Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 2292 Anno 2025
Civile Sent. Sez. L Num. 2292 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 31/01/2025
SENTENZA
sul ricorso 1368-2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
Oggetto
Fondo di garanzia INPS
R.G.N. 1368/2020
COGNOME
Rep.
Ud. 15/10/2024
PU
avverso la sentenza n. 495/2019 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 27/06/2019 R.G.N. 461/2018; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 15/10/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito l’avvocato NOME COGNOME per delega verbale avvocato NOME COGNOME udito l’avvocato NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte di appello di L’Aquila ha confermato la sentenza del Tribunale di Chieti che aveva accolto il ricorso proposto da NOME COGNOME ed aveva riconosciuto il diritto alla corresponsione da parte del Fondo di garanzia dell’INPS del trattamen to di fine rapporto ai sensi dell’art. 2 della legge n. 297 del 29 maggio 1982.
1.1. Il giudice di appello ha rammentato che, ai sensi del citato art. 2 della citata legge, in caso di insolvenza del datore di lavoro e una volta trascorsi quindici giorni dal deposito dello stato passivo, il lavoratore può ottenere dal Fondo di garanzia, a domanda e per effetto dell’accollo ex lege del debito del datore di lavoro, il pagamento del Tfr e dei crediti accessori con detrazione di quanto già eventualmente corrisposto. Condizione per l’intervento è che il rapporto di lavoro sia cessato, sia st ata aperta una procedura concorsuale e/o di insolvenza, il credito sia rimasto insoluto. Ha poi ricordato che l’effettività della tutela del lavoratore deve essere assicurata in ossequio ai principi enunciati dalla CGUE dovendosi evitare che per motivi indipendenti dal comportamento del lavoratore, in ossequio al principio di ragionevolezza, il pagamento resti privo di garanzia. 1.2. Nello specifico, poi, ha ritenuto che il disconoscimento da parte dell’Inps del rapporto di lavoro alle dipendenze della Foro
RAGIONE_SOCIALE al cui passivo il credito era stato ammesso, non rileverebbe in quanto avvenuto al diverso fine della verifica del diritto di quella società a fruire di sgravi contributivi per il personale licenziato dalla RAGIONE_SOCIALE e immediatamente riassunto proprio dalla Foro RAGIONE_SOCIALE
1.3. La strumentalità dell’operazione finalizzata a beneficiare delle agevolazioni contributive senza creare alcun incremento occupazionale è correlata ai rapporti tra le società datrici di lavoro e non refluisce sulle posizioni dei lavoratori di cui era rimasta indimostrata l’adesione silenziosa e cosciente alle operazioni poste in essere dalle due società.
1.4. Ha poi ritenuto che alla natura sociale della responsabilità assegnata al Fondo di garanzia, intesa a tenere indenne il lavoratore insoddisfatto del suo credito quando la garanzia patrimoniale del datore di lavoro sia insufficiente, consegue che l’unica verifica necessaria è q uella relativa al mancato soddisfacimento del credito nell’ambito della procedura e l’accertamento in quella sede effettuato è opponibile all’INPS anche quando non abbia partecipato alla procedura.
1.5. Ha evidenziato infine che l’INPS subentra nel debito anche ex art. 2112 c.c. pervenuto alla Foro RAGIONE_SOCIALE dalla cessione da parte della RAGIONE_SOCIALE
Per la cassazione della sentenza ricorre l’INPS che articola un unico motivo di ricorso cui resiste NOME COGNOME con tempestivo controricorso illustrato da memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il ricorso è denunciata la violazione dell’art. 2 commi 1, 2, 3, 7 e 8 della legge n. 297 del 1982 con riferimento all’art. 2506 quater c.c. ed all’art. 2112 c.c..
3.1. Ad avviso del l’Istituto ricorrente, diversamente da quanto affermato dal giudice di merito, la giurisprudenza più recente della Cassazione ritiene che l’ammissione al passivo del credito
del lavoratore non escluda la verifica dell’esistenza dei presupposti per l’intervento del Fondo di Garanzia . Nella specie, quindi, l’esistenza di un coobbligato solidale ex art. 2506 quater comma terzo c.c. (la società RAGIONE_SOCIALE) precluderebbe l’intervento del Fondo atteso che, in caso di scissione, al creditore sarebbe assicurato il pagamento del credito dalla società madre ancora in bonis .
3.2. Rispetto a ciò l’Istituto ritiene – così dissentendo da quanto affermato dalla Cassazione nella sentenza n. 26021 del 2018 che esclude che si debbano previamente escutere eventuali condebitori solidali che invece l’esistenza di condebitori sia di ostacolo all’intervento del Fondo di garanzia.
3.3. In particolare, osserva che le norme che istituiscono il Fondo hanno riguardo al caso dell’unico datore di lavoro e che debbano trovare un contemperamento anche con riguardo alla ratio di solidarietà dell’Istituto in casi , come quello in esame, di scissione o di circolazione del complesso aziendale o di responsabilità del committente.
3.4. Ritiene non convincente l’argomento utilizzato dal giudice di appello e fondato sulla natura sussidiaria dell’obbligazione e sul fatto che non è espressamente previsto il beneficio del l’escussione . Rileva che la tutela apprestata dal Fondo è in sé sussidiaria e l’intervento avviene quale ultima istanza nel caso in cui non sia assicurata la tutela nel naturale ambito lavoristico e, pertanto, in caso di scissione presso la società scissa ex art. 2506 quater comma 3 c.c..
Il ricorso è infondato e deve, perciò, essere rigettato.
4.1. Occorre stabilire se, in caso di scissione dell’originaria società datrice, il credito per Tfr maturato alle sue dipendenze -che sia stato ammesso al passivo della società scissa alle cui dipendenze è transitato il lavoratore ed il cui fallimento sia
risultato incapiente -possa essere chiesto al Fondo di garanzia costituito presso l’INPS .
4.2. Va precisato che, nello specifico, il lavoratore già dipendente della RAGIONE_SOCIALE dal 9 gennaio 2001 era transitato alle dipendenze della società RAGIONE_SOCIALE per effetto della scissione societaria perfezionatasi il 31 ottobre 2013 (la RAGIONE_SOCIALE si era scissa nella RAGIONE_SOCIALE e nella RAGIONE_SOCIALE) ed aveva continuato a lavorare alle dipendenze di quest’ultima fino al 31 dicembre 2013 quando la RAGIONE_SOCIALE aveva licenziato tutti i dipendenti e dunque anche il NOMECOGNOME poi progressivamente riassunti nel 2014 dalla RAGIONE_SOCIALE
4.3. Va altresì ricordato che l’ INPS in esito ad accertamento ispettivo presso la RAGIONE_SOCIALE ha disconosciuto i rapporti di lavoro con la Foro RAGIONE_SOCIALE
4.4. Tanto premesso rileva il Collegio che effettivamente l’ avvenuta ammissione del credito del lavoratore al passivo della fallita società RAGIONE_SOCIALE (poi risultato incapiente) non p reclude all’INPS la possibilità di contestare la concreta operatività delle regole di intervento del Fondo.
4.5. Nello specifico l’Inps sostiene che la Corte di appello, nel confermare il diritto all’intervento del Fondo , avrebbe erroneamente trascurato di considerare l’esistenza di un coobbligato solidale per il pagamento del Tfr – segnatamente la società madre, da cui la RAGIONE_SOCIALE era derivata per effetto della scissione – responsabile ex art. 2506 quater terzo comma c.c. che prevede che ‘Ciascuna società è solidalmente responsabile, nei limiti del valore effettivo del patrimonio netto ad essa assegnato o rimasto, dei debiti della società scissa non soddisfatti dalla società cui fanno carico’ . Sussistendo la possibilità di una tutela alternativa del credito, pertanto,
secondo l’Istituto, il lavoratore avrebbe dovuto rivolgersi proprio a quella società ancora in bonis .
4.6. Rileva tuttavia il Collegio che, se effettivamente la responsabilità per i debiti della società scissa – prevista dagli artt. 2506bis comma 2 e 2506quater comma 3 c.c. – si estende in via solidale e sussidiaria a tutte le società partecipanti all’operazione, nei limiti del valore effettivo del patrimonio netto assegnato a ciascuna di esse o rimasto in capo alla società madre (cfr. Cass. n. 36690 del 2021), tuttavia con specifico riferimento agli obblighi gravanti sul Fondo di Garanzia dell’INPS si è affermato che l’intervento del Fondo di Garanzia istituito presso l’INPS per la corresponsione del t.f.r., nei casi di insolvenza del datore di lavoro fallito, non è subordinato alla previa escussione degli eventuali obbligati solidali che siano tenuti, anche solo pro quota , per il medesimo debito, prevedendo la legge n. 297 del 1982 l’accesso diretto alla prestazione previdenziale, salvo una breve dilazione temporale (quindici giorni) dal deposito dello stato passivo ovvero dalla sentenza che decide l’opposizione ad esso, e nessun ulteriore requisito (beneficio d’ordine, beneficio di escussione) che suffraghi la natura sussidiaria della copertura dovuta dal Fondo (cfr Cass. n. 26021 del 2018).
4.7. Ai sensi dell’art. 2 della legge n. 297 del 1982 condizione per l’accesso al Fondo di garanzia è l’ esistenza di uno stato di insolvenza del datore di lavoro accertato, vuoi in esito a procedura concorsuale, vuoi per effetto di esecuzioni rimaste senza effetto. A i sensi del comma 6 dell’art. 2 , poi, il Fondo è surrogato di diritto al lavoratore o ai suoi aventi causa nel privilegio spettante sul patrimonio dei datori di lavoro ai sensi degli articoli 2751bis e 2776 del Codice civile per le somme da esso pagate.
4.8. Né la legge n. 297 del 1982 e neppure il d.lgs. n. 82 del 1990 prevedono un obbligo di preventiva escussione degli eventuali coobbligati e piuttosto tutelano in modo immediato e diretto il diritto previdenziale alla copertura del credito da Tfr che sia sorto presso il datore di lavoro insolvente con la definitiva cessazione del rapporto di lavoro.
4.9. Ciò risulta palese anche per il fatto che l’art. 2 della legge n. 297 citata stabilisce che «trascorsi quindici giorni» dal deposito dello stato passivo o dalla pronuncia della sentenza in sede di opposizione ad esso – e quindi dopo una dilazione esclusivamente temporale -il lavoratore può ottenere a domanda il relativo pagamento.
4.10. Come sottolineato da questa Corte, infatti, è stato da tempo superato l’inquadramento dell’obbligazione del Fondo nei termini della solidarietà di esso con il datore di lavoro (Cass. 23 luglio 2012 n. 12852 ed anche nn. 10875, 20675 del 2013; 12971 del 2014) e non è previsto alcun altro requisito (beneficio d’ordine; beneficio di escussione) sicché non ha fondamento la tesi sulla natura sussidiaria dell’obbligazione.
4.11. D’altra parte, è chiaro che la copertura previdenziale riconnessa all’insolvenza del datore di lavoro non può prescindere da una semplificazione anche sul piano obbligatorio, per la necessità di tendere al massimo, data la natura retributiva dei diritti, ad una contiguità temporale tra il maturare dei crediti e la relativa soddisfazione. Si è perciò ritenuto che non può consentirsi, in mancanza di norma espressa in tal senso, una dilazione della stessa, che la subordini all’esercizio della pretesa verso altri condebitori del credito lavoristico.
4.12. Come affermato da questa Corte nei precedenti sopra richiamati, dai quali non v’è ragione nella specie di discostarsi (cfr. Cass. n. 26021 del 2018), l’equilibrio normativo, rispetto alle parti del rapporto previdenziale, è semmai recuperato dal
diritto di surroga dell’I.RAGIONE_SOCIALE. al lavoratore nel passivo fallimentare (art. 2 comma 7 della legge n. 82 del 1990).
5. In conclusione, per le ragioni esposte, il ricorso deve essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e, distratte in favore dell’antistatario, sono liquidate in dispositivo. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che si liquidano in euro 3.500,00 per compensi professionali ed euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per spese forfetarie ed accessori di legge.
Spese da distrarsi in favore del procuratore che se ne è dichiarato antistatario.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del c itato d.P.R., se dovuto.
Così deciso in Roma il 15 ottobre 2024