Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 14463 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 14463 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 30/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15382/2024 R.G. proposto da :
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOMEricorrente- contro
BANCO COGNOME RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in Bibbiena INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
nonchè contro RAGIONE_SOCIALE
-intimato-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO FIRENZE n. 767/2024 depositata il 26/04/2024.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 21/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. -Il ricorso riguarda la sentenza con cui la Corte d’appello di Firenze ha respinto il gravame proposto da NOME COGNOME contro la decisione con cui il Tribunale di Prato ha respinto l’opposizione dal medesimo proposta ex art. 615 c.p.c. avverso la procedura espropriativa immobiliare promossa nei suoi confronti da RAGIONE_SOCIALE quale mandataria di RAGIONE_SOCIALE (cessionaria di RAGIONE_SOCIALE.aRAGIONE_SOCIALE), nella quale era intervenuto Banco Fiorentino -Mugello Impruneta Signa -Credito Cooperativo RAGIONE_SOCIALE (di seguito solo Banco Fiorentino).
Deduceva l’opponente che, con atto notarile del 16.02.1989, insieme alla moglie NOME COGNOME proprietaria per ½ degli immobili pignorati (appartamento ed autorimessa siti nel Comune di Prato), aveva costituito tali beni in un fondo patrimoniale ai sensi dell’art. 167 c.p.c. annotato a margine dell’atto di matrimonio e trascritto nei registri immobiliari in data 8.03.1989, in epoca antecedente alla trascrizione del pignoramento; eccepiva, quindi, l’opponibilità del fondo patrimoniale tanto alla banca procedente quanto a quella intervenuta, i cui crediti – portati rispettivamente da decreto ingiuntivo del Tribunale di Prato del 2011 e da mutuo fondiario del 10.07.2009sosteneva fossero sorti per scopi estranei alle esigenze della famiglia COGNOME.
Il Banco Fiorentino sosteneva, invece, che, al momento dell’erogazione del mutuo, NOME COGNOME era direttamente – in veste di socio e amministratore di varie società- o indirettamente – in veste di garante- impegnato in numerose attività imprenditoriali coinvolgenti l’intero nucleo familiare e che lo scopo del mutuo contratto personalmente da NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME
COGNOME era quello di finanziare la società RAGIONE_SOCIALE, la quale, al di là della forma societaria prescelta, risultava essere impresa riconducibile alla persona di NOME COGNOME e al suo nucleo familiare, finalizzata al potenziamento delle capacità economiche del nucleo familiare COGNOME–COGNOME e, quindi, direttamente e immediatamente inerente ai relativi bisogni della famiglia nell’accezione dell’art. 170 c.c. La società RAGIONE_SOCIALE, a sua volta, sosteneva che l’obbligazione fideiussoria assunta da NOME COGNOME a garanzia del debito contratto dalla società RAGIONE_SOCIALE, riconducibile alle due figlie dei coniugi COGNOME/COGNOME, COGNOME NOME e NOME (quest’ultima nata da un precedente matrimonio di NOME COGNOME), non avesse natura meramente speculativa, ma fosse destinata anch’essa al sostegno del nucleo familiare non avendo le figlie -socie della stessa società garantita l’asserita autonomia patrimoniale.
2. Il Tribunale di Prato respingeva l’opposizione, non avendo l’opponente dimostrato che i debiti verso i creditori procedenti fossero stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia e cioè per intenti meramente speculativi, e che il creditore ne fosse a conoscenza; invero NOME COGNOME, come le figlie e la moglie quale garante, erano coinvolti in plurime iniziative economiche e imprenditoriali, e che, quindi, lo stile di vita impresso all’intera famiglia COGNOME era di tipo imprenditoriale, perciò i ‘bisogni della famiglia’ dovevano essere rapportati a quanto funzionale allo svolgimento e allo sviluppo della vita familiare secondo il suddetto indirizzo; inoltre se era incontestata l’estraneità della figlia NOME al nucleo familiare, lo stesso non poteva sostenersi per la figlia NOME che all’epoca dell’insorgenza del credito non poteva considerarsi economicamente autosufficiente ed indipendente dall’aiuto dei genitori, con la conseguenza che il debito contratto dal padre a garanzia delle obbligazioni della società di persone della
figlia non poteva considerarsi estraneo alle esigenze della famiglia, comprensiva di tutti i suoi componenti.
3.La Corte d’appello ha respinto il gravame contro detta decisione osservando:
quanto al primo motivo – con cui il COGNOME sosteneva che il giudice non aveva correttamente valorizzato la documentazione in atti, giacché le attività imprenditoriali in cui egli era coinvolto non erano orientate e finalizzate al soddisfacimento dei bisogni primari della famiglia, che era più che assicurato da plurime entrate di natura completamente estranea all’attività delle società in favore delle quali il COGNOME si era obbligato al momento in cui erano state assunte le obbligazioni di cui è causa -che: (i) a proposito dei debiti assunti nell’esercizio di un’attività imprenditoriale o professionale, secondo i più recenti arresti della Corte di legittimità (cita Cass n. 31575/2023) l’inerenza al soddisfacimento delle esigenze familiari non può ricollegarsi semplicemente alla tipologia dell’attività nel cui contesto l’obbligazione è sorta, ma richiede comunque la valutazione della finalità sottostante, che deve essere quella di soddisfare esigenze – anche in senso ampio – della famiglia e che, nell’egida della più consolidata giurisprudenza della Corte andava seguita l’interpretazione dell’art. 170 c.c. circa il riparto dell’onere della prova nella materia in discorso, per cui l’accertamento dei presupposti dell’impignorabilità più volte richiamati, resta demandato al giudice del merito sulla base del materiale istruttorio offerto dalle parti e, specialmente, dall’opponente, cioè dal soggetto tenuto per legge a darne dimostrazione, trattandosi in definitiva dell’applicazione della regola generale dettata, per le eccezioni, dall’art. 2697, comma 2, c.c.; fermo restando, ovviamente, che ciò non esclude che il creditore opposto, allo scopo di contrastare le prove (dirette o indirette) offerte al riguardo dall’opponente, possa a sua volta chiedere di provare, in senso contrario, che l’obbligazione era stata contratta
per far fronte ai bisogni della famiglia: quello a carico del creditore costituisce, cioè, un onere probatorio meramente eventuale e di carattere secondario, da non confondere con quello principale gravante sull’opponente, che non può limitarsi a dedurre la tipologia di attività cui inerisce l’obbligazione per ritenere assolto l’onere probatorio a suo carico; (ii) nella fattispecie il Tribunale aveva dato atto delle varie attività imprenditoriali in cui era impegnato il COGNOME al momento della stipula del mutuo con Banco Fiorentino, attività in cui anche la moglie e le figlie erano coinvolte in modo più o meno diretto, ed anche dei gravosi impegni economici assunti per sostenere le suddette attività, deducendone uno stile di vita familiare incompatibile con i soli redditi pensionistici (pari a circa € 900 mensili il Palloni e circa € 245 mensili la COGNOME) e da locazione percepiti dai coniugi, tanto più considerando i pesanti oneri gravanti sul Palloni per la restituzione rateale dei finanziamenti ottenuti in proprio e, nel complesso, i debiti del nucleo familiare nel periodo 2006-2010; e che, a questo proposito, il primo giudice aveva anche correttamente sottolineato che dalle dichiarazioni dei redditi in atti inerenti le annualità rilevanti ai fini di causa, risultano redditi da fabbricati dichiarati ben inferiori a quelli risultanti dai contratti di locazione in atti, rilievo che la parte appellante non aveva in alcun modo contrastato; (iii) in particolare, in considerazione delle molteplici attività imprenditoriali che erano state intraprese con il coinvolgimento dei famigliari (del cui oggetto, riferibilità ed esito la Corte di merito dava puntuale atto) e delle numerose obbligazioni che risultavano assunte dalla famiglia COGNOME/COGNOME a fronte di tali attività (a loro volta specificamente indicate), il Tribunale aveva correttamente escluso che il COGNOME avesse fornito la prova che lo scopo dei debiti oggetto di causa fosse estraneo al soddisfacimento dei bisogni della famiglia (da intendere, secondo pacifica giurisprudenza, come quelli volti non soltanto al soddisfacimento delle necessità
essenziali o indispensabili della famiglia ma anche ad esigenze volte al pieno mantenimento ed all’armonico sviluppo della medesima, nonché al potenziamento della sua capacità lavorativa ed al miglioramento del suo benessere economico, restando escluse ragioni voluttuarie o caratterizzate da intenti meramente speculativi), risultando, appunto, l’intera famiglia coinvolta in iniziative imprenditoriali per trarne risorse destinate a incrementare la capacità economica della famiglia stessa; in particolare al riguardo, risultava correttamente valorizzata dal primo giudice la circostanza che, al momento di richiedere il mutuo stipulato con Banco Fiorentino per 210.000 euro, il COGNOME avesse prodotto la dichiarazione resa ai fini Inail del compenso lordo (pari a euro 2.079,00) corrispostogli da RAGIONE_SOCIALE quale socio amministratore relativamente ai mesi di gennaio e febbraio 2009, compenso che risultava debitamente esposto nei bilanci di esercizio degli anni 2007 e 2008, pure prodotti dal richiedente; né, come ritenuto dal Tribunale in maniera pienamente condivisibile, rilevava che tali compensi potessero non essere stati di fatto mai accreditati al COGNOME, poiché dalla documentazione da lui prodotta alla banca emergeva che, all’epoca, questi ricavava un proprio reddito lavorativo dalla partecipazione alla società (tanto che lo stesso COGNOME aveva affermato nei propri atti che ‘quelle due uniche buste paga furono emesse proprio per convincere il creditore ad erogare il finanziamento’), dovendo, perciò, tanto più escludersi che la banca potesse presumere una natura meramente speculativa del debito;
b) quanto al secondo motivo -con cui il COGNOME lamentava l’omessa valutazione delle risultanze istruttorie e/o illogicità della motivazione in merito all’indipendenza ed all’estraneità della figlia NOME COGNOME al nucleo familiare di origine e, conseguentemente, alla riferibilità dello scopo concreto delle obbligazioni assunte ai bisogni della famiglia -che: (i) se era vero che la figlia NOME
COGNOME nel 2008 aveva 30 anni e che già da tempo la stessa non era più convivente con i genitori e non risultava più a loro carico, il Tribunale correttamente aveva ritenute decisive, al fine di escluderne l’effettiva indipendenza economica, le risultanze delle dichiarazione dei redditi della medesima NOME COGNOME, dalle quali si evince che ella era titolare, negli anni immediatamente precedenti l’assunzione dell’obbligazione in favore di Fino 2 da parte del COGNOME, esclusivamente di redditi ‘da fabbricati’ pari a € 2.634 per gli anni 2006 e 2007 e a € 1424 per l’anno 2008, dati dai quali risulta come la stessa dovesse ancora necessariamente contare sul sostegno economico dei genitori, tanto da rendere necessaria l’assunzione di un obbligo di garanzia da parte del padre per ottenere i finanziamenti necessari all’attività imprenditoriale dalla stessa intrapresa con la sorella NOME COGNOME; (ii) correttamente il primo giudice -a fronte di tali chiare evidenze documentali – aveva ritenuto inammissibili le prove orali dedotte dal COGNOME al fine di comprovare lo svolgimento da parte della figlia di lavori occasionali e saltuari, essendo le relative circostanze genericamente dedotte e, comunque, da comprovare in via documentale;
c) appariva, inoltre fondato, l’assunto di Fino 2 secondo cui si sarebbe già formato giudicato sulla questione della inopponibilità del fondo patrimoniale costituito nel 1989 da NOME COGNOME e NOME COGNOME in relazione al credito di Fino 2 fondato sulla fideiussione rilasciata da NOME COGNOME in data 4.12.2008 a garanzia dei finanziamenti concessi a RAGIONE_SOCIALE S.n.c. (invocava invero l’appellata che, con sentenza n. 539/2022 del 20.9.2022 resa tra le stesse parti e divenuta già definitiva, il Tribunale di Prato, pronunciando sull’opposizione proposta da NOME COGNOME avverso altra esecuzione avente ad oggetto altri beni immobili conferiti nel medesimo fondo patrimoniale, aveva, appunto, dichiarato inopponibile detto fondo patrimoniale a Fino 2; per cui avrebbe dovuto trovare applicazione il principio secondo cui: « Qualora due
giudizi tra le stesse parti facciano riferimento al medesimo rapporto giuridico ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe la cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dell’identico punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il “petitum” del primo» (Cass. n. 11600/2018).
4.- Contro la sentenza il sig. NOME COGNOME ha proposto ricorso affidato a un unico motivo di cassazione. Il Banco Fiorentino -Mugello Impruneta Signa -Credito Cooperativo Società Cooperativa ha resistito con controricorso. RAGIONE_SOCIALE è rimasta intimata. Il Procuratore Generale della Cassazione ha chiesto il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Il primo motivo di ricorso denuncia, violazione o falsa applicazione ex art. 360 n.3 c.p.c. degli artt. 170 e 2697 c.c. Secondo il ricorrente la sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Firenze si fonda su un’errata interpretazione dell’art. 2697 c.c. in punto di ripartizione dell’onere probatorio tra le parti in causa, oltre che su un palese travisamento dell’esito dell’istruttoria condotta nel corso del primo grado di giudizio; l’onere probatorio gravante sull’opponente avrebbe ad oggetto solo la valida costituzione del fondo, il conferimento in esso del bene assoggettato ad esecuzione ed il fatto che il creditore fosse consapevole della circostanza che l’obbligazione veniva contratta per scopi estranei ai bisogni della famiglia; mentre spetterebbe al creditore, a fronte delle contestazioni opposte in merito alla riferibilità dell’obbligazione fonte del credito alla soddisfazione dei bisogni della famiglia,
l’onere di provare la destinazione della obbligazione assunta a soddisfarli in via diretta e immediata, «o vvero provare che le obbligazioni della società, e più in generale il positivo andamento della società, conseguente anche alla prestazione della garanzia, fossero direttamente funzionali non già, come è la regola, al buon andamento dell’attività commerciale della società garantita in sé bensì al soddisfacimento dei bisogni della famiglia» (Cass. n. 27562/2023). Tale principio di diritto sarebbe stato travisato e disatteso nella valutazione delle prove introdotte nel corso del giudizio di primo grado.
Invero secondo la giurisprudenza di legittimità « il criterio identificativo dei crediti il cui soddisfacimento può essere realizzato in via esecutiva sui beni conferiti nel fondo patrimoniale va ricercato non già nella natura – ex contractu” o “ex delitto – delle obbligazioni (v. Cass., 26/7/2005, n. 15603; Cass., 18/7/2003. n. 11230), ma nella relazione esistente tra gli scopi per cui i debiti sono stati contratti ed i bisogni della famiglia, con la conseguenza che l’esecuzione sui beni del fondo o sui frutti di esso può avere luogo qualora la fonte e la ragione del rapporto obbligatorio abbiano inerenza diretta ed immediata con i bisogni della famiglia (v. Cass., 8/7/2003, n. 11230: Cass., 31/5/2006. n. 12998;. conforme, da ultimo, Cass., 19/6/2018, n. 16176; v altresì Cass. n. 15862/2009 )» (così, Cass. n. 2904/2021). Sicché per cui « se il credito per cui si procede è solo indirettamente destinato alla soddisfazione delle esigenze familiari del debitore, rientrando nell’attività professionale da cui quest’ultimo ricava il reddito occorrente per il mantenimento della famiglia, non è consentita, ai sensi dell’art. 170 c.c., la sua soddisfazione sui beni costituiti in fondo patrimoniale» (Cass. n. 8201/2020).
Perciò -nella specie con riguardo al mutuo fondiario stipulato in data 10/07/2009 per poter finanziare la società RAGIONE_SOCIALE di cui il COGNOME era socio di capitale, la finalità del debito sarebbe
stato il finanziamento della società e non la soddisfazione delle esigenze familiari, se non in via assai mediata.
Secondo il ricorrente, alla luce della citata giurisprudenza di legittimità, vi sarebbe una vera e propria «presunzione » circa il fatto che le obbligazioni assunte nell’esercizio dell’attività d’impresa o professionale abbiano uno scopo normalmente estraneo ai bisogni della famiglia che la Corte di Appello di Firenze non avrebbe minimamente tenuto in considerazione. Né le produzioni documentali effettuate da Banco Fiorentino consentirebbero di ritenere superata tale presunzione probatoria, giacché, al contrario, l’esito della istruttoria comproverebbe proprio che le obbligazioni assunte quale socio di capitali della società RAGIONE_SOCIALE avessero evidenti finalità speculative, e che il sostentamento della famiglia COGNOME era più che assicurato nel momento in cui sono state assunte le obbligazioni di cui è causa da plurime entrate di natura completamente estranea all’attività delle società in favore delle quali il Sig. COGNOME si era obbligato, né vi sarebbe alcuna motivazione in ragione della quale i redditi familiari da cui la famiglia COGNOME traeva sostentamento non fossero sufficienti a soddisfarne i bisogni, avendo sul punto la Corte d’appello svolto considerazioni del tutto apodittiche oltre che contrarie alle stesse risultanze istruttorie, laddove ogni necessità familiare era garantita esclusivamente dall’ampio patrimonio immobiliare del Sig. COGNOME, dal trattamento pensionistico percepito da quest’ultimo e dalla moglie, nonché dal corrispettivo percepito per la cessione dell’azienda RAGIONE_SOCIALE Palloni NOME e c. s.n.c..
1.1- Il motivo è infondato.
L’esame dello stesso va preceduta da una ricognizione degli approdi nomofilattici cui è giunta questa Corte in materia, giacché il ricorrente invoca principi di legittimità che la Corte d’appello ha ritenuto, invece, superati dalla giurisprudenza più recente di questa Corte.
Detta ricognizione, peraltro, risulta già compiutamente effettuata dalla recente ordinanza n. 9789/2024 che ha ripercorso i consolidati indirizzi di questa Corte per cui:
il criterio identificativo dei debiti per i quali può avere luogo l’esecuzione sui beni del fondo patrimoniale va ricercato non già nella natura dell’obbligazione, ma nella relazione tra il fatto generatore di essa e i bisogni della famiglia ( ex multis : Cass., Sez. 1, Sentenza n. 8991 del 05/06/2003; Sez. 3, Sentenza n. 12998 del 31/05/2006; Sez. 5, Sentenza n. 15862 del 07/07/2009; Sez. 3, Sentenza n. 4011 del 19/02/2013; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 3738 del 24/02/2015; Sez. 3, Sentenza n. 21800 del 28/10/2016; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 16176 del 19/06/2018; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 18110 del 31/08/2020; Sez. 3, Ordinanza n. 24836 del 18/08/2023);
nella nozione di bisogni della famiglia vanno incluse anche le esigenze volte al pieno mantenimento ed all’armonico sviluppo della famiglia ovvero al potenziamento della capacità lavorativa di uno dei coniugi, e vanno invece escluse solo le esigenze di natura voluttuaria o caratterizzate da interessi meramente speculativi (cd. nozione estesa o ‘ampia’ dei bisogni della famiglia; ex multis : Cass., Sez. 3, Sentenza n. 134 del 07/01/1984; Sez. 5, Sentenza n. 15862 del 07/07/2009; Sez. 3, Sentenza n. 4011 del 19/02/2013; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 3738 del 24/02/2015; Sez. 3, Sentenza n. 21800 del 28/10/2016,; Sez. 3 Ordinanza n. 2904 del 08/02/2021; Sez. 1, Ordinanza n. 29983 del 25/10/2021);
il debitore che contesti il diritto del creditore di agire esecutivamente sui beni costituiti in fondo patrimoniale deve dimostrare, anche a mezzo di presunzioni semplici, che il medesimo creditore era consapevole, al momento del perfezionamento dell’atto dal quale deriva l’obbligazione, che questa era contratta per scopi estranei ai bisogni della famiglia (ex multis : Cass., Sez. 3, Sentenza n. 5684 del 15/03/2006; Sez. 3,
Sentenza n. 12730 del 30/05/2007,; Sez. 3, Sentenza n. 2970 del 07/02/2013; Sez. 3, Sentenza n. 4011 del 19/02/2013; Sez. 3, Sentenza n. 21800 del 28/10/2016; Sez. 5, Sentenza n. 22761 del 09/11/2016; Sez. 3, Sentenza n. 20998 del 23/08/2018; Sez. 5, Ordinanza n. 10166 del 28/05/2020; lo conferma anche, espressamente, Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 2904 del 08/02/2021; successivamente, conf. da Sez. 3, Ordinanza n. 31575 del 13/11/2023; Sez. 3, Ordinanza n. 36312 del 28/12/2023).
1.3Fermi tali generali principi di diritto, nella predetta ordinanza si osserva anche che può effettivamente rilevarsi che in alcune isolate decisioni – cui anche qui fa riferimento il ricorrente tali principi, con specifico riguardo ai debiti derivanti dall’attività professionale o d’impresa di uno dei coniugi, possono apparire essere stati declinati in modo non del tutto armonico con i precedenti.
In particolare vengono richiamate una ordinanza (Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 8201 del 27/04/2020 non massimata) con la quale è stata confermata la sentenza di merito che aveva escluso l’inerenza ai bisogni della famiglia di una obbligazione contratta per acquistare beni strumentali all’esercizio di un’impresa, affermandosi che « se il credito per cui si procede è solo indirettamente destinato alla soddisfazione delle esigenze familiari del debitore, rientrando nell’attività professionale da cui quest’ultimo ricava il reddito occorrente per il mantenimento della famiglia, non è consentita, ai sensi dell’art. 170 c.c., la sua soddisfazione sui beni costituiti in fondo patrimoniale », nonché un’ordinanza (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 2904 del 08/02/2021), in cui, in modo più articolato, si afferma che « in relazione ai debiti assunti nell’esercizio dell’attività d’impresa o a quella professionale, essi non assolvono di norma a tali bisogni, ma può essere fornita la prova che siano eccezionalmente destinati a soddisfarli in via diretta ed immediata, avuto riguardo alle specificità del caso
concreto (nella specie, la SRAGIONE_SOCIALE ha cassato la decisione di appello la quale aveva presunto, in assenza di prova di una diversa fonte di sostentamento della famiglia, che i mezzi per il soddisfacimento dei bisogni di questa derivassero dall’attività d’impresa dell’opponente) ».
1.4- Come già osservato da questa Corte -con argomenti che il Collegio condivide – il primo dei precedenti appena richiamati « non pare affatto avere inteso mettere effettivamente in discussione i consolidati indirizzi tradizionali secondo i quali l’estraneità dell’obbligazione ai bisogni della famiglia non può dirsi sussistente per il solo fatto che il debito derivi dall’attività professionale o d’impresa del coniuge, onde anche in tal caso spetta al debitore l’onere di dimostrare che siffatte obbligazioni non siano state contratte per il soddisfacimento dei bisogni della famiglia, ma per esigenze meramente ‘voluttuarie’ o ‘speculative’ (cfr., in particolare, ad es.: Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 3738 del 24/02/2015; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 23876 del 23/11/2015, secondo la quale l’estraneità ai bisogni della famiglia non può ritenersi dimostrata, né esclusa, per il solo fatto dell’insorgenza del debito nell’esercizio dell’impresa), facendo anzi anche richiamo ai predetti indirizzi, senza del resto esporre alcun effettivo e concreto argomento diretto a metterne in dubbio e, tanto meno, a contrastarne il fondamento ». (Cass.n. 9789/24 cit.)
E neanche nel secondo precedente -pur citato dall’odierno ricorrente – viene, messo in discussione « il principio per cui l’onere di provare le condizioni di operatività del divieto di pignorabilità di cui all’art. 170 c.c. spetta al debitore, pur ammettendosi in un’ottica che effettivamente potrebbe non apparire del tutto in linea con la consolidata declinazione del richiamato indirizzo tradizionale -che tale prova dovrebbe di regola ritenersi di per sé fornita con la sola dimostrazione che i debiti per cui si procede sono stati assunti nell’esercizio dell’attività d’impresa o professionale,
salva la possibilità di una prova contraria, che dovrebbe però, in tal caso, fornire il creditore ».(Cass. n. 9789/24 cit.)
In ogni caso, osserva ancora la Corte in detta ordinanza, le disarmonie predette -invocate in questa sede dal ricorrente in particolare per affermare che vi sarebbe una vera e propria presunzione circa il fatto che le obbligazioni assunte nell’esercizio dell’attività d’impresa o professionale abbiano uno scopo normalmente estraneo ai bisogni della famiglia, « sembrerebbero, in realtà, già ricomposte nei successivi arresti delle medesime Sezioni che vi avevano dato luogo » essendo stato, più di recente, ripetutamente ribadito l’indirizzo tradizionale, sia dalla Prima Sezione (cfr. Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 29983 del 25/10/2021, in cui -richiamando i numerosi precedenti -si ribadisce che «la rispondenza o meno dell’atto ai bisogni della famiglia richiede una verifica estesa al riscontro di compatibilità con le più ampie esigenze dirette al pieno mantenimento e all’armonico sviluppo familiare, cosicché l’estraneità non può considerarsi desumibile soltanto dalla tipologia di atto -la fideiussione prestata in favore di una società -in sé e per sé considerata » in una fattispecie in cui «è stata respinta la tesi della ricorrente secondo cui, in presenza di una fideiussione a favore di una società, ricorrono ‘in re ipsa’ entrambi i presupposti: sia quello dell’estraneità ai bisogni della famiglia sia, automaticamente, quello della conoscenza di questa in capo al creditore, senza bisogno di provare altro che l’esistenza della fideiussione medesima, cosicché la prova dell’estraneità del debito ai bisogni della famiglia andrebbe considerata assolta per definizione » (così la massima); sia dalla stessa Terza Sezione (Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 31575 del 13/11/2023, in cui si afferma che « in tema di esecuzione forzata per espropriazione, l’azione esecutiva sui beni facenti parte di un fondo patrimoniale è ammissibile alle condizioni indicate dall’art. 170 c.c., sicché è legittima solo se l’obbligazione sia strumentale ai bisogni della
famiglia e se il creditore non ne conosceva l’estraneità rispetto a tali bisogni, spettando al debitore esecutato che invochi l’impignorabilità dei beni stessi l’onere di provare la non ricorrenza delle suddette circostanze, che non possono ritenersi dimostrate, né escluse, per il solo fatto dell’insorgenza del debito nell’esercizio dell’impresa, ed occorrendo procedere ad una valutazione caso per caso, mediante prudente apprezzamento degli elementi istruttori »).
Peraltro, già Cass. n. 31575/2023, nel ribadire che « è onere dell’opponente dimostrare i presupposti di opponibilità del vincolo derivante dal fondo (v. supra, par. 3.2.2), ossia l’estraneità delle obbligazioni ai bisogni della famiglia e la consapevolezza di ciò da parte del creditore », ha ritenuto « eccentrica rispetto alla costante giurisprudenza di questa Corte sul tema della distribuzione dell’onere della prova in subiecta materi a» l’ordinanza Cass. n. 2904/2021, seguita, in termini, da Cass. n. 7232/2022, laddove afferma che « In relazione ai debiti assunti nell’esercizio dell’attività d’impresa o a quella professionale, essi non assolvono di norma a tali bisogni, ma può essere fornita la prova che siano eccezionalmente destinati a soddisfarli in via diretta ed immediata, avuto riguardo alle specificità del caso concreto » ovvero che, poiché le obbligazioni contratte nell’esercizio di attività d’impresa, secondo l’id quod plerumque accidit , sono normalmente estranee ai bisogni della famiglia, è fatta comunque salva la prova contraria, potendo nondimeno dimostrarsi (evidentemente, da parte del creditore opposto) che « l’atto di assunzione del debito è eccezionalmente volto ad immediatamente e direttamente soddisfare i bisogni della famiglia », giacché -osserva la Corte -« come pure evidenziato dalla successiva Cass. n. 41255/2021, già citata l’inerenza al soddisfacimento delle esigenze familiari non può ricollegarsi semplicemente alla tipologia dell’attività nel cui contesto l’obbligazione è sorta, ma richiede comunque la valutazione della finalità sottostante, che deve essere quella di
soddisfare esigenze – anche in senso ampio della famiglia (…); sembra dunque decisamente preferibile -nell’egida della più consolidata giurisprudenza della Corte -mantenere inalterata l’interpretazione dell’art. 170 c.c. circa il riparto dell’onere della prova nella materia in discorso, così restando demandato al giudice del merito l’accertamento dei presupposti dell’impignorabilità più volte richiamati, sulla base del materiale istruttorio offerto dalle parti e, specialmente, dall’opponente, cioè dal soggetto tenuto per legge a darne dimostrazione, trattandosi in definitiva dell’applicazione della regola generale dettata, per le eccezioni, dall’art. 2697, comma 2, c.c.; fermo restando, ovviamente, che nulla esclude che il creditore opposto, allo scopo di contrastare le prove (dirette o indirette) offerte al riguardo dall’opponente, ben possa a sua volta chiedere di provare, in senso contrario, che l’obbligazione era stata contratta per far fronte ai bisogni della famiglia. Si tratta, cioè, di un onere probatorio meramente eventuale e di carattere secondario, da non confondere con quello principale gravante sull’opponente, ut supra, che non può limitarsi a dedurre la tipologia di attività cui inerisce l’obbligazione, per ritenere assolto l’onere probatorio a suo carico (come pare opinare, invece, la citata Cass. n. 2904/2021, riguardo all’attività imprenditoriale o professionale svolta dallo stesso opponente) » .
1.5- Alla luce di quanto precede, le censure mosse nel ricorso alla sentenza della Corte d’appello di Firenze con riguardo alla questione specifica dell’onere della prova circa l’inerenza ai bisogni della famiglia dei debiti assunti nell’esercizio dell’attività d’impresa, risultano infondate, essendosi la Corte di merito attenuta ai principi di diritto certamente consolidati in materia (richiamando, peraltro, proprio Cass. n. 31575/2023 in risposta alle censure mosse dall’appellante, odierno ricorrente, alla sentenza di primo grado sullo stesso tema).
Ciò detto vale, comunque, osservare che nella motivazione della sentenza impugnata la Corte d’appello come già il Tribunale- ha ritenuto sussistere la prova «in positivo» del fatto che l’attività di impresa svolta dalle varie società della famiglia COGNOME RAGIONE_SOCIALECOGNOME (nell’esercizio della quale è pacifico che fosse stato concesso il mutuo fondiario e prestata la fideiussione fonte dei crediti oggetto dell’esecuzione forzata) era finalizzata a produrre redditi destinati al soddisfacimento dei bisogni della famiglia del debitore, intesi nella nozione «ampia» di bisogni familiari, avendo respinto l’appello e confermato il rigetto dell’opposizione all’esecuzione sui beni del fondo ritenendo condividibile quanto ampiamente argomentato dal Tribunale di Prato a proposito dell’accertamento che le obbligazioni in questione erano finalizzate non a conseguire intenti voluttuari o speculativi ma a soddisfare i bisogni economici della famiglia rispetto ai quali dovevano ritenersi certamente insufficienti ed inidonee le fonti di reddito alternative invocate.
In altre parole la Corte d’appello non ha invocato il criterio di distribuzione dell’onere della prova per sostenere che il debitore non aveva dato la prova che su di lui incombeva circa l’estraneità delle obbligazioni contratte nell’esercizio dell’attività d’impresa ai bisogni della famiglia -ovvero il carattere voluttuario e speculativo del debito e la conoscenza di tale carattere da parte del creditore ma ha ritenuto che le emergenze probatorie esaminate dimostrassero in positivo e in concreto l’inerenza delle medesime ai bisogni familiari secondo l’indirizzo imprenditoriale impresso dai coniugi alla vita familiare. Sicché la questione della distribuzione dell’onere della prova non intercetta, in effetti, la ratio decidendi.
1.6- Quanto a detto accertamento, poi, che il ricorrente censura affermando che non vi sarebbe alcuna motivazione a proposito del fatto che i redditi familiari da cui la famiglia COGNOME traeva sostentamento non fossero sufficienti a soddisfarne i bisogni, avendo la Corte d’appello a suo dire -svolto sul punto
« considerazioni del tutto apodittiche oltre che contrarie alle stesse risultanze istruttorie», si osserva che si tratta di censura non solo infondata -avendo, tanto il Tribunale quanto la Corte d’appello nel confermarne il ragionamento, ampiamente valutato in relazione alla quantità e qualità dei bisogni della famiglia ed delle attività d’impresa in cui lui il COGNOME la moglie e le figlie erano a vario titolo coinvolte, l’inidoneità dei redditi pensionistici o derivanti dall’incasso di canoni locativi al sostentamento del nucleo familiare -ma è anche inammissibile.
Invero le censure mosse al ragionamento probatorio si risolvono in una inammissibile richiesta di rivalutazione dei fatti accertati dal giudice del merito, non essendo configurabili né sub specie di violazione dell’art. 170 c.c. (perché la Corte fiorentina ha applicato la disposizione correttamente e nel solco della giurisprudenza consolidata di questa Corte), né come vizio di sussunzione, perché ciò di cui il ricorrente si duole, in definitiva, non è -appunto – la falsa applicazione della disposizione citata ad una fattispecie non pertinente, bensì l’erronea ricostruzione in fatto della fattispecie, riservata, com’è noto, al giudice del merito
3.- In conclusione il ricorso va respinto. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come nel dispositivo. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore della controricorrente, liquidate nell’importo di euro 6200,00 di cui euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% sul compenso ed agli accessori come per legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dalla I. 24 dicembre 2012, n. 228, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della I Sezione