Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 10546 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 10546 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 22/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7892/2022 R.G. proposto da :
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliato in ROMA C.INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente-
nonchè contro
COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente e ricorrente incidentale-
e contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 939/2022 depositata il 10/2/2022;
udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 28/2/2025 dal Consigliere NOME COGNOME:
Rilevato che:
NOME COGNOME conveniva davanti al Tribunale di Roma i coniugi NOME COGNOME e NOME COGNOME per ottenere la condanna del COGNOME a restituire la somma di euro 788.000 quale controvalore di strumenti finanziari che gli aveva consegnato allo scopo che li investisse per ottenerla, perché fosse condannata la COGNOME a corrispondergli la somma di euro 130.000 e perché
fosse dichiarato inefficace nei propri confronti, ai sensi dell’articolo 2901 c.p.c., un fondo patrimoniale istituito dai convenuti.
I convenuti si costituivano, resistendo; interveniva volontariamente anche NOME COGNOME esponendo un’analoga vicenda e, sul presupposto che il Terrigno dovesse restituirgli la somma di euro 789.800, chiedeva la dichiarazione di inefficacia anche nei suoi confronti del fondo patrimoniale.
Il Tribunale, con sentenza n. 15189/2017, condannava il Terrigno a restituire al COGNOME la somma di euro 788.000, oltre interessi, rigettava la domanda del medesimo attore proposta avverso la COGNOME e respingeva ogni domanda ex articolo 2901 c.c.
Proponevano appello sia il Terrigno, sia il COGNOME, sia il Vento. La Corte d’appello di Roma, riuniti i giudizi, con sentenza n. 939/2022, per quanto qui interessa, rigettava l’appello del Terrigno e, in accoglimento degli altri due appelli, dichiarava inefficace la costituzione del fondo patrimoniale; rigettava altresì l’appello del COGNOME relativo alla rigettata sua domanda avverso la COGNOME.
Ha presentato ricorso il COGNOME, sulla base di tre motivi; il COGNOME si è difeso con controricorso; il COGNOME si è difeso con controricorso proponendo altresì ricorso incidentale veicolante un unico motivo; la COGNOME si è difesa dal ricorso incidentale con controricorso.
Memorie hanno depositato il Vento e il COGNOME.
Considerato che:
Il primo motivo del ricorso principale Terrigno si articola, in realtà, due submotivi.
1.1.1 Con il primo submotivo denuncia, ex articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’articolo 23 d.lgs. 58/1998 e delle ‘garanzie di contenuto’ di cui all’articolo 30 della delibera Consob del 1 luglio 1998; si denuncia altresì, ai sensi dell’articolo 360, primo comma, n.5 c.p.c., ‘omissione, insufficienza e contraddittorietà della motivazione’ quanto ‘ad un punto decisivo della controversia’.
Si richiama un passo della sentenza impugnata ove si afferma infondato l’appello proposto dallo stesso Terrigno con cui questi aveva sostenuto il contratto privo dei requisiti di legge e in particolare dell’articolo 30 della suddetta delibera Consob, con conseguente nullità rilevabile anche d’ufficio. La corte territoriale oppone che tale nullità, in quanto di protezione, può essere fatta valere solo dal cliente – citando in particolare Cass. 11522/1998 nel cui interesse soltanto il giudice può rilevarla d’ufficio – qui richiamando Cass. 898/2018 -.
La c orte d’appello, ad avviso del ricorrente, ‘confonde l’asserita ricognizione di debito unilaterale con un contratto relativo a servizi di investimento, nel caso in esame inesistente’, così ritenendo -irragionevolmente la nullità in esame come ‘eccepibile solo da parte del cliente’. Si argomenta dunque nel senso che il riconoscimento di debito sarebbe stato ‘privo di un valido rapporto sottostante, per l’impossibilità giuridica e l’assoluta acausalità dell’obbligazione di risultato, assunta peraltro a titolo di cortesia, consistente nella restituzione dei proventi di un imprecisato investimento in fieri, effettuato presso terzi con la consulenza del Terrigno ed alimentato con gli assegni in bianco <> del … COGNOME relativi a somme pacificamente, come risulta in atti, incassate da terzi e non dal ricorrente’. Per di più, ‘con dodici righe di lacunosa, carente e contraddittoria motivazione’ il giudice d’appello parrebbe ‘avallare la tesi secondo cui un’asserita ricognizione di debito varrebbe quale valido … contratto di consulenza finanziaria ovvero lo stesso accordo che, nonostante sia privo di sicurezza e di precisione in termini di qualificazione del rapporto finanziario, preveda, invece, esclusivamente la consegna di una pluralità di assegni in bianco che, si ripete, essere stati incassati ( sic ) pacificamente da terzi’.
Comunque la sentenza di primo grado reputa la sussistenza di mandato senza rappresentanza ad investire e, al riguardo, il
giudice d’appello ‘omette ogni ragionamento e motivazione riportando, invece, l’applicazione dell’art. 23 (TUF) ad esclusiva protezione del cliente e dunque non eccepibile in termini di nullità da parte del ricorrente’. E non vi sarebbe ‘risposta … circa il contestato punto e l’inesistenza di un valido rapporto sottostante l’asserita ricognizione del debito’, omissione che integrerebbe il vizio di cui all’articolo 360, primo comma, n.5, c.p.c.
1.1.2 Il submotivo è volto a censurare l’accertamento fattuale compiuto dal giudice d’appello in ordine alla natura del negozio concordato dalle parti – il che è evidentemente inammissibile -, nonché il vizio motivazionale, sotto il quale profilo ricade nella inammissibilità di cui all’articolo 348 ter, ultimo comma, c.p.c., ratione temporis applicabile.
1.2.1 Con il secondo submotivo il ricorrente denuncia, ex articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., violazione ed errata applicazione dell’articolo 30 della delibera Consob 1 luglio 1998 – Regolamento per i contratti di investimento in servizi finanziari -, nonché violazione dell’articolo 1711 c.c.
A ssume di avere ‘denunciato la violazione di principi e norme di diritto vigenti in materia di contratti di investimento in servizi finanziari’, e che al riguardo vi sarebbe ‘totale omissione di pronuncia nella sentenza impugnata’.
R ichiama il contenuto dell’articolo 30 della richiamata delibera Consob e si sostiene che non sarebbe stato acquisito, né in primo e in secondo grado, un contratto scritto con il contenuto del suddetto articolo: nessuno degli elementi costitutivi del contratto quadro di investimento come quelli di cui alle lettere a), b), c), d), e), f) ivi previsti si rinverrebbe nella scrittura privata del 7 agosto 2013. Si argomenta ampiamente su ciò pervenendo a concludere (pagina 13 del ricorso) che tale scrittura è stata ‘qualificata dal Giudice di prime cure mandato senza rappresentanza ad investire’ e che su ciò la Corte d’appello non avrebbe considerato alcunché -‘nulla
quaestio da parte della Corte d’Appello, avendo omesso ogni considerazione…’ ( ibidem ), pur sussistendo nullità del negozio.
1.2.2 Si tratta, a ben guardare, di una riproposizione della precedente censura, che ancora una volta chiede al giudice di legittimità di svolgere il compito del giudice di merito, e ancora una volta non tiene conto dei limiti di controllo motivazionale già sopra evidenziati a proposito del primo submotivo.
Anche questo submotivo, dunque, è inammissibile.
1.3.1 Con il secondo motivo il ricorrente denuncia, ex articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli articoli 167 e 170 c.c. nonché dell’articolo 2901 c.c.; denuncia altresì, in riferimento all’articolo 360, primo comma, n.5 c.p.c., motivazione contraddittoria e insufficiente su un punto decisivo della controversia.
Dato atto della riunione degli appelli, osserva che il fondo patrimoniale costituito tra il ricorrente COGNOME e la moglie COGNOME era stato costituito il 21 dicembre 2010, e quindi in epoca ‘pacificamente risalente ed anteriore’ all’insorgenza dell’asserito credito ‘che deriverebbe dalla dichiarazione del 2013’: erra dunque la corte territoriale perché ‘può esperire la revocatoria solo il creditore anteriore alla costituzione del fondo e non quello successivo’, in quanto occorre, ‘oltre all’ eventus damni , la dolosa preordinazione dell’atto da parte del debitore al fine di compromettere il soddisfacimento del credito’ mentre, nel caso in esame, come riconosciuto pure dal tribunale, l’attore non avrebbe neppure allegato, e quindi tantomeno provato, un consilium fraudis .
La corte territoriale, invece, in sostanza ritiene che il fondo sarebbe stato costituito proprio ai fini di sottrarre i beni al futuro credito restitutorio, mentre ‘non sussiste alcuna dolosa preordinazione a creare pregiudizio alle ragioni dell’appellante ( sic ) da parte degli appellati ( sic )’, ai quali sarebbe stato sospettato l’onere specifico di
allegazione e prova; e non vi sarebbe stata ‘alcuna <>’, l’anteriorità della costituzione del fondo rispetto all’insorgenza del credito impedendo di qualificarla ‘atto pericoloso per l’integrità della garanzia patrimoniale del creditore’, rappresentata dai beni del debitore al momento della nascita dell’obbligazione.
La corte territoriale per le stesse ragioni ha accolto l’appello del Vento. Lamenta il ricorrente che essa ‘assume come valide le motivazioni già addotte per l’appello di COGNOME senza alcuna precisazione’; andrebbe inoltre rilevato che ‘l’asserita dichiarazione di debito sottoscritta dal Terrigno in data 9. 12. 2014 … fa solo genericamente riferimento a investimenti iniziati nel 2004 senza neppure indicarne in modo specifico gli importi o i termini’. Inoltre, per la dichiarazione di debito relativa a investimenti del 2004 non sussisterebbe prova che il credito del Vento sia sorto in quell’anno o comunque prima del 9 dicembre 2014, la cui scrittura, d’altronde, il Vento avrebbe indicato come ‘l’ultima di una serie di comunicazioni’ con il Terrigno che così lo aggiornava dell’andamento dei precedenti investimenti, ‘senza però che sia stato mai allegato alcunché’. Infatti il Tribunale aveva ritenuto che il Vento non avesse ‘fornito alcuna prova dell’anteriorità del proprio credito rispetto alla costituzione del fondo patrimoniale’.
1.3.2 La sintesi appena offerta di questo motivo, ictu oculi , è sufficiente per dimostrarne la natura inammissibilmente fattuale.
Il motivo, invero, è inammissibilmente volto a perseguire un terzo grado di merito in sede di legittimità.
1.4.1 Con il terzo motivo il ricorrente denuncia, ex articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli articoli 167 e 170 c.c.
Costituendo il fondo patrimoniale il COGNOME e la COGNOME lo avrebbero ‘destinato a far fronte ai bisogni della propria famiglia’. Seguendo invece la ‘ricostruzione della vicenda giudiziale’,
emergerebbe che ‘l’asserito credito, indicato nella dichiarazione del 2013 … neanche oggetto di uno specifico accertamento … -‘, sarebbe ‘una condizione di debito’ che i coniugi ‘avrebbero contratto per scopi non riconducibili ai bisogni della famiglia’.
Si argomenta allora sull’istituto del fondo patrimoniale, che sottopone a vincolo beni ‘destinati a far fronte dei bisogni della famiglia’ (articolo 167 c.c.), beni di cui hanno proprietà entrambi i coniugi e che non possono, né essi né i loro frutti, ‘essere oggetto di azioni esecutive per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia’, di cui sono diretti a garantire la ‘stabilità economica’ (si richiama pure l’articolo 170 c.c.).
Se ne deduce che ‘nel caso in esame gli immobili conferiti nel fondo patrimoniale, di cui parte appellante ( sic ) … chiede la dichiarazione di inefficacia, non possono costituire alcuna garanzia per il soddisfacimento delle asserite pretese debitorie da essa parte vantate’ per la ‘sentenza n. 14608/2017’, non risultando provato che il credito del COGNOME fosse sorto anteriormente al 2013; e la ‘carenza di allegazione della pretesa’ di quest’ultimo, ‘unitamente alla stigmatizzazione della vicenda dal medesimo prospettata, emerge dai fatti: l’operazione si sarebbe realizzata attraverso l’emissione di assegni privi dell’indicazione dei beneficiari (!) allo scopo di impiegarli in investimenti finanziari (!) privi di qualsiasi allegazione circa le modalità di impiego della provvista, dell’entità del corrispettivo convenuto per gli investimenti e di quei requisiti minimi che possano definire un accordo di investimento’.
1.4.2 Dopo la generica illustrazione del fondo patrimoniale, il ricorrente si sposta, inequivocamente, su dati fattuali, ancora una volta perseguendo un terzo grado di merito (e si nota, tra l’altro, che la sentenza n. 14608/2017 è quella che, secondo l’esposizione delle vicende processuali presente nel ricorso, è stata oggetto della
sentenza d’appello n. 939/2022, cioè quella qui impugnata: si vedano le pagine 4-5 del ricorso).
Che, poi, l’azione revocatoria possa investire, se sussistono i requisiti indicati dall’articolo 2901 c.c., un atto anteriore al sorgere del credito non è dubitabile, proprio per il chiaro dettato di tale norma.
Il ricorso principale del Terrigno va dunque rigettato.
Il ricorso incidentale del COGNOME, come già anticipato, è affidato a un unico motivo.
2.1 Il motivo è rubricato come violazione e falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c. quanto all’onere della prova, violazione e falsa applicazione degli articoli 75 ss. r.d. 1736/1933, omesso esame di fatto decisivo e discusso (articolo 360, primo comma, n.5 c.p.c.) e travisamento dei fatti.
Secondo il ricorrente, ‘la circostanza della correità (piuttosto che di complicità)’ della COGNOME ‘nella truffa perpetrata’ nei suoi confronti risulterebbe ‘da svariati elementi di fatto evidenziati in causa e dalla sentenza penale n. 13407/19 del Tribunale di Roma’, che sarebbero ‘tutti colpevolmente ignorati’ dal giudice d’appello che ‘risultassero inoppugnabili dalle argomentazioni, dai fatti e dagli atti di causa’.
Il giudice d’appello, richiamando la natura cartolare dell’assegno, afferma che la partecipazione della COGNOME ‘avrebbe dovuto essere provata rigorosamente’: ma ciò sarebbe errato nel caso in esame, in cui non sarebbe pertinente la natura cartolare dell’assegno. Infatti ‘la frode dei coniugi COGNOME non si riferisce alla emissione dei titoli di credito ma alla fraudolenta apprensione di quei titoli poi utilizzati per fini personali e non secondo la destinazione propria (investimenti finanziari)’. E ‘la prova della partecipazione della COGNOME‘ emergerebbe da un elenco di circostanze che il giudice d’appello avrebbe ignorato, indicate sub a), b), c), d), e), f) e g) (pagine 27-30 del ricorso).
A rgomenta, infine, sul fatto che l’emissione in bianco dell’assegno sarebbe stata prevista, e che ‘comunque la partecipazione della COGNOME alla truffa si è consumata e perpetrata con l’utilizzo’ degli importi poi inseriti negli assegni per scopi personali ignorati e non autorizzati dal ricorrente. Segue un elenco relativo a date e importo degli assegni (ricorso, pagine 31-32), immettendo ulteriori dati fattuali sui rapporti tra il Terrigno e il COGNOME, sulla presenza a loro incontri della COGNOME e sull’incasso da parte di questa (ricorso, pagine 3235) con l’inserimento di una riproduzione -scarsamente percepibile, comunque -di un assegno nella illustrazione del motivo, e di retoriche domande, dai toni non del tutto moderati, sulla condotta della COGNOME (‘Cosa credeva che fossero quelli assegni? Un premio di condotta?’).
2.2 Tutto il motivo, che costituisce appunto il ricorso incidentale, è sceso sine dubio al livello del merito, rivolgendosi al giudice di legittimità come a un giudice d’appello e pertanto fondandosi su dati direttamente fattuali.
Il ricorso incidentale è pertanto inammissibile.
In conclusione, il ricorso principale deve essere rigettato e il ricorso incidentale va dichiarato inammissibile.
Stante la reciproca soccombenza, va disposta la compensazione delle spese del giudizio di cassazione tra i ricorrenti, principale e incidentale.
Sussistono giusti motivi per compensare le spese del giudizio di cassazione anche tra i ricorrenti -principale e incidentale- e il controricorrente Vento. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo a favore della controricorrente COGNOME e a carico del ricorrente incidentale COGNOME seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale; dichiara inammissibile il ricorso incidentale. Compensa tra i ricorrenti -principale e
incidentale- le spese del giudizio di cassazione. Compensa le spese del giudizio di cassazione tra i ricorrenti -principale e incidentale- e il controricorrente COGNOME. Condanna il ricorrente incidentale COGNOME al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 10.200,00, di cui euro 10.000,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, in favore della controricorrente COGNOME.
Ai sensi dell’articolo 13, comma 1 quater, d.p.r. 115/2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti, principale e incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per i rispettivi ricorsi a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 28 febbraio 2025