SENTENZA CORTE DI APPELLO DI BARI N. 1103 2025 – N. R.G. 00001010 2024 DEPOSITO MINUTA 04 12 2025 PUBBLICAZIONE 04 12 2025
CORTE DI APPELLO DI BARI
-SEZIONE LAVORO – n.1010/2024RG
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
La Corte di appello di Bari -Sezione per le controversie in materia di lavoro, previdenza e assistenza -composta dai Magistrati:
dottAVV_NOTAIO NOME COGNOME
Presidente relatore
AVV_NOTAIO NOME COGNOME
Consigliere
AVV_NOTAIOssa NOME COGNOME Consigliere
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella controversia in grado di appello iscritta al n. 1010 del Ruolo Generale dell’anno 2024 vertente
TRA
nato a Foggia il DATA_NASCITA, rappresentato e difeso dall’AVV_NOTAIO
NOME COGNOME
Appellante
E
in persona
del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso, in virtù di procura generale alle liti del 23.1.2023 rep. n. 37590, a rogito del AVV_NOTAIO dall’AVV_NOTAIO
Appellato
RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE
1. Con ricorso depositato in data 15.5.2023, innanzi al Tribunale di Foggia, in funzione di giudice del lavoro, -ex dipendente della con mansioni di impiegato, inquadrato nel livello 7 del RAGIONE_SOCIALE -chiedeva che fosse accertato e dichiarato, nei confronti dell’ , il proprio diritto a percepire, ai sensi dell’art. 2 della l. 297/1982, il saldo del t.f.r. non corrisposto dal datore di lavoro e che, per l’effetto, l’istituto fosse condannato al pagamento della somma di 15.621,82 a titolo di t.f.r., oltre il danno da svalutazione monetaria e gli interessi maturati e maturandi, con vittoria di spese da distrarre al procuratore anticipatario.
Premetteva il ricorrente che al momento della cessazione del RAGIONE_SOCIALE di lavoro, il datore di lavoro non gli aveva corrisposto il maturato RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE; che la società cooperativa era stata posta dapprima in liquidazione volontaria in data 9.12.2018 e, successivamente, cancellata dal registro delle RAGIONE_SOCIALE; che il socio unico di detta società risultava essere , come era emerso dal verbale di assemblea ordinaria del 31.12.2018, allegato al ricorso; che nei confronti di costui aveva proposto il procedimento monitorio teso ad ottenere il pagamento del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE; che con decreto n. 347/2022 il Giudice del lavoro di Foggia aveva ingiunto al socio unico il pagamento della somma che aveva maturato a titolo di t.f.r., pari ad euro 15.621,82 oltre le competenze della procedura monitoria e accessori di legge; che tale decreto, seppure notificato, non era stato opposto e, di conseguenza, il giudice aveva dichiarato l’esecutorietà dello stesso in data 13.12.2022.
Aggiungeva che non aveva effettuato l’esecuzione nei confronti del socio unico a causa dell’insufficienza delle garanzie patrimoniali risultante dal bilancio finale di liquidazione, conformemente a quanto indicato dall’ nel messaggio n. NUMERO_DOCUMENTO ove era stato affermato che ‘Nell’ipotesi di cancellazione dal registro delle RAGIONE_SOCIALE di una società di capitali, poiché i soci rispondono nei limiti di quanto riscosso in sede di liquidazione (art. 2495 c.c.), se dal bilancio di liquidazione risulta che sono state distribuite somme ai soci, il lavoratore, prima di chiedere l’intervento del RAGIONE_SOCIALE, deve aver tentato l’esecuzione nei confronti dei soci stessi. Analogamente, se dal verbale di approvazione del bilancio finale emerge che uno o più soci o il liquidatore stesso si fanno carico dei debiti, sarà necessaria la loro preventiva escussione. Qualora, invece, il bilancio finale di liquidazione evidenzi chiaramente l’insufficienza delle garanzie patrimoniali, in ottemperanza all’orientamento della Corte di Cassazione (cfr. Cass., Sez. lav., n. 9108/2007) che ritiene si possa prescindere dal tentativo di esecuzione nei casi in cui sia riscontrabile in maniera oggettiva, da altri elementi di fatto, l’insufficienza delle garanzie patrimoniali, le domande di intervento del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE trovare accoglimento anche in mancanza del tentativo di esecuzione forzata’ .
Esponeva, altresì, che aveva presentato in data 1.3.2023 domanda al RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE volta ad ottenere il pagamento della somma maturata a titolo di t.f.r; che l’ con provvedimento del 29.3.2023 aveva rigettato tale richiesta per assenza di accertamento giudiziale del credito nei confronti dell ‘ex datore di lavoro e, in subordine, per assenza della prova circa la distribuzione dell’attivo sociale e la riscossione da parte del socio unico.
Riferiva che aveva proposto in data 6.4.2023 ricorso al RAGIONE_SOCIALE contro detto provvedimento di rigetto; che il RAGIONE_SOCIALE con provvedimento del 4.5.2023 aveva rigettato il ricorso con le medesime argomentazioni del primo
provvedimento amministrativo senza valutare sia il decreto ingiuntivo ottenuto sia il bilancio finale di liquidazione che attestava l’assenza di distribuzione dell’attivo e l’assenza di riscossione da parte del socio unico di una quota del bilancio finale di liquidazione che, dunque, precludeva la possibilità di agire a danno del socio unico; che l’ in presenza dei medesimi presupposti aveva corrisposto l’intero t.f.r. ad altro lavoratore e ciò era in evidente contrasto con gli artt. 3 e 97 cost. che obbligavano la pubblica amministrazione a svolgere la propria RAGIONE_SOCIALE nel rispetto della giustizia, evitando discriminazioni e arbitri nell’attuazione dell’interesse pubblico.
Sottolineava, inRAGIONE_SOCIALE, che non aveva percepito dal RAGIONE_SOCIALE quanto maturato a titolo di t.f.r. nonostante l’art. 2 della l. 297 del 1982 aveva istituito presso l’ il ‘RAGIONE_SOCIALE‘ con lo scopo di sostituirlo al datore di lavoro in caso di insolvenza di quest’ultimo nel pagamento del t.f.r.; che tale intervento era stato previsto anche in caso di insolvenza del datore di lavoro non assoggettabile alle procedure concorsuale previste ex lege ; che erano presenti tutti i presupposti necessari per richiedere tale intervento.
Con memoria di costituzione del 13.5.2024, si costituiva in giudizio l chiedendo il rigetto della domanda per l’assenza dei presupposti in fatto e in diritto della pretesa vantata nei confronti del RAGIONE_SOCIALE.
Deduceva l’ente, nello specifico, che nel caso di specie non sussisteva l’accertamento giudiziale del credito.
Il ricorrente, infatti, aveva ottenuto due decreti ingiuntivi relativi all’asserito credito, rispettivamente, il d.i. n. 646/19, notificato, alla società in persona del legale legale rappresentante in data 24.07.19, ovvero mesi dopo la cancellazione dal registro delle RAGIONE_SOCIALE della società avvenuta il 26.02.19 e il d.i. n. 347/22 emesso e notificato nei confronti del ‘socio unico’ della società cooperativa, , laddove invece dal verbale di assemblea del 31.12.2018 si dava atto della presenza di altri soci nei cui confronti non risultava proposto alcun accertamento.
Argomentava quindi l’ che la cancellazione delle società di capitali non produceva anche l’estinzione dei debiti, poiché questi erano stati trasferiti in capo ai soci in virtù di un meccanismo successorio analogo a quello che legava il de cuius all’erede e che, sebbene i soci rispondono dei debiti sociali nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione (‘ intra vires ), il giudizio per l’accertamento del credito di lavoro, deve essere comunque compiuto nei confronti dei medesimi soci, anche nel caso in cui questi ultimi non abbiano riscosso somme in base al bilancio finale di liquidazione.
Con sentenza n. 1729/2024 pubblicata il 29.5.2024, il Tribunale di Foggia rigettava la domanda e compensava le spese di lite.
Il giudice perveniva a tale decisione, rilevando che, su una questione analoga, si era pronunciata la Corte di appello di Bari che aveva affermato l’assenza dell’accertamento giudiziale del credito nel caso di decreto ingiuntivo ottenuto nei confronti della società datrice di lavoro allorquando la società era ormai estinta.
Il Tribunale evidenziava che nella decisione richiamata era stato evidenziato che la cancellazione della società dal registro delle RAGIONE_SOCIALE aveva natura costitutiva e determinava l’estinzione della società anche ove vi erano ancora creditori da soddisfare; che la stessa notifica del decreto ingiuntivo al liquidatore della società oramai estinta doveva essere considerata tamquam non esset poiché l’effetto estintivo che era derivato dalla cancellazione aveva determinato il venir meno del potere di rappresentanza dell’ente estinto in capo al liquidatore stesso; che tuttavia non si doveva confondere il piano del preventivo esperimento di un’azione esecutiva mobiliare o immobiliare, di cui la giurisprudenza aveva escluso talora l’indispensabilità in ragione della sua probabile infruttosità e irragionevolezza, con quello della previa consacrazione del credito in un titolo valido, dalla assenza del quale derivava la mancanza del presupposto normativo per l’intervento del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE.
Il primo giudice anche con riferimento alla responsabilità dei soci richiamava un precedente della Corte di Appello di Bari ove era stato affermato che la giurisprudenza di legittimità aveva ribadito la necessità, per l’affermazione del diritto del lavoratore alle prestazioni del RAGIONE_SOCIALE, della ricorrenza dei requisiti dell’insolvenza del datore di lavoro (accertata con la dichiarazione di fallimento o, in mancanza, con l’esperimento infruttuoso di un serio tentativo di esecuzione forzata, salva la risultanza di altri beni aggredibili con azione esecutiva), nonché dell’esistenza del credito accertata in sede di ammissione al passivo ovvero sulla base di un titolo esecutivo definitivo; che l’intervento del RAGIONE_SOCIALE aveva carattere sussidiario ed era invocabile quando il credito non era altrimenti recuperabile proprio per assicurare il beneficio anche ai lavoratori alle dipendenze di datori di loro non assoggettabili alla procedura concorsuale; che il decreto ingiuntivo emesso nei confronti di una società oramai estinta doveva considerarsi tamquam non esset stante la sua inidoneità a instaurare un contraddittorio integro tra le parti; che l’inesistenza del decreto ingiuntivo aveva caducato l’esecuzione promossa in forza di esso; che i soci erano sempre destinati a succedere nei rapporti debitori già facenti capo alla società cancellata a prescindere dall’aver questi goduto o meno di un qualche riparto in base al bilancio finale di liquidazione.
In conclusione, il Tribunale riteneva che la domanda dovesse essere rigettata, assorbita ogni ulteriore questione dibattuta tra le parti, stante l’assenza del preventivo accertamento giudiziale del credito.
4 . Avverso detta decisione, con ricorso del 13.11.2024 ha interposto appello, per i motivi che di seguito si riepilogano e si valutano, chiedendo, in accoglimento del gravame, la riforma integrale dell’impugnata sentenza con vittoria di spese, diritti e onorari di causa del doppio grado del giudizio con distrazione.
Con memoria del 1.4.2025, si è costituito l’ chiedendo il rigetto del ricorso in appello e la conferma della sentenza gravata.
Acquisiti i documenti prodotti dalle parti e il fascicolo di ufficio relativo al primo grado di giudizio, all’udienza del 3 novembre 2025 la causa è stata discussa e decisa mediante lettura e pubblicazione del dispositivo trascritto in calce alla sentenza.
Con il primo motivo l’appellante lamenta l’errore del giudicante nel disattendere il decreto ingiuntivo ottenuto nei confronti dell’unico socio, non ritenendolo un preventivo accertamento giurisdizionale del credito nei confronti dei soci.
Evidenzia l’incomprensibilità di tale decisione atteso che il primo giudice non aveva reso alcuna motivazione sul fatto che il decreto ingiuntivo ottenuto ai danni del socio unico e ad esso notificato non sia un accertamento giurisdizionale del credito, e, quindi, un valido titolo esecutivo, nonostante dalla documentazione prodotta, già in sede amministrativa all’ , era emerso che vi era un unico socio, ossia .
Aggiunge di aver prodotto all’ , ai fini della liquidazione del t.f.r., oltre all’accertamento giudiziale del credito e, dunque, di un valido titolo esecutivo, anche la copia del verbale di assemblea del 30.12.2018 e la copia del verbale e del bilancio finale di liquidazione del 31.12.2018, entrambi sottoscritti solo dal socio unico, specificando che dal bilancio finale si evince l’insufficienza delle garanzie patrimoniali.
Afferma di non aver mosso alcun tentativo di esecuzione nei confronti del socio unico, essendo riscontrabile l’insufficienza delle garanzie patrimoniali (conformemente all’orientamento della giurisprudenza di legittimità Cass. Sez. Lav. n. 9108/2007 e alle precisazioni dell’ contenute nel messaggio n. 3854/2019).
Rimarca che tali argomentazioni sono idonee a far riformare la sentenza di primo grado in quanto sussistono tutti i presupposti per l’erogazione del t.f.r., ossia il titolo esecutivo accertativo del credito maturato a titolo di t.f.r.; il decreto ingiuntivo emesso nei confronti del socio unico della cooperativa , notificato e non opposto; l’impossibilità di agire esecutivamente ai danni del socio unico stante le insufficienti e documentate garanzie patrimoniali.
Con il secondo motivo di doglianza, l’appellante si duole della omessa motivazione sulla disparità di RAGIONE_SOCIALE attuata dall’ente tra l’odierno appellante e un
altro dipendente della il quale aveva ottenuto il t.f.r. nonostante avesse prodotto la medesima documentazione.
Sottolinea, dunque, che l’Ente, in presenza dei medesimi presupposti di fatto e diritto, ha adottato due contrastanti provvedimenti, in spregio a quanto previsto sia ex artt. 3 e 97 cost. (che obbligano la pubblica amministrazione a svolgere la propria RAGIONE_SOCIALE nel pieno rispetto della giustizia, evitando ogni discriminazione e arbitrio nell’attuazione dell’interesse pubblico), che ex art.14 cedu (ove nel proibire la discriminazione si vieta di trattare in modo diverso, senza alcuna giustificazione oggettiva e ragionevole, persone che si trovino in situazioni comparabili), sottolineando che la Corte Edu ha precisato che l’art. 14 cedu possa trovare applicazione anche in mancanza di una specifica violazione delle norme convenzionali a carattere sostanziale.
9 . Così ripercorse le censure esposte nell’atto di gravame, questa Corte ritiene che le stesse non siano meritevoli di accoglimento per le ragioni di seguito esposte, che conducono a conclusioni conformi a quelle adottate dal Tribunale.
10. E’ opportuno premettere che in più occasioni la Suprema Corte ha ribadito la necessità, per l’affermazione del diritto del lavoratore alle prestazioni del RAGIONE_SOCIALE, della ricorrenza dei requisiti dell’insolvenza del datore di lavoro accertata con la dichiarazione di fallimento o, in mancanza, con l’esperimento infruttuoso di un serio tentativo di esecuzione forzata, salva la risultanza di altri beni aggredibili con l’azione esecutiva (cfr. ex multis Cass. 1° luglio 2010 n. 15662; Cass. 20 novembre 2017 n. 27467) -e dell’esistenza e misura del credito in sede di ammissione al passivo ovvero sulla base di un titolo esecutivo definitivo (Cass. 28 luglio 2011 n. 16617; Cass. 9 giugno 2014 n. 12971; Cass. 25 agosto 2020 n. 17643).
I giudici di legittimità hanno altresì puntualizzato che « il previo conseguimento di un titolo esecutivo nei confronti del datore di lavoro insolvente costituisce un presupposto non solo letteralmente, ma anche logicamente necessario, giacché l’accertamento giurisdizionale della misura del TFR dovuto in esito all’ammissione allo stato passivo ovvero la sua consacrazione in un titolo esecutivo conseguito nei confronti del datore di lavoro rappresentano la modalità necessaria per l’individuazione della misura stessa dell’intervento solidaristico del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, essendo l’ente previdenziale terzo rispetto al RAGIONE_SOCIALE di lavoro inter partes ed essendo nondimeno la sua obbligazione modulata sul TFR maturato in costanza di RAGIONE_SOCIALE di lavoro » (così Cass. nn. 1887 del 2020, 4061 del 2021 e 39157 del 2021).
Ciò in quanto il diritto alla prestazione del RAGIONE_SOCIALE nasce, in forza del RAGIONE_SOCIALE assicurativo-previdenziale, in presenza dei presupposti previsti dalla legge e si realizza necessariamente a seguito di una domanda amministrativa che può essere presentata soltanto dopo la verifica dell’esistenza e della misura del credito, in sede di ammissione
al passivo fallimentare o della liquidazione coatta amministrativa, ovvero dopo la formazione di un titolo esecutivo e l’esperimento infruttuoso, in tutto o in parte, dell’esecuzione forzata, nelle ipotesi di datore di lavoro non assoggettato a procedure concorsuali in quanto non fallibile (in base a verifica, tanto del Tribunale fallimentare in esito all’istruttoria prefallimentare: Cass. 6 settembre 2018 n. 21734; tanto, in via incidentale, del giudice adito per l’erogazione della prestazione previdenziale: Cass. 28 gennaio 2020 n. 1887; Cass. 15 giugno 2020 n. 11531) o perché il lavoratore, insinuatosi tardivamente al passivo del suo fallimento, non sia stato ammesso per la previa chiusura per insufficienza di attivo (Cass. 28 gennaio 2020 n. 1886), sempre che prima di agire per la condanna del RAGIONE_SOCIALE abbia esperito l’azione esecutiva contro il datore di lavoro tornato in bonis e il patrimonio di quest’ultimo sia risultato incapiente (Cass. 16 marzo 2021 n. 7350).
L’intervento del RAGIONE_SOCIALE ha carattere sussidiario ed è invocabile, dunque, se ed in quanto il credito non sia altrimenti recuperabile (cfr. Cass. n. 28091 del 2017), allo scopo di tutelare, assicurando il tfr, anche quei lavoratori che siano alle dipendenze di datori di lavoro non assoggettabili per qualsiasi ragione ad una procedura concorsuale.
Orbene, nel caso di specie -come eccepito dall’ in maniera senz’altro condivisibile fin dal primo grado del giudizio -non può ritenersi che il sia in possesso di un titolo esecutivo idoneo ai fini di un valido accertamento giudiziale del suo credito e, quindi, anche di un corretto esperimento di un tentativo di esecuzione.
10.a. Il primo decreto ingiuntivo n.646/19 era infatti stato emesso nei confronti della società in data 24 luglio 2019, notificato alla società in persona del liquidatore e legale rappresentante in data 24.07.19 ovvero quando la società già da mesi era stata cancellata dal registro delle RAGIONE_SOCIALE (precisamente il 26.02.19).
Al riguardo mette conto osservare che è pacifico che la cancellazione volontaria dal Registro delle RAGIONE_SOCIALE di una società, a partire dal momento in cui si verifica l’estinzione della società medesima impedisce che essa possa ammissibilmente agire o essere convenuta in giudizio (cfr. Cass. SS.UU. 6071/2013; 24853/2018). La cancellazione della società dal registro delle RAGIONE_SOCIALE, come si evince dall’espressione utilizzata nell’art. 2495 c.c. (‘ ferma restando l’estinzione ‘) , ha, infatti, natura costitutiva e, pertanto, determina l’estinzione della Società anche ove persistano creditori da soddisfare.
E’ appena il caso di rilevare che tale situazione non può non ripercuotersi anche sull’idoneità del tentativo di esecuzione, che presuppone a monte la disponibilità da parte dell’istante di un titolo esecutivo valido e, almeno alla stregua di una valutazione ex ante , eseguibile. In tale contesto, la stessa notifica del decreto ingiuntivo effettuata
nei confronti del liquidatore e legale rappresentante della società ormai estinta, tale
, deve considerarsi tamquam non esset , in quanto l’effetto estintivo che deriva dalla cancellazione, determina il venir meno del potere di rappresentanza dell’ente estinto in capo al liquidatore stesso (cfr. ex plurimis Cass., 22863/2011; 6070/2013; in ambito tributario, Cass., 32179/2022).
10.b. Difetta tuttavia un valido accertamento giudiziale del credito anche con riferimento al decreto ingiuntivo. n.347/22 emesso e notificato nei confronti del socio della società RAGIONE_SOCIALE, notificato allo stesso in data 13.12.22.
Correttamente, infatti, l’ ha obiettato fin dal primo grado che il decreto ingiuntivo in questione non era stato richiesto ed ottenuto nei confronti di tutti i soci della RAGIONE_SOCIALE.
Al riguardo è decisivo osservare, ad onta di quanto sostenuto dall’appellante, che a pagina 1 del Verbale di assemblea ordinaria in data 31 dicembre 2018 che aveva approvato il bilancio finale di liquidazione e la successiva cancellazione (allegato in atti dallo stesso ricorrente) si attestava che: ‘Assume la Presidenza dell’assemblea il sig.
liquidatore il quale su designazione dei presenti chiama a fungere da segretario il sig. il quale, presente, accetta.
Dopodichè, il Presidente, ai sensi dell’art. 2.479 bis c.c. verifica la regolare costituzione dell’assemblea, accerta l’identità dei soci e la legittimazione degli stessi alla partecipazione. Rileva sinteticamente che all’odierna assemblea sono presenti, oltre ad esso Presidente, tutti i soci rappresentanti in proprio l’intero capitale sociale; avverte che i nomi dei soci intervenuti e dell’organo amministrativo, sono contenuti in un foglio a parte che unitamente alla documentazione relativa alla convocazione dell’assemblea dei soci e delle risultanze delle votazioni della presente assemblea, vengono ritirate e conservate agli atti della società. Dichiara, così, il Presidente l’assemblea così costituita in forma totalitaria e atta a deliberare sugli accapi dell’ordine del giorno’ .
11. Dunque non è affatto vero quanto parte appellante afferma ovvero che fosse socio unico della cooperativa (circostanza non riveniente neppure nella visura storica camerale della cooperativa allegata in atti dall’ ); al contrario risulta dallo stesso verbale allegato dal ricorrente la presenza di una pluralità di soci proprio al momento del bilancio finale di liquidazione sicchè il lavoratore avrebbe dovuto precostituirsi un titolo giudiziale nei confronti dei soci (a ciò non ostando, la mancata distribuzione di attivo in sede di bilancio finale di liquidazione) e, quindi, esperire un serio tentativo di esecuzione ai danni di costoro; ciò che, in concreto, non è avvenuto, essendosi l’odierno ricorrente limitato ad ottenere e notificare il primo
decreto ingiuntivo nei confronti di una società ormai estinta ed il secondo nei confronti al più di un solo socio (il liquidatore ).
Vale la pena poi rimarcare quanto statuito nella sentenza della Suprema Corte n. 8529 del 15.03.2012 laddove è stato affermato che ‘ una lettura della legge nazionale orientata nel senso voluto dalla direttiva CE n. 987 del 1980 consente, secondo una ragionevole interpretazione, l’ingresso ad un’azione nei confronti del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, quando l’imprenditore non sia in concreto assoggettato al fallimento e l’esecuzione forzata si riveli infruttuosa. L’espressione “non soggetto alle disposizioni del R.D. n. 267 del 1942” va quindi interpretata nel senso che l’azione della citata L. n. 297 del 1982, ex art. 2, comma 5, trova ingresso quante volte il datore di lavoro non sia assoggettato a fallimento, vuoi per le sue condizioni soggettive vuoi per ragioni ostative di carattere oggettivo ‘.
Orbene, siffatta pronuncia ha sì escluso la necessità che il credito venga in ogni caso verificato nell’ambito della procedura fallimentare, ben potendosi l’insolvenza del datore di lavoro accertare con modalità e in sedi diverse, onde tutelare coloro il cui credito non sia stato ivi accertato in conseguenza della chiusura anticipata del fallimento per assoluta insufficienza dell’attivo e della dichiarazione di improseguibilità dell’opposizione proposta dal creditore, ex art. 98 L.F., avverso il provvedimento con cui è stata respinta la sua domanda di ammissione al passivo, ma ha al contempo ribadito, dando continuità all’orientamento già espresso in precedenti occasioni, la necessità di esperire previamente nei confronti del debitore, sul presupposto del possesso di un valido titolo esecutivo, un’azione esecutiva, dalla quale emerga l’insufficienza delle garanzie patrimoniali del medesimo.
Il Collegio di legittimità nella richiamata decisione ha, infatti, chiarito che ‘ Nell’ipotesi esaminata, il lavoratore potrà, dunque, giovarsi del meccanismo di cui alla L. n. 297 del 1982, art. 2, comma 5, dimostrando di avere esperito infruttuosamente una procedura di esecuzione e, nel caso in cui si prospetti la possibilità di ulteriori forme di esecuzione, di avere esperito tutte quelle che, secondo l’ordinaria diligenza, si prospettino fruttuose – non essendo egli tenuto ad esperire azioni esecutive che appaiano infruttuose o aleatorie, in un raffronto tra i loro costi certi e i benefici futuri, valutati secondo un criterio di probabilità (cfr. Cass. n. 11379/2008, Cass. n. 14447/2004) ovvero dimostrando che la mancanza o l’insufficienza delle garanzie patrimoniali del debitore debbono ritenersi provate in relazione alle particolari circostanze del caso concreto (cfr. Cass. n. 9108/2007). Il principio da affermare, quindi, è che, ai fini della tutela prevista dalla L. n. 297 del
1982 in favore del lavoratore, per il pagamento del t.f.r. in caso di insolvenza del datore di lavoro, nel caso in cui l’accertamento del credito in sede fallimentare sia stato impedito a causa della chiusura anticipata della procedura per insufficienza dell’attivo, il credito stesso può essere accertato anche in sede diversa da quella fallimentare e il lavoratore può conseguire le prestazioni del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE costituito presso l’ alle condizioni previste dalla L. n. 297 del 1982, art. 2, comma 5, essendo sufficiente, in particolare, che egli abbia esperito infruttuosamente una procedura di esecuzione – salvo che risultino in atti altre circostanze le quali dimostrino che esistono altri beni aggredibili con l’azione esecutiva – sempre che l’esperimento dell’esecuzione forzata non ecceda i limiti dell’ordinaria diligenza ‘.
Nel caso in scrutinio non risulta che l’appellante abbia provveduto ad ottenere e notificare il presunto titolo esecutivo nei confronti dei soci della società ormai estinta.
In proposito, benché si tratti di indicazioni non vincolanti, è opportuno evidenziare che lo stesso messaggio n. 3854 del 24.10.2019 (pure menzionato da parte ricorrente nel ricorso di primo grado), disciplinando la materia in esame prevede che ‘ La cancellazione dal Registro delle RAGIONE_SOCIALE di una società (di persone o di capitali) ne determina l’estinzione, con la conseguenza che non sono idonei ad instaurare un valido processo sia l’eventuale proposizione di domanda giudiziale nei confronti di società cancellata sia la notifica alla stessa società di un decreto ingiuntivo.
La cancellazione della società non determina, tuttavia, l’estinzione dei rapporti giuridici attivi e passivi della società stessa, ma determina un fenomeno successorio, con il conseguente trasferimento ai soci delle obbligazioni sociali. I soci stessi, pertanto, sono i legittimi contraddittori nei giudizi volti all’accertamento dei debiti sociali e rispondono delle stesse obbligazioni illimitatamente o nei limiti del riscosso a seguito della liquidazione, a seconda del regime giuridico della società (di persone o di capitali) disciplinato dal codice civile.
Gli operatori delle Strutture territoriali, pertanto, nell’ambito dell’istruttoria delle domande di intervento del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE ai sensi dell’articolo. 2, comma 5, della L. n. 297/82, presentate dopo la cancellazione della società datrice di lavoro dal Registro delle RAGIONE_SOCIALE, dovranno verificare che la data di notifica del ricorso e del pedissequo decreto ingiuntivo non sia successiva alla data di cancellazione.
In caso contrario, si dovrà verificare che il decreto ingiuntivo sia stato notificato legittimamente anche ai soci e, in difetto, le domande dovranno essere respinte per mancanza della prova giudiziale del credito ‘.
Né può ritenersi che i creditori sociali dovrebbero agire esecutivamente nei confronti dei soci di una società cancellata ed estinta solo allorché risulti positivamente dimostrato che tali soci abbiano riscosso somme in base al bilancio finale di liquidazione, con la conseguenza che nella fattispecie de qua , non risultando alla chiusura dell’esercizio una distribuzione dell’attivo in favore dei soci della cooperativa il decreto ingiuntivo non andava chiesto nei loro confronti e agli stessi notificato.
Rappresenta, invero, orientamento pacifico della Corte di cassazione quello secondo cui la cancellazione volontaria della società di capitali non produce anche l’estinzione dei debiti sociali, i quali si trasferiscono in capo ai soci, in virtù di una successione ‘pro quota’ nel lato passivo della medesima obbligazione originariamente sorta in capo alla società (Cass., Sez. V Civile, Ord. 22 dicembre 2022 n. 37614; Cass., Sez. Unite Civili, 12 marzo 2013, n. 6070).
Trattasi di un fenomeno devolutivo assimilabile a quello successorio, con subentro dei soci nella posizione del debitore nei confronti dei creditori sociali, secondo le dinamiche proprie della successione universale.
Su tale qualificazione, come rilevato dal Supremo Collegio, non può incidere in alcun modo la limitazione di responsabilità all’ammontare delle somme riscosse, analogamente a quanto accade in materia ereditaria, ove il successore che risponde solo intra vires dei debiti trasmessigli mantiene, comunque, tale qualifica.
Inoltre, la successione dei soci nei debiti sociali risulta imprescindibile al RAGIONE_SOCIALE di impedire che la società debitrice possa, con un proprio comportamento unilaterale, che sfugge al controllo del creditore, espropriare quest’ultimo del suo diritto, ciò ancor più laddove si consideri che l’art. 2942 c.c. nulla prevede circa la possibilità per il creditore di proporre reclamo avverso il bilancio finale di liquidazione della società debitrice, il cui deposito prelude alla cancellazione.
Dunque, i soci sono sempre ‘ destinati a succedere nei rapporti debitori già facenti capo alla società cancellata (ma non definiti all’esito della cancellazione) a prescindere dall’aver questi goduto o meno di un qualche riparto in base al bilancio finale di liquidazione ‘ (Cass., Sez. Trib., n. 9672/2018).
La responsabilità dei soci verso i creditori, pertanto, sorge per il semplice fatto della esistenza di creditori che non hanno potuto concorrere alla liquidazione del patrimonio sociale sino a loro soddisfazione, e ciò a prescindere da qualsiasi limitazione ‘quantitativa’ della stessa.
La mancata ripartizione dell’attivo in sede di bilancio finale non configura una condizione sufficiente per evitare la responsabilità successoria degli ex soci; l’avere essi percepito una qualche utilità all’esito della liquidazione, infatti, lungi dall’incidere sulla loro legittimazione passiva, rappresenta tutt’al più uno degli elementi che possono andare a costituire l’interesse ad agire del creditore (Cass. 07.04.2017, n. 9094; Cass., Sez. Un., nn. 6070 e 6072 del 2013).
E allora, se da un lato può esser vero che, nel caso in cui i soci non abbiano percepito nulla all’esito della liquidazione, la limitazione di responsabilità risulterà così dirompente da poter sottrarre al creditore l’interesse a instaurare un giudizio, dall’altro lato tale eventualità non può assurgere a regola di sistema, in quanto il creditore ben potrebbe mantenere un (altro) interesse a veder accertato giudizialmente il proprio credito.
Insomma, il concetto di interesse ad agire ha una natura dinamica, che rifugge da considerazioni statiche allo stato degli atti, atteso che, in caso di sopravvenienza o sopravvivenze societarie passive, numerose possono essere le ipotesi in cui in concreto può rinvenirsi un interesse del creditore a ottenere una pronuncia giudiziale a sé favorevole contro i soci della società cancellata ed estinta – ancorché in concreto da questi non possa ottenere alcuna soddisfazione delle proprie ragioni a causa della limitazione di responsabilità di cui godono – tra le quali va annoverata proprio quella in cui egli intenda azionare eventuali garanzie per le quali è richiesta la preventiva escussione del patrimonio del debitore principale.
Nella specie, dunque, il lavoratore avrebbe dovuto diligentemente accertarsi, prima di richiedere l’ingiunzione di pagamento, dello stato della società, così da avvedersi tempestivamente della sua cancellazione e da poter conseguentemente indirizzare l’azione monitoria nei confronti dei soci.
Per tutto quanto sopra esposto, il lavoratore non può dirsi in possesso di un titolo esecutivo che abbia accertato il suo credito per TFR nei confronti della società datrice di lavoro, poiché il decreto ingiuntivo a tal RAGIONE_SOCIALE invocato è stato ottenuto e notificato (dopo quello nei confronti della società dopo la cancellazione di questa) unicamente nei confronti di un solo socio (lo stesso ex liquidatore della società) ma non verso tutti, situazione che determina la mancanza dei requisiti ex lege richiesti per l’intervento del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE istituito presso l’Ente previdenziale.
Si ritiene, in conclusione, del tutto carente il presupposto normativo che condiziona l’erogazione delle prestazioni a carico dell’ quale gestore del RAGIONE_SOCIALE, vale a dire l’accertamento giurisdizionale del credito nei confronti del
datore di lavoro, per tale non potendosi intendere né il decreto ingiuntivo richiesto, ottenuto e notificato nei confronti di una società estinta in quanto cancellata dal Registro delle RAGIONE_SOCIALE né quello nei confronti di un solo socio.
12. Anche il secondo motivo va disatteso
Preliminarmente va rilevato che risultano menzionate o allegate in atti varie sentenze relative ad altri lavoratori della medesima cooperativa che, a vario titolo, avevano visto egualmente respinta dall’ la loro richiesta di accesso al RAGIONE_SOCIALE.
Ad ogni buon conto, l’eventuale decisione favorevole adottata dall’ nei confronti di altro lavoratore che si assume versare nella medesima specifica condizione dell’appellante non può spiegare alcuna efficacia in questa Sede ove, come risaputo, occorre valutare la sussistenza o meno del diritto azionato a prescindere dalle determinazioni, corrette o errate, assunte nella preventiva fase amministrativa.
Peraltro, l’ ha anche evidenziato nella propria memoria di costituzione di aver avviato procedura di recupero della prestazione erogata al lavoratore in quanto erogata sine titulo .
Sulla scorta di tutte le precedenti considerazioni, l’appello deve essere rigettato e, per l’effetto, la sentenza impugnata confermata.
Resta assorbita ogni altra questione.
Le spese di questo grado del giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate nella misura indicata in dispositivo in ossequio ai parametri di cui al D.M. n. 147/2022 tenuto conto del valore della controversia, dell’impegno profuso e del pregio dell’opera prestata.
Deve, inRAGIONE_SOCIALE, darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per l’applicazione nei confronti dell’appellante dell’art. 13, comma 1quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, spettando, peraltro, all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo per l’inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento (v. Cass., sez. un., n. 4315/2020).
P.Q.M.
La Corte di appello di Bari – Sezione Lavoro, definitivamente pronunciando sull’appello proposto con ricorso depositato il 13 novembre 2024 da avverso la sentenza n.1729/2024 resa dal Tribunale di Foggia il 29 maggio 2024 nei confronti dell’ , così provvede:
rigetta l’appello e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata;
condanna al pagamento in favore della parte appellata delle spese del presente grado che liquida in complessivi euro 2000,00 oltre rimborso forfetario per spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e c.p.a. come per legge;
dà atto della sussistenza dei presupposti per l’applicazione nei confronti dell’appellante dell’art. 13, comma 1quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, in materia di versamento dell’ulteriore importo del contributo unificato nella misura ivi specificata, se dovuto.
Così deciso in Bari, il 3 novembre 2025
Il Presidente estensore AVV_NOTAIOAVV_NOTAIO NOME