Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 21330 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 21330 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/07/2025
O R D I N A N Z A
sul ricorso proposto da:
RAGIONE_SOCIALE. di NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE , con sede in Monza, in persona del socio accomandatario NOME COGNOME e COGNOME NOME , rappresentati e difesi da ll’ Avvocato NOME COGNOME
Ricorrenti
contro
RAGIONE_SOCIALE con sede in Lissone, in persona del legale rappresentante sig. NOME COGNOME rappresentata e difesa da ll’ Avvocato NOME COGNOME
Controricorrente
avverso la sentenza n. 2048/2020 della Corte di appello di Milano, depositata il 5.8.2020.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10.7.2025 dal consigliere NOME COGNOME
Fatti di causa e ragioni della decisione
1.Con sentenza n. 2048 del 5.8.2020, la Corte di appello di Milano rigettò il gravame proposto da RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE e da
COGNOME NOME avverso la sentenza del tribunale di Monza che, accogliendo in parte le domande avanzate da RAGIONE_SOCIALE, li aveva condannati, insieme a COGNOME NOME, al pagamento di somme a titolo di saldo dei corrispettivi dovuti per l’esecuzione di opere in appalto.
In particolare, RAGIONE_SOCIALE aveva stipulato, in data 3.7.2006, due contratti: il primo con la società RAGIONE_SOCIALE, in persona del socio accomandatario NOME COGNOME avente ad oggetto l’esecuzione di opere di consolidamento di fabbricati industriali, il secondo sottoscritto da NOME COGNOME su carta intestata F.lli COGNOME NOME e NOME, avente ad oggetto opere di completamento dei medesimi fabbricati. La s.rRAGIONE_SOCIALEl. RAGIONE_SOCIALE agì in giudizio in relazione ad entrambi i contratti, chiedendo, per il primo, il pagamento dei lavori aggiuntivi non previsti nell’originario contratto e, per il secondo, il pagamento del saldo. Il tribunale accolse le domande, condannando la società convenuta e RAGIONE_SOCIALE al pagamento della somma di euro 88.775,66 in relazione al primo contratto e RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE al pagamento della somma di euro 124.115,05 in relazione al secondo.
La Corte di appello confermò questa decisione affermando che: in relazione al contratto di appalto concluso da RAGIONE_SOCIALE con la società RAGIONE_SOCIALE, i lavori erano stati regolarmente eseguiti sotto il profilo tecnico e amministrativo, essendo presenti agli atti sia il permesso di costruire che la successiva dichiarazione di agibilità dell’immobil e, mentre a tal fine era irrilevante il disconoscimento da parte della società convenuta della firma apposta alla ‘dichiarazione di agibilità’ del 26. 4.2018, non avendo il comune mosso rilievi ed essendo la pratica andata a buon fine; il mancato reperimento da parte del consulente tecnico d’ufficio della denuncia di opere strutturali e della relazione di collaudo a struttura ultimata era da ritenersi superata dalla allegazione nella pratica di una relazione tecnica redatta in data 8.10.2010 a firma dell’ing. NOME COGNOME denominata ‘Verifiche di collaudo e certificato di idoneità statica per le strutture in c.a. realizzate’ e di una tabella di prove sclerometriche effettuate in corrispondenza delle opere realizzate; i lavori extracontrattuali risultavano realizzati e vi era in atti un prospetto della loro tipologia e del loro costo di esecuzione; in assenza di contestazioni su tali
circostanze, andava riconosciuto il diritto dell’impresa appaltatrice al compenso, dovendosi ritenere che le parti avessero implicitamente rinunciato alla applicazione della previsione contrattuale che sottoponeva le varianti delle opere alla pattuizione scritta; in relazione al secondo contratto, la spendita da parte di COGNOME NOMECOGNOME che lo aveva sottoscritto, del nome ‘F.lli COGNOME NOME e NOME‘ e la presunta conoscenza dello stesso da parte di COGNOME NOME, unitamente alle altre circostanze circa la natura integrativa dei lavori in esso previsti rispetto all’altro contratto e la intestazione degli immobili alla società di cui egli era socio, inducevano a ritenere che anche quest’ultimo fosse rimasto obbligato, per avere la società RAGIONE_SOCIALE fatto affidamento senza colpa sul fatto che il contratto fosse stato stipulato da entrambi i fratelli COGNOME.
Per la cassazione di questa sentenza, notificata in data 1.10.2020, con atto notificato il 27.11. 2020, hanno proposto ricorso RAGIONE_SOCIALE di NOME COGNOME RAGIONE_SOCIALE e COGNOME NOME, affidato a cinque motivi.
RAGIONE_SOCIALE ha notificato controricorso.
Le parti ricorrenti hanno depositato memoria.
2. Il primo motivo di ricorso denuncia nullità della sentenza ai sensi dell’art. 158 c.p.c. per vizio della composizione del collegio giudicante, per avere partecipato alla decisione, con funzione anche di relatore, un giudice onorario. La parte solleva sul punto anche eccezione di legittimità costituzionale delle disposizioni del decreto legge 21.6.2013, n. 69, che hanno introdotto la figura dei giudici ausiliari nelle corti di appello, per contrasto con l’art. 106 Cos., che consente alla legge la nomina di magistrati onorari solo per le funzioni attribuite ai giudici singoli.
Il mezzo è infondato.
Questa Corte ha già avuto occasione, nell’affrontare il tema sollevato dal motivo, di dare atto che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 41 del 2021, ha sì dichiarato incostituzionali gli artt. 62, comma 1, 65, commi 1 e 4, 66, 67, commi 1 e 2, 68, comma 1, e 72, comma 1, del decreto legge n. 69 del 2013, convertito con modificazioni nella legge n. 98 del 2013, nella parte in cui conferiscono al giudice ausiliario di appello lo status di componente dei collegi delle sezioni della corte d’appello, ma ha altresì stabilito che esse potranno continuare ad avvalersi
legittimamente dei giudici ausiliari per ridurre l’arretrato fino a quando, entro la data del 31/10/2025, si perverrà ad una riforma complessiva della magistratura onoraria, nel rispetto dei principi costituzionali; fino a quel momento la temporanea tollerabilità costituzionale dell’attuale assetto è volta ad evitare l’annullamento delle decisioni pronunciate con la partecipazione dei giudici ausiliari e a non privare immediatamente le corti di appello dei giudici onorari al fine di ridurre l’arretrato nelle cause civili (Cass. n. 478 del 2024; Cass. n. 32065 del 2021; Cass. n. 15045 del 2021)
Ne discende anche la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata con il ricorso.
3. Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 25 del d.p.r. n. 380 del 2001, dell’art. 5 della legge Regione Lombardia n. 1 del 2007 e dell’art. 20 della legge n. 241 del 1990, nonché dell’art. 65 del d.pr. citato n. 380 del 2001 ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha affermato la regolarità sotto il profilo tecnico e amministrativo dei lavori eseguiti dalla controparte.
Si sostiene che la conclusione fatta propria dalla Corte di appello sia erronea, risultando accertata in causa l’assenza della documentazione richiesta dall’art. 65 citato per la denuncia, prima dell’esecuzione, del le opere realizzate in conglomerato cementizio ‘ con materiali e sistemi costruttivi disciplinati dalle norme in vigore ‘, consistente nel progetto d’opera descrittivo dei calcoli, dell’ubicazione, del tipo e delle dimensioni delle strutture, nella relazione illustrativa del progettista, nei certificati delle prove sui materiali ed in ogni indicazione inerente alla testatura dei cavi ed ai sistemi di messa a coazione e all’esito delle eventuali prove di carico.
Sotto altro profilo, si critica il giudizio di irrilevanza contenuto in sentenza circa il disconoscimento della firma apposta sulla dichiarazione di agibilità dell’immobile, non considerando che l’istituto del silenzio assenso può operare solo in presenza di tutte le condizioni ed i requisiti richiesti dalla legge e che nel caso di specie, non provenendo la dichiarazione da soggetto legittimato, il provvedimento positivo non poteva ritenersi conseguito.
Il motivo appare inammissibile.
Quanto alla dedotta violazione dell’art. 65 d.p.r. n. 380 del 2001, la Corte di appello ha disatteso la censura aderendo al giudizio del consulente tecnico d’ufficio, che dopo avere dato atto di non avere reperito, presso l’ufficio competente, la denuncia delle opere strutturali e la relazione di collaudo, aveva tuttavia rappresentato che era presente una relazione tecnica in data 8.10.2010 a firma dell’ing. NOME COGNOME denominata ‘ Verifiche di collaudo e certificato di idoneità statica per le strutture in c.a. realizzate in Monza, INDIRIZZO/INDIRIZZO ed una tabella di prove sclerometriche effettuate in corrispondenza delle opere, esprimendo l’avviso che tali documenti erano sostitutivi della denuncia di opere strutturali in quanto ad essa equipollenti per tipologia e contenuto.
Trattasi, all’evidenza, di un giudizio tecnico, fatto proprio dal giudice di merito, che, implicando valutazioni di fatto estranee al giudizio di legittimità, non può essere messo in discussione davanti a questa Corte. Invero il giudice di appello non ha affatto disapplicato la normativa dettata dal d.p.r. n. 380 del 2001, ma ha ritenuto che essa non fosse stata sostanzialmente disattesa, reputando la mancata prova della presentazione della denuncia di inizio lavori e della allegazione della documentazione ivi prevista superata dal compimento delle successive verifiche tecniche di collaudo e dal rilascio del certificato di idoneità statica delle strutture in cemento armato. La valutazione della Corte di appello è del resto criticata dal ricorso sotto il solo profilo formale, senza richiamare alcuna eventuale contestazione di natura tecnica.
Con riguardo alla agibilità dell’immobile, la doglianza del ricorso si scontra con l’accertamento della Corte di appello, che, richiamando le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio, ha dato atto che il relativo certificato era stato rilasciato, non avendo il comune di Monza mai sollevato rilievi, e che, atteso l’esito positivo della pratica, la parte non aveva subito alcun pregiudizio. La contestazione sul punto, secondo cui l’ottenimento di esso sarebbe avvenuto in modo irregolare, in mancanza delle condizioni di legge, muove per contro da una non condivisibile assimilazione del disconoscimento della firma del legale rappresentante della società appellante presente nella suddetta dichiarazione con la falsità del documento, che invece avrebbe dovuto essere positivamente
accertata. In ogni caso la parte si limita a paventare un fatto, vale a dire l’annullamento del certificato ad opera del comune, che non si è mai verificato.
Il terzo motivo di ricorso denuncia vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, lamentando che la Corte di appello abbia ritenuto regolare, sotto il profilo amministrativo, la pratica edilizia, senza esaminare la documentazione prodotta dall’appellante in primo grado, né quella prodotta in grado di appello.
Il mezzo è inammissibile.
Il motivo, infatti, più che insufficienza della motivazione, denuncia l’omesso esame della prova documentale. Si tratta però di un vizio che non può trovare ingresso in questo giudizio, ai sensi dell’art. 348 ter, comma 5, c.p.c., applicabile ratione temporis essendo stato il giudizio di appello introdotto nel 2018, che dichiara non proponibile il ricorso per cassazione per il motivo di cui all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. nel caso in cui la sentenza di appello abbia deciso in modo conforme alla sentenza di primo grado.
Si osserva, inoltre, che, in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del decreto legge n. 83 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e di insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (Cass. n. 7090 del 2022; Cass. n. 22598 del 2018; Cass. n. 23940 del 2017).
5. Il quarto motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1387 c.c. ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, censurando il capo della sentenza che ha ritenuto, per il principio dell’apparenza, COGNOME NOME parte del contratto di appalto sottoscritto dal fratello NOMECOGNOME
Anche questo motivo è inammissibile.
La ragione assorbente è che il motivo non investe con specifiche censure il ragionamento fatto proprio dalla Corte di appello, che ha ritenuto che la spendita da parte di COGNOME NOME del nome ‘F.lli COGNOME NOME e NOME‘ e la presunta conoscenza del contratto da parte di COGNOME NOME, unitamente alle altre circostanze relative alla natura integrativa dei lavori in esso previsti rispetto all’altro contratto e d alla intestazione degli immobili alla società di cui egli era socio, inducevano a ritenere che la società RAGIONE_SOCIALE avesse fatto affidamento senza colpa sul fatto che il contratto fosse stato stipulato anche in suo nome e conto.
Il motivo non spende alcun argomento per contestare tale affermazione, limitandosi ad asserirne l ‘ erroneità.
6. Il quinto motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1352 c.c. ed omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, lamentando che la sentenza impugnata abbia riconosciuto il diritto di parte attrice al compenso per le opere extracontratto, nonostante l ‘ assenza di una loro pattuizione scritta, la cui necessità era stata espressamente concordata nel contratto originario del 3.7.2006. La Corte di appello ha motivato la decisione ritenendo che le parti avessero accettato tali lavori, così rinunciando implicitamente alla forma scritta, ma erroneamente, dal momento che non vi era stato alcun comportamento concludente in tale senso da parte della RAGIONE_SOCIALE, che anzi aveva sempre respinto le richieste di pagamento della controparte.
Il motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile.
La Corte di appello ha motivato il suo convincimento sul rilievo che i lavori ulteriori, rispetto a quelli previsti dal contratto originario, erano stati effettivamente realizzati dall’impresa e che risultava prodotto in atti un prospetto degli stessi con i relativi costi che, pur non sottoscritto, per il principio di non contestazione, non avendo la società convenuta mai contestato tale documento, doveva ritenersi frutto di un accordo tra le parti. Ha quindi tratto la conclusione che queste ultime avevano implicitamente deciso di derogare alla forma scritta convenzionale.
Tanto precisato, la censura di violazione dell’art. 1352 c.c. non merita accoglimento, in quanto la motivazione della sentenza appare conforme al principio espresso dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui le parti, nella loro autonomia negoziale, possono successivamente rinunciare alla forma da loro convenzionalmente prevista per un determinato atto, anche tacitamente, mediante comportamenti incompatibili con il suo mantenimento (Cass. n. 20052 del 2024; Cass. n. 4539del 2019; Cass. n. 4541 del 2012).
Per il resto il motivo è inammissibile, investendo una valutazione di fatto che appare sorretta da argomenti sufficienti e coerenti, come tale non sindacabile in sede di giudizio di legittimità.
La censura che deduce il vizio di motivazione è del resto inammissibile per la ragione esposta nell’esame del terzo motivo.
7. Il ricorso va pertanto respinto.
Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
Si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna in solido i ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in euro 6.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.
Dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 10 luglio 2025.