Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 6701 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 6701 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 13/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8889/2019 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE);
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), NOME COGNOME (CODICE_FISCALE);
-controricorrente-
avverso la SENTENZA del TRIBUNALE di RAGIONE_SOCIALE n. 2965/2018, depositata l ‘ 8/08/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/11/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
PREMESSO CHE
RAGIONE_SOCIALE ha proposto opposizione al decreto che le aveva ingiunto il pagamento di euro 921 in favore dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, contestando i presupposti per l’emissione del decreto essendo il credito non certo e mancando idonea prova scritta e deducendo in ogni caso l’improponibilità della domanda essendo stato frazionato il medesimo decreto in plurimi ricorsi monitori. Il Giudice di pace di RAGIONE_SOCIALE, con sentenza n. 5097/2015, accoglieva l’opposizione, rilevando il dedotto frazionamento del credito.
La sentenza era impugnata dall’AVV_NOTAIO COGNOME. Il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE con la sentenza n. 2965/2018 rigettava il gravame.
Avverso la sentenza NOME COGNOME ricorre per cassazione.
Resiste con controricorso l’RAGIONE_SOCIALE.
CONSIDERATO CHE
I. Il ricorso è articolato in cinque motivi:
1. Il primo motivo denuncia nullità della sentenza per violazione dell’art. 14 d.lgs. n. 150/2011: l’opposizione è stata proposta con atto di citazione ai sensi dell’art. 163 c.p.c. e non con ricorso ai sensi dell’art. 14 del d.lgs. n. 150/2011; il Tribunale di RAGIONE_SOCIALE avrebbe quindi dovuto in via preliminare rilevare d’ufficio la nullità del procedimento e quale giudice in unico grado secondo il rito proprio di tale controversia dichiarare l’inammissibilità dell’opposizione.
Il motivo non può essere accolto. Viene infatti posta una questione di carattere processuale, relativa al corretto rito seguito per la decisione del giudizio di opposizione in primo grado, che non è stata oggetto d’appello, nel quale non è stato dedotto che il giudizio di primo grado si dovesse svolgere con le forme del processo sommario e speciale di cui all’art. 14 del d.lgs. n. 150/2011. Si tratta pertanto di una questione ormai preclusa che non può essere esaminata per la prima volta in questa sede. Va poi
ricordato il principio secondo cui ‘dall’adozione di un rito errato non deriva alcuna nullità, né la stessa può essere dedotta quale motivo di impugnazione, a meno che l’errore di rito non abbia inciso sul contraddittorio o sull’esercizio del diritto di difesa o non abbia, in generale, cagionato un qualsivoglia altro specifico pregiudizio processuale alla parte’ (così Cass. n. 12567/2021, v. anche Cass. n. 19136/2005).
Il secondo motivo denuncia nullità della sentenza o del procedimento per violazione degli artt. 339, 101, comma 2 c.p.c.: il Tribunale ha errato nel ritenere che la controversia fosse stata decisa secondo equità, nonostante questa difesa avesse precisato che la sentenza era stata assunta in violazione di norme sul procedimento o di principi regolatori della materia delle obbligazioni, così che sarebbe stata appellabile e non direttamente ricorribile.
Il motivo è inammissibile per carenza di interesse. Il Tribunale ha precisato che, trattandosi di sentenza pronunciata dal giudice di pace in una causa il cui valore non eccedeva euro 1.100, tale sentenza era appellabile esclusivamente per violazione delle norme sul procedimento, per violazione di norma costituzionale o comunitaria ovvero dei principi regolatori della materia e alla luce di tale inquadramento ha esaminato i motivi di appello. Il Tribunale ha pertanto ritenuto ammissibile l’appello nei limiti di cui all’art. 339 c.p.c.
Il terzo e il quarto motivo sono strettamente connessi.
Il terzo motivo lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1375 c.c. e 111 Cost., omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio: il Tribunale, come pure il Giudice di pace, in assenza di ragionamento logico -giuridico ha dichiarato il credito come frazionato senza addurre alcuna motivazione a sostegno del proprio convincimento; la sentenza impugnata si è limitata a fare riferimento alle delibere nn. 190, 191 e 288 senza esporre il loro
contenuto e la loro relazione con l’incarico professionale; l’oggetto dei primi due atti deliberativi differiva dalla successiva delibera n. 288 anche emanante da un diverso soggetto giuridico; la ricorrente non ha azionato il proprio credito in virtù della convenzione del 2009, ma sulla base delle citate delibere 190 e 191 e dei singoli mandati alle liti che costituiscono i contratti tra l’ente e la professionista; i crediti oggetto di ingiunzione non rappresentano quindi una prestazione unitaria corrisposta in dipendenza di un unico rapporto giuridico, ma nascono da un rapporto che si è instaurato di volta in volta per effetto della sottoscrizione del singolo mandato alle liti.
b) Il quarto motivo lamenta erronea interpretazione dei principi nomofilattici in tema di frazionamento del credito: la pronuncia impugnata fa riferimento unicamente alla sentenza n. 23726/2007 della Corte di cassazione, ma il concetto di unitarietà del rapporto obbligatorio è stato successivamente chiarito dalla sentenza n. 18810/2016 e con le successive sentenze gemelle del 16 febbraio 2017, n. 4090 e n. 4091; nel caso in esame non ci troviamo in presenza né di un contratto di lavoro subordinato, né di una convenzione, né di un rapporto di durata, casi nei quali si è ritenuta sussistente la fattispecie del frazionamento del credito.
Con il terzo motivo la ricorrente contesta che il fatto costitutivo della propria domanda, come già fatto valere in appello, non andrebbe identificato nella convenzione del 2009 e nella delibera n. 288 ma nelle due precedenti delibere n. 190 e n. 191. Al riguardo il giudice d’appello ha sottolineato come nella domanda proposta con il ricorso monitorio è stata la stessa ricorrente a fare riferimento alle tre delibere nonché alla convenzione avente ad oggetto l’incarico professionale di consulenza legale. Si tratta comunque, come ha sottolineato il giudice d’appello, di una censura che contesta l’interpretazione della domanda da parte del giudice di merito, che è compito del giudice di merito porre in essere. Quanto
alla circostanza che l’attività difensiva della ricorrente sia stata svolta a seguito del rilascio di autonome procure, si tratta di circostanza non decisiva. Come ha chiarito questa Corte, applicando i principi enunciati dalle sezioni unite, in particolare nelle pronunce gemelle richiamate dalla ricorrente n. 4090 e n. 4091 del 2017, ‘le domande relative a diritti di credito analoghi per oggetto e per titolo, in quanto fondati su analoghi, seppure diversi, fatti costitutivi, non possono essere proposte in giudizi diversi quando i relativi fatti costitutivi si inscrivano nell’ambito di una relazione unitaria tra le parti, anche di mero fatto, caratterizzante la concreta vicenda da cui deriva la controversia; tale divieto processuale non opera quando l’attore abbia un interesse oggettivo, il cui accertamento compete al giudice di merito, ad azionare in giudizio solo uno, o solo alcuni, dei crediti sorti nell’ambito della suddetta relazione unitaria le parti’ (così Cass. 14143/2021). Nel caso in esame ci troviamo di fronte a una domanda che ha ad oggetto un credito che la richiedente ha fondato su tre delibere e una convenzione, che si inserisce pertanto in una relazione unitaria tra le parti, che ha visto la ricorrente proporre innumerevoli domande monitorie (vedere l’elenco alle pagg. 6 e 7 del controricorso) e nella quale la ricorrente non ha evidenziato un interesse oggettivo alla singola proposizione del credito sorto nell’ambito della relazione unitaria tra le parti.
La sentenza impugnata, nel ravvisare nel caso in esame un’ipotesi di illegittimo frazionamento del credito sanzionabile con l’improponibilità della domanda, si è pertanto attenuta alla giurisprudenza enunciata in materia da questa Corte.
Il quinto motivo lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c.: ad avviso del giudice d’appello il principio del giudicato rafforzerebbe l’ipotesi del frazionamento, ma l’eccezione di giudicato è stata sollevata in via subordinata appunto nell’ipotesi in cui fosse stato ritenuto provato il frazionamento per unitarietà
del rapporto obbligatorio sottostante; l’intervenuto giudicato esterno su alcuni dei decreti ingiuntivi richiesti dalla ricorrente perché non opposti fa stato tra le parti ad ogni effetto ed estende la sua efficacia anche sul decreto ingiuntivo opposto oggetto della presente controversia, ove si individuasse una unicità di rapporto.
Il motivo non può essere accolto. Il Collegio ritiene infatti di seguire l’orientamento secondo cui la violazione del divieto di indebito frazionamento del credito, costituendo una statuizione su una questione processuale, dà luogo ad un giudicato meramente formale e come tale ha un’efficacia preclusiva limitatamente al giudizio in cui è pronunciata, con la conseguenza che è possibile la riproposizione della medesima questione in un successivo processo tra le parti e che in quest’ultimo processo possa essere diversamente risolta, con la dichiarazione della proponibilità ovvero della improponibilità della domanda (cfr . per tutte Cass. 24371/2021).
II. Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115/ 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore della controricorrente, che liquida in euro 700, di cui euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.
Sussistono, ex art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115/2002, i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato,
pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 -bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda