Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 27178 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3   Num. 27178  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 10/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17444/2023 R.G. proposto da: COGNOME NOME, COGNOME NOME, rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), con domicilio digitale ex lege ;
-ricorrenti-
RAGIONE_SOCIALE, nella qualità di mandataria di, RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) e NOME COGNOME (CODICE_FISCALE),  con domicilio digitale ex lege ;
contro
BANCA MONTE DEI PASCHI DI RAGIONE_SOCIALE SPA;
-intimata- sul ricorso incidentale proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, nella qualità  di  mandataria  di RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE) e NOME COGNOME (CODICE_FISCALE), con domicilio digitale ex lege ;
-ricorrente incidentale-
contro
COGNOME NOME, COGNOME NOME;
-intimati- avverso  la  SENTENZA  della  CORTE  D’APPELLO  di  CATANIA  n. 63/2023 depositata il 17/01/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 23/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con sentenza n. 715/2021, il Tribunale di Catania accoglieva parzialmente la domanda della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE S.p.a., creditrice nei confronti della società RAGIONE_SOCIALE, in virtù del decreto ingiuntivo n. 3143/16, chiesto ed ottenuto in forza del credito nascente dal conto corrente con apertura di credito n. 8966.34, revocato il 18/04/2016, garantito con fideiussione da NOME COGNOME, e dichiarava l’inefficacia ( ex art. 2901 cod.civ.) dell’atto di costituzione di fondo patrimoniale stipulato il 12 giugno 2013 dal COGNOME e dalla moglie NOME COGNOME, limitatamente ai beni (e/o alle quote di beni) di proprietà del COGNOME non gravati da ipoteca
anteriormente iscritta dal creditore procedente per lo stesso credito.
Detta  sentenza  veniva  impugnata,  in  via  principale,  dai  coniugi COGNOME  e  COGNOME,  e,  in  via  incidentale,  da  RAGIONE_SOCIALE, rappresentata da RAGIONE_SOCIALE, quale mandataria di RAGIONE_SOCIALE, cessionaria (anche) del credito  già  di  RAGIONE_SOCIALE  RAGIONE_SOCIALE  dei  RAGIONE_SOCIALE  di  RAGIONE_SOCIALE  RAGIONE_SOCIALE.p.ARAGIONE_SOCIALE  che  non  si costituiva.
Il giudizio di appello si è concluso con la sentenza con la sentenza n.  63/2023  emessa  il  17/01/2023,  con  cui  la  Corte  di  Appello  di Catania  ha confermato la decisione del giudice di primo grado.
Avverso la suindicata sentenza della corte di merito il COGNOME e la COGNOME propongono ora ricorso per cassazione, formulando tre motivi, illustrati da memoria.
La società RAGIONE_SOCIALE, nella qualità, resiste con controricorso e propone ricorso incidentale, basato su unico motivo.
La trattazione dei ricorsi è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis 1 cod.proc.civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1) Con il primo motivo i ricorrenti in via principale denunziano violazione dell’art. 4, l. n. 130/99 e degli artt. 88 e 100 cod.proc.civ., per non avere RAGIONE_SOCIALE dimostrato di essere cessionaria del credito per cui è causa, non bastando, a tal fine, la produzione in giudizio dell’avviso di cessione pubblicato sulla Gazzetta ufficiale, il quale è prova idonea se reca l’indicazione per categorie dei rapporti ceduti in blocco, «a condizione che gli elementi comuni presi in considerazione per la formazione delle singole categorie consentano di individuare senza incertezze i rapporti oggetto della cessione e l’inclusione, tra questi ultimi, di quello oggetto di contestazione»: ipotesi non verificatasi nella specie, non essendovi indicazioni sufficienti a dimostrare
l’inclusione  del  credito  oggetto  di  contestazione  nell’operazione  di cessione in blocco.
Il  motivo è inammissibile per violazione dell’art. 366, 1° comma n. 6, cod.proc.civ.
I ricorrenti sostengono del tutto assertivamente di avere contestato l’inclusione del credito per cui è causa tra quelli oggetto di  cessione  in  blocco  e  altrettanto  assertivamente  affermano  che l’avviso  di  cessione  non conteneva elementi atti a dimostrare che fosse stato ceduto anche il credito per cui è causa.
Deve ribadirsi che l’indicazione delle caratteristiche dei crediti ceduti, contenuta nell’avviso della cessione pubblicato dalla società cessionaria nella Gazzetta Ufficiale, può ben costituire adeguata prova dell’avvenuta cessione dello specifico credito oggetto di contestazione, là dove tali indicazioni siano sufficientemente precise e consentano, quindi, di ricondurlo con certezza tra quelli compresi nell’operazione di trasferimento in blocco, in base alle sue caratteristiche concrete.
In tal caso, infatti, in mancanza di contestazioni specificamente dirette a negare l’esistenza del contratto di cessione, quest’ultimo non deve essere affatto dimostrato (in quanto i fatti non contestati devono considerarsi al di fuori del c.d. thema probandum ): il fatto da provare è costituito soltanto dall’esatta individuazione dell’oggetto della cessione (più precisamente, della esatta corrispondenza tra le caratteristiche del credito contro verso e quelle che individuano i crediti oggetto della cessione in blocco) e, pertanto, sotto tale limitato aspetto, le indicazioni contenute nell’avviso di cessione dei crediti in blocco pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale in relazione ad una operazione da ritenersi certamente esistente in quanto non contestata, possono ben essere valutate al fine di verificare se esse consentano o meno di ricondurre con certezza il credito di cui si controverte tra quelli trasferiti in blocco al preteso cessionario (di modo che, solo là dove tale riconducibilità
non  sia  desumibile  con  certezza  dalle  suddette  indicazioni  sarà necessaria la produzione del contratto e/o dei suoi allegati, ovvero sarà  necessario  fornire  la  prova  della  cessione  dello  specifico credito  oggetto di  controversia in altro modo (Cass. 5/4/2023, n. 9412).
Dalla sentenza della corte territoriale si evince che l’eccezione di difetto di legittimazione attiva era stata fondata sul «sul rilievo che la predetta interveniente non ha dato prova della propria legittimazione attiva e del perfezionamento della fattispecie traslativa»; il che a maggior ragione onerava i ricorrenti della dimostrazione del contenuto dell’eccezione, perché un conto è contestare il perfezionamento della fattispecie traslativa, altro è contestare la notificazione dell’avvenuta cessione, altro ancora è contestare l’inclusione del credito per cui è causa tra quelli ceduti; ciascuna di queste ipotesi è sottoposta infatti ad un onere probatorio (diverso) (v. ampiamente sul punto Cass., 22/6/2023, n. 17944).
Peraltro, la corte d’appello ha superato l’eccezione di difetto di legittimazione della cessionaria ritenendo, invece, in linea con la giurisprudenza di questa Corte, che la cessione del credito trasferisca «la legittimazione a intervenire nel presente processo pendente (ai sensi dell’art. 111 c.p.c., a titolo di successione a titolo particolare nel controverso diritto all’inefficacia dell’impugnato negozio dispositivo stipulato dal debitore ceduto), ferma restando la concorrente legittimazione anche della cedente RAGIONE_SOCIALE, originaria attrice in revocatoria (in mancanza del necessario consenso delle altre parti alla sua estromissione)» e quanto al perfezionamento della notificazione che a tal fine è sufficiente la notificazione dell’avviso di cessione sulla Gazzetta Ufficiale.
In altri termini, la corte d’appello non si è occupata affatto della inclusione del credito per cui è causa tra quelli ceduti; il che, come
s’è detto, onerava i ricorrenti di dimostrare il tipo di contestazione mossa.
2) Con il secondo motivo i ricorrenti prospettano la violazione e falsa  applicazione  degli  artt.  170,  2901  e  2697  cod.civ.,  con riferimento  all’art.  360,  1°  comma,  n.  3,  cod.proc.civ.,  nonché l’omessa motivazione.
Si dolgono che la corte d’appello abbia ritenuto revocabile l’atto costitutivo del fondo patrimoniale con la seguente motivazione: «la scientia damni non è esclusa dall’invocazione quale motivo della stipulazione dell’impugnato atto di disposizione patrimoniale -dell’interesse della famiglia, non sussistendo alcun obbligo di costituire il fondo di cui all’art. 170 c.p.c. per far fronte ai suoi bisogni» (p. 14 dell’impugnata sentenza impugnata); lamentano detta motivazione ignora «le circostanze di fatto del caso con riguardo alla sussistenza degli elementi costitutivi dell’azione di revocatoria o alla volontà fraudolenta del debitore» e, in particolare: a) la concessione da parte della banca procedente di due finanziamenti al COGNOME, le cui rate erano state regolarmente pagate, dopo la costituzione del fondo patrimoniale; b) la stipulazione, dopo l’atto revocando con la medesima banca, di un contratto di assicurazione per la responsabilità civile; c) la crononologia dei fatti, cioè la fideiussione era stata prestata nel 2003, il fondo patrimoniale era stato costituito nel 2013, quando le esigenze dei componenti della famiglia si erano fatte più impegnative, gli affidamenti alla debitrice principale erano stati revocati nel 2016.
Aggiungono che il giudice a quo avrebbe dovuto verificare  se il diritto di credito sulla base del quale era stata chiesta la revocatoria del fondo patrimoniale era stato contratto per i bisogni della famiglia, tenendo a tal fine conto del fatto che  deve esservi « una relazione di ‘inerenza diretta’ tra l’obbligazione contratta ed i bisogni  della  famiglia»  e  che  « il  debito  contratto  nell’ambito
dell’attività  d’impresa  si  presume  essere  stato  assunto  per  scopi estranei  ai  bisogni  della  famiglia,  a  meno  che  non  sia  fornita  in giudizio la prova contraria, ‘avuto riguardo delle specificità del caso concreto’ ».
Il motivo è infondato.
Le circostanze che la corte territoriale non avrebbe esaminato riguardano fatti successivi rispetto al momento in cui, anche secondo la giurisprudenza di questa Corte, della quale il giudice a quo ha fatto corretta applicazione, deve essere accertata la sussistenza dei requisiti richiesti dall’art. 2901 cod.civ.: « con specifico riguardo alla posizione del fideiussore (i cui atti dispositivi sono senz’altro assoggettabili, al pari di quelli del debitore principale, al rimedio de quo), l’acquisto della qualità di debitore nei confronti del creditore risale al momento della nascita stessa del credito e cioè al momento in cui viene prestata la fideiussione (e non anche a quello della scadenza dell’obbligazione del debitore principale), sicché è a tale momento che occorre far riferimento al fine di stabilire se l’atto pregiudizievole (come la costituzione di un fondo patrimoniale) sia anteriore o successivo al sorgere del credito, onde predicare, conseguentemente, la necessità o meno della prova del consilium fraudis (Cass. n. 591/99; Cass. n. 7484/2001)».
Il che priva di pregio lo sforzo difensivo di parte ricorrente che è tutto incentrato a dimostrare la sopravvenienza di circostanze, rispetto al momento del sorgere del credito, che la corte d’appello avrebbe omesso di esaminare e che se esaminate l’avrebbero dovuta indurre ad escludere la sussistenza dei presupposti dell’ actio pauliana . Deve infatti ribadirsi che non ricorre l’ eventus damni se la riduzione del credito, anche in corso di causa, elimina la lesione della garanzia patrimoniale posta in essere mediante l’atto dispositivo, atteso che l’interesse ad agire deve sussistere sino al momento della decisione (Cass. 16/07/2025, n. 19650); il
venir meno dell’interesse del creditore ad ottenere la declaratoria di inefficacia dell’atto postula il sopravvenire in corso di causa di un giudicato che accerti l’inesistenza del credito; giudicato che, ove sussistente, deve essere rilevato anche da questa Corte, la quale, indipendentemente dall’originaria fondatezza o meno della domanda, la rigetterà nel merito, ai sensi dell’art. 384, 2° comma, cod.proc.civ., ove non siano necessari ulteriori accertamenti in fatto (Cass. 30/06/2020, n. 12975).
Quanto alla non revocabilità dell’atto costitutivo del fondo patrimoniale deve ribadirsi che il fondo patrimoniale rappresenta effettivamente un sistema idoneo a garantire la soddisfazione dei bisogni della famiglia, ma non esclude la possibilità per i creditori di aggredire i beni in esso inclusi, poiché nella definizione del punto di equilibrio tra l’interesse della famiglia e quello dei creditori non si è totalmente obliterato il principio di cui all’art. 2740 cod.civ., ma si è introdotto uno speciale regime di responsabilità patrimoniale. Né il fondo patrimoniale crea uno schermo impermeabile ai rimedi che i creditori possono esperire avverso le attività dirette ad eludere o vanificare in toto la garanzia patrimoniale generica.
Più precisamente, il fondo patrimoniale costituito ex art. 167 cod.civ. impone un vincolo di destinazione su determinati beni, per far fronte ai bisogni della famiglia, con la conseguenza che ex art. 170  cod.civ.  «la  esecuzione  sui  beni  del fondo e  sui  frutti  di  essi non  può  aver  luogo  per  debiti  che  il  creditore  conosceva  essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia».
Deve,  pertanto,  accertarsi  in  fatto  se  il  debito  si  possa  dire contratto per soddisfare i bisogni della famiglia (o se il titolare del credito  non  ne  conosceva l’estraneità  a tali  bisogni),    precisando, tuttavia, che, se è vero che tale finalità non si può dire sussistente per il solo fatto che il debito sia sorto nell’esercizio dell’impresa, è vero  altresì  che  tale  circostanza  non  è  nemmeno  idonea  ad escludere, in via di principio, che il debito si possa dire contratto,
appunto,  per  soddisfare  bisogni  familiari  (v. Cass. 28/5/2020,  n. 10166).
La rispondenza o meno dell’atto ai bisogni della famiglia richiede una  verifica  estesa  al  riscontro  di  compatibilità  con  le  più  ampie esigenze  dirette  al  pieno  mantenimento  e  all’armonico  sviluppo familiare,  cosicché  l’estraneità  non  può  considerarsi  desumibile soltanto  dalla  tipologia  di  atto  (ad  es.  la  fideiussione  prestata  in favore di una società, come nella vicenda per cui è causa) in sé e per sé considerata (Cass. 25/10/2021, n. 29983).
In sostanza, i creditori vengono distinti, in base alla natura dei bisogni dai quali originava il rapporto obbligatorio e della condizione soggettiva in cui si trovavano al momento dell’insorgenza dell’obbligo, in: i) creditori della famiglia, ai quali è riservata la garanzia generica sui beni attributi al fondo; ii) creditori che ignoravano l’estraneità dei debiti ai bisogni familiari che dall’art. 170 cod.civ., sono equiparati ai precedenti; iii) creditori che conoscevano tale estraneità, ai quali è preclusa l’esecuzione sui beni del fondo e sui relativi frutti.
Destinare beni ai bisogni della famiglia significa sottrarli all’azione esecutiva di una specifica categoria di creditori, ferma restando la possibilità per tutti i creditori di agire, se ne ricorrono i presupposti, in revocatoria ordinaria, posto che l’atto di costituzione del fondo patrimoniale, anche se compiuto da entrambi i coniugi, è un atto a titolo gratuito, soggetto ad azione revocatoria ai sensi dell’art. 2901 cod.civ., se sussiste la conoscenza del pregiudizio arrecato ai creditori (Cass. 07/03/2005, n. 4933; Cass. 07/07/2007, n. 15310; Cass. 07/10/2008, n. 24757; Cass. 10/02/2015, n. 2530).
Nella specie, l’istituto di credito non ha preteso di agire esecutivamente  sui  beni  del fondo patrimoniale,  ma  ha  lamentato che  la  costituzione  del fondo patrimoniale recava  pregiudizio  alle sue  ragioni  e  quindi  ha  chiesto  e  ottenuto  che  l’atto  venisse
dichiarato inefficace nei suoi confronti ai sensi dell’art. 2901 cod.civ.
L’azione pauliana è diretta a far dichiarare giudizialmente l’inefficacia, nei confronti del creditore procedente, degli atti di disposizione del patrimonio con cui il debitore arrechi pregiudizio alle sue ragioni, per consentire allo stesso di esercitare sui beni oggetto dell’atto azioni esecutive e cautelari. L’accoglimento della domanda proposta ex art. 2901 cod.civ. produce quindi l’effetto di rendere inopponibile, e solo nei confronti del creditore che ha agito in revocatoria, l’atto dispositivo del debitore, senza incidere sulla validità inter partes dell’atto stesso, né sulla sua opponibilità ai terzi rimasti estranei al giudizio revocatorio (Cass. 13/12/2023, n. 34872), ed assicura la fruttuosità e la speditezza dell’azione esecutiva diretta a far valere la garanzia patrimoniale generica.
Con  l’accoglimento  della  domanda  revocatoria  la  banca ha  la possibilità di agire liberamente sui beni del fondo patrimoniale, pur se questo resta validamente costituito.
L’effetto tipico della costituzione del fondo, vale a dire la (parziale)  sottrazione  dei  beni  alla  garanzia patrimoniale generica, non si produce nei confronti del creditore vittorioso nell’esperimento dell’azione pauliana e non è quindi necessario, in questo  caso,  verificare  se  il  credito  per  cui  si  agisce  deriva  da obbligazione contratta nell’interesse della famiglia e se il creditore ne fosse consapevole o meno.
Correttamente pertanto la corte di merito ha ritenuto revocabile l’atto costitutivo del fondo patrimoniale, rilevando -in sintonia con l’indirizzo di questa Corteche la costituzione del fondo patrimoniale  è  atto  a  titolo  gratuito  e  che  può  essere  dichiarato inefficace nei confronti dei creditori in quanto rende i beni conferiti aggredibili solo a determinate condizioni (art. 170 cod.civ.).
« Tale atto infatti è suscettibile (…) di rendere più incerta o difficile la  soddisfazione  del  credito,  giacché,  considerate  le  richiamate
limitazioni  all’esecuzione  poste  dall’art.  170  cod.civ.,  riduce  la garanzia  generale  dei  creditori  sul  patrimonio  dei  costituenti» (Cass.  07/07/2007,  n.  15310 ),  onde  escluderne  l’ammissibilità  i costituenti  hanno  l’onere  di  provare  l’insussistenza  del pericolo  di danno costituito dalla eventuale infruttuosità di una futura azione esecutiva (Cass. 17/01/2007, n. 966).
 Con  il  terzo  motivo  i  ricorrenti  in  via  principale  denunziano violazione  degli  artt.  170  cod.civ.  e  2901  cod.civ.  sotto  il  profilo della insussistenza dell’ eventus damni con riferimento all’art. 360, 1° comma, n. 3 cod.proc.civ.
Si dolgono che la banca procedente abbia, per un credito di circa euro 129.961,79, poi ridotto a euro 62.000, iscritto ipoteca su un vasto complesso di beni di valore enormemente superiore; il valore catastale complessivo dei beni gravati da ipoteca era di circa euro 894.000  di  euro;  di  talché  era  ampiamente  tutelata  e  aveva pretestuosamente  e  temerariamente  agito  anche  nel  presente giudizio.
Il motivo è inammissibile.
La corte d’appello, come già il giudice di prime cure, ha ritenuto sussistente  l’ eventus  damni perché  gli  odierni  ricorrenti  avevano conferito  nel  fondo  patrimoniale  tutti  i  loro  beni  e  non  avevano dimostrato  di  avere  un  patrimonio  residuo  idoneo  a  soddisfare  le ragioni creditorie e proprio in ragione della iscrizione ipotecaria ha rigettato la domanda  revocatoria nei confronti degli atti di conferimento  aventi  ad  oggetto  beni  su  cui  la  procedente  aveva iscritto ipoteca.
A supporto del motivo i ricorrenti, con la memoria depositata in vista dell’odierna Camera di Consiglio, deducono che dalla vendita dei quattro lotti dei beni di proprietà della società debitrice RAGIONE_SOCIALE  e  dell’obbligato  principale  NOME COGNOME  era stata  ricavata  la  complessiva  somma  di  euro. 153.630,00 (euro 40.000,00 + euro 22.000,00 + euro 1.630,00 +
euro 90.000,00) a fronte di un credito spettante alla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE Di RAGIONE_SOCIALE S.P.A. che la sentenza della Corte di Appello di Catania  n.  1830/2023  aveva  ridotto  da  euro  129.961,79  ad  euro 91.400,47 e producono la documentazione su cui dette deduzioni si fondano.
Si osserva, però, che, pur essendo «deducibile nel giudizio di legittimità il “factum superveniens”, in quanto equiparabile allo “ius superveniens”, se idoneo ad incidere sull’oggetto della causa sottoposta all’esame del giudice», con il conseguente superamento dei limiti di prova della documentazione del fatto sopravvenuto rispetto alla previsione dell’art. 372 cod. proc. civ., non è stata integrata nella specie la condizione che «il contenuto della situazione giuridica controversa abbia avuto una definitiva modificazione» (Cass. 23/09/2024, n.25396; Cass. 24/11/ 2020, n. 26757).
4) Con il ricorso incidentale parte ricorrente denunzia violazione o falsa applicazione degli artt. 2740, 2808 e 2901 cod.civ., per avere la corte di merito erroneamente escluso l’inefficacia dell’atto costitutivo del fondo patrimoniale con riguardo agli immobili di proprietà (o comproprietà) del COGNOME gravati da ipoteca iscritta anteriormente rispetto al suddetto atto dispositivo. Invero, il pregiudizio per il creditore -ovvero il requisito dell’ eventus damni -e quindi l’interesse di quest’ultimo ad agire in revocatoria per la declaratoria di inefficacia dell’atto di disposizione posto in essere dal debitore, non può dirsi impedito e/o escluso dall’eventuale presenza di garanzie reali che insistono sul bene confluito nel fondo patrimoniale.
Il motivo è infondato.
La giurisprudenza evocata dalla ricorrente riguarda la proposizione dell’azione revocatoria nei confronti di un atto dispositivo  avente  ad  oggetto  beni  gravati  da  ipoteca  iscritta  a tutela delle ragioni di altro creditore e/o di altri creditori.
Nel caso, invece, in cui l’azione revocatoria abbia a oggetto un atto dispositivo avente ad oggetto beni su cui il creditore procedente abbia iscritto ipoteca anteriormente all’atto dispositivo, fa difetto il pregiudizio delle ragioni creditorie in quanto l’atto dispositivo successivo alla iscrizione di ipoteca «non priva il creditore ipotecario del diritto di sequela, anche nei confronti dei terzi successivamente acquirenti, e quindi è comunque inefficace rispetto alle sue ragioni creditorie, sicché la dichiarazione ex art 2901 c.c. costituirebbe una inutile superfetazione» (Cass. 17/03/2023, n. 7876; Cass . 22/06/2020, n. 12121) . Difatti, se l’azione revocatoria ha, certamente, finalità solo cautelare, presupponendo, quindi, un pregiudizio anche solo “potenziale” alle ragioni del creditore, resta, nondimeno, inteso che essa richiede, pur sempre, che la garanzia patrimoniale generica «si sia ridotta al punto da pregiudicare la realizzazione del diritto del creditore con l’azione espropriativa», e ciò in coerenza con la sua funzione, che è quella di «consentire allo stesso di esercitare sul bene oggetto dell’atto, l’azione esecutiva ai sensi degli artt. 602 e seguenti del codice di procedura civile per la realizzazione del credito».
Un argomento utilizzato per supportare detta conclusione è la ricerca di «un punto di equilibrio tra l’esigenza del creditore di vedere conservata la garanzia patrimoniale generica e la salvaguardia dei diritti di libertà del debitore, in quanto l’azione revocatoria “costituisce uno strumento di forte impatto sull’autonomia privata a tutela delle ragioni creditorie”» (Cass. 16/04/2008, n. 9970); diversamente opinando si concretizzerebbe «il rischio di un allargamento a dismisura della nozione di “eventus damni”, propendendo per un’ermeneusi che valorizzi il riferimento al “pregiudizio” alle ragioni del creditore (presente nel testo dell’art. 2901 cod. civ.), dove l’impiego di tale termine starebbe, appunto, ad indicare che il presupposto oggettivo dell’azione revocatoria non si identifica in un semplice effetto sfavorevole per il
titolare  del  diritto  di  credito,  bensì  in  una  “diminuzione”,  o  per meglio  dire  in  una  lesione  dell’interesse  tutelato  dalla  norma: quello  che  si  identifica  nella  necessità  che  rimangano  immutate, nonostante l’atto di disposizione, le possibilità di soddisfazione del credito, in relazione ad un’eventuale azione esecutiva sui beni del debitore».
Al creditore garantito da ipoteca sui beni oggetto dell’atto dispositivo è preclusa dunque l’esperibilità dell’azione revocatoria nei confronti di detto atto dispositivo, atteso che, come a correttamente rilevato dalla corte d’appello, detto rimedio risulterebbe eccedente lo scopo, visto che la titolarità del diritto di ipoteca esclude quel pericolo di infruttuosità dell’esecuzione, nel quale, pur sempre, si identifica il cd. “eventus damni”. (cfr. Cass. 17/01/2007, n. 966; Cass. 9/03/2006, n. 5105; Cass. 5/06/2000, n. NUMERO_DOCUMENTO).
 All’inammissibilità  e  all’infondatezza  dei  motivi  del  ricorso principale  consegue  il  relativo  rigetto;  il  ricorso  incidentale  va parimenti  rigettato,  attesa  l’infondatezza  dell’unico  motivo  su  cui esso si fonda.
Data la reciproca soccombenza, va disposta la compensazione delle spese  del  giudizio  di  cassazione  tra i ricorrenti, in via principale e incidentale.
P.Q.M.
La Corte rigetta i ricorsi, principale e incidentale. Compensa tra i ricorrenti,  in  via  principale  e  incidentale,  le  spese  del  giudizio  di cassazione.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.p.r. 30 maggio 2002, n. 115, come modif. dalla l. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei  ricorrenti  principali  e  della  ricorrente  incidentale  all’ufficio  del merito  competente  dell’ulteriore  importo  a  titolo  di  contributo
unificato, pari a quello previsto per il rispettivo ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella Camera di Consiglio del 16 settembre 2025 dalla Terza sezione civile della Corte Suprema di Cassazione.
Il Presidente NOME COGNOME