussione, e che sarebbe stato necessario ricostruire la volontà delle parti per poter addivenire eventualmente a una diversa qualificazione del contratto.
Con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 1227 c.c. in relazione all’articolo 360, n. 3 c.p.c. Si sostiene che, qualora la classificazione del contratto dovesse essere in termini di contratto di fideiussione, dovranno essere ritenute legittime le censure mosse dal garante quanto alla responsabilità del creditore ai sensi dell’art. 1227 c.c., censure che la Corte d’appello avrebbe dovuto esaminare in relazione al profilo dell’inerzia del creditore, quantomeno sotto il profilo del concorso di colpa.
Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione dell’articolo 1957 c.c., segnalando che, qualora il negozio fosse correttamente qualificato come fideiussione, dovrebbe essere esaminata dal giudice di merito l’inerzia del creditore anche sotto il profilo dell’articolo 1957 c.c.
Aggiungono che una eventuale deroga contrattualmente prevista all’articolo 1957 c.c. si dovrebbe ritenere non soltanto oggetto di clausola vessatoria ma radicalmente nulla in riferimento a tutti e quattro i contratti.
Con il quarto motivo denunciano la violazione e falsa applicazione dell’articolo 1175 c.c. e dell’articolo 1375 c.c., censurando la sentenza impugnata là dove è stata ritenuta insussistente la malafede del creditore nella stipula delle fideiussioni e nella relativa previsione di escludere la rilevanza della insolvenza dell’utilizzatore . I ricorrenti assumono di aver dedotto diverse circostanze a fondamento della violazione dei doveri di correttezza e buona fede da parte della creditrice, circostanze che non sarebbero state prese in considerazione, ed in particollare la falsità delle firme di uno dei garanti, la falsità della firma del NOME COGNOME in calce alle clausole vessatorie di uno dei quattro contratti.
Infine, con il quinto ed ultimo motivo, denunciano la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2041 c.c. evidenziando di aver segnalato al giudice di merito che uno dei macchinari, quello relativo all’ultimo contratto le cui clausole vessatorie erano state apocrifamente sottoscritte dal COGNOME, era, in effetti, fin dal 2010 detenuto e utilizzato da altra società, la RAGIONE_SOCIALE, poi anche evocata in giudizio e che il creditore nessuna attività di recupero aveva compiuto, lasciando il macchinario nella piena ed esclusiva disponibilità di RAGIONE_SOCIALE che per esso non aveva pagato alcunché mentre i canoni di locazione venivano chiesti ai garanti.
§.- Il secondo e quarto motivo meritano accoglimento con assorbimento degli altri.
Con esso si prospetta, come si è detto, che il finanziatore ha sfruttato una garanzia avente fonte in un contratto le cui sottoscrizioni sono state accertate come false e che, al momento della apposizione, erano state per l’appunto autenticate da un funzionario della stessa società finanziatrice.
Qui va fatta una premessa.
Sostiene il PG, ed insieme a lui i controricorrenti, che questa questione non risulta sia stata posta in appello, o meglio i ricorrenti non dimostrano di averla posta in secondo grado, con la conseguenza che sarebbe qui fatta valere per la prima volta.
In realtà, lo stesso giudice di appello dà atto che la questione era stata posta davanti a sé, ed infatti a pagina 3, espressamente riferisce che tra i motivi di appello c’è la questione della immeritevolezza di contratti in cui sono apposte firme false; ed anzi, su tale questione egli decide pure: a pagina 4 risponde che le conseguenze della falsità di alcune firme comportano l’inutilizzabilità relativa del contratto e non la sua complessiva immeritevolezza.
Non si può dunque affermare che, siccome il giudice di appello non ha dato alcun conto della questione posta, allora era onere dei ricorrenti, come da giurisprudenza di questa Corte, dimostrare che lo avevano fatto.
Il giudice di appello ha dunque esaminato la questione, segno che è stata a lui sottoposta.
Un ulteriore chiarimento occorre.
Nel rispondere alla questione se vi sia meritevolezza in una operazione negoziale in cui la volontà delle parti è , almeno in parte, contraffatta, il giudice di appello replica che si applica la regola della nullità parziale o della inefficacia parziale, e cioè che la circostanza che siano del tutto false le sottoscrizioni di un solo garante, e che quelle di un altro lo siano in parte, e che comunque esse riguardino prevalentemente le clausole vessatorie, comporta inefficacia di quanto falsamente sottoscritto e validità di tutto il resto.
Ma la questione non sta, né è stata posta, in termini di invalidità o inefficacia parziale, è stata posta in termini diversi: quelli di una di una violazione del dovere di buona fede da parte di una società di leasing che, all’interno di una unica operazione negoziale (costituita dalla garanzia di un leasing), consente che si appongano firme false,
o comunque utilizza contratti che di quella operazione fanno parte e che recano firme non riconducibili ai soggetti nei cui confronti poi la società agisce per far valere le sue pretese.
Si è trattato di quattro leasing, garantiti da contratti di garanzia, alcuni dei quali con firma falsa: quelli sottoscritti da NOME COGNOME, nei cui confronti poi la società ha rinunciato, un altro con firma falsa di NOME COGNOME, ed altri in cui erano false le firme di NOME COGNOME apposte ad approvazione delle clausole vessatorie.
Qui il concetto di operazione negoziale torna utile: sebbene singole operazioni siano immuni dalla falsità delle firme, e solo alcune lo siano, queste ultime concorrono con quelle ad un unico risultato, quello di assicurare una garanzia al finanziatore, che si serve delle sottoscrizioni, dunque, proprio in quanto anche le clausole sottoscritte consentono di raggiungere il risultato o di meglio garantirlo.
Questa situazione incide sulla interpretazione del contratto, che va condotta tenuto conto della buona fede dell’altro contraente, e che serve a stabilire se, alla luce della falsità di quelle sottoscrizioni, possa effettivamente ritenersi che le parti hanno voluto una garanzia autonoma.
Inoltre, ed a prescindere da ciò, va tenuto conto della consapevolezza che la società aveva, o avrebbe potuto avere, usando l’ordinaria diligenza, della falsità delle firme su interi contratti o su clausole rilevanti di essi, consapevolezza che avrebbe dovuto portarla a rinegoziare i contratti, a regolarizzarli, anziché pretenderne l’esecuzione senza eccezioni.
E la valutazione non può essere condotta in termini di incidenza parziale del viziato sull’intero, concludendo che la società poteva far valere la parte valida, rinunciando a quella invalida, poiché, come si è detto, ogni contratto di garanzia era inserito nella medesima operazione negoziale, volta a costituire come garanti soggetti che non avevano manifestato la volontà di esserlo, almeno in quei
termini, e comunque non rispetto ad alcuni contratti ed al contenuto di altri, con la conseguenza che non si può epurare l’ operazione negoziale dal viziato e ritenerla valida ed efficace per il resto.
Il giudice di merito deve dunque condurre una valutazione complessiva dell’operazione negoziale , rispetto alla quale, e non alla singole clausole, stabilire se la condotta della banca è stata in buona fede o meno, e se l’operazione complessiva sia meritev ole di tutela. Il ricorso va dunque accolto in questi termini e la decisione cassata con rinvio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo e quarto motivo di ricorso. Dichiara assorbiti gli altri. Cassa la decisione impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Milano, in diversa composizione anche per le spese.
Roma 5.12.2023
L’estensore
Il Presidente