Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 22780 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 22780 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 07/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 6199/2019 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE (P.I. P_IVA), con sede a Castel Ivano (TN) in INDIRIZZO, in persona dell’Amministratore Unico NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME giusta procura speciale in calce al ricorso.
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE di COGNOME Franco e NOME, in persona del Curatore dott. NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME
-controricorrente –
avverso il decreto n. 148/2019 emesso dal Tribunale di Trento in data 10/01/2019 nell’ambito del giudizio n. 1744/18 RG ;
udita la relazione della causa del 8/7/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con il decreto impugnato il Tribunale di Trento decidendo sull’opposizione allo stato passivo presentata da RAGIONE_SOCIALE nei confronti di RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME e NOME – ha rigettato
l’opposizione e dichiarato inammissibile la domanda riconvenzionale di parte opposta.
2. Con istanza del 22.09.2017 la RAGIONE_SOCIALE aveva infatti chiesto in prededuzione, ex art. 111 l. fall. l’ammissione al passivo, deducendo l’esistenza di un suo credito di € 162.708,51 , oltre interessi di mora. A sostegno dell ‘ insinuazione aveva evidenziato: – di aver acquistato dal suddetto fallimento, in data 9/02/2017, un credito di € 84.562,82 vantato dalla procedura nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE, credito giustificato dalla fattura n. 5/08 e titolato dal decreto ingiuntivo n. 1016/09, emesso dal Tribunale di Trento, allorché la S.nRAGIONE_SOCIALE era ancora in bonis ; – quale cessionaria aveva acquisito dal c uratore l’originale del titolo esecutivo , rappresentato dal predetto decreto ingiuntivo, divenuto nelle more definitivo, poiché il relativo giudizio di opposizione tra RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE non era stato riassunto, a seguito di interruzione per il fallimento di quest’ultima; – RAGIONE_SOCIALE ed il curatore del Fallimento COGNOME NOME e RAGIONE_SOCIALE avevano comunicato congiuntamente a RAGIONE_SOCIALE, con raccomandata del 23/02/2017, l’avvenuta cessione del predetto credito; – con atto di citazione notificato il 27/03/2017 RAGIONE_SOCIALE aveva proposto opposizione a precetto, contestando l’esistenza del credito ceduto, già rinunciato dal curatore a seguito di accordo in data 1-21/12/2010; – appresa detta circostanza, RAGIONE_SOCIALE aveva chiesto l’ammissione al passivo del Fallimento , avendo acquistato a titolo oneroso il credito opposto dal debitore ceduto e, perciò, meritevole di integrale ammissione al passivo in prededuzione, attesa la garanzia dell’esistenza del credito di cui all’art. 1266 c.c.; – il g.d. aveva tuttavia ammesso GM Immobiliare al passivo del fallimento per la somma di € 7.000,00 in prededuzione, di cui € 6.100,00 , quale prezzo della cessione ed € 900,00 per l’atto di precetto, con esclusione del residuo , avendo ritenuto che la violazione dell’obbligo di garanzia di cui all’art. 1266 c.c. avesse determinato, a carico del cedente, conseguenze di ordine risarcitorio e non sanzionatorio, sicché poteva ritenersi provato esclusivamente il danno emergente derivante dal pagamento del prezzo di acquisto del credito, non anche il danno da lucro cessante.
Il Tribunale, nel rigettare la proposta opposizione allo stato passivo, ha evidenziato che: (i) da un lato, sotto il profilo strettamente processuale, la mancata riassunzione nel termine perentorio di cui all’art. 305 c od. proc. civ. aveva comportato l’estinzione del giudizio di opposizione ex art. 645 cod. proc. civ. ed il conseguente passaggio in giudicato del decreto ingiuntivo opposto; (ii) dall’altro e nel merito, la rinuncia ad avvalersi di un titolo giudiziale divenuto cosa giudicata impediva alle parti di chiedere al giudice una nuova decisione sulla stessa controversia, stante l’effetto preclusivo del giudicato, di tal che il Fallimento , con la rinuncia all’azione diretta a conseguire la soddisfazione del credito, aveva in sostanza rinunciato allo stesso; (iii) in ragione del disposto normativo di cui a ll’art. 1266 c.c. ed attesa l ‘ inesistenza del credito ceduto e, dunque, la garanzia a carico del cedente ed in favore del cessionario, sussisteva il conseguente credito della società istante (e cessionaria del credito) per la somma pari alla differenza tra l’importo ceduto ed il prezzo pagato per l’acquisto; (iv) tale garanzia prevista dall’art. 1266 cod. civ. era da riconoscersi tuttavia nella sua effettività solo se diretta a tutelare la buona fede dell’acquirente, non anche allorché quest ‘ultimo fosse a conoscenza dell’inesistenza del credito; (v) RAGIONE_SOCIALE era però a conoscenza delle pregresse vicende attinenti il credito ceduto, in particolare della sua inesistenza e, per ciò solo, la cessionaria non era meritevole della garanzia di cui all’art. 1266 c.c., con conseguente rigetto dell’opposizione allo stato passivo.
Il decreto, pubblicato il 10/01/2019, è stato impugnato da RAGIONE_SOCIALE con ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, cui il RAGIONE_SOCIALE di COGNOME NOME e NOME ha resistito con controricorso.
Il fallimento controricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo mezzo si deduce ‘Violazione dell’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c. per violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 25 co. 1 n. 6 l.f. per carenza di autorizzazione del G.D. al curatore a costituirsi nel giudizio di opposizione allo stato passivo -carenza di legitimatio ad processum del curatore e carenza di ius postulandi del procuratore costituito
in relazione all’art. 182 c.p.c. Rilevabilità d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio ‘.
1.1 Sostiene la ricorrente che aver posto quale punto centrale della decisione le deduzioni ed eccezioni dell’opposta curatela avrebbe inficiato irrimediabilmente il provvedimento gravato, poiché la curatela stessa sarebbe stata carente di legitimatio ad processum attesa la mancata autorizzazione del G.D. a costituirsi in giudizio, con conseguente difetto di ius postulandi in capo al procuratore costituito, avv. NOME COGNOME le cui deduzioni ed allegazioni non potevano essere utilizzate e poste a base della decisione.
1.2 La doglianza è infondata perché, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 8929 del 04/06/2012), il giudizio d’opposizione, così come il suo sviluppo nella fase di legittimità ove vi si dia impulso, rappresenta un’ipotesi di contestazione dei crediti, per il quale la decisione di stare in giudizio rappresenta frutto di scelta che la normativa sul fallimento rimette al solo curatore. La coerenza insita nel sistema risultante dalle riforme prima del 2005 e quindi a seguito del correttivo giustifica questa espressione di autonomia del curatore in questo ambito, attinente alla formazione dello stato passivo a lui demandata in via principale, e in relazione al ridimensionato ruolo attribuito al giudice delegato, privato della precedente funzione di centralità. Secondo quanto previsto nella Relazione alla riforma che non lo qualifica più “organo motore della procedura, essendo stata sostituita l’attività di direzione con quella di vigilanza e controllo sulla regolarità della procedura”, al giudice delegato spetta un compito di carattere essenzialmente di legittimità, ovvero secondo taluno solo giurisdizionale, in ogni caso, non interferente con l’ampia sfera d’autonomia riconosciuta al curatore. La lettura del disposto dell’art. 25, comma 1, n. 6, l. fall., che prevede il generale potere del giudice delegato di autorizzare per iscritto il curatore a stare in giudizio non può pertanto disgiungersi dalla ratio sottostante la previsione dell’art. 31 l. fall., che nella parte che interessa ritaglia per il solo curatore un ruolo decisionale, che può esprimersi anche in sede giurisdizionale, sottratto al controllo di merito dell’organo di legittimità. 2. Con il secondo mezzo si denuncia ‘Violazione dell’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c. per violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt.
1175, 1375 e 1376 c.c., relativi all’acquisto in buona fede ed al contratto con effetti reali, nonché in relazione all’art. 1266 co. 1 c.c. in ordine all’obbligo di garanzia del cedente ‘, per aver affermato il decreto impugnato , in riferimento alla garanzia di cui all’art. 1266 c.c., inopera nte tale garanzia ‘quando il cessionario è a conoscenza dell’inesistenza del credito’ (cfr. decreto Tribunale di Trento pag. 4 cpv 5 e 6).
2.1 Si evidenzia da parte dei ricorrenti che il Tribunale, non senza ragione, aveva dichiarato che tale garanzia sarebbe diretta a tutelare la buona fede dell’acquirente, ma l’art. 1375 c.c. richiede che ‘il contratto deve essere eseguito secondo buona fede’, rivolgendosi evidentemente a tutte le parti del negozio. Nel caso in esame il Tribunale avrebbe erroneamente applicato i principi di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. nella parte in cui non aveva censurato la condotta del c uratore (conosciuta dall’attual e ricorrente solo a seguito di opposizione del debitore ceduto) che, pur avendo disposto del credito fallimentare con una sostanziale rinuncia allo stesso fin dal 2010, aveva poi ceduto a titolo oneroso lo stesso credito, ritenendo che la società cessionaria, RAGIONE_SOCIALE fosse a conoscenza dell’inesistenza del credito per fatti e circostanze di carattere presuntivo, che il Tribunale aveva rilevato nella memoria e nei documenti depositati dalla curatela nel giudizio di opposizione allo stato passivo.
2.2 Secondo la ricorrente, il ragionamento seguito nel provvedimento impugnato sarebbe apodittico e prevenuto rispetto alla condotta del cessionario e non rispettoso dei principi sanciti dalle norme innanzi richiamate, laddove l’art. 1266 c.c. impone al cedente l’obbligo di garanzia indipendentemente da colpa o dolo, senza alcun riferimento alla sfera soggettiva.
2.3 Inoltre vi sarebbe stato silenzio del Tribunale sugli effetti risarcitori della garanzia invocata dalla cessionaria che, sebbene riconosciuti, con diritto del cessionario di ottenere l’attribuzione di una somma pari alla differenza tra il pieno interesse positivo e il valore della propria controprestazione, in modo illogico e contraddittorio avrebbe poi operato uno sviamento delle finalità proprie della garanzia di cui all’art. 1266 c.c. mediante un non meditato ed attento richiamo al principio di buona fede, la cui violazione sarebbe stata
semmai imputabile al cedente di un credito inesistente e, per ciò, tenuto a garantire il cessionario.
2.4 Le doglianze sono infondate.
Orbene, il primo comma dell’art. 1266 c.c. , rubricato ‘ Obbligo di garanzia del cedente ‘, così recita: ‘ Quando la cessione è a titolo oneroso, il cedente è tenuto a garantire l’esistenza del credito al tempo della cessione. La garanzia può essere esclusa per patto, ma il cedente resta sempre obbligato per fatto proprio ‘.
Nella giurisprudenza di questa Corte è stato affermato che la cessione di un credito inesistente non è nulla per inesistenza dell’oggetto, bensì è valida ed il cessionario è tenuto al pagamento del prezzo, che non diviene indebito, ma è assistito dalla garanzia di cui all’art. 1266 c.c., da ritenersi un effetto naturale della cessione per l’ipotesi che l’effetto traslativo non si verifichi, essendo irrilevante che la garanzia stessa possa essere pattiziamente esclusa con il limite del “fatto proprio” del cedente, in quanto tale disposizione costituisce una deroga rispetto all’art. 1325, n. 3, c.c. ed alla disciplina del contratto in generale (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 17985 del 03/06/2022; Sez. 1, Ordinanza n. 33957 del 17/11/2022). Detto altrimenti, in materia di cessione dei crediti ex art. 1266 c.c., il cedente deve garantire il “nomen verum”, ovvero che il credito è sorto e non si è ancora – per qualsiasi motivo – estinto al tempo della cessione, rimanendo fuori dalla garanzia solo la solvenza del debitore. La norma suddetta, infatti, configura la garanzia del cedente come un’obbligazione accessoria che è effetto naturale dell’efficacia traslativa immediata del contratto di cessione, sicché tale obbligazione ha la funzione di assicurare, comunque, il ristoro dell’interesse positivo del cessionario alla cessione, nei casi in cui il menzionato effetto traslativo del contratto manchi, totalmente o parzialmente, a causa dell’inesistenza, completa o in parte, del credito o per altro impedimento equipollente, come l’assenza di legittimazione del cedente o la nullità del credito (Sez. 3, Ordinanza n. 13853 del 06/07/2020).
Tutto ciò chiarito, risulta comunque non dubitabile che la garanzia prevista dall’art. 1266, primo comma, c.c ., sia stata disposta dal legislatore in favore della parte cessionaria del credito, con la conseguenza che la conoscenza da
parte d i quest’ultima dell’inesistenza del credito oggetto della cessione non può che determinare – come statuito correttamente anche dal Tribunale di Trento – il venire meno della stessa ragione giustificatrice del predetto obbligo di garanzia posto a carico della parte cedente, garanzia azionata, nel caso di specie ed in sede di giudizio di opposizione, proprio in relazione al credito ‘differenziale’ tra l’importo del credito ceduto ed il prezzo pagato per l’acquisto , a titolo di lucro cessante.
In realtà, il g.d. aveva già ammesso RAGIONE_SOCIALE al passivo del fallimento per la somma di € 7.000,00 in prededuzione, di cui € 6.100,00, quale prezzo della cessione ed € 900,00 per l’atto di precetto, e la statuizione non è stata oggetto di impugnativa e dunque deve essere considerata oramai coperta dal giudicato endofallimentare.
Ne consegue che la diversa ricostruzione dell’istituto qui in esame – perorata dalla parte ricorrente, per l’ammissione al passivo del valore dell’intero credito oggetto di cessione – non può trovare condivisione.
Ne discende allora il rigetto anche del secondo motivo.
3. Il terzo mezzo denuncia inoltre ‘Violazione dell’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c. per violazione o falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 1260 co. 2 c.c. per la inopponibilità al cessionario dell’accordo tra creditore cedente e debitore ceduto -Violazione dell’art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c. per omesso esame della documentazione intercorsa tra cedente e cessionario’, per errata applicazione dell’art. 2729 co. 1 c.c. in carenza di presunzioni gravi, precise e concordanti e per errata applicazi one dell’art. 2729 co.2 c.c. non essendo possibili presunzioni semplici ove la legge esclude la prova per testimoni.
Il quarto motivo articola vizio di ‘Violazione dell’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c. per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, in particolare per errata applicazione dell’art. 2729 co. 1 c.c. in carenza di presunzioni gravi, precise e concordanti e per errata applicazione dell’art. 2729 co.2 c.c. non essendo ammissibili presunzioni semplici ove la legge esclude la prova per testimoni ‘.
4.1 Il terzo e quarto motivo -che possono essere esaminati congiuntamente -sono invece inammissibili perché volti ad un nuovo scrutinio della quaestio facti , in punto di apprezzamento della prova presuntiva sviluppato dal Tribunale sul profilo della conoscenza dell ‘ inesistenza del credito da parte del
cessionario, scrutinio che, involgendo la rilettura degli atti istruttori, è invece inibito a questa Corte di legittimità (Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 5279 del 26/02/2020; Cass. n.15737 del 2003 Sez. 2, Ordinanza n. 9054 del 21/03/2022).
Alcun rilievo assumono inoltre le circostanze allegate da ultimo da parte del Fallimento controricorrente in sede di memoria, posto che la chiusura del fallimento non determina effetti per il giudizio di cassazione, che è caratterizzato dall’impulso d’ufficio ed al quale non sono perciò applicabili le norme di cui agli artt. 299 e 300 cod. proc. civ. (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 25603 del 12/10/2018; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 4514 del 14/02/2019; Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 8365 del 30/03/2025).
Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come da separato dispositivo.
Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13 (Cass. Sez. Un. 23535 del 2019).
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.500 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, in data 8.7.2025