Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 9789 Anno 2024
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Civile Ord. Sez. 3 Num. 9789 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 11/04/2024
Oggetto:
composta dai signori magistrati:
AVV_NOTAIO. NOME COGNOME
Presidente
OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE (ART. 615 C.P.C.)
AVV_NOTAIO. NOME COGNOME
Consigliere
AVV_NOTAIO. NOME COGNOME
Consigliere
AVV_NOTAIO. NOME COGNOME
Consigliere relatore
Ad. 27/03/2024 C.C.
AVV_NOTAIO. NOME COGNOME
Consigliere
R.G. n. 19635/2022
ha pronunciato la seguente
Rep.
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al numero NUMERO_DOCUMENTO del ruolo generale dell’anno 2022, proposto
da
COGNOME NOME (C.F.: CODICE_FISCALE)
rappresentato e difeso dall’avvocat o NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE)
-ricorrente-
nei confronti di
RAGIONE_SOCIALE (C.F.: CODICE_FISCALE), rappresen- tata da RAGIONE_SOCIALE, già RAGIONE_SOCIALE (C.F.: P_IVA) società con unico socio, in persona del rappresentante per procura NOME COGNOME rappresentata e difesa dall’avvocat o NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE)
RAGIONE_SOCIALE, in forma abbreviata RAGIONE_SOCIALE (C.F.: P_IVA), rappresentata da RAGIONE_SOCIALE (C.F.: P_IVA), in persona del legale rappresen- tante pro tempore , NOME COGNOME
rappresentata e difesa dall’avvocat o NOME COGNOME (C.F.: CODICE_FISCALE)
-controricorrenti-
nonché
BANCA DI PISA RAGIONE_SOCIALE (C.F.: CODICE_FISCALE), in persona del legale rappresentante pro tempore
Corte di Cassazione – copia non ufficiale
-intimata-
per la cassazione della sentenza della Corte d’a ppello di Firenze n. 1217/2022, pubblicata in data 14 giugno 2022; udita la relazione sulla causa svolta alla camera di consiglio del 27 marzo 2024 dal consigliere NOME COGNOME.
Fatti di causa
Banca Monte dei Paschi di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.A. ha promosso un procedimento di esecuzione forzata per espropriazione immobiliare nei confronti di NOME COGNOME; nella procedura esecutiva è intervenuta la creditrice Banca di Pisa e RAGIONE_SOCIALE Credito Cooperativo.
Il debitore esecutato ha proposto opposizione all’esecuzione, ai sensi dell’art. 615, comma 2, c.p.c., deducendo l’impignorabilità dei beni assoggettati ad espropriazione, ai sensi dell’art. 170 c.p.c., in quanto costituiti in fondo patrimoniale, nonché ai sensi dell’art. 2911 c.c..
L’opposizione è stata rigettata dal Tribunale di Pisa. La Corte d’appello di Firenze ha confermato la decisione di primo grado.
Ricorre l’COGNOME , sulla base di tre motivi.
Resistono con distinti controricorsi RAGIONE_SOCIALE (cessionaria del credito azionato da Banca Monte dei Paschi RAGIONE_SOCIALE) e RAGIONE_SOCIALE (cessionaria del credito azionato da Banca di Pisa e RAGIONE_SOCIALE Credito Cooperativo), rispettivamente rappresentate da RAGIONE_SOCIALE e da RAGIONE_SOCIALE
Non ha svolto attività difensiva in questa sede l’ altra società intimata.
È stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis .1 c.p.c..
La controricorrente RAGIONE_SOCIALE ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis .1 c.p.c..
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza decisoria nei sessanta giorni dalla data della camera di consiglio.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo del ricorso si denunzia « Violazione e falsa applicazione degli artt. 170 c.c., 167 c.c., 168 comma 2 c.c., 178 c.c., 179 lett. d) c.c. e 143 c.c. con relazione all’ art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. ».
Il ricorrente deduce che i giudici di merito avrebbero erroneamente ritenuto che il concetto di ‘ bisogni della famiglia ‘ di cui all’art. 170 c.c. vada equiparato a quello di ‘ benefici ‘ e/o ‘ utilità economiche ‘ e/o ‘ interessi ‘ della stessa , invece che quale inerenza diretta e immediata del l’obbligazione ai bisogni della famiglia e, comunque, non avrebbe considerato che, quando il credito per cui si procede è solo indirettamente destinato alla soddisfazione delle esigenze familiari del debitore, rientrando nell ‘ attività professionale da cui quest ‘ ultimo ricava il reddito occorrente per il mantenimento della famiglia, non è consentita, ai sensi dell ‘ art. 170 c.c., la sua soddisfazione sui beni costituiti in fondo patrimoniale, così valutando in modo non conforme a diritto anche l’elemento soggettivo richiesto dalla disposizione richiamata.
Con il secondo motivo si denunzia « Violazione degli artt. 2697 c.c., 143 c.c., 170 c.c., 178 c.c. e 179 c.c., lett. d) con riferimento all’ art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. ».
Il ricorrente « lamenta la violazione dell’art. 2697 c.c. in relazione alla fattispecie di cui all’art. 170 c.p.c. che esclude dalla garanzia patrimoniale i beni conferiti in fondo patrimoniale, eccetto che l’obbligazione sia stata contratta per scopi estranei ai bisogni della famiglia, con ciò -laddove il debito sia contratto nel contesto dell’attività imprenditoriale o professionale del debitore -onerando il creditore della prova che siano eccezionalmente destinati a soddisfarli in via diretta ed immediata ».
1.1 I primi due motivi del ricorso sono giuridicamente e logicamente connessi e possono, quindi, essere esaminati congiuntamente.
Essi sono infondati.
1.2 Si premette, in diritto, che, secondo i consolidati indirizzi di questa Corte (ai quali la decisione impugnata risulta senz’altro conforme e che il ricorso non offre argomenti idonei ad indurre a rimeditare):
-il criterio identificativo dei debiti per i quali può avere luogo l ‘ esecuzione sui beni del fondo patrimoniale va ricercato non già nella natura dell’obbligazione , ma nella relazione tra il fatto generatore di essa e i bisogni della famiglia ( ex multis : Cass., Sez. 1, Sentenza n. 8991 del 05/06/2003, Rv. 563931 -01; Sez. 3, Sentenza n. 12998 del 31/05/2006, Rv. 589598 -01; Sez. 5, Sentenza n. 15862 del 07/07/2009, Rv. 609006 -01; Sez. 3, Sentenza n. 4011 del 19/02/2013, Rv. 625123 -01; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 3738 del 24/02/2015, Rv. 634646 -01; Sez. 3, Sentenza n. 21800 del 28/10/2016, Rv. 642962 -01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 16176 del 19/06/RAGIONE_SOCIALE, Rv. 649433 -01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 18110 del 31/08/2020, Rv. 658768 -01; Sez. 3, Ordinanza n. 24836 del 18/08/2023, Rv. 668667 – 01);
-nella nozione di bisogni della famiglia vanno incluse anche le esigenze volte al pieno mantenimento ed all’armonico sviluppo della famiglia ovvero al potenziamento della capacità lavorativa di uno dei coniugi, e vanno invece escluse solo le esigenze di natura voluttuaria o caratterizzate da interessi meramente speculativi (cd. nozione estesa o ‘ ampia ‘ dei bisogni della famiglia ; ex multis : Cass., Sez. 3, Sentenza n. 134 del 07/01/1984, Rv. 432391 -01; Sez. 5, Sentenza n. 15862 del 07/07/2009, Rv. 609006 -01; Sez. 3, Sentenza n. 4011 del 19/02/2013, Rv. 625123 -01; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 3738 del 24/02/2015, Rv. 634646 -01; Sez. 3, Sentenza n. 21800 del 28/10/2016, Rv. 642962 -01; Sez. 3,
Ordinanza n. 2904 del 08/02/2021, Rv. 660523 -01; Sez. 1, Ordinanza n. 29983 del 25/10/2021, Rv. 662905 – 01);
-il debitore che contesti il diritto del creditore di agire esecutivamente sui beni costituiti in fondo patrimoniale deve dimostrare, anche a mezzo di presunzioni semplici, che il medesimo creditore era consapevole, al momento del perfezionamento dell’atto dal quale deriva l’obbligazione, che questa era contratta per scopi estranei ai bisogni della famiglia ( ex multis : Cass., Sez. 3, Sentenza n. 5684 del 15/03/2006, Rv. 588114 -01; Sez. 3, Sentenza n. 12730 del 30/05/2007, Rv. 598116 -01; Sez. 3, Sentenza n. 2970 del 07/02/2013, Rv. 625292 -01; Sez. 3, Sentenza n. 4011 del 19/02/2013, Rv. 625123 -01; Sez. 3, Sentenza n. 21800 del 28/10/2016, Rv. 642962 -01; Sez. 5, Sentenza n. 22761 del 09/11/2016, Rv. 641645 -01; Sez. 3, Sentenza n. 20998 del 23/08/RAGIONE_SOCIALE, Rv. 650445 -01; Sez. 5, Ordinanza n. 10166 del 28/05/2020, Rv. 657724 -01; lo conferma anche, espressamente, Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 2904 del 08/02/2021, Rv. 660523 -01, sebbene richiamata dal ricorrente a sostegno dei propri contrari assunti; successivamente, conf.: Sez. 3, Ordinanza n. 31575 del 13/11/2023, Rv. 669472 -02; Sez. 3, Ordinanza n. 36312 del 28/12/2023, Rv. 669739 -01).
1.3 Fermi tali generali principi di diritto, può effettivamente rilevarsi che in alcune isolate decisioni, cui fa riferimento il ricorrente, tali principi, con specifico riguardo ai debiti derivanti dall ‘ attività professionale o d ‘ impresa di uno dei coniugi, possono apparire essere stati declinati in modo non del tutto armonico con i precedenti.
1.3.1 Sono, in particolare, richiamate dal ricorrente una ordinanza (Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 8201 del 27/04/2020, non
massimata) con la quale è stata confermata la sentenza di merito che aveva escluso l’inerenza ai bisogni della famiglia di una obbligazione contratta per acquistare beni strumentali all’esercizio di un’impresa, affermandosi che « se il credito per cui si procede è solo indirettamente destinato alla soddisfazione delle esigenze familiari del debitore, rientrando nell ‘ attività professionale da cui quest ‘ ultimo ricava il reddito occorrente per il mantenimento della famiglia, non è consentita, ai sensi dell ‘ art. 170 c.c., la sua soddisfazione sui beni costituiti in fondo patrimoniale », nonché una più recente ordinanza, di questa stessa Sezione (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 2904 del 08/02/2021, Rv. 660523 -01), in cui, in modo più articolato e argomentato, si afferma che « in relazione ai debiti assunti nell’esercizio dell’attività d’impresa o a quella professionale, essi non assolvono di norma a tali bisogni, ma può essere fornita la prova che siano eccezionalmente destinati a soddisfarli in via diretta ed immediata, avuto riguardo alle specificità del caso concreto (nella specie, la RAGIONE_SOCIALE ha cassato la decisione di appello la quale aveva presunto, in assenza di prova di una diversa fonte di sostentamento della famiglia, che i mezzi per il soddisfacimento dei bisogni di questa derivassero dall’attività d’impresa dell’opponente) ».
1.3.2 Orbene, va, in primo luogo, osservato che il primo dei precedenti appena richiamati non pare affatto avere inteso mettere effettivamente in discussione i consolidati indirizzi tradizionali secondo i quali l’estraneità dell’obbligazione ai bisogni della famiglia non può dirsi sussistente per il solo fatto che il debito derivi dall ‘ attività professionale o d ‘ impresa del coniuge, onde anche in tal caso spetta al debitore l’onere di dimostrare che siffatte obbligazioni non siano state contratte per il soddisfacimento dei bisogni della famiglia, ma per esigenze meramente ‘ voluttuarie ‘ o ‘ speculative ‘ (cfr., in particolare, ad es.: Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 3738 del 24/02/2015, Rv.
634646 -01; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 23876 del 23/11/2015, Rv. 637586 -01, secondo la quale l ‘ estraneità ai bisogni della famiglia non può ritenersi dimostrata, né esclusa, per il solo fatto dell ‘ insorgenza del debito nell ‘ esercizio dell ‘ impresa), facendo anzi anche richiamo ai predetti indirizzi, senza del resto esporre alcun effettivo e concreto argomento diretto a metterne in dubbio e, tanto meno, a contrastarne il fondamento.
Neanche nel secondo precedente viene, d’altra parte , messo in discussione il principio per cui l’onere di provare le condizioni di operatività del divieto di pignorabilità di cui all’art. 170 c.c. spetta al debitore, pur ammettendosi -in un’ottica che effettivamente potrebbe non apparire del tutto in linea con la consolidata declinazione del richiamato indirizzo tradizionale -che tale prova dovrebbe di regola ritenersi di per sé fornita con la sola dimostrazione che i debiti per cui si procede sono stati assunti nell’esercizio dell’attività d’impresa o professionale, salva la possibilità di una prova contraria, che dovrebbe però, in tal caso, fornire il creditore.
1.3.3 Le disarmonie sembrerebbero, in realtà, già ricomposte nei successivi arresti delle medesime Sezioni che vi avevano dato luogo, essendo stato, più di recente, ripetutamente ribadito l’ indirizzo tradizionale, sia dalla Prima Sezione (cfr. Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 29983 del 25/10/2021, Rv. 662905 -01, in cui -richiamando i numerosi precedenti -si ribadisce che « la rispondenza o meno dell’atto ai bisogni della famiglia richiede una verifica estesa al riscontro di compatibilità con le più ampie esigenze dirette al pieno mantenimento e all’armonico sviluppo familiare, cosicché l’estraneità non può considerarsi desumibile soltanto dalla tipologia di atto -la fideiussione prestata in favore di una società -in sé e per sé considerata; nella specie la RAGIONE_SOCIALE ha respinto la tesi della ricorrente secondo cui, in presenza di una fideiussione a favore di una società, ricorrono ‘in re ipsa’ entrambi i presupposti: sia quello dell’estraneità ai
bisogni della famiglia sia, automaticamente, quello della conoscenza di questa in capo al creditore, senza bisogno di provare altro che l’esistenza della fideiussione medesima, cosicché la prova dell’estraneità del debito ai bisogni della famiglia andrebbe considerata assolta per definizione »), sia da questa stessa Sezione (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 31575 del 13/11/2023, Rv. 669472 -02, in cui si afferma che « in tema di esecuzione forzata per espropriazione, l ‘ azione esecutiva sui beni facenti parte di un fondo patrimoniale è ammissibile alle condizioni indicate dall ‘ art. 170 c.c., sicché è legittima solo se l ‘ obbligazione sia strumentale ai bisogni della famiglia e se il creditore non ne conosceva l ‘ estraneità rispetto a tali bisogni, spettando al debitore esecutato che invochi l ‘ impignorabilità dei beni stessi l ‘ onere di provare la non ricorrenza delle suddette circostanze, che non possono ritenersi dimostrate, né escluse, per il solo fatto dell’insorgenza del debito nell’esercizio dell’impresa, ed occorrendo procedere ad una valutazione caso per caso, mediante prudente apprezzamento degli elementi istruttori »).
1.3.4 In ogni caso, l’unica effettiva disarmonia che potrebbe essere ipotizzabile, in base ai precedenti richiamati dalla parte ricorrente, anche al di là del suo superamento in ottica diacronica, può dirsi riguardare esclusivamente la questione dell’assetto in concreto degli oneri probatori in caso di debiti derivanti dall ‘ attività professionale o d ‘ impresa di uno dei coniugi e, come si chiarirà in prosieguo, essa non può assumere alcun rilievo ai fini dell’esito del presente ricorso.
1.4 I motivi del ricorso in esame contengono, in primo luogo, censure con le quali si contestano alcuni dei consolidati principi di diritto più sopra esposti e sui quali vi è assoluto consenso nella giurisprudenza di questa Corte: segnatamente, il criterio identificativo dei debiti sottratti all’esecuzione sui beni del
fondo, la nozione ‘ ampia ‘ dei bisogni della famiglia e l’assetto generale dell’onere della prova.
Per questi profili, le censure formulate dal ricorrente devono ritenersi senz’altro infondate, in diritto , dal momento che la Corte non ravvisa nel ricorso ragioni sufficienti ad indurre a rimeditare tali principi, da ritenersi quindi idonei a regolare anche la fattispecie in esame.
Si tratta, in particolare, dei profili 1.1 e 1.2 del primo motivo di ricorso, con cui si contesta, in sostanza, la nozione ‘ampia’ di bisogni della famiglia, che, secondo il ricorrente, confonderebbe ‘bisogno’ e ‘interesse’ e non potrebbe mai estendersi alle attività di impresa.
In proposito, non può dubitarsi che la corte d’appello abbia fatto corretta applicazione dei principi di diritto espressi nei precedenti di questa Corte che, come detto, il ricorso non offre ragioni idonee a rimeditare.
Per ogni altro profilo connesso a tali questioni, il ricorso stesso si risolve nella contestazione di accertamenti di fatto operati dai giudici del merito, fondati sulla prudente valutazione delle prove e sostenuti da adeguata motivazione, non meramente apparente, né insanabilmente contraddittoria sul piano logico e, come tale, non sindacabile nella presente sede, nonché in una sostanziale richiesta di nuova e diversa valutazione delle prove, il che non è consentito nel giudizio di legittimità.
1.5 Le questioni relative all ‘elemento soggettivo di cui all’art. 170 c.c. (in particolare esposte nel profilo 1.4 del primo motivo), devono, d’altra parte, ritenersi irrilevanti o, comunque, assorbite, dal momento che la corte d’appello ha , in radice, escluso il requisito oggettivo della non inerenza del debito ai bisogni della famiglia, il che è dirimente.
1.6 Nel ricorso vengono formulate anche censure relative alla questione specifica dell’onere della prova dell’inerenza ai bisogni della famiglia dei debiti assunti nell’esercizio dell’attività
d’impresa o professionale (soprattutto nel profilo 1.3 del primo motivo e nel secondo motivo), venendo, nella specie, in rilievo proprio obbligazioni derivanti da una fideiussione prestata per obbligazioni di una società di capitali di cui i coniugi erano soci. È proprio con riguardo a tale questione che il ricorrente richiama il precedente di questa Corte (e di questa stessa Sezione) in cui si è affermato, in modo solo apparentemente disarmonico rispetto agli indirizzi tradizionali, che la prova dell’estraneità dell’obbligazione ai bisogni della famiglia dovrebbe di regola ritenersi di per sé fornita con la sola dimostrazione che i debiti per cui si procede sono stati assunti nell’esercizio dell’attività d’impresa o professionale, salva la possibilità di una prova contraria, che dovrebbe però, in tal caso, fornire il creditore.
Orbene, in proposito, è sufficiente osservare che, come già precisato, lo specifico punto in ordine al quale potrebbe apparentemente essersi profilata l’indicata disarmonia, che riguarda esclusivamente il concreto assetto dell’onere della prova in relazione ai debiti contratti nell’esercizio dell’attività d’impresa o professionale, non può assumere concreto rilievo nella presente fattispecie.
Sotto questo profilo, infatti, da una lettura complessiva della motivazione della sentenza impugnata emerge chiaramente che la corte d’appello ha ritenuto sussistere la prova in positivo del fatto che l’attività di impresa svolta dalle varie società della famiglia RAGIONE_SOCIALE (nell’esercizio della quale è pacifico che la fideiussione era stata prestata, avendo ad oggetto le obbligazioni di una società ‘di famiglia’), di una delle quali entrambi i coniugi erano anche dipendenti e che avevano diverse interessenze tra loro, era finalizzata a produrre redditi destinati al soddisfacimento dei bisogni della famiglia dello stesso debitore, intesi nel visto senso ampio.
Lo stesso richiamo della corte d’appello, nella parte finale della motivazione, all’indirizzo di legittimità sull’assetto dell’onere della prova, è da ritenersi effettuato ad abundantiam , in quanto è nella parte centrale della decisione che viene espressa l’effettiva ratio decidendi , individuabile nelle seguenti affermazioni: « … COGNOME riceveva lo stipendio della sua attività di dipendente di RAGIONE_SOCIALE su un conto corrente di MPS. Egli, infatti, si era impegnato come fideiussore del mutuo e appare in alcuni atti come procuratore del padre, col quale condivide l’attività imprenditoriale di ristrutturazione e vendita di immobili. Tale attività essendo connaturata all’oggetto sociale, non potrà mai intendersi come speculativa e quindi esclusa dai presupposti di opponibilità del fondo, ma come ordinaria, parallela all’altra, svolta da COGNOME come dipendente e pertanto suscettibile di arrecare beneficio al patrimonio familiare … … »; « La fideiussione rilasciata dall’appellante a garanzia dell’adempimento di mutuo fondiario erogato in favore di RAGIONE_SOCIALE di cui lo stesso è socio al 50% ed altresì amministratore (insieme al padre) non appare essere stata rilasciata per finalità estranee ai bisogni della famiglia (rilevanti ex art. 170 C.C.), posto che, a prescindere dalla redditività di detta partecipazione, risultano documentate operazioni intragruppo con RAGIONE_SOCIALE, partecipata dai genitori dell’appellante e datrice di lavoro di quest’ultimo e del rispettivo coniuge (segnatamente serie di finanziamenti concessi nel corso del tempo da RAGIONE_SOCIALE a RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE, come accertati nella relazione ex art. 172 L.F. del Commissario Giudiziale del concordato preventivo della seconda società), che lasciano intendere come la fideiussione sia stata rilasciata al fine di consentire l’operazione immobiliare dal cui sperato esito avrebbe tratto beneficio la RAGIONE_SOCIALE di cui l’appellante e la moglie erano dipendenti ».
In altri termini , la corte d’appello ha correttamente applicato la nozione ‘ampia’ di bisogni familiari (che , come già chiarito, è contestata dal ricorrente, ma sulla base di argomenti non idonei ad indurre a rimeditare l’indirizzo consolidato di questa Corte, mai del resto messo in discussione dalla giurisprudenza di legittimità) e ha escluso l’impignorabilità del beni del fondo perché ha ritenuto sufficientemente dimostrato che la fideiussione era stata prestata nell’esercizio dell’attività di impresa che l’COGNOME svolgeva nell’ambito delle società di famiglia e che ha accertato non essere finalizzata a conseguire intenti voluttuari o speculativi ma a soddisfare i bisogni economici della famiglia, intesi, appunto, in senso ampio.
Non è stata, dunque, fatta applicazione del criterio dell’onere della prova e, tanto meno, in maniera dissonante dalla maggioritaria o dall’altra delle impostazioni sul punto individuate, perché l’inerenza ai bisogni familiari dell’obbligazione contratta nell’esercizio dell’attività di impresa è stata ritenuta dimostrata in positivo e in concreto.
Ed è appena il caso di osservare che si tratta, anche in questo caso, di un accertamento di fatto fondato sulla prudente valutazione delle prove e sostenuto da adeguata motivazione, non meramente apparente, né insanabilmente contraddittoria sul piano logico e, come tale, non sindacabile nella presente sede. La questione di diritto oggetto delle segnalate apparenti disarmonie, di conseguenza, non ha alcun rilievo ai fini dell’esito del ricorso, la fondatezza delle cui censure va quindi esclusa a prescindere da esse.
Con il terzo motivo si denunzia « Violazione e falsa applicazione dell’ art. 2911 c.c. con riferimento all’ art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. ».
Il ricorrente « lamenta la violazione dell’art. 2911 c.c. interpretato erroneamente nel senso che la norma consenta al creditore ipotecario di agire esecutivamente sui beni del fideiussore non
garantiti da ipoteca senza sottoporre a esecuzione anche i beni immobili ipotecati ».
Il motivo è infondato.
L ‘art. 2911 c.c. , dispone, al comma 1, che « il creditore che ha pegno su beni del debitore non può pignorare altri beni del debitore medesimo, se non sottopone a esecuzione anche i beni gravati dal pegno. Non può parimenti, quando ha ipoteca, pignorare altri immobili, se non sottopone a pignoramento anche gli immobili gravati dall’ipoteca » e, al comma 2, che « la stessa disposizione si applica se il creditore ha privilegio speciale su determinati beni ».
Non è regolata, invece, l’ipotesi , ricorrente nel caso di specie, in cui il creditore agisca nei confronti di un terzo soggetto, garante del debitore principale, i beni del quale siano gravati da ipoteca: non sono, cioè, posti espressi limiti alla possibilità di scelta del creditore dei beni da aggredire in via esecutiva, nei casi in cui egli abbia la possibilità di agire sul patrimonio di due diversi soggetti, obbligati in solido, pur se egli vanti l’ipoteca sui beni di uno solo di detti soggetti.
La ratio della disposizione richiamata, come sottolineato dalla corte d’appello, sta , in effetti, nella tutela dei creditori chirografari rispetto ai creditori muniti di privilegio su determinati beni, in relazione al patrimonio del comune debitore: se il creditore privilegiato potesse aggredire esecutivamente prima i beni non gravati dal privilegio, conservando la prelazione su quelli gravati, resterebbero danneggiati i creditori chirografari del medesimo debitore, i quali rischierebbero di non potersi soddisfare immediatamente e adeguatamente sui beni liberi da vincoli, dovendo sugli stessi concorrere con il creditore ipotecario, al quale però resterebbe poi sempre la possibilità di aggredire successivamente, per la differenza, il bene ipotecato, a soddisfazione del proprio credito; in tal modo, i chirografari dovrebbero, sostanzialmente, attendere l’escussione del bene ipotecato per la
predetta differenza e solo successivamente potrebbero soddisfarsi sul residuo.
In altri termini, come è stato rilevato sia in AVV_NOTAIOrina che nella giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass., Sez. 1, Sentenza n. 1033 del 17/01/2007, Rv. 594320 -01, in motivazione), la ratio della disposizione di cui all ‘ art. 2911 c.c. è quella di consentire, in sede esecutiva, la soddisfazione del maggior numero di creditori; si tratta di una regola volta a disciplinare il potenziale conflitto tra diverse categorie di creditori, facendo in modo che la preferenza accordata dalla legge a quelli muniti di titoli di prelazione (ipoteca, pegno, privilegio su beni determinati) non arrivi al punto da consentire loro di esercitare l ‘ azione esecutiva in modo da pregiudicare ingiustificatamente le legittime aspettative di soddisfazione dei creditori chirografari.
Dunque, si tratta di una disposizione dettata per regolare il concorso delle pretese dei vari creditori (chirografari e ipotecari) sul patrimonio del loro comune debitore, onde essa non è applicabile nel caso di aggressione esecutiva (anche se per la soddisfazione del medesimo credito) di distinti patrimoni di due diversi soggetti, i cui creditori, ovviamente, non concorrono tra loro.
D’altra parte, questa Corte ha addirittura escluso l’applicabilità delle disposizioni di cui all ‘ art. 2911 c.c. nel caso di pegno costituito da un terzo (cfr., ancora, Cass., Sez. 1, Sentenza n. 1033 del 17/01/2007, Rv. 594320 -01), affermando che « nell’ipotesi in cui il pegno è stato costituito da un terzo, il creditore può espropriare, a suo piacere, la cosa data in pegno o un bene del debitore » e precisando che «a tale conclusione si perviene … … soprattutto perché, essendo distinte le persone del debitore e del concedente, manca ogni ragione di analogia con la situazione in cui il pegno sia costituito dal debitore su propri beni ».
A maggior ragione, tali considerazioni valgono nel caso in cui vi siano due obbligati in solido e la prelazione sussista esclusivamente su di un bene di uno di essi, essendo distinte, nel caso in cui sia promossa l’azione esecutiva contro il coobbligato i cui beni non sono soggetti alla prelazione, non solo le persone del debitore e quella del ‘ concedente ‘, ma esistendo addirittura due diversi debitori.
In realtà, le esigenze di tutela dei creditori concorrenti sul medesimo patrimonio del loro comune debitore, che la disposizione di cui all’art. 2911 c.c. è diretta a soddisfare, non si pongono affatto nel caso delle obbligazioni solidali, in cui è consentito al creditore di agire liberamente contro uno qualunque dei diversi debitori obbligati in solido, a prescindere dalle garanzie di cui possa disporre sui beni di un altro di essi, in quanto non vi è, in tal caso, concorso tra creditori chirografari e creditori muniti di diritti di prelazione sul patrimonio del comune debitore: i creditori dei due obbligati in solido, infatti, non concorrono tra loro sui medesimi beni, potendo soddisfarsi ciascuno esclusivamente sul patrimonio del proprio debitore.
È infine utile osservare che l’art. 2911 c.c. è una disposizione eccezionale, che pone un limite (sia pur relativo) alla facoltà del creditore di agire in giudizio, in via esecutiva, su ll’intero patrimonio del suo debitore, a tutela dei propri diritti (facoltà sancita, in via generale, dagli artt. 2740 e 2910 c.c. e oggetto anche di copertura costituzionale, ai sensi de ll’art. 24 Cost.) , imponendogli un limite alla facoltà di scelta dei beni da pignorare, anche solo sotto il profilo dell’ordine delle relative azioni esecutive, onde essa deve, comunque, essere interpretata restrittivamente, senza possibilità di interpretazioni estensive o, addirittura, di applicazioni analogiche, come avverrebbe nel caso di specie, secondo gli assunti della parte ricorrente.
Deve pertanto affermarsi il principio di diritto per cui « l ‘esecuzione sui beni del fideiussore, trattandosi di obbligato solidale,
non può essere assoggettata a condizioni e limitazioni non espressamente previste dalla legge, in relazione alla sussistenza di garanzie reali sui beni del debitore principale e, di conseguenza, il divieto di cui al l’art. 2911 c.c. non opera in caso di aggressione esecutiva dei beni del fideiussore, laddove il creditore vanti ipoteca sui beni del creditore principale ».
3. Il ricorso è rigettato.
Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.
Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui all’art. 13, co. 1 quater , del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115.
Per questi motivi
La Corte:
-rigetta il ricorso;
-condanna il ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore delle società controricorrenti, liquidandole: a) per RAGIONE_SOCIALE, in complessivi € 6.600,00, oltre € 200,00 per esborsi, nonché spese generali ed accessori di legge; b) per RAGIONE_SOCIALE in complessivi € 5.100,00, nonché spese generali ed accessori di legge.
Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui all’art. 13, comma 1 quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile,