Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 23685 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 23685 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso 18942-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME e COGNOME tutti rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 26/2022 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 27/01/2022 R.G.N. 238/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
29/04/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
Fondo di garanzia Inps
R.G.N. 18942/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 29/04/2025
CC
RILEVATO CHE
La Corte di appello di L’Aquila ha confermato la sentenza del Tribunale di Chieti che aveva accolto le domande avanzate dai lavoratori oggi intimati dirette ad ottenere l’intervento del Fondo di garanzia costituito presso l’Inps e lo aveva condannato a corrispondere le somme da ciascuno chieste a titolo di TFR maturato alle dipendenze della società fallita.
1.1. La Corte di merito ha ritenuto che nella specie sussistessero i tre presupposti necessari per l’intervento del Fondo (cessazione del rapporto di lavoro, insolvenza del datore di lavoro, verifica dell’esistenza e della misura del credito).
Inoltre, il giudice di appello ha accertato che la società datrice RAGIONE_SOCIALE – risultante dalla scissione della originaria datrice di lavoro RAGIONE_SOCIALE in tre diverse società: RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE – era subentrata in tutti i rapporti attivi e passivi facenti capo alla società scissa e dunque anche nei rapporti i lavoro con ricorrenti e che si trattava di una vicenda circolatoria disciplinata dall’art. 2 112 c.c. sicché il datore di lavoro risponde dell’intero TFR (richiama Cass. 19277 del 2018 e 4897 del 2021).
1.2. Ha sottolineato che la fattispecie esaminata in un precedente deciso dalla cassazione (Cass. n. 19277 e 19278 2018) era in parte differente perché in quel caso la società fallita era la cedente e non come nella specie la cessionaria.
Per la cassazione della sentenza ricorre l’Inps che articola un unico motivo al quale resistono con controricorso i lavoratori in epigrafe indicati. L’Inps ha depositato memoria illustrativa. Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni .
RITENUTO CHE
Con l’unico motivo di ricorso è denunciata la violazione dell’art. 2 commi 1, 2, 3, 7 e 8 della legge n. 297 del 1982 e degli artt. 1 comma 1 e 2 del d.lgs. n. 80 del 1992 con riferimento all’art. 2506 quater c.c. ed all’art. 2112 c.c..
1.1. Ad avviso dell’Istituto ricorrente, diversamente da quanto affermato dal giudice di merito, la giurisprudenza più recente della Cassazione ritiene che l’ammissione al passivo del credito del lavoratore non escluda la verifica dell’esistenza dei presupposti per l’intervento del Fondo di Garanzia.
1.2. Nella specie, quindi, l’esistenza di un coobbligato solidale ex art. 2506 quater comma terzo c.c. (la società RAGIONE_SOCIALE) precluderebbe l’intervento del Fondo atteso che, in caso di scissione, al creditore sarebbe assicurato il pagamento del credito dalla società madre ancora in bonis.
1.3. Rispetto a ciò l’Istituto ritiene – così dissentendo da quanto affermato dalla Cassazione nella sentenza n. 26021 del 2018 che esclude che si debbano previamente escutere eventuali condebitori solidali che invece l’esistenza di condebitori sia di ostacol o all’intervento del Fondo di garanzia.
1.4. In particolare, osserva che le norme che istituiscono il Fondo hanno riguardo al caso dell’unico datore di lavoro e che debbano trovare un contemperamento anche con riguardo alla ratio di solidarietà dell’Istituto in casi, come quello in esame, di scissione o di circolazione del complesso aziendale o di responsabilità del committente.
1.5. Ritiene non convincente l’argomento utilizzato dal giudice di appello, fondato sulla natura sussidiaria dell’obbligazione e sul fatto che non è espressamente previsto il beneficio dell’escussione.
1.6. Rileva che la tutela apprestata dal Fondo è in sé sussidiaria e l’intervento avviene quale ultima istanza nel caso in cui non sia assicurata la tutela nel naturale ambito lavoristico e, pertanto, in caso di scissione presso la società scissa ex art. 2506 quater comma 3 c.c..
Il ricorso è infondato.
2.1. Nella fattispecie occorre stabilire se, in caso di scissione dell’originaria società datrice, il credito per Tfr maturato alle sue dipendenze -che sia stato ammesso al passivo della società scissa alle cui dipendenze è transitato il lavoratore ed il cui fallimento sia risultato incapiente -possa essere chiesto al Fondo di garanzia costituito presso l’INPS.
2.2. Al riguardo va osservato che, effettivamente, l’avvenuta ammissione del credito del lavoratore al passivo della fallita (fallimento poi risultato incapiente) non preclude all’INPS la possibilità di contestare la concreta operatività delle regole di intervento del Fondo.
2.3. Nello specifico l’Inps sostiene che la Corte di appello, nel confermare il diritto all’intervento del Fondo, avrebbe erroneamente trascurato di considerare l’esistenza di un coobbligato solidale per il pagamento del Tfr – segnatamente la società madre, la RAGIONE_SOCIALE, da cui la RAGIONE_SOCIALE era derivata per effetto della scissione -sarebbe responsabile ex art. 2506 quater terzo comma c.c. che prevede che ‘Ciascuna società è solidalmente responsabile, nei limiti del valore effettivo del patrimonio netto ad essa assegnato o rimasto, dei debiti della società scissa non soddisfatti dalla società cui fanno carico’.
2.4. Sussistendo perciò la possibilità di una tutela alternativa del credito, pertanto, secondo l’Istituto, il lavoratore avrebbe dovuto rivolgersi proprio a quella società ancora in bonis.
2.5. Rileva tuttavia il Collegio che, se effettivamente la responsabilità per i debiti della società scissa – prevista dagli artt. 2506-bis comma 2 e 2506-quater comma 3 c.c. – si estende in via solidale e sussidiaria a tutte le società partecipanti all’operazione, nei limiti del valore effettivo del patrimonio netto assegnato a ciascuna di esse o rimasto in capo alla società madre (cfr. Cass. n. 36690 del 2021), tuttavia con specifico riferimento agli obblighi gravanti sul Fondo di Garanzia dell’INPS si è affermato che l’intervento del Fondo di Garanzia istituito presso l’INPS per la corresponsione del t.f.r., nei casi di insolvenza del datore di lavoro fallito, non è subordinato alla previa escussione degli eventuali obbligati solidali che siano tenuti, anche solo pro quota, per il medesimo debito, prevedendo la legge n. 297 del 1982 l’accesso diretto alla prestazione previdenziale, salvo una breve dilazione temporale (quindici giorni) dal deposito dello stato passivo ovvero dalla sentenza che decide l’opposizione ad esso, e nessun ulteriore requisito (beneficio d’ordine, beneficio di escussione) che suffraghi la natura sussidiaria della copertura dovuta dal Fondo (cfr Cass. n. 26021 del 2018).
2.6. Ai sensi dell’art. 2 della legge n. 297 del 1982 condizione per l’accesso al Fondo di garanzia è l’esistenza di uno stato di insolvenza del datore di lavoro accertato, vuoi in esito a procedura concorsuale, vuoi per effetto di esecuzioni rimaste senza eff etto. Ai sensi del comma 6 dell’art. 2, poi, il Fondo è surrogato di diritto al lavoratore o ai suoi aventi causa nel privilegio spettante sul patrimonio dei datori di lavoro ai sensi degli articoli 2751-bis e 2776 del Codice civile per le somme da esso pagate.
2.7. Né la legge n. 297 del 1982 e neppure il d.lgs. n. 82 del 1990 prevedono un obbligo di preventiva escussione degli
eventuali coobbligati e piuttosto tutelano in modo immediato e diretto il diritto previdenziale alla copertura del credito da Tfr che sia sorto presso il datore di lavoro insolvente con la definitiva cessazione del rapporto di lavoro.
2.8. Ciò risulta palese anche per il fatto che l’art. 2 della legge n. 297 citata stabilisce che «trascorsi quindici giorni» dal deposito dello stato passivo o dalla pronuncia della sentenza in sede di opposizione ad esso – e quindi dopo una dilazione esclusivamente temporale -il lavoratore può ottenere a domanda il relativo pagamento.
2.9. Come sottolineato da questa Corte, infatti, è stato da tempo superato l’inquadramento dell’obbligazione del Fondo nei termini della solidarietà di esso con il datore di lavoro (Cass. 23 luglio 2012 n. 12852 ed anche nn. 10875, 20675 del 2013; 12971 del 2014) e non è previsto alcun altro requisito (beneficio d’ordine; beneficio di escussione) sicché non ha fondamento la tesi sulla natura sussidiaria dell’obbligazione.
2.10. D’altra parte, è chiaro che la copertura previdenziale riconnessa all’insolvenza del datore di lavoro non può prescindere da una semplificazione anche sul piano obbligatorio, per la necessità di tendere al massimo, data la natura retributiva dei diritti, ad una contiguità temporale tra il maturare dei crediti e la relativa soddisfazione. Si è perciò ritenuto che non può consentirsi, in mancanza di norma espressa in tal senso, una dilazione della stessa, che la subordini all’esercizio della pretesa verso altri condebitori del credito lavoristico.
2.11. Come affermato da questa Corte nei precedenti sopra richiamati, dai quali non v’è ragione nella specie di discostarsi (cfr. Cass. n. 26021 del 2018), l’equilibrio normativo, rispetto alle parti del rapporto previdenziale, è semmai recuperato dal
diritto di surroga dell’I.RAGIONE_SOCIALE. al lavoratore nel passivo fallimentare (art. 2 comma 7 della legge n. 82 del 1990).
2.12. In questi termini questa Corte, d’altronde, ha già deciso fattispecie analoghe ( cfr. Cass. n. 2292 del 2025) e nel ricorso non sono prospettate ragioni che inducano a rivedere tale orientamento.
In conclusione, per le ragioni esposte, il ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e, distratte in favore dell’antistatario, sono liquidate in dispositivo. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che si liquidano in euro 4.000,00 per compensi professionali ed euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per spese forfetarie ed accessori di legge. Spese da distrarsi in favore del procuratore che se ne è dichiarato antistatario.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
Così deciso in Roma il 29 aprile 2025