Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 2394 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 2394 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 31/01/2025
SENTENZA
sul ricorso 30493-2020 proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– controricorrente –
Oggetto
Fondo di garanzia Inps
R.G.N. 30493/2020
COGNOME
Rep.
Ud. 15/10/2024
PU
avverso la sentenza n. 1089/2020 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 29/05/2020 R.G.N. 4352/2017; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/10/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito l’avvocato NOME COGNOME udito l’avvocato NOME COGNOME per delega verbale avvocato NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Roma ha accolto il gravame dell’INPS e, in riforma della sentenza del Tribunale di Roma, ha rigettato le domande proposte da NOME COGNOME intese ad ottenere la condanna dell’I stituto al pagamento delle somme a lui spettanti per Tfr e per le ultime tre mensilità di retribuzione in relazione al rapporto di lavoro intercorso con la società RAGIONE_SOCIALE cessata oltre un anno prima della domanda amministrativa rivolta al Fondo di Garanzia.
1.1. La Corte d’appello ha ritenuto che ai fini dell’accoglimento della domanda amministrativa non potessero valere le procedure esecutive intentate dal lavoratore per ottenere soddisfazione al suo credito (una delle quali peraltro aveva portato anche al soddisfacimento parziale dello stesso), dal momento che le stesse non avevano eliminato la necessità dell’accertamento concorsuale dell’insolvenza.
1.2. Il giudice di appello ha ritenuto che ben avrebbe potuto e dovuto il lavoratore rendersi conto dell’impossibilità di soddisfare il suo credito quando aveva attivato la procedura esecutiva nei confronti del terzo e, conseguentemente, attivare la procedura concorsuale nel termine annuale dalla cancellazione della società.
1.3. Osserva che tale incombente risponde all’esigenza di assicurare un qualificato grado di certezza dello stato di insolvenza del datore di lavoro e della sussistenza del credito del lavoratore.
Per la cassazione della sentenza ricorre il lavoratore che articola tre motivi ai quali l’INPS resiste con tempestivo controricorso. Il procuratore generale ha rassegnato le sue conclusioni nel senso del rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione dell’art. 100 c.p.c. in relazione all’art. 360 primo comma n. 4 c.p.c…
3.1. Il ricorrente deduce che l’INPS ha comunicato il 22.6.2017 di aver accolto le domande di liquidazione del Tfr e dei crediti di lavoro diversi a suo tempo presentate (28.7.2014 e 30.11.2012) e che, conseguentemente la Corte avrebbe dovuto dichiarare che era sopravvenuta la cessazione della materia del contendere tra le parti.
Con il secondo motivo di ricorso è denunciata, in relazione all’art. 360 primo comma n. 4 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli art. 2 della legge n. 297 del 1982 e degli artt. 1 e 2 del d.lgs. n. 80 del 1992.
4.1. Il ricorrente sostiene che erroneamente la Corte territoriale addebita al lavoratore di non aver proposto tempestivamente istanza di fallimento della società cessata e cancellata dal registro delle imprese in modo da accertare lo stato di insolvenza. A tal proposito evidenzia che la legge non impone tale onere al lavoratore che aveva comunque agito in via esecutiva per ottenere l’adempimento. Nel richiamare la giurisprudenza della Cassazione ritiene che per accedere al Fondo di garanzia non era necessaria la proposizione di
un’ istanza di fallimento nei confronti della società cessata e cancellata.
Con il terzo motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 2787 e 2788 c.c..
5.1. Ad avviso del ricorrente sarebbe errata la sentenza impugnata laddove pretende che, pur pendente la procedura esecutiva, si sarebbe dovuto chiedere il fallimento della società il cui stato di insolvenza poteva essere desunto dal mancato adempimento integrale della prestazione. Sostiene inoltre di aver diligentemente tentato più pignoramenti, l’ultimo dei quali risoltosi positivamente dopo un anno dall’inizio dell’esecuzione e ribadisce che non vi è un obbligo di agire in termini prefissati e che neppure sussisteva il limite di cui all’art. 15 legge fallimentare.
Il ricorso non può essere accolto.
6.1. Quanto al primo motivo va rilevato che l’avvenuto accoglimento da parte del Fondo di Garanzia costituito presso l’ Istituto ricorrente dell’istanza del lavoratore non ha fatto venir meno l’interesse delle parti ad una decisione da parte del giudice ove si consideri che non solo l’INPS continua ad avere interesse ad una decisione che affermi il principio contrario alle ragioni dell’istante ma lo stesso ricorrente ha insistito nelle sue conclusioni di merito senza chiedere alla Corte di dichiarare cessata la materia del contendere pronuncia che, nella persistente e dichiarata conflittualità tra le parti, non poteva essere adottata d’ufficio dal giudice di appello. La cessazione della materia del contendere può pronunciarsi, anche d’ufficio, solo quando siano sopravvenuti nel corso del giudizio fatti nuovi -che siano riconosciuti o comunque ammessi da tutte le parti che abbiano eliminato ogni ragione di contestazione, anche sulla rilevanza giuridica delle vicende sopraggiunte, ed abbiano pertanto determinato l’oggettivo venir meno della necessità di
una pronuncia del giudice su quanto costituiva l’oggetto della controversia (cfr. Cass. n. 9781 del 1995,n. 4855 del 2021, n. 9272 del 2023).
6.2. Anche il secondo ed il terzo motivo di ricorso sono infondati poiché, come accertato dalla Corte di merito, manca la prova dello stato di insolvenza della società e dunque del ricorso delle condizioni per l’attivazione del fondo di garanzia, al momento della domanda amministrativa (2013 e 2014) per il pagamento delle provvidenze richieste.
6.3. Vero che negli anni precedenti la domanda il lavoratore aveva agito esecutivamente contro la società per la quale aveva lavorato -trovando peraltro parziale soddisfazione al proprio credito -ma, quando si è rivolto al Fondo di garanzia per ottenere la prestazione che residuava a suo credito, egli non ha avuto modo di dimostrare, a quel momento, l’incapienza patrimoniale della società che era cessata da oltre un anno. A tal fine, infatti, non è sufficiente l’aver attivato in precedenza procedure per ottenere in via di esecuzione forzata il pagamento.
6.4. Come correttamente ritenuto dal giudice del merito ‘l’azione della citata l. n. 297 del 1982, ex art. 2, comma 5, trova ingresso quante volte il datore di lavoro non sia assoggettato a fallimento, vuoi per le sue condizioni soggettive (ad esempio, piccolo imprenditore) vuoi per ragioni ostative di carattere oggettivo (ad esempio, trattandosi di ditta individuale cessata da oltre un anno), il che non equivale a dire che la parte può optare per la dichiarazione di fallimento o per l’esperimento di una procedura di esecuzione, né che questa possa essere preferita quante volte la dichiarazione di fallimento sia resa difficoltosa (….)’ (cfr. Cass. n. 7924 del 2017).
6.5. Nello specifico è stato accertato che il lavoratore, pur avendo inizialmente attivato una procedura esecutiva
individuale che peraltro aveva dato un esito in parte positivo, quando poi ha chiesto l’intervento del Fondo, dopo un notevole lasso di tempo dall’esaurimento dalle procedure intraprese, si è trovato a confrontarsi con la circostanza di fatto che, a quel momento, era trascorso l’anno dalla cessazione della società né il lavoratore, che ne era onerato, aveva fornito la prova della impossibilità di chiedere tempestivamente il fallimento della società. Fallimento che peraltro la Corte territoriale ha, in fatto, accertato che avrebbe potuto essere tempestivamente chiesto e dichiarato in tempo utile.
6.6. L ‘accertamento in sede concorsuale dell’insolvenza del datore di lavoro è la condizione non rinunciabile ai fini del conseguimento della prestazione previdenziale da parte del Fondo costituito presso l ‘Inps poiché consente all’Istituto chiamato a rendere la prestazione, che è distinta ed autonoma rispetto al credito vantato nei confronti del datore di lavoro, di avere una certezza qualificata della esistenza del credito.
6.7. Coerentemente, perciò, si deve ritenere che non è possibile equiparare a tale specifico accertamento il requisito dell’attivazione delle procedure esecutive individuali, non egualmente probanti a proposito della generale condizione di insolvenza del soggetto debitore.
6.8. Il decorso del l’anno dalla intervenuta cessazione dell’impresa senza una ragionevole giustificazione di tale mancata attivazione del creditore determina quale conseguenza l’impossibilità per il lavoratore di attivare il Fondo di garanzia.
In conclusione, per le ragioni esposte, il ricorso deve essere rigettato.
7.1. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquida in € 2.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del c itato d.P.R., se dovuto.
Così deciso in Roma il 15 ottobre 2024