Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23581 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 23581 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso 19502-2022 proposto da:
COGNOME NOME, rappresentata e difesa, in forza di procura conferita in calce al ricorso per cassazione, dall’avvocato NOME COGNOME, ed elettivamente domiciliata presso l’indirizzo PEC del difensore
-ricorrente –
contro
RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso, in forza di procura conferita in calce al ricorso per cassazione, dagli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, con domicilio eletto in ROMA, INDIRIZZO, presso l’Avvocatura centrale dell’Istituto
-controricorrente – per la cassazione della sentenza n. 33 del 2022 della C ORTE D’APPELLO DI BRESCIA, depositata l’8 febbraio 2022 (R.G.N. 235/2021).
R.G.N. 19502/2022
COGNOME.
Rep.
C.C. 28/3/2024
7/07/2022 giurisdizione Azione nei confronti del RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE istituito presso l’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE.
Udita la relazione della causa, svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
-La dottoressa NOME COGNOME ricorre per cassazione, sulla base di due motivi, contro la sentenza n. 33 del 2022, pronunciata dalla Corte d’appello di Brescia e depositata l’8 febbraio 2022, che ha respinto il gravame contro la pronuncia del Tribunale della medesima sede e ha dunque confermato il rigetto della domanda di condanna del RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE istituito presso l’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE al pagamento della somma di Euro 80.271,17.
-L’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso .
-Il ricorso è stato fissato per la trattazione in camera di consiglio, ai sensi degli artt. 375, secondo comma, e 380bis .1., primo comma, cod. proc. civ.
-Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni scritte.
-All’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni (art. 380bis .1., secondo comma, cod. proc. civ.).
RAGIONI RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE DECISIONE
-Gli antecedenti di fatto, da cui prende le mosse l’odierno giudizio, non sono controversi tra le parti.
La ricorrente, dipendente di RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, il primo marzo 2011 è passata alle dipendenze di RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, affittuaria del ramo d’azienda.
Il 26 settembre 2011, il Tribunale di Brescia ha dichiarato il fallimento di RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE e il curatore ha esercitato la facoltà di recedere dall’affitto d’azienda.
La ricorrente, tornata alle dipendenze di RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, è stata licenziata per giustificato motivo oggettivo il 27 aprile 2012.
Il 27 settembre 2013, anche RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE è stata dichiarata fallita.
Il 26 maggio 2015, la ricorrente ha presentato al giudice delegato del fallimento di RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE istanza per la consultazione dei documenti riguardanti il contratto di assunzione e i prospetti paga, istanza respinta in pari data, in quanto generica.
Il 6 novembre 2015, il fallimento di RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE è stato chiuso per mancanza di attivo, ai sensi dell’art. 118, primo comma, n. 4, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267.
Il 18 febbraio 2016, RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE è stata cancellata dal registro delle imprese.
-La ricorrente, il 5 giugno 2017, ha presentato domanda all’IN PS, rivendicando il pagamento dei crediti insoddisfatti e, «in particolare, a causa dell’intervenuto licenziamento senza preavviso, l’intera relativa indennità» (pagina 6, punto 5 del ricorso per cassazione).
La domanda, respinta in sede amministrativa, è stata coltivata in giudizio, ma è stata disattesa tanto dal Tribunale quanto dalla Corte d’appello di Brescia.
A fondamento della decisione impugnata per cassazione, la Corte territoriale ha richiamato l’orientamento comunemente recepito dalla giurisprudenza di legittimità, che subordina l’intervento del RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE alla prova dell’ammissione al passivo. In mancanza di tale ammissione, occorre dimostrare che l ‘ esame della domanda tardiva d ‘ insinuazione sia stata impedita dalla previa chiusura del fallimento per insufficienza di attivo, sempre che, in tal caso, prima di agire per la condanna del RAGIONE_SOCIALE, il lavoratore abbia esperito l ‘ azione esecutiva contro il datore di lavoro tornato in bonis e il patrimonio di quest ‘ ultimo sia risultato incapiente (Cass., sez. lav., 28 gennaio 2020, n. 1886).
Questa Corte, nelle pronunce menzionate dalla sentenza d’appello (pagine 8 e 9), ha affermato che «il previo esperimento di un ‘ azione volta a conseguire un titolo esecutivo nei confronti del datore di lavoro insolvente, lungi dal costituire un onere inutilmente dispendioso,
costituisce piuttosto un presupposto non solo letteralmente, ma anche logicamente necessario, giacché, da un punto di vista sistematico, l ‘ accertamento giurisdizionale della misura del TFR dovuto in esito all ‘ ammissione allo stato passivo ovvero la sua consacrazione in un titolo esecutivo conseguito nei confronti del datore di lavoro rappresentano la modalità necessaria per l ‘ individuazione della misura stessa dell ‘ intervento solidaristico del RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, essendo l ‘ ente previdenziale terzo rispetto al rapporto di lavoro inter partes ed essendo nondimeno la sua obbligazione modulata sul TFR maturato in costanza di rapporto di lavoro (Cass. 28 gennaio 2020, n. 1886; Cass. 19 febbraio 2021, n. 4061)» (Cass., sez. VI-L, 9 dicembre 2021, n. 39157, punto 3.1. del Considerato ).
Poste tali premesse, la Corte d’appello di Brescia ha evidenziato, in punto di fatto, che la ricorrente non si è efficacemente adoperata per ottenere l’ ammissione del credito al passivo e non ha offerto prova persuasiva dell’impossibilità di esperire un’azione di accertamento nei confronti della società, tornata in bonis dopo la chiusura del fallimento, e quindi verso i soci.
I giudici del gravame, nel confermare la pronuncia del Tribunale, hanno osservato, a tale riguardo, che la ricorrente «tenuto conto del tempo trascorso tra la chiusura del fallimento e la cancellazione dal registro delle imprese (tre mesi e mezzo) ben poteva con l’ordinaria diligenza promuovere in tale lasso di tempo un giudizio avanti il Tribunale di Brescia per ottener e l’accertamento del credito e un titolo esecutivo, il che le avrebbe permesso di rimediare all’impossibilità di vedere accertato il proprio credito in sede di ammissione allo stato passivo» (pagina 9 della sentenza d’appello).
A ciò si affianca il rilievo che «la lavoratrice aveva anche l’ulteriore possibilità di agire nei confronti dei singoli soci dopo la cancellazione della società dal registro dell’impresa ai sensi dell’art. 2495 cod. civ., eventualmente anche al solo fine di ottenere una sentenza meramente
accertativa del credito» (la già citata pagina 9 della pronuncia d’appello).
3. -Con il primo mezzo, la ricorrente deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2, secondo e quinto comma, della legge 29 maggio 1982, n. 297, anche in relazione al principio dell’ordinaria diligenza enunciato dall’art. 1176 cod. civ. e al diritto di difesa garantito dall’art. 24 Cost.
3.1. -Avrebbe errato la Corte di merito nel rigettare la domanda, a dispetto della diligenza profusa dalla parte nell’ottenere l’accertamento del credito e della «obiettiva impossibilità di tale accertamento» (la sintesi del motivo, riprodotta a pagina 3 dell’atto d’impugnazione).
A supporto della censura, la ricorrente allega anche il carattere «particolarmente tortuoso, complesso e travagliato» del procedimento che ha condotto all’instaurazione del giudizio e il contegno «sfuggente» dell’Istituto, che si sarebbe arroccato dietro « eccezioni processuali pacificamente infondate, dilatorie e prive di pregio» (pagina 7 del ricorso, punto 10), in contrasto con i «principi di trasparenza, lealtà, correttezza e buon andamento» (pagina 8 del ricorso, punto 12).
Erronea, dunque, sarebbe la sentenza impugnata, nella parte in cui ha reputato irrilevante l’impossibilità di spiegare tempestiva insinuazione al passivo per l’ingiustificato diniego di accesso al fascicolo fallimentare e ha considerato praticabile l’azione contro il datore di lavoro tornato in bonis per un breve arco temporale. Infruttuosa, oltre che foriera di costi ragguardevoli, sarebbe stata anche l’azione nei confronti dei soci. La Corte di merito non avrebbe tenuto nel debito conto le «peculiarità specifiche» della fattispecie concreta, che imp orrebbero una «più elastica e ‘modulata’ applicazione» delle regole di diritto vigenti in tale àmbito (pagina 24 del ricorso per cassazione).
La ricorrente richiama la giurisprudenza, che dispensa il creditore dall’onere di promuovere l’esecuzione forzata, quando l’esperimento
della tutela esecutiva ecceda i limiti dell’ordinaria diligenza e la mancanza o l’insufficienza delle garanzie patrimoniali sia da considerarsi acclarata. Ad avviso della ricorrente, i medesimi principi si attaglierebbero anche allo «specifico tema dell’accertamento del credito» (pagina 27 del ricorso per cassazione).
3.2. -Il motivo si rivela inammissibile.
3.2.1. -Il ricorso non contesta le premesse in diritto che la sentenza impugnata pone a fondamento della decisione impugnata, in linea con la giurisprudenza costante di questa Corte.
Tali premesse attengono al prius logico e giuridico della necessità dell’accertamento in giudizio del credito vantato, accertamento che rappresenta il presupposto imprescindibile dell’intervento solidaristico del RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE.
Le doglianze si appuntano sulla possibilità di conseguire, con l’ordinaria diligenza, un siffatto accertamento.
3.2.2. -Tale profilo involge l’apprezzamento di fatto, compiuto dalla Corte d’appello in consonanza con le valutazioni già espresse dal giudice di prime cure.
Le censure, nel loro complesso, si prefiggono di sovvertire l’ inquadramento dei dati probatori in ordine alla diligenza profusa dalla parte, così come cristallizzato in una ‘doppia conforme’, e si dimostrano, da questo punto di vista, inammissibili.
La Corte d’appello di Brescia, nel confermare la pronuncia del Tribunale, ha ponderato tutti gli elementi acquisiti al giudizio e ha valutato in modo coerente e circostanziato la concreta possibilità di ottenere il previo accertamento del credito, analizzando la vicenda nel dipanarsi di tutte le sue fasi.
La diligenza è stata scrutinata in modo complessivo ed esauriente in rapporto alla fase dell’apertura della procedura fallimentare e a quella del ritorno in bonis della società e, da ultimo, al momento successivo alla cancellazione della società dal registro delle imprese.
Le critiche s’incentrano su singoli aspetti della più complessa vicenda di fatto, senza incrinare, tuttavia, la tenuta logica e giuridica del vaglio che, in maniera organica , ha compiuto la sentenza d’appello , adempiendo al compito di valutare in concreto la fattispecie controversa.
La ricorrente si duole che la Corte di merito non abbia conferito il necessario rilievo all’istanza di accesso ai documenti , in seno alla procedura fallimentare, istanza che ritiene sia stata arbitrariamente respinta.
Tale argomento, tuttavia, si dimostra apodittico e, per altro verso, privo di valenza decisiva.
Quanto all’illegittimità del rifiuto opposto dal giudice delegato, è soltanto adombrata, senza il supporto di più solidi elementi probanti. Peraltro, alla parte non è precluso dolersi con lo strumento del reclamo (art. 26 r.d. n. 267 del 1942) del provvedimento contra legem del giudice delegato o comunque, in difetto di ogni preclusione da giudicato, riproporre una nuova istanza, corredata dai riferimenti che il giudice aveva in prima battuta ritenuto mancanti (Cass., S.U., 10 maggio 2001, n. 181).
Si deve considerare, inoltre, che non è su questo profilo che la decisione impugnata fa leva in via dirimente, in quanto valuta anche, in una prospettiva più ampia, la possibilità di agire contro la società tornata in bonis e quindi contro i soci.
Riguardo a tale aspetto, la censura si limita a contrapporre alla valutazione della Corte d’appello di Brescia l’infruttuosità dell’azione, che investe, nondimeno, il profilo della tutela esecutiva, senza scalfire l’argomento c he valorizza la possibilità, rilevante in questa sede, di ottenere comunque, in tutte le scansioni che segnano la vicenda, un accertamento del credito opponibile all’ente previdenziale.
Né tale possibilità, che rappresenta il fulcro della decisione impugnata e che attiene a un momento temporalmente e logicamente
pregiudiziale, è contraddetta dal contegno di scarsa cooperazione che la parte addebita all’RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, nella successiva fase del procedimento amministrativo e del giudizio.
3.2.3. -La sentenza d’appello si è conformata, pertanto, ai principi di diritto enunciati da questa Corte e, all’esito di una particolareggiata ricostruzione di tutte le circostanze rilevanti, ha valutato i presupposti per l’accesso alla tutela erogata dal RAGIONE_RAGIONE_SOCIALE, senza discostarsi dal paradigma normativo, enucleato dalla disciplina di cui alla legge n. 297 del 1982, interpretata anche alla luce delle prescrizioni invocate nell’odierno ricorso (art. 24 Cost. e art. 1176 cod. civ.).
Nel sollecitare a questa Corte una valutazione più ‘elastica’ della diligenza doverosa, il motivo di ricorso, pur denunciando la violazione di legge, ambisce, in definitiva, a una rivisitazione più favorevole della vicenda di fatto, rivisitazione che in questa sede di legittimità risulta preclusa (Cass., S.U., 27 dicembre 2019, n. 34476).
-Infondato, infine, è il secondo mezzo, con cui la ricorrente denuncia, sempre in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, e dell’art. 1, comma 17, della legge 28 dicembre 2012, n. 228.
4.1. -La ricorrente sostiene che la particolarità della fattispecie, contraddistinta da una complessità elevata, si frapponga alla necessità di applicare una normativa, preordinata a scoraggiare le impugnazioni dilatorie e pretestuose.
4.2. -La tesi illustrata nel secondo motivo di ricorso non può essere condivisa.
Questa Corte ha chiarito che l’insorgere dell’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, non si correla alla
condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito del gravame, in senso negativo al ricorrente (Cass., sez. III, 21 settembre 2023, n. 26981).
Fatto che il giudice si limita ad attestare, senza esprimere valutazioni discrezionali di sorta (Cass., S.U., 20 febbraio 2020, n. 4315).
La legge, invero, conferisce «al giudice dell ‘ impugnazione il solo potere-dovere di rilevare la sussistenza o meno dei presupposti per l ‘ applicazione del raddoppio del contributo unificato, cioè che l ‘ impugnazione sia stata rigettata integralmente, ovvero dichiarata inammissibile o improcedibile. Pertanto, non può e non deve il giudice che definisce l ‘ impugnazione operare valutazioni o declaratorie di sorta, visto che la sussistenza o meno di quei presupposti è un fatto insuscettibile di diversa estimazione e che il rilevamento di quelli non è legato in alcun modo alla condanna alle spese, ma è reso oggetto di una mera presa d ‘ atto; ed il capo del provvedimento con una tale presa d ‘ atto costituisce solo il presupposto per l ‘ insorgenza dell ‘ obbligo di pagamento in capo al soccombente» (Cass., sez. III, 14 marzo 2014, n. 5955, punto 7.3. dei Motivi della decisione ).
Né giova richiamare, in senso contrario, la giurisprudenza di questa Corte, che, in conformità alla ratio della previsione e alla sua finalità lato sensu sanzionatoria, reputa inapplicabile l ‘ obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato nelle diverse e peculiari ipotesi in cui l’inammissibilità sia sopravvenuta (Cass., sez. VI -II, 2 luglio 2015, n. 13636) o si ravvisi una rinuncia al ricorso (Cass., sez. III, 5 dicembre 2023, n. 34025).
L’integrale rigetto del ricorso, per contro, rientra appieno nel perimetro definito dall’art. 13, comma 1 -quater , del Testo unico sulle spese di giustizia.
5. -Il ricorso, in ultima analisi, dev’essere rigettato.
6. -Le spese del presente giudizio, liquidate nella misura indicata in dispositivo alla stregua del valore della controversia e dell’attività processuale svolta, seguono la soccombenza.
7. -L’integrale rigetto del ricorso, proposto dopo il 30 gennaio 2013, impone di dare atto, anche in questa sede, dei presupposti per il sorgere dell’obbligo del la ricorrente di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, ove sia dovuto (Cass., S.U., 20 febbraio 2020, n. 4315).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente a rifondere alla parte controricorrente le spese del presente giudizio, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, in Euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15% e agli accessori di legge. Dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, a norma del comma 1bis dell’art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quarta Sezione