Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23510 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 23510 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 18/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 10597-2022 proposto da
COGNOME rappresentata e difesa, in virtù di procura conferita in calce al ricorso per cassazione, dall’avvocato NOME COGNOME con domicilio eletto presso il suo indirizzo PEC
-ricorrente –
contro
ISTITUTO RAGIONE_SOCIALE (INPS), in persona del legale rappresentante pro tempore , rappresentato e difeso, in virtù di procura conferita in calce al controricorso, dagli avvocati COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, COGNOME ed elettivamente domiciliato presso l’Avvocatura centrale dell’Istituto, in ROMA, INDIRIZZO
-controricorrente – per la cassazione della sentenza n. 923 del 2021 della CORTE D’APPELLO DI MILANO, depositata il 13 ottobre 2021 (R.G.N. 207/2021).
Udita la relazione della causa, svolta nella camera di consiglio del 29 aprile 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
R.G.N. 10597/2022
COGNOME
Rep.
C.C. 29/4/2025
giurisdizione Accesso al Fondo di garanzia per il pagamento del TFR. Presupposti. Titolo esecutivo.
FATTI DI CAUSA
1. -Con sentenza n. 923 del 2021, depositata il 13 ottobre 2021, la Corte d’appello di Milano ha accolto il gravame dell’INPS e, in riforma della pronuncia del Tribunale di Varese, ha respinto la domanda della signora NOME COGNOME volta a ottenere la condanna dell’INPS a corrispondere l’importo lordo di Euro 24.917,94, a titolo di trattamento di fine rapporto (TFR), maggiorato di rivalutazione monetaria e d’interessi.
A fondamento della decisione, la Corte territoriale argomenta che la lavoratrice, dipendente di RAGIONE_SOCIALE fino al 6 febbraio 2012, non ha provveduto con l’ordinaria diligenza all’attuazione «di quanto necessario al pagamento del credito per TFR» (pagina 4 della pronuncia d’appello) da parte del datore di lavoro, cancellato dal registro delle imprese il 25 giugno 2013 e dichiarato fallito il 14 novembre 2014, con sentenza poi revocata il 31 maggio 2015 dalla Corte d’appello di Milano.
Il lavoratore che vanta un credito verso il datore di lavoro deve munirsi di un titolo esecutivo e, quando il datore di lavoro non sia assoggettato a fallimento, deve dar prova di aver agito in executivis con esito negativo.
Benché non si possano esigere adempimenti sproporzionati rispetto allo scopo, neppure è ammissibile «il totale disinteresse da parte del lavoratore al recupero del suo credito dal diretto debitore, mediante la formazione di un titolo esecutivo con cui atti vare l’eventuale azione esecutiva ovvero richiedere l’intervento sostitutivo del Fondo» (pagina 6 della sentenza d’appello).
Dal 6 febbraio 2012, data in cui il credito è divenuto liquido ed esigibile, al 30 giugno 2016, data del deposito di un ricorso monitorio nei confronti dell’INPS, peraltro disatteso dal Tribunale, nessuna attività giudiziale è stata coltivata per ottenere il pagamento del credito.
-La signora NOME COGNOME ricorre per cassazione contro la sentenza d’appello, formulando quattro motivi di censura, illustrati da memoria in vista della trattazione camerale.
-L’INPS resiste con controricorso.
-Il ricorso è stato fissato per la trattazione in camera di consiglio.
-Il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni scritte.
-All’esito della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. -Con il primo motivo (art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.), la ricorrente denuncia la nullità della sentenza o del procedimento in relazione all’art. 342 cod. proc. civ.
Né l’atto di gravame dell’Istituto né la sentenza d’appello avrebbero adeguatamente confutato la premessa argomentativa della pronuncia del Tribunale di Varese, che ha escluso la necessità del previo esperimento dell’esecuzione forzata quando tali iniziative eccedano i limiti dell’ordinaria diligenza o quando siano comprovate la mancanza o l’insufficienza delle garanzie patrimoniali. A tale riguardo, la motivazione della Corte di merito sarebbe «apparente ed intrinsecamente contraddittoria» (pagine 20 e 21 del ricorso per cassazione).
2. -Con il secondo mezzo (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), la ricorrente deduce la violazione o la falsa applicazione dell’art. 2, quinto comma, della legge 29 maggio 1982, n. 297, in relazione agli artt. 2484 e seguenti del codice civile.
Avrebbe errato la Corte di merito nel negare la diligenza della lavoratrice, senza tener conto della cancellazione della società datrice di lavoro in data 25 giugno 2013, «a seguito della sua liquidazione risultata del tutto infruttuosa» (pagina 24 del ricorso per cassazione). Circostanza, quest’ultima, che suffragherebbe l’insufficienza della garanzia patrimoniale e l’impossibilità di esperire azioni esecutive.
3. -Con la terza critica (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), la ricorrente si duole della violazione o della falsa applicazione dell’art. 2, quinto comma, della legge n. 297 del 1982, in relazione all’art. 3 Cost.
La sentenza d’appello meriterebbe censura anche per aver attribuito una valenza ostativa al mancato esperimento dell’esecuzione forzata. Il riconoscimento della tutela del Fondo di garanzia ai soli lavoratori che abbiano ottenuto un titolo esecutivo vanificherebbe le finalità stesse che presiedono all’istituzione del Fondo e si porrebbe così in contrasto con l’art. 3 Cost.
4. -Con la quarta critica (art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.), la ricorrente prospetta, infine, l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti, e addebita alla sentenza d’appello di aver trascurato la documentazione sulle cospicue passività del datore di lavoro e la conseguente inutilità di un’eventuale azione esecutiva.
5. -I motivi investono il medesimo tema della diligenza che la legge richiede al lavoratore nell’intraprendere le azioni esecutive nei confronti del datore di lavoro insolvente, prima di reclamare la tutela del Fondo di garanzia.
Per la connessione che le avvince, le censure possono essere dunque esaminate congiuntamente e si rivelano inammissibili, per le dirimenti ragioni illustrate nel controricorso (pagina 4).
6. -La sentenza impugnata ha accolto il gravame dell’Istituto sulla scorta di un rilievo assorbente, che attiene alla mancanza del preventivo accertamento giudiziale del credito per TFR (pagina 5 della pronuncia).
Come si desume dalla stessa narrativa del ricorso per cassazione (pagine 11 e 12), tale tema, di per sé suscettibile di sovvertire la decisione di prime cure, è stato ritualmente devoluto con l’atto d’appello e ha priorità logica rispetto ai profili che il ricorso e la memoria
illustrativa approfondiscono, indugiando su ll’inutilità di azioni esecutive dispendiose quando l’incapienza del debitore risulti per tabulas .
7. -Sulla richiamata ratio decidendi , idonea a sorreggere in via autonoma le statuizioni di rigetto delle domande dell’odierna ricorrente, non sono state mosse critiche persuasive, che scalfiscano il percorso argomentativo della pronuncia impugnata e inducano a rimeditare le enunciazioni di principio su cui tale percorso s’incardina.
Questa Corte, invero, è costante nel l’affermare che « il previo esperimento di un ‘ azione volta a conseguire un titolo esecutivo nei confronti del datore di lavoro insolvente, lungi dal costituire un onere inutile e inutilmente dispendioso, siccome paventato da parte ricorrente, costituisce piuttosto un presupposto non solo letteralmente, ma anche logicamente necessario, giacché, da un punto di vista sistematico, l ‘ accertamento giurisdizionale della misura del TFR dovuto in esito all ‘ ammissione allo stato passivo ovvero la sua consacrazione in un titolo esecutivo conseguito nei confronti del datore di lavoro rappresentano la modalità necessaria per l ‘i ndividuazione della misura stessa dell ‘ intervento solidaristico del Fondo di garanzia, essendo l ‘ ente previdenziale terzo rispetto al rapporto di lavoro inter partes ed essendo nondimeno la sua obbligazione modulata sul TFR maturato in costanza di rapporto di lavoro» (Cass., sez. lav., 28 gennaio 2020, n. 1886, in motivazione, pagina 6).
Né giova invocare, in senso contrario, la giurisprudenza che ha escluso, in relazione alle peculiarità dei casi di specie, la necessità del preventivo esperimento di un ‘a zione esecutiva di volta in volta mobiliare o immobiliare, senza, nondimeno, revocare in dubbio la necessità che il lavoratore assicurato si munisca di un titolo esecutivo nei confronti del proprio datore di lavoro.
8. -Anche di recente, questa Corte ha ribadito che l’aleatorietà delle azioni esecutive «riguarda un posterius , laddove il requisito pregiudiziale è pur sempre la sussistenza di un titolo che a quelle azioni
consenta di dare impulso o che ne dimostri per tabulas l’impraticabilità, pur contenendo l’indispensabile accertamento della sussistenza e della misura del credito. 7. -La legge è inequivocabile nel sancire ‘ la funzione legale di elemento costitutivo per l’accesso al Fondo di Garanzia dell’accertamento in via giudiziale del credito preteso (nell’ an e nel quantum debeatur ) nei confronti dell’impresa inadempiente’ (Cass., sez. lav., 4 aprile 2023, n. 9284). La necessità d’un previo accertamento s’impone anche per il fatto che l’INPS, in quanto gestore del Fondo, è un soggetto terzo e non ha alcun titolo per contestare la fondatezza della pretesa del lavoratore verso il suo datore di lavoro. Per altro verso, l’accertamento è funzionale alla più efficace salvaguardia del diritto di surroga che, per le somme corrisposte, compete al Fondo nel privilegio attribuito al lavoratore sul patrimonio dei datori di lavoro e degli eventuali condebitori solidali. 8. -Né la formazione di un titolo che accerti il credito è preclusa dall’estinzione della società debitrice. In tale fattispecie, i soci sono destinati a succedere nei rapporti debitori già facenti capo alla società cancellata e non definiti all’esito della liquidazione e, anche ai fini processuali, non cessano di ricoprire la qualità di successori, pur se rispondono intra vires dei debiti trasmessi. L’eventuale infruttuosità dell’azione, per l’assenza di riparti in base al bilancio finale di liquidazione, non si riverbera sulla legittimazione passiva dei soci e di per sé non esclude l’interesse ad agire del creditore (Cass., S.U., 12 marzo 2013, n. 6070, punto 3 dei Motivi della decisione , richiamato anche dall’Ufficio del Pubblico Ministero alle pagine 2 e 3 della memoria scritta), che permane intatto allorché sia necessario, come avviene nel caso di specie, ottenere l’accertamento della pretesa nel contraddittorio con il datore di lavoro» (Cass., sez. lav., 28 gennaio 2025, n. 1934).
Il previo accertamento del credito si configura, in ultima analisi, come un elemento costitutivo dell’accesso al Fondo e deve preesistere
alla presentazione dell ‘istanza all’Istituto che detto Fondo gestisce (sentenza n. 1934 del 2025, cit., punto 9 delle Ragioni della decisione ).
-Né la memoria illustrativa, nel reiterare con dovizia di richiami le censure formulate nel ricorso e i rilievi sulla dispendiosità delle azioni esecutive, prospetta argomenti idonei a confutare l’eccezione d’inammissibilità sollevata dall’Istituto e a dimostrare la sussistenza dell’indefettibile presupposto di un accertamento giudiziale del credito.
-Le considerazioni illustrate conducono a dichiarare il ricorso, nel suo complesso, inammissibile.
-Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo, alla stregua del valore della controversia e dell’attività processuale svolta.
-La declaratoria d’inammissibilità del ricorso impone di dare atto dei presupposti per il sorgere dell’obbligo del la parte ricorrente di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per la stessa impugnazione, ove sia dovuto (Cass., S.U., 20 febbraio 2020, n. 4315).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna la parte ricorrente a rifondere alla parte controricorrente le spese del presente giudizio, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, in Euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso delle spese forfettarie nella misura del 15% e agli accessori di legge.
Dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, a norma del comma 1bis dell’art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quarta Sezione