Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 3420 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 3420 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 06/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11353/2020 R.G. proposto da:
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell ‘ avvocato NOME (CF: CODICE_FISCALE), che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME (CF: CODICE_FISCALE)
-Ricorrente –
Contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell ‘ avvocato COGNOME (CF: CODICE_FISCALE), rappresentata e difesa dall ‘ avvocato COGNOME NOME (CF: CODICE_FISCALE)
-Controricorrente –
nonché contro
NOME COGNOME, domiciliata ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall ‘ avvocato COGNOME (CF: CODICE_FISCALE)
-Controricorrente –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell ‘ avvocato COGNOME (CF: CODICE_FISCALE), rappresentata e difesa dagli avvocati COGNOME NOME (CF: CODICE_FISCALE), COGNOME (CF: CODICE_FISCALE)
-Controricorrente –
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE
-Intimati –
avverso la SENTENZA della CORTE D ‘ APPELLO di BOLOGNA n. 2390/2019 depositata il 29/08/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/12/2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
I coniugi NOME COGNOME e NOME COGNOME costituirono, ognuno per la propria quota di proprietà, un fondo patrimoniale. La COGNOME conferì un mezzo di piena proprietà di un immobile sito in Castelfranco Emilia, composto da più unità immobiliari, fra le quali una era adibita a residenza familiare ed un ‘ altra a studio professionale della COGNOME, la quale vi collocò il proprio ambulatorio.
Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. RAGIONE_SOCIALE, nella sua qualità di creditrice di NOME COGNOME, chiese al Tribunale di Modena la dichiarazione di inefficacia, ai sensi dell ‘ art. 2901 c.c. dell ‘ atto di costituzione del fondo patrimoniale di cui al punto che precede.
In tale procedimento intervennero la RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, al fine di chiedere, anche nei propri confronti, l ‘ inefficacia dell ‘ atto de quo.
Con separate comparse, si costituirono NOME COGNOME e NOME COGNOME, i quali, senza contestare il credito né la sua natura, chiesero il rigetto delle domande formulate da RAGIONE_SOCIALE e dalle parti intervenute.
In particolare, la COGNOME formulò una domanda riconvenzionale di accertamento del proprio credito nei confronti del fondo patrimoniale di euro 4.554,00, derivante da opere di manutenzione ordinaria e straordinaria sull ‘ immobile in comproprietà civile (e non familiare) costituito in fondo patrimoniale.
Con sentenza n. 216/2018 il Tribunale di Modena, in totale accoglimento della domanda di parte ricorrente e delle parti intervenute, dichiarò l ‘ inefficacia nei loro confronti del fondo patrimoniale, condannando i convenuti alle spese di lite.
Avverso la predetta sentenza inizialmente il solo NOME COGNOME propose gravame dinnanzi alla Corte d ‘ Appello di Bologna, indicando quali motivi di appello: (i) la carenza di interesse ad agire e di legittimazione attiva di RAGIONE_SOCIALE e dei creditori intervenuti in primo grado; (ii) l ‘ errata valutazione del Tribunale circa la sussistenza degli elementi costitutivi dell ‘ azione revocatoria.
Successivamente si costituì nel giudizio d ‘ appello NOME COGNOME, proponendo appello incidentale contro i capi della sentenza in cui era risultata soccombente, e rivendicando nuovamente il proprio credito di 4.554,00 euro, per il resto rimettendosi a giustizia in relazione a quanto dedotto dal COGNOME in merito alla insussistenza dei presupposti per la revocatoria del fondo patrimoniale. Nelle proprie conclusioni la COGNOME chiese, in via subordinata, di essere assolta da ogni pretesa, ‘ non sussistendo per la stessa i presupposti per una dichiarazione di inefficacia degli atti dalla stessa posti in essere ‘.
Con sentenza n. 2390/2019, depositata in data 29/8/2019, oggetto di ricorso, la Corte d ‘ Appello di Bologna ha rigettato l ‘ appello principale di NOME COGNOME e l ‘ appello incidentale di NOME COGNOME e ha dichiarato l ‘ inefficacia nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE dell ‘ atto di costituzione di fondo patrimoniale stipulato da NOME COGNOME e NOME COGNOME, relativamente ai diritti immobiliari conferiti da NOME COGNOME.
Avverso detta sentenza NOME COGNOME propone ricorso per cassazione affidato a sei motivi, cui RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE (quest’ultima, nella qualità di mandataria di RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE) e RAGIONE_SOCIALE resistono con distinti controricorsi.
La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell ‘ art. 380bis 1 c.p.c.
Sia parte ricorrente che tutte le parti controricorrenti hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE.
Con il primo motivo la ricorrente denuncia in relazione all’art. 360, 1° co, n. 4, c.p.c., ‘ Ricorso ex art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., nullità della sentenza, per error in procedendo, derivante dalla violazione e falsa applicazione di legge nella fattispecie art. 132, secondo comma, n. 4 c.p.c., in relazione all’art. 118 disp. att.ne c.p.c., come richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost. ‘, censurando la sentenza per manifesta ed irriducibile contraddittorietà tra la motivazione e il dispositivo e fra capi diversi della motivazione e/o per motivazione perplessa o incomprensibile. La ricorrente espone al riguardo che la Corte territoriale, al punto b) del dispositivo, così pronuncia: ‘ ad integrazione della sentenza impugnata, dichiara l’inefficacia nei confronti (…), relativamente ai diritti immobiliari conferiti da NOME ‘. Ad avviso della ricorrente, la formula ‘ad integrazione della sentenza impugnata’ comporta l’accoglimento delle l’appello incidentale, sicché la statuizione di rigetto di quest’ultimo risulterebbe manifestamente contraddittoria.
Il motivo è infondato. La sentenza gravata, su specifica richiesta delle società appellate, ha così statuito: ‘ deve invece trovare accoglimento l’istanza di correzione integrazione proposta dalle appellate con indicazione degli estremi dell’atto notarile di costituzione del fondo che consente l’individuazione dei beni conferiti da COGNOME ‘ (così a p. 20, punto 5, della sentenza). Risulta pertanto
evidente che l’integrazione non si riferisce all’appello incidentale della ricorrente, bensì alla indicazione dei dati catastali.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, 1° co., n. 3, c.p.c., ‘ Ricorso ex art. 360 I co. n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione di norma di diritto nella fattispecie violazione del precetto di cui all’art. 99 e 112 c.p.c. in relazione all’art. 163 e 164 c.p.c., come applicabili ex art. 342, primo comma, primo periodo c.p.c. (il richiamo alle indicazioni prescritte dall’art. 163 c.p.c.), come interpretabile secondo gli insegnamenti di codesto Ecc.mo Collegio (ex multis Cass. 21087/2015; Cass. 17497/2006 e Cass. 2467/2006)’ , censurando la sentenza gravata per avere ritenuto che la domanda riconvenzionale ‘trasversale’, relativa al credito di euro 4.554,00, fosse stata abbandonata e non riproposta, ponendo quindi in essere la violazione o falsa applicazione del precetto di cui agli artt. 99 e 112 c.p.c., in relazione agli artt. 163 e 164 c.p.c., come applicabili ex art. 342, 1° co, primo periodo.
La sentenza gravata fornisce congrua motivazione sul punto: « Resta infine da osservare che NOME COGNOME ha riproposto, nelle conclusioni della comparsa di risposta, in via di appello incidentale (tale dovendo qualificarsi la richiesta di modifica della sentenza di primo proposta con la comparsa di costituzione), domanda di accertamento di un credito di € 4.554,00 dalla stessa vantato nei confronti del “fondo patrimoniale” per spese “sostenute la manutenzione ordinaria e straordinaria degli immobili”. Si tratta di domanda (riconvenzionale “trasversale”) che il tribunale ha ritenuto rinunciata perché “non coltivata in alcun modo, neanche negli scritti conclusionali”. La COGNOME non ha censurato detta statuizione, ma si è limitata a riproporre la domanda nelle conclusioni. La domanda, comunque generica e indimostrata quanto ai fatti costituitivi del preteso credito, è dunque inammissibile sia per difetto di specifica impugnazione della parte della sentenza che ha ritenuto rinunciata tale pretesa, sia per la sua genericità sia, in ogni caso, perché
proposta contro “il fondo patrimoniale” che non è un soggetto giuridico (e non è parte del giudizio) » (così a p. 18, punti 4 e 4.1, della sentenza).
Alla luce di tale motivazione, il motivo risulta inammissibile perché non si confronta con la ratio principale della sentenza (laddove la Corte ha affermato che la COGNOME non aveva impugnato la statuizione del primo giudice in punto di avvenuta rinuncia alla domanda riconvenzionale trasversale) e , quindi, non la censura in modo pertinente; invero, si limita a sostenere genericamente che nessuna rinuncia -né esplicita né implicita- era intervenuta, ma non deduce se e come avesse impugnato la statuizione del primo giudice sul punto.
Con il terzo motivo , la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, 1° co., n. 4, c.p.c., ‘ Ricorso ex art. 360 I comma. n. 4 c.p.c., per nullità della sentenza per error in procedendo ‘, censurando la sentenza per avere la Corte territoriale «ritenuto inammissibile l’appello relativamente alla omessa pronuncia del Giudice di prime cure sulla domanda riconvenzionale (trasversale) per asserita omessa specifica impugnazione».
Il motivo -connesso al precedenteè anch’esso inammissibile, in quanto la ricorrente non contrasta il rilievo della Corte di Appello allegando di avere censurato in termini specifici la statuizione in punto di rinuncia (a tal fine riproducendo anche il contenuto del relativo motivo di gravame), ma si limita a sostenere che detta statuizione non avrebbe dovuto essere impugnata (bastando, quindi la mera riproposizione della domanda in appello) in quanto il primo Giudice non aveva esaminato la riconvenzionale trasversale; con ciò, tuttavia, omettendo di confrontarsi con la decisione della Corte che ha affermato -al contrario- che il Tribunale aveva preso in esame la riconvenzionale e l’aveva ritenuta rinunciata perché «non coltivata in alcun modo, neanche negli scritti conclusionali».
Con il quarto motivo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, 1° co., n. 3, c.p.c., ‘ Ricorso ex art. 360 I co. n. 3 c.p.c., violazione o falsa applicazione di norma di diritto nella fattispecie art. 112 c.p.c. in relazione agli artt. 91 e 92 c.p.c. ‘, per avere la sentenza gravata condannato l’odierna ricorrente al rimborso degli onorari giudiziali pur in assenza di una effettiva reiezione della sua domanda. Il motivo è infondato.
La Corte territoriale (cfr. punto 4.2 della sentenza impugnata) ha ritenuto infondate le «doglianze della COGNOME relative al suo difetto di legittimazione passiva rispetto all’azione revocatoria proposta dai creditori del coniuge e alla conseguente erroneità della sua condanna alle spese del giudizio nonché alla pretesa erroneità della sua condanna alla rifusione delle spese del giudizio nonché alla pretesa erroneità della dichiarazione di inefficacia dell’atto costitutivo dell’intero fondo, anziché del so lo conferimento dei beni del coniuge»; ha affermato che «sussiste litisconsorzio necessario del coniuge non debitore»; che «in primo grado l’odierna appellante ha resistito alle pretese degli attori contestando la sussistenza dei presupposti per l’accoglimento dell’azione revocatoria ed è quindi stata legittimamene condannata, in solido col coniuge, in applicazione del criterio della soccombenza, a rimborsare alle parti vincitrici le spese del giudizio»; che «la declaratoria di inefficacia riguarda escl usivamente il conferimento dei diriti immobiliari del debitore NOME COGNOME con esclusione, quindi, della possibilità per i creditori di soddisfarsi sui beni del coniuge».
La Corte d’Appello ha dunque respinto le doglianze della COGNOME, che è risultata soccombente anche rispetto a esse (oltrechè rispetto alle censure concernenti la riconvenzionale trasversale).
Una siffatta soccombenza giustificava la condanna della COGNOME nei confronti dei creditori del coniuge che avevano agito in revocatoria.
Con il quinto motivo , la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, 1° co., n. 3, c.p.c., ‘ Ricorso ex art. 360, I comma, n. 3 c.p.c., per
violazione e falsa applicazione di legge, nella fattispecie art. 1 D.M. 195/2012 in relazione all’art. 11 stesso D.M ed in relazione all’art. 91 c.p.c. ed in relazione all’art. 13 del DPR 140/2012 ‘, nella parte in cui la Corte territoriale, non seguendo l’insegnamento della Suprema Corte (Cass., 22462/2019), ha violato il principio di proporzionalità e adeguatezza degli onorari in relazione al valore della domanda respinta (la riconvenzionale trasv ersale dell’importo di euro 4.554,00), tra l’altro per asser ita inammissibilità del relativo appello incidentale.
Il motivo è infondato, in quanto basato sull’erroneo assunto che il valore della controversia fosse limitato a quello della riconvenzionale trasversale; mentre, per quanto si è detto sopra, le doglianze svolte dalla COGNOME sugli altri profili rigettati dalla Corte comportavano la necessità di parametrare le spese all’intero valore della controversia.
Col sesto motivo , la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, 1° co., n. 3, c.p.c., ‘ Ricorso ex art. 360, I comma, n. 3 c.p.c., per violazione e falsa applicazione di norma di legge, nella fattispecie per violazione dell’art. 91 c.p.c. in relazione all’art. 97 c.p.c., nonché in relazione all’art. 101 c.p.c. ed all’art. 112 c.p.c., ed in connessione con l’art. 163 c.p.c.’, per avere la Corte territoriale condannato la convenuta, appellante incidentale, al pagamento di spese e onorari nei confronti di soggetti diversi da quelli nei confronti dei quali venne proposta la domanda riconvenzionale. Al riguardo, la ricorrente deduce di non aver svolto alcuna doma nda contro gli appellati, tant’è che costoro non formularono nei suoi confronti alcuna domanda, neppure di pagamento delle spese giudiziali. La Corte territoriale avrebbe pertanto fatto mal governo delle norme in epigrafe, atteso che il principio di condanna alla refusione degli onorari giudiziali richiede l’accertamento della soccombenza della parte (poi onerata), quindi la norma pretende che ci sia una pronuncia di ‘soccombenza’. Contesta, altresì, che vi fosse una comunanza di interessi col COGNOME, tali da giustificare la condanna solidale ex art. 97 c.p.c..
Il motivo è, in parte, infondato e, per il resto, inammissibile.
Infondato nella parte in cui contesta la sussistenza della soccombenza senza tener conto che il rigetto delle doglianze relative alle spese del primo grado e alla sussistenza del litisconsorzio necessario comportavano una soccombenza della COGNOME nei confronti dei creditori agenti in revocatoria.
Inammissibile nella parte in cui contesta la sussistenza di una comunanza di un interesse col COGNOME (che giustificasse la condanna solidale alle spese) senza dedurre elementi volti a contrastare l’apprezzamento di comunanza implicito nella statuizione della Corte, che ben poteva fondarsi su «una mera convergenza di atteggiamenti difensivi, rispetto alle questioni dibattute in causa» ovvero su «identità di interesse personale» (cfr. Cass. n. 9876/2018 e Cass. 20916/2016).
Alla stregua delle considerazioni che precedono, il ricorso va, nel complesso, rigettato.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo in favore dei controricorrenti, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida, in favore di ciascun controricorrente, in complessivi euro 4.000,00, oltre agli esborsi, liquidati in euro 200,00, oltre al rimborso spese generali 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, 1° comma, quater del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contribu to unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 14/12/2023.