Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 33949 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 33949 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 15080/2019 R.G. proposto da : COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME che lo rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME unitamente agli avvocati COGNOME COGNOME
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTED’APPELLO BRESCIA n. 368/2018 pubblicata il 09/11/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 12/12/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Brescia, con la sentenza n.368/2018 pubblicata il 9 novembre 2018, ha rigettato il gravame proposto da NOME COGNOME in contraddittorio con l’I.N.P.SRAGIONE_SOCIALE
La controversia ha per oggetto l’intervento del Fondo di garanzia ex art.2 d.lgs. n.80/1992 con riferimento alle ultime tre mensilità del rapporto di lavoro subordinato intercorso con la società RAGIONE_SOCIALE cancellata dal registro delle imprese il 9/02/2012.
Il Tribunale rigettava la domanda proposta dal Carlino, ritenendo che la procedura esecutiva nei confronti dell’ex liquidatore della società cancellata fosse stata avviata quando il termine di dodici mesi dalla cessazione del rapporto fosse già decorsa.
La Corte territoriale ha ritenuto che ai sensi dell’art.10 L.F. potesse dichiararsi il fallimento della società cancellata dal registro delle imprese, entro un anno dalla sua cancellazione; che in considerazione del saldo negativo risultante dal bilancio finale di liquidazione, il Carlino avrebbe potuto depositare tempestivamente un ricorso per la dichiarazione di fallimento della società cancellata, «il che gli avrebbe permesso agevolmente di rispettare il termine di 12 mesi, anche qualora l’istanza di fallimento fosse stata eventualmente respinta»; che trattandosi «di un datore di lavoro assoggettabile al fallimento entro un anno dalla cancellazione della società dal registro delle imprese», al fine dell’osservanza del termine ex art.2 d.lgs. 80/1992 era necessario e sufficiente il deposito di una tempestiva istanza di fallimento.
Per la cassazione della sentenza ricorre il COGNOME con ricorso affidato a due motivi. RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art.2 comma 1 d.lgs. n.80/1992, con riferimento
all’art.360 comma primo n.3 cod. proc. civ.. Deduce che il datore di lavoro non era assoggettabile a procedura concorsuale, come espressamente riconosciuto dall’Istituto previdenziale nella fase amministrativa del procedimento, e non contestato nel corso del procedimento in sede giurisdizionale. Sostiene che la Corteterritoriale ha pertanto errato nel ritenere applicabile la fattispecie prevista dall’art.2 comma 1 lettera a) d.lgs. n.80/1992, sussistendo invece i presupposti previsti dalla lettera b) della medesima disposizione (datore di lavoro non assoggettabile a procedura concorsuale). Poiché il bilancio finale di liquidazione non aveva disposto la distribuzione di alcuna somma ai soci, né tale mancata distribuzione poteva imputarsi al liquidatore visto il saldo negativo, sostiene il ricorrente che non poteva ritenersi onerato della proposizione di azioni esecutive, siccome inammissibili, al fine del rispetto del termine ex art.2 cit..
Con il secondo motivo lamenta la violazione degli artt.112, 115 e 416 comma terzo cod. proc. civ., con riferimento all’art.360 comma primo n.4 cod. proc. civ.. Deduce che la Corte territoriale, nel ritenere l’assoggettabilità a procedura concorsuale del datore di lavoro, è andata ultra petita ed ha altresì violato il principio di non contestazione.
Il primo motivo è inammissibile. Per un verso viola l’art.366 comma primo n.6 cod. proc. civ. in quanto il motivo di ricorso pone a fondamento della sua critica una serie di documenti che sarebbero stati depositati nel corso del procedimento avanti al giudice di prime cure, e dai quali sarebbe desumibile la non assoggettabilità del datore di lavoro alla procedura concorsuale (pagg. 2023 del ricorso); deduce inoltre che anche l’I.N.P.S., nella sua comparsa costitutiva, non avrebbe contestato sul punto la deduzione svolta dal ricorrente. Tuttavia tali atti e documenti non sono stati trascritti – nemmeno nello stretto indispensabile per il motivo di ricorso – e ciò comporta che la critica non possa essere
apprezzata nel merito. Per altro verso, il ricorrente non deduce per quale ragione giuridica il datore di lavoro non fosse assoggettabile al fallimento, come invece ritenuto dalla Corte territoriale, limitandosi a richiamare gli atti ed i documenti che, a suo dire, avrebbero cristallizzato tale accertamento. La tautologia si risolve nel mancato confronto con la ratio decidendi, e dunque determina la inammissibilità del motivo.
Le medesime considerazioni valgono con riferimento anche al secondo motivo di ricorso, peraltro prospettato en passant, perché il ricorrente non ha specificamente indicato – né tantomeno riportato – gli ambiti processuali dai quali dovrebbe desumersi la pretesa violazione dei principi a fondamento del motivo.
Per questi motivi deve dichiararsi la inammissibilità del ricorso.
Le spese seguono la soccombenza. Il ricorrente deve essere condannato al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2024.