Sentenza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 32726 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 2 Num. 32726 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/12/2024
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 18705/2019 R.G. proposto da: COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE
-ricorrente-
contro
COGNOME elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME (CODICE_FISCALE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE
-controricorrente e ricorrente incidentalenonché
COGNOME NOMECOGNOME elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE, rappresentato e difeso
dall’avvocato
COGNOME
NOME
(TARGA_VEICOLO)
-controricorrente e ricorrente incidentaleavverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO PERUGIA n. 224/2019 de- positata il 11/04/2019.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 24/10/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
Udite le osservazioni del P.M., la Sostituta P.G. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del secondo motivo del ricorso principale e il rigetto del primo motivo, nonché per l’accoglimento del secondo motivo dei ricorsi incidentali, il rigetto del primo motivo e l’assorbimento dei restanti motivi.
Uditi l’ avvocato NOME COGNOME per la parte ricorrente principale, l’avvocato NOME COGNOME per la parte ricorrente incidentale NOME COGNOME e l’avvocato NOME COGNOME per la parte ricorrente incidentale NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Nell’agosto 2005 NOME COGNOME conferisce ad uno studio i mmobiliare mandato di vendita di un terreno, indicando € 260.000 quale prezzo e richiedendo in permuta mq 180 di unità immobiliari (oltre a due garage). Nell’ottobre del 2005, sempre tramite lo stesso studio immobiliare, NOME COGNOME propone in vendita alla ditta NOME COGNOME il terreno, richiedendo in permuta due appartamenti (e due garage) da costruire, indicando come valore € 300.000. Successivamente viene stipulata tra le parti una scrittura privata, priva di data, rinvenuta dalla Guardia di finanza presso la ditta COGNOME COGNOME nel corso di un accertamento del febbraio 2012. Ad avviso della sentenza della Corte di appello (emanata nel corso della controversia di cui saranno delineati nel prosieguo i tratti principali), tale scrittura reca due contratti: un preliminare di vendita del terreno da parte di NOME COGNOME alla ditta COGNOME per un prezzo di € 260.000 e una permuta di due appartamenti e due garage (da costruire sul terreno) da
prenotare al momento della stipula del contratto definitivo, prevista entro 30 giorni dalla notifica del permesso di costruire. Nell’art. 3 della scrittura si prevede che il prezzo non venga corrisposto, giacché la promissaria acquirente si obbliga in contraccambio a consegnare gli appartamenti e i garage. Nell’aprile 2007 si stipula il definitivo di vendita del terreno, ove si attesta: la corresponsione del prezzo di € 120.000 a mezzo di assegno del Monte dei Paschi e l’immissione di NOME COGNOME nel possesso del terreno. In pari data è stipulato un preliminare di vendita con cui NOME COGNOME promette di vendere a NOME COGNOME due appartamenti e due garage nel fabbricato da costruire sul terreno. Secondo il testo del contratto: « la vendita verrà effettuata a corpo al prezzo che viene di comune accordo stabilito e accettato tra le parti in complessivi € 120.000 che sono stati tutti interamente versati alla firma del presente contratto preliminare a titolo di caparra confirmatoria dalla parte promittente acquirente mediante consegna dell’assegno bancario non trasferibile della Banca Unicredit ». Da ciò secondo la Corte « emerge chiaramente che la volontà di NOME COGNOME COGNOME era di cedere a NOME COGNOME il terreno e di avere in permuta due appartamenti di complessivi mq 180 con 2 garages, considerando il valore del terreno e, quindi, degli appartamenti di € 260.000 ».
Nel 2013 NOME e NOME COGNOME, quali eredi di NOME convenivano (con distinte iniziative processuali poi riunite) NOME COGNOME dinanzi al Tribunale di Perugia per la dichiarazione di simulazione della compravendita dell’aprile 2007 (con riferimento al contratto preliminare rinvenuto dalla Guardia di Finanza nel 2012), per la revocatoria del fondo patrimoniale (costituito dal convenuto) e per il risarcimento dei danni. Il Tribunale accoglie le prime due domande, dichiara l’inefficacia d ella compravendita (poiché la volontà delle parti era quella di stipulare un contratto di permuta e non di compravendita), revoca il fondo patrimoniale costituito da NOME COGNOME nel 2008. La Corte di appello riforma, cioè dispone ex art.
2932 c.c. il trasferimento della proprietà di uno dei due appartamenti (domanda sulla quale il giudice di primo grado non si era pronunciato), accoglie la domanda di risarcimento dei danni nell’importo di € 130.000 a carico di COGNOME (in relazione all’ altro appartamento, venduto poi a terzi) e rigetta la domanda di revocatoria del fondo patrimoniale.
La motivazione della Corte di appello è la seguente. Non si è concretizzata una permuta tra cosa presente e cosa futura, bensì una vendita del terreno (con il rogito del 17/4/2007), alla quale è stato affiancato un distinto preliminare di vendita dei due appartamenti (e garage), secondo le previsioni della scrittura privata rinvenuta dalla Guardia di Finanza nel 2012, cioè con l’obbligo di COGNOME di consegnare i due appartamenti di fuori dell’automatismo tipico della permuta. Ne segue che: «non si è verificata alcuna simulazione avendo le parti dato seguito a ciò che avevano voluto nel predetto contratto preliminare , stipulando un atto pubblico di vendita del terreno e ripetendo un contratto preliminare di vendita degli appartamenti; quest’ultimo contratto si era reso ovviamente necessario in quanto gli appartamenti non erano ancora realizzati, tanto che il termine per la stipula del definitivo veniva strettamente collegato all’ultimazione dell’edificio, circostanza, questa, che conferma la volontà della vendita e non della permuta ». Quindi il contratto di compravendita del 17/4/2007 è ritenuto valido ed efficace tra le parti. Per quanto attiene al contratto preliminare di vendita degli appartamenti, la Corte di appello, sulla base delle richieste dei promissari acquirenti, dispone il trasferimento di uno dei due appartamenti ex art. 2932 c.c. con la seguente motivazione. Si accerta l’inadempimento del promittente venditore. Si constata che un appartamento è stato venduto a terzi per cui non è possibile trasferimento ex art. 2932 c.c. In relazione a ciò, si quantifica il risarcimento muovendo dal valore attribuito al terreno (€ 260.000) in tutte le trattative tra le parti, valore che collima con quello dei due
appartamenti (di mq 90 ciascuno per un valore che si aggira intorno ai € 130.000 compreso il garage), mentre il prezzo di euro 120.000 indicato nel rogito di compravendita del 17/4/07 è simulato. Il promittente venditore è condannato a pagare € 120.000 a t itolo di risarcimento. Si tiene conto che il promissario acquirente aveva pagato quale acconto del prezzo di entrambi gli appartamenti la somma € 120.000 e che quindi è ancora dovuto l’importo di € 10.000 per uno dei due appartamenti. Pertanto, l’importo v a a compensarsi con il risarcimento del danno che dovrebbe ammontare in concreto a € 130.000. Si accerta che l’appartamento (non venduto a terzi) è stato conferito nel 2008 dal promittente venditore in un fondo patrimoniale. La Corte osserva che il bene può essere aggredito – con interpretazione estensiva dell’art. 170 c.c. – ove si tratti di soddisfare crediti sorti prima della creazione del fondo e derivanti dall’attività lavorativa del debitore (dal momento che si tratta di obbligazioni contratte per soddisfare i bisogni della famiglia). Ciò è ritenuto dalla Corte in linea con la necessità di sottrarre il fondo patrimoniale a finalità strumentali, necessità che ha condotto all’introduzione dell’art. 2929-bis c.c. (il creditore anteriore alla creazione del vincolo di indisponibilità determinato dal fondo può procedere ad esecuzione forzata sulla base del titolo esecutivo senza necessità di una sentenza di dichiarativa di inefficacia del vincolo). La Corte ne trae la conclusione che i promissari acquirenti « possono agire sul bene » ex art. 2932 c.c. senza che sia stata dichiarata la revocatoria del fondo. Quindi la Corte di appello accoglie la loro domanda ex art. 2932 c.c., mentre rigetta l’altra loro domanda, di revocatoria ex art. 2901 c.c. del fondo patrimoniale; rigetta le ulteriori domande di risarcimento del danno; compensa parzialmente le spese (2/3 a carico del promittente venditore).
Il promittente venditore ricorre in cassazione con due motivi, illustrati da memoria. Resistono gli eredi del promissario acquirente con due distinti controricorsi, due ricorsi incidentali (l’uno con tre, l’altro
con quattro motivi) e memorie. Il P.M. ha depositato osservazioni scritte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – Il primo motivo (p. 10) del ricorso principale denuncia l’omesso esame di fatti decisivi emergenti dal carteggio e dagli atti tra le parti, dai plurimi provvedimenti del Tribunale. Da tali fatti emerge l’inadempimento da parte del promissario acquiren te del preliminare di compravendita degli appartamenti. Ad avviso della Corte di appello – nella parte censurata della sentenza – non trovano riscontro le affermazioni in appello del promittente venditore circa l’inadempimento del promissario acquirente, g iacché questi si è rifiutato di addivenire alla stipula del definitivo a causa delle richieste del promittente venditore di pagamento di importi mai contrattati. Si configura invece un inadempimento di quest’ultimo a fronte del quale gli eredi del promissario acquirente hanno chiesto l’esecuzione in forma specifica e – nella parte in cui essa non è possibile (in quanto uno dei due appartamenti è stato venduto a terzi) – il risarcimento del danno.
Del primo motivo è da dichiarare l’ inammissibilità.
Esso sovrappone l’apprezzamento di parte delle risultanze dell’istruzione probatoria all ‘apprezzamento che la Corte di appello ha espresso in una motivazione che non si espone a censure in sede di giudizio di legittimità. In particolare, l’avere invitato più volte la controparte alla stipula del contratto definitivo di compravendita e il rigetto delle domande cautelari da lei proposte non sono fatti decisivi, poiché non dimostrano univocamente l’inadempimento dei promissari acquirenti, a fronte di pretese del promittente venditore (al pagamento di spese degli allacci, degli accatastamenti, ecc.) che la Corte ha accertato essere in contrasto con le pattuizioni intercorse fra le parti.
Dinanzi a tale tipo di censure, il compito di questa Corte è di verificare che il giudice di merito manifesti di aver fatto buon governo
del proprio potere di apprezzamento. Ciò è accaduto nel caso di specie. Infatti, il giudice di merito che fondi il proprio apprezzamento su alcune prove piuttosto che su altre non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento in una motivazione effettiva, come è accaduto nella sentenza impugnata, senza essere tenuto a discutere esplicitamente ogni singolo elemento probatorio o a confutare ogni singola deduzione che aspiri ad una diversa ricostruzione della situazione di fatto rilevante. In tal modo sono da ritenersi disattesi i rilievi che sono logicamente incompatibili con la decisione adottata. L’apprezzamento del giudice di merito è censurabile in sede di legittimità solo nel caso in cui la motivazione sia talmente inadeguata da non consentire di ricostruire l’iter logico seguito dal giudice, mentre non vi è spazio per una critica ad opera del ricorrente che si sostanzi nella mera contrapposizione di una differente ricostruzione dei fatti.
Il primo motivo è inammissibile.
– Il secondo motivo (p. 20) del ricorso principale denuncia che la Corte di appello ha pronunciato il trasferimento ex art. 2932 c.c. dell’uno dei due appartamenti, pur avendo respinto la domanda di revocatoria del fondo patrimoniale nel quale esso era stato conferito. Si deduce violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e 2932 c.c. e 2929bis c.c.
Il secondo motivo è fondato.
La Corte di appello ha ammesso l’azione ex art. 2932 c.c. per il trasferimento di un immobile conferito in un fondo patrimoniale in applicazione degli artt. 170 c.c. e 2929 bis c.c. In altri termini, la Corte distrettuale ha applicato la disciplina in materia di esecuzione forzata su un bene conferito nel fondo patrimoniale alla diversa fattispecie della esecuzione dell’obbligazione contrattuale di concludere il contratto definitivo, assunta con la stipula del contratto preliminare. Con ciò la Corte distrettuale ha omesso di attribuire il giusto rilievo all’art. 169 c.c. , ove si stabilisce che (in assenza di una
clausola espressa nell’atto costitutivo) i beni del fondo patrimoniale non possono essere alienati, ipotecati o vincolati senza il consenso di entrambi i coniugi e, se vi sono figli minori, senza la preventiva autorizzazione del giudice (cfr. Cass. 22069/2019). Ne segue -come ha osservato anche il P.M -la violazione dell’ art. 2932 c.c., il quale stabilisce che la parte non inadempiente può ottenere la sentenza che produce gli effetti del contratto non concluso «qualora sia possibile», mentre nel caso attuale il trasferimento non era possibile se non previo accoglimento della domanda di revocatoria del fondo patrimoniale, proposta dai promissari acquirenti ex art. 2901 c.c. L’ accoglimento d i questo profilo del secondo motivo determina l’assorbimento degli altri profili.
3.1. -Passando ad esaminare i due distinti ricorsi incidentali proposti dai due eredi del promissario acquirente, i primi tre motivi corrispondono nell’uno e nell’altro e possono essere esaminati congiuntamente.
3.2. – Il primo motivo denuncia la violazione degli artt. 112 e 99 c.p.c. con vizio di ultrapetizione per avere la Corte respinto la domanda di revocatoria, accolta in primo grado, affermando che la stessa non era necessaria, nonostante che il promittente venditore avesse impugnato la decisione del Tribunale facendo valere esclusivamente che l’azione era prescritta.
Il primo motivo è infondato.
Invero, la Corte distrettuale si è attenuta al principio, cui si intende dare continuità, secondo cui: « In tema di giudizio di appello, il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, come il principio del tantum devolutum quantum appellatum, non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti, ovvero in base alla qualificazione giuridica dei fatti medesimi ed all’applicazione di una norma giuridica diverse da quelle invocate dall’istante, né incorre nella violazione di tale principio il giudice d’appello che,
rimanendo nell’ambito del petitum e della causa petendi, confermi la decisione impugnata sulla base di ragioni diverse da quelle adottate dal giudice di primo grado o formulate dalle parti, mettendo in rilievo nella motivazione elementi di fatto risultanti dagli atti, ma non considerati o non espressamente menzionati dal primo giudice (cfr., tra le altre, Cass. 6533/2024).
Pertanto, nel caso attuale, non è incorsa nel vizio di ultrapetizione la Corte di appello nel rigettare la domanda di revocatoria, accolta in primo grado, affermando che la stessa non era necessaria, anche se la parte aveva impugnato la decisione del Tribunale facendo valere esclusivamente che l’azione era prescritta.
Il primo motivo è rigettato.
3.3. – Il secondo motivo denuncia che sia stata rigettata la domanda di revocatoria ex art. 2901 c.c. del fondo patrimoniale sulla base della possibilità di disporre il trasferimento ex art. 2932 c.c. dell’appartamento senza necessità di esperire l’azione revocatoria. Si deduce violazione degli artt. 2901, 170 e 2929-bis c.c. In particolare, si argomenta che l’errore giuridico commesso dalla Corte di appello è consistito nel fatto che, invece di verificare, come avrebbe dovuto, se fossero presenti nel caso concreto tutti i presupposti richiesti dall’art. 2901 c.c. per la revoca del fondo patrimoniale (ossia: l’esistenza di un credito nei confronti del debitore; un atto dispositivo da parte del debitore; il pregiudizio arrecato ai creditori da tale atto; la presenza del consilium fraudis in capo al debitore), ha erroneamente considerato sufficiente, a tutela dei creditori, la garanzia residua prevista dall’art. 170 c.c. (classificando l’origine e la natura del debito come direttamente connessa ai bisogni della famiglia del COGNOME) e l’ art. 2929 bis c.c. (peraltro già inapplicabile per il fatto che è trascorso più di un anno dalla costituzione del fondo patrimoniale).
Il secondo motivo (dei ricorsi incidentali) è fondato.
Infatti, come ha osservato anche il P.M., la Corte ha erroneamente ritenuto – richiamando gli artt. 170 e 2929 bis c.c., che disciplinano la diversa materia dell’esecuzione forzata su un bene compreso in un fondo patrimoniale, v. indietro la pronuncia sul secondo motivo del ricorso principale – che gli attori in revocatoria non avessero interesse all’azione revocatoria, poiché avrebbero potuto ottenere la sentenza ex art. 2932 c.c. nonostante che il bene fosse stato conferito nel fondo patrimoniale e quindi fosse inalienabile. Gli attori invece avevano interesse ad una decisione nel merito dell’azione revocatoria al fine di privare di efficacia il fondo patrimoniale e di aprire la strada all’ azione ex art. 2932 c.c.
Il secondo motivo (dei ricorsi incidentali) è accolto.
3.4. L’accoglimento del secondo motivo determina l’assorbimento del terzo motivo dei ricorsi incidentali, nonché del quarto motivo del ricorso incidentale di NOME COGNOME. Il terzo motivo denuncia la violazione della disciplina della disponibilità (art. 115 c.p.c.) e valutazione delle prove (art. 116 c.p.c.), in quanto, da un lato, la corte territoriale avrebbe posto a base della sua decisione prove non dedotte dalle parti; dall’altro, la corte medesima avrebbe disatteso le prove legali che fornirebbero pieno riscontro dei requisiti applicativi dell’azione revocatoria. Il quarto motivo del ricorso incidentale di NOME COGNOME COGNOME denuncia ex art. 115 c.p.c. l’errore sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova, avendo la corte manifestamente errato nel ritenere accertato che ogni richiesta di risarcimento del danno fosse sprovvista di riscontro probatorio.
– In sintesi, la Corte accoglie il secondo motivo del ricorso principale e rigetta il primo motivo; accoglie il secondo motivo dei ricorsi incidentali, rigetta il primo motivo e dichiara assorbiti i restanti motivi dei ricorsi incidentali; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di appello di
Perugia, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso principale e rigetta il primo motivo; accoglie il secondo motivo dei ricorsi incidentali, rigetta il primo motivo e dichiara assorbiti i restanti motivi dei ricorsi incidentali; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di appello di Perugia, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 24/10/2024.