Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 118 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 118 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 03/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8738/2018 R.G. proposto da:
NOME COGNOME domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE e con domicilio telematico, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME NOME
-ricorrente – contro
FALLIMENTO RAGIONE_SOCIALE , elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME
-controricorrente – nonché contro
Oggetto: Appalto Garanzia per vizi e difformità – Inadempimento
R.G.N. 8738/2018
Ud. 14/11/2023 CC
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME
-controricorrente – avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO ROMA n. 953/2017 depositata il 13/02/2017.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 14/11/2023 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 13 febbraio 2017, la Corte d’appello di Roma, decidendo sia sull’appello principale proposto da RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE e da COGNOME sia sull’appello incidentale proposto da NOME COGNOME in riforma della sentenza n. 2680/2007 del Tribunale di Velletri, ha respinto la domanda originariamente proposta da NOME COGNOME nei confronti di RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE e di COGNOME, gravando l’appellante incidentale delle spese dei due gradi di giudizio.
Per quel che ancora rileva nel presente giudizio, NOME COGNOME aveva adito nel 2000 il Tribunale di Velletri e, premesso di avere concluso con la RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE un contratto di appalto avente ad oggetto lavori di ristrutturazione di un immobile di sua proprietà, in relazione ai quali NOME COGNOME aveva svolto il ruolo di direttore dei lavori, aveva chiesto la condanna di entrambi i convenuti alla eliminazione dei vizi e delle difformità delle opere successivamente realizzate, nonché al risarcimento dei danni subiti dall’immobile per l’inadeguata esecuzione dei lavori.
Costituitisi congiuntamente RAGIONE_SOCIALE ERCOLI RAGIONE_SOCIALE e COGNOME formulando, in via riconvenzionale, domanda di pagamento del corrispettivo per lavori extracontratto, il Tribunale di Velletri, all’esito dell’attività istruttoria , aveva dichiarato il difetto di legittimazione attiva di un altro attore –NOME COGNOME -e aveva condannato sia la società RAGIONE_SOCIALE sia QUIRINO COGNOME al risarcimento dei danni in favore di NOME COGNOME quantificando il risarcimento medesimo in € 1.142,00.
Proposto appello principale da parte, congiuntamente, di RAGIONE_SOCIALE e COGNOME ed appello incidentale da parte di NOME COGNOME la Corte d’appello di Roma, ha accolto il primo motivo di appello principale, con il quale gli appellanti si dolevano della erronea qualificazione della domanda operata dal giudice di prime cure, per aver il medesimo ricondotto la domanda risarcitoria al disposto di cui all’art. 2043 c.c. e non alla garanzia di cui agli artt. 1667 e 1668 c.c.
Conseguentemente, la Corte ha ritenuto fondata l’eccezione di decadenza dalla garanzia per vizi e difformità sollevata in primo grado dagli appellanti, rilevando che, a fronte di tale eccezione, NOME COGNOME non aveva dedotto o provato elementi per far ritenere superata l’eccezione.
Dichiarata, conseguentemente, l’infondatezza della domanda di NOME COGNOMEe quindi anche l’appello incidentale da quest’ultimo proposto la Corte ha accolto ulteriormente il motivo di appello principale con il quale RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE e COGNOME si dolevano del mancato accoglimento della domanda di pagamento del corrispettivo per lavori extracontratto.
La Corte capitolina, infatti, ha ritenuto che erroneamente il giudice di prime cure avesse dichiarato gli appellanti decaduti dalla prova testimoniale per effetto della mancata comparizione di un teste, osservando che la declaratoria di decadenza era stata adottata d’ufficio e senza eccezione di parte, e peraltro dopo che il teste era comparso ad una precedente udienza e non era stato escusso per concorde istanza delle parti.
La Corte territoriale, poi, sulla scorta della deposizione testimoniale di altro teste assunta dalla Corte medesima nel corso del gravame, ha ritenuto provata la pattuizione dei lavori extracontratto, accogliendo conseguentemente la domanda formulata dagli appellanti.
Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Roma ricorre ora NOME COGNOME
Resistono con separati controricorsi sia il RAGIONE_SOCIALE sia RAGIONE_SOCIALE.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma degli artt. 375, secondo comma, e 380 bis.1, c.p.c.
Hanno depositato memorie NOME COGNOME e NOME COGNOME
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.1. Preliminarmente deve essere esaminata l’eccezione di tardività del ricorso sollevata dalla difesa di COGNOME
L’eccezione è infondata.
La decisione della Corte d’appello di Roma non è stata notificata ed è stata pubblicata in data 13 febbraio 2017.
Poiché la controversia è stata instaurata con citazione notificata in data 24 maggio 2000, il termine c.d. ‘lungo’ per l’impugnazione
risultava retto dall’art. 327 c.p.c. nella formulazione previgente ed era , quindi, di un anno.
Il ricorso oggetto del presente giudizio è stato notificato in data 15 marzo 2018.
La tesi del controricorrente si fonda sull’indiretta affermazione della necessità di calcolare tale termine secondo il criterio ex nominatione e non secondo il criterio ex numeratione dierum .
Il termine per l’impugnazione, tuttavia, doveva -e deve -essere calcolato tenendo conto della sospensione feriale dei termini di cui alla L. n. 742 del 1969.
Al riguardo, questa Corte ha reiteratamente chiarito che:
-nel computo dei termini processuali mensili o annuali, fra i quali è compreso quello di decadenza dall’impugnazione ex art. 327 c.p.c., si osserva, a norma degli artt. 155, secondo comma, c.p.c., e 2963, quarto comma, c.c., il sistema della computazione civile, non ex numero bensì ex nominatione dierum , nel senso che il decorso del tempo si ha, indipendentemente dall’effettivo numero dei giorni compresi nel rispettivo periodo, allo spirare del giorno corrispondente a quello del mese iniziale;
-quando il termine di decadenza interferisca con il periodo di sospensione feriale dei termini al termine annuale di decadenza dal gravame, di cui all’art. 327, primo comma, c.p.c., devono aggiungersi i giorni del periodo di sospensione, computati ex numeratione dierum , ai sensi del combinato disposto degli artt. 155, primo comma, c.p.c. e 1, primo comma, della L. n. 742 del 1969;
(Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 2186 del 01/02/2021; Cass. Sez. 5 Ordinanza n. 15029 del 15/07/2020; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 22699 del 04/10/2013; Cass. Sez. 6 – 1, Sentenza n. 11491 del 09/07/2012).
Applicando tale criterio di computo, deriva che il termine ultimo per proporre impugnazione scadeva il giorno 16 marzo 2018 e che il ricorso è, conseguentemente, tempestivo.
Il ricorso è affidato a sette motivi.
3.1. Con il primo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione dell’art. 2043 c.c. e la falsa applicazione degli artt. 1667 e 1668 c.c. per avere la Corte territoriale ritenuto applicabili le due ultime disposizioni a danni estranei alle opere appaltate.
3.2. Con il secondo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, consistente nella sussistenza di danni arrecati all’immobile al di fuori dei lavori di appalto.
3.3. Illustrando congiuntamente i due motivi, il ricorrente deduce di avere formulato nell’originario atto introduttivo due distinte domande: una relativa a vizi e difformità dei lavori realizzati ed una relativa a danni arrecati all’immobile, quest’ultima riconducibile all’art. 2043 c.c.
Viene, pertanto, a dolersi del fatto che la Corte territoriale abbia invece ricondotto l’insieme delle domande originariamente formulate al disposto di cui agli artt. 1667 e 1668 c.c.
3.4. I due motivi possono essere esaminati congiuntamente e sono fondati.
L’insieme di domande proposte dall’odierno ricorrente, infatti, veniva a concernere non solo vizi o difetti nella realizzazione dell’opera appaltata ma anche danni riconducibili a negligenza dell’impresa appaltatrice dell’adottare le necessarie misure di protezione
dell’immobile oggetto dell’intervento di appalto dai danni cagionati dagli agenti atmosferici.
Detto ultimo profilo, in quanto estraneo all’ambito della realizzazione dei lavori oggetto dell’appalto , non risultava riconducibile al disposto di cui agli artt. 1667 e 1668 c.c. e, conseguentemente, doveva ritenersi non assoggettato ai termini di decadenza e prescrizione prescritti per l’azione per vizi e dif formità, tenuto anche conto del carattere speciale della disciplina delle citate previsioni, il cui ambito applicativo non può essere esteso ad ipotesi da esse non direttamente contemplate.
La decisione impugnata risulta, quindi, errata nel momento in cui, operando la riqualificazione della domanda, ha ritenuto di estendere l’ambito della garanzia per vizi e difformità a danni che -nelle allegazioni dell’originario attore – non erano riconducibili né a vizi né a difformità ma ad una ipotetica negligente adozione di cautele esecutive e che quindi di ponevano al di fuori del plesso normativo poc’anzi richiamato.
4.1. Con il terzo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione dell’art. 2697 c.c. ‘in quanto l’appaltatore non ha dimostrato il momento della consegna dell’opera conseguendone il venir meno per il committente della necessità di dimostrare la tempestività della denuncia delle difformità’ .
Argomenta, in particolare, il ricorso che, in assenza di prova della intervenuta consegna dei lavori ed anzi risultando dalle prove che detta consegna non era intervenuta, la Corte territoriale non avrebbe potuto ritenere operante il termine di decadenza.
4.2. Il motivo è inammissibile.
Rileva questa Corte che il profilo dedotto nel motivo di ricorso -come anche eccepito dal FALLIMENTO controricorrente -è stato
affrontato nella decisione impugnata, la quale, tuttavia, ha espressamente osservato (pag. 8) che, a fronte dell’eccezione di decadenza sollevata dagli odierni controricorrenti, non vi era stata replica sul punto da parte del ricorrente.
A fronte di tali dati processuali, gravava su parte ricorrente l’onere di dedurre di aver sollevato lo specifico profilo nei precedenti gradi di giudizio, individuando, in ossequio all’art. 366 c.p.c., l’atto o gli atti nei quali sarebbe avvenuta tale deduzione.
Per contro, il motivo di ricorso si limita ad una generica asserzione (pag. 5), senza tuttavia richiamare -in ossequio al canone di specificità di cui all’art. 366 c.p.c. -l’atto o gli atti dei giudizi di merito nei quali detta deduzione sarebbe stata (tempestivamente) svolta, provvedendo a riprodurne i passaggi essenziali.
Deve, conseguentemente, trovare applicazione il principio, reiteratamente enunciato da questa Corte, per cui qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di autosufficienza, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacché i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito né rilevabili di ufficio.’ (Cass. Sez. 2 – Sentenza n. 20694 del 09/08/2018; ed anche Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 2193 del 30/01/2020; Cass. Sez. 2 – Sentenza n. 14477 del 06/06/2018; Cass. Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 15430 del 13/06/2018; Cass. Sez. 1, Sentenza n. 23675 del 18/10/2013).
5.1. Con il quarto motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., la violazione dell’art. 1667 c.c. ‘in quanto l’appaltatore ha riconosciuto le difformità dell’opera rispetto al contratto conseguendone il venir meno per il committente della necessità di dimostrare la tempestività della denuncia delle difformità’ .
Argomenta, in particolare, il ricorso che l’esistenza dei vizi e delle difformità sarebbe stata ammessa dagli stessi odierni controricorrenti con le difese sviluppate nel corso del giudizio di primo grado, essendo stato dedotto in queste ultime che le difformità erano state volute dallo stesso ricorrente.
Tale riconoscimento, conclude il ricorso, veniva ad esonerare il committente dall’onere di denunciare vizi e difformità ex art. 1667, secondo comma, c.c.
5.2. Il motivo è inammissibile.
Le ragioni sono in parte sovrapponibili a quelle esposte in sede di esame del motivo precedente.
A fronte dell’eccezione di novità , sollevata sempre dal FALLIMENTO, era onere di parte ricorrente individuare in modo specifico gli atti processuali nei quali era stato dedotto il riconoscimento dei vizi, riproducendo i passaggi essenziali delle difese degli originari convenuti dai quali detto riconoscimento era desumibile.
6.1. Con il quinto motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, nn. 4 e 3, c.p.c., la violazione degli artt. 140 disp. att. c.p.c. e 250 c.p.c., per avere la Corte territoriale ritenuto erronea la declaratoria di decadenza dalla prova testimoniale della RAGIONE_SOCIALE assunta dal giudice di prime cure.
6.2. Il motivo è, anche in questo caso, inammissibile.
Fermo quanto si osserverà in relazione al motivo successivo, invero, il ricorrente difetta di un interesse concreto ad impugnare la decisione
della Corte capitolina in ordine al profilo della decadenza dalla deposizione del teste COGNOME atteso che tale teste non è poi stato escusso neppure dalla Corte territoriale, risultando, pertanto, tale profilo del tutto neutro rispetto alla decisione finale.
7.1. Con il sesto motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., la violazione degli artt. 342, 163, terzo comma, n. 5), 346 e 115 c.p.c. , per avere la Corte d’appello proceduto all’assunzione di prove non oggetto di specifica istanza, assumendo la deposizione di un testimone non indicato nelle conclusioni dell’atto di appello.
Argomenta, in particolare, il ricorso che, nel proprio atto di appello, RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE e COGNOME avevano rinnovato l’istanza di escussione del solo teste COGNOME mentre la Corte d’appello, preso atto del sopravvenuto decesso di quest’ultimo, avrebbe escusso altr o teste che tuttavia non era indicato nelle conclusioni dell’appello.
7.2. Il motivo è infondato.
La Corte capitolina, infatti, è venuta ad esercitare il proprio potere discrezionale in ordine alla escussione di ulteriori testi, esercitando una facoltà che, come chiarito da questa Corte, non può essere sindacata in sede di legittimità, al pari di tutti i provvedimenti istruttori assunti dal giudice ai sensi dell’art. 356 c.p.c., salvo che le ragioni di tale mancato esercizio siano giustificate in modo palesemente incongruo o contraddittorio, non potendosi in ogni caso configurare la relativa censura come error in procedendo (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1754 del 08/02/2012; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 7700 del 29/03/2007; Cass. Sez. L, Sentenza n. 16997 del 29/11/2002).
8.1. Con il settimo motivo il ricorso deduce, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., la violazione dell’art. 2721 c.c., per avere la Corte territoriale ammesso una deposizione testimoniale in relazione
all’affidamento di lavori per un valore di vecchie £ 18.000.000,00, e quindi in violazione dei limiti di legge.
8.2. Anche tale motivo è infondato.
In primo luogo, infatti, la Corte capitolina ha esercitato un potere che rientrava nella sua discrezionalità, avendo questa Corte reiteratamente chiarito che il giudice può ammettere la prova testimoniale in deroga al limite fissato dall’art. 2721, primo comma, c.c. per il valore eccedente quello di euro 2,58, atteso che l’art. 2721, secondo comma, c.c., gli attribuisce un potere discrezionale il cui esercizio è ricollegato alla qualità delle parti, alla natura del contratto ed ad ogni altra circostanza, purché venga fornita adeguata motivazione della scelta operata (Cass. Sez. 2 – Ordinanza n. 21411 del 06/07/2022; Cass. Sez. 2 – Sentenza n. 1751 del 24/01/2018).
In secondo luogo, si deve osservare che il ricorrente ha omesso -come era invece suo onere -di dimostrare di avere tempestivamente eccepito l’inammissibilità (prima dell’assunzione ) e la nullità (dopo l’assunzione ) della prova testimoniale (Cass. Sez. 3 – Ordinanza n. 18971 del 13/06/2022; Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 3956 del 19/02/2018; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 3763 del 15/02/2018).
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere accolto unicamente in relazione al primo ed al secondo motivo, essendo invece inammissibili il terzo, quarto e quinto, e infondati il sesto e settimo.
La decisione impugnata deve quindi essere cassata con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, la quale procederà ad un nuovo esame della domanda risarcitoria formulata dal ricorrente e provvederà anche alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P. Q. M.
La Corte accoglie il ricorso, per quanto di ragione, cassa l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, a lla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione