Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 2558 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 2 Num. 2558 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 26/01/2024
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO/2019
C.C. 17/01/2024
PRELIMINARE DI VENDITA
ORDINANZA
sul ricorso (iscritto al N.RNUMERO_DOCUMENTO. NUMERO_DOCUMENTO) proposto da: COGNOME NOME, rappresentato e difeso, in virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’AVV_NOTAIO e con indicazione del seguente indirizzo pec: EMAIL;
–
ricorrente –
contro
NOME, rappresentata e difesa, in virtù di procura speciale rilasciata su foglio separato materialmente allegato al controricorso, dall’AVV_NOTAIO e con indicazione del seguente indirizzo pec: EMAIL;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Corte di appello di Bari n. 1888/2019 (pubblicata il 9 settembre 2019);
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 17 gennaio 2024 dal Consigliere relatore NOME COGNOME;
letta la memoria depositata dalla difesa del ricorrente.
RITENUTO IN FATTO
1. Con atto di citazione ritualmente notificato COGNOME NOME conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Trani-Sezione distaccata di Ruvo di Puglia, AVV_NOTAIO NOME al fine di sentirne dichiarare l’inadempimento rispetto al contratto preliminare di vendita degli immobili siti in Corato, a piano terra e al primo piano di INDIRIZZO, stipulato mediante scrittura privata in data 22.03.2006 ed ottenere, di conseguenza, la pronuncia giudiziale costitutiva del trasferimento in suo favore di detti immobili, con condanna della stessa convenuta al pagamento della somma di euro 50.000,00, oltre interessi legali dal 22.06.2006, nonché al risarcimento dei danni. La citata convenuta si costituiva in giudizio e, oltre ad instare per il rigetto della pretesa attorea (sul presupposto che si dovesse, invece, considerare inadempiente l’attore, oltretutto possessore ‘sine titulo’ degli immobili, con conseguente diritto ad ottenerne il rilascio), proponeva apposite domande riconvenzionali, ovvero, in via principale, quella diretta all’ottenimento della dichiarazione di rescissione del contratto ai sensi dell’art. 1448 c.c., e, in linea subordinata, della dichiarazione di nullità del contratto stesso in quanto privo di causa o di suo annullamento per vizio della volontà. Dopo la proposizione da parte dell’attore, con le memorie previste dall’art. 186, comma 6, n. 1), c.p.c. di plurime domande riconvenzionali avverso le contrapposte riconvenzionali dalla convenuta, e l’espletamento dell’istruzione probatoria, il Tribunale di Trani, con sentenza n. 1720/2014, rigettava le domande principali, ordinava all’attore COGNOME NOME il rilascio, in favore dell’ex coniuge COGNOME NOME, degli immobili dedotti in causa entro tre mesi dalla notifica della sentenza, respingendo le (altre) domande riconvenzionali, con compensazione delle spese giudiziali.
Decidendo sull’appello formulato dal COGNOME NOME, cui resisteva l’appellata COGNOME NOME, la Corte di appello di Bari, con sentenza n. 1888/2019, rigettava il gravame e condannava l’appellante alla rifusione delle spese del grado.
Il giudice di secondo grado dichiarava, in primo luogo, l’inammissibilità delle richieste istruttorie reiterate con l’atto di appello.
Di seguito, nell’occuparsi della censura attinente alla natura giuridica e alla causa della previsione contrattuale con cui la COGNOME si era obbligata al trasferimento dell’immobile (a cui era stato attribuito il valore di euro 150.000,00) e al pagamento dell’importo di euro 50.000,00 (sulla base della concorde valutazione, nella misura di euro 200.000,00, dell’apporto economico alla famiglia effettuato dal COGNOME), la Corte barese riteneva non potersi condividere la pretesa dell’appellante di ottenere, comunque, il pagamento dell’intera somma di euro 200.000,00, non potendo attribuirsi alla suddetta previsione la natura di riconoscimento di debito o di promessa di pagamento, ritenendo la relativa pattuizione contrattuale intimamente connessa al complessivo assetto dei rapporti patrimoniali nell’ambito degli accordi finalizzati alla separazione consensuale tra le due parti.
Inoltre, la Corte territoriale rilevava l’infondatezza del motivo sulla prospettata validità del contratto con riferimento al difetto di sottoscrizione della COGNOME sull’ultima pagina dello stesso, non potendo ritenersi utile e sufficiente allo scopo l’apposizione della sua sottoscrizione solo a margine delle altre pagine ma omettendo di apporla sulla pagina finale, rimanendo esclusa, per quest’ultima ragione, la possibilità di interpretare la volontà della medesima appellata -in quanto sottoscrittrice delle sole precedenti pagine del
testo contrattuale – nel senso che la stessa avesse inteso approvarne l’intero contenuto.
La Corte di appello confermava, altresì, la statuizione adottata con la sentenza di prime cure sull’infondatezza della domanda di restituzione della menzionata somma di euro 200.000,00 a titolo di rimborso, ai sensi dell’art. 1150 c.c., per le addizioni e i miglioramenti apportati sulla casa coniugale, dovendosi, al riguardo, applicare il principio secondo il quale, una volta dichiarato nullo il contratto preliminare, al promissario acquirente non compete né il diritto all’indennità per i miglioramenti previsto, per l’appunto, dal citato art. 1150 c.c., né quello di ritenzione contemplato dall’art. 1152 c.c., poiché trattasi di diritti attribuiti dalla legge esclusivamente a favore del possessore di buona fede, e non anche del detentore, ancorché qualificato, qualificazione invero da riconoscersi al COGNOME essendo stato immesso nel possesso dell’immobile in virtù, però, di un contratto preliminare ritenuto nullo.
Infine, il giudice di appello rilevava che l’esito insufficiente della prova dell’esborso di somme (e del loro preciso ammontare) da parte del NOME con danaro proprio -siccome fondata su dichiarazioni testimoniali generiche e prive di qualsiasi supporto documentale -rivestiva carattere assorbente e non potesse che condurre al rigetto anche della domanda di indebito arricchimento di cui all’art. 2041 c.c.
Contro la suddetta sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, COGNOME NOME, resistito con controricorso dall’intimata COGNOME NOME.
La difesa del ricorrente ha anche depositato memoria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Con il primo motivo, il ricorrente ha denunciato -ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. -la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1325, 1341, 1350, 1351, 1362, 1367, 1418, 1419 e 2702 c.c., censurando la sentenza impugnata nella parte in cui aveva ritenuto nullo il contratto preliminare dedotto in causa firmato solo nelle prime tre pagine dalla COGNOME e non anche (né a margine né in calce) nell’ultima, nella quale risultava essere apposta solo la sottoscrizione di esso ricorrente, nel mentre -ad avviso di quest’ultimo – la relativa scrittura avrebbe dovuto qualificarsi valida ed idonea a produrre gli effetti formali e sostanziali che le erano propri e tale, quindi, da costituire idoneo titolo posto da esso NOME a fondamento della sua domanda.
Con la seconda doglianza, il ricorrente ha dedotto -con riferimento all’art. 360, comma 1, nn. 4 e 5, c.p.c. la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4), c.p.c. in connessione con il vizio di omessa motivazione sotto il profilo della violazione del c.d. ‘minimo costituzionale’ richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., avuto riguardo alla configurabilità di una incongruenza rescindente (con valenza assorbente rispetto alla logica dell’intera motivazione) tra l’attestazione di inscindibilità delle clausole contrattuali e l’apprezzamento del consenso manifestato da parte di ciascun contraente come non riferibile all’intero contratto a seconda della allocazione di tale manifestazione del consenso.
3. Con il terzo mezzo, il ricorrente ha lamentato -in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. -la nullità del procedimento e della sentenza per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonché l’omesso esame di un fatto decisivo del giudizio sottoposto all’esame del giudicante, con riferimento alla mancata considerazione della
circostanza che la COGNOME, convocata da esso ricorrente dinanzi al AVV_NOTAIO, per la stipula del rogito della compravendita pattuita nel preliminare, così aveva risposto: ‘ Comunicole la mia indisponibilità presenziare incontro fissato per data 3.11.2006, causa ragioni lavorative. Ad ogni modo contestole ACCORDO GIA’ STIPULATO per sua dichiarata ed evidente inadempienza contrattuale’.
Con il quarto motivo -da intendersi formulato in via subordinata -il ricorrente ha denunciato, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1419 e 1367 c.c., unitamente al vizio di nullità della sentenza impugnata (in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.), deducendo l’erroneità della sentenza di appello sul presupposto che, poiché solo l’ultima delle quattro schede contrattuali non era stata firmata da entrambi i contraenti, la Corte barese, a tutto voler concedere, avrebbe dovuto dichiarare nulla per vizio di forma solo quella parte del contratto non firmata anche dalla COGNOME (contenente, oltretutto, semplici riproduzioni di norme di legge), facendo sopravvivere tutte le altre pattuizioni regolarmente sottoscritte contenute nelle precedenti pagine.
Con l’ultima censura avanzata sempre in linea subordinata -il ricorrente ha dedotto, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362, 1988 e 1418 c.c., in connessione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., alla violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4), c.p.c., nonché avuto riguardo all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. il difetto assoluto di motivazione, contestando la sentenza impugnata nella parte in cui era stato ritenuto che il rapporto sottostante al riconoscimento di debito/promessa di pagamento non era costituito dall’accordo di cui
al contratto ritenuto nullo, bensì dalle vicende del ‘vissuto rapporto di coniugio’, ovvero, da un fatto storico -giuridico (estraneo e preesistente al contratto), consistente nell’apporto economico di esso ricorrente alla famiglia, oltre che particolare ed ulteriore rispetto a quello del mero mantenimento e sostentamento del nucleo familiare, quest’ultimo riconosciuto essere stato paritetico dalla clausola B del contratto in questione.
Rileva il collegio che vanno disattese, innanzitutto, tutte le eccezioni pregiudiziali di inammissibilità del ricorso proposte dalla controricorrente e ciò perché:
-non può ritenersi applicabile nella fattispecie l’ipotesi di inammissibilità del ricorso in relazione all’art. 360 -bis, n. 1), c.p.c., poiché le questioni -oltretutto in parte nuove – poste con il ricorso sono controvertibili e non decise dal giudice di appello (per quanto si dirà in appresso) in modo conforme dalla precedente giurisprudenza di questa Corte (oltretutto non uniforme sulle questioni stesse, come evidenziato con i motivi proposti);
il ricorso è univocamente specifico con riferimento a tutti i motivi formulati, risultando, quindi, adeguatamente rispondente al soddisfacimento dei requisiti previsti dall’art. 366, comma 1, ai nn. 3) e 4), c.p.c. e raffrontandosi esaustivamente con le ragioni poste a fondamento della sentenza qui impugnata.
Ciò premesso, è preliminare osservare che il secondo motivo è destituito di fondamento, poiché la motivazione della sentenza della Corte barese è certamente rispettosa del requisito previsto dall’art. 132, comma 2, n. 4), c.p.c. e del principio del c.d. ‘minimo costituzionale’: questo è tanto vero che, mediante la proposizione delle altre censure, il ricorrente ha inequivocamente dimostrato di aver compreso appieno la motivazione della impugnata sentenza,
oltretutto più che adeguata nello svolgimento del suo percorso logicoargomentativo in risposta a tutti i motivi formulati con l’atto di appello (ancorché non condivisibile sul piano giuridico per quanto si dirà subito in appresso).
Sono, invece, fondati il primo e terzo motivo, esaminabili congiuntamente in quanto tra loro palesemente connessi.
Si osserva che, nella motivazione della sentenza di appello (v., in particolare, pag. 10), dopo aver passato in rassegna tutta la prevalente giurisprudenza di questa Corte sulla validità dei contratti non sottoscritti in tutte le pagine dalle parti, il giudice di secondo grado afferma come non potesse, nella fattispecie, attribuirsi rilevanza, sul piano della validità ed efficacia, ad un contratto (appropriatamente riprodotto per intero nel ricorso) mancante della sottoscrizione di uno dei contraenti (ovvero della COGNOME, promittente venditrice) sulla pagina finale, ma che lo sarebbe stato se le firme fossero state apposte (anche solo) sul margine delle singole pagine ma comunque su tutte, finendosi con il sostenere che, nel caso esaminato, proprio la mancata sottoscrizione dell’ultima facciata non poteva consentire di interpretare la volontà della COGNOME nel senso che lo stessa avesse inteso approvare l’intero contenuto del contratto stesso.
La ricostruzione e l’approdo risultanti dalla sentenza impugnata non sono -come già anticipato – condivisibili sul piano giuridico e la relativa motivazione difetta anche nella mancata valorizzazione delle ulteriori emergenze probatorie acquisite al fine di supportare un esito valutativo in termini di conclusione di un contratto valido pur in assenza dell’apposizione della sottoscrizione della COGNOME sull’ultima pagina della controversa scrittura privata, nella quale, peraltro, è da rimarcare che le riportate clausole O e P contenevano
la mera esplicitazione della volontà di accettazione delle clausole inserite nelle pagine precedenti (pacificamente firmate dalla COGNOME, oltre che dal COGNOME), di per sé già contemplanti la specifica assunzione di plurime reciproche obbligazioni, il cui inadempimento avrebbe legittimato il possibile ricorso all’azione di cui all’art. 2932 c.c., ovvero la produzione di un effetto già consentito dalla legge.
In particolare, la clausola sub O) prevedeva che ‘nell’ipotesi di inadempimento ad una delle clausole contrattuali, le parti convengono, a favore della parte adempiente, il rimedio della esecuzione in forma specifica del presente contratto, ai sensi e per gli effetti dell’art. 2932 c.c.’, mentre la clausola sub P) sanciva che ‘competente a conoscere delle eventuali controversie insorte fra le parti per l’esecuzione del presente contratto sarà il Tribunale di Trani’.
Come è, quindi, evidente, le riportate clausole non contenevano la previsione di alcuna specifica obbligazione rispetto alle condizioni che le parti avevano inteso stabilire nelle precedenti tre pagine sottoscritte da entrambe, bensì la sola attestazione del diritto di ciascuna di poter agire ai sensi dell’art. 2932 c.c. in caso di inadempimento dell’altra (effetto già previsto per legge) e la pattuizione sul foro competente a risolvere le eventuali conseguenti controversie (aspetto che non ha assunto alcuna rilevanza nella vicenda in discorso).
Inoltre, la Corte barese, al fine della valutazione sulla validità o meno del contratto in questione, ha erroneamente ritenuto (v. pag. 9), per un verso, irrilevante la circostanza che la parte convenuta avesse eccepito tardivamente l’invalidità ovvero l’inefficacia del contratto per sua mancata sottoscrizione (recte: per omessa
sottoscrizione dell’ultima pagina), anziché ravvisare il carattere quantomeno indiziario della mancata contestazione tempestiva del suo mancato perfezionamento e della sua invalidità, e, per altro verso, ha obliterato (così incorrendo nell’omesso esame di un fatto decisivo denunciato con il terzo motivo con riferimento ad una circostanza che aveva costituito oggetto di discussione tra le parti) di considerare la condotta extragiudiziale (posteriore alla formazione del preliminare) della COGNOME, la quale, proprio a seguito della conclusione del contratto preliminare, era stata convocata dal COGNOME davanti al AVV_NOTAIO per la stipula del contratto definitivo e, a fronte di tale sollecitazione, aveva formalmente comunicato per iscritto all’odierno ricorrente la sua indisponibilità a presenziare all’incontro per ragioni lavorative, aggiungendo che, ad ogni modo, contestava l’accordo ‘già stipulato’ per inadempimento del medesimo COGNOME.
Pertanto, anche da questa circostanza si sarebbe dovuto evincere che la COGNOME aveva riconosciuto che il contratto non era da considerarsi viziato (sull’implicito presupposto, quindi, che l’omessa sottoscrizione dell’ultima pagina non era riconducibile ad una sua scelta consapevole, quanto -verosimilmente – piuttosto ad una mera dimenticanza o distrazione), bensì perfezionato in tutti i suoi elementi formali (oltre che sostanziali) e idoneo a produrre gli effetti che le parti avevano previsto (comportamento, questo, valutabile sul piano indiziario in relazione agli altri elementi acquisiti indirizzanti nello stesso senso).
Oltretutto, ciò è tanto più vero che la giurisprudenza di questa Corte (cfr., ad es., Cass. n. 7543/2016) ha sostenuto che, in tema di contratti soggetti alla forma scritta “ad substantiam” (nella specie, preliminare di vendita immobiliare), l’operatività del principio
secondo cui il perfezionamento del negozio può avvenire anche in base ad un documento firmato da una sola parte, ove risulti una successiva adesione, anche implicita, del contraente non firmatario, contenuta in atto scritto diretto alla controparte, presuppone che detto documento abbia tutti i requisiti necessari ad integrare una volontà contrattuale, ivi compresa l’individuazione o quantomeno l’individuabilità del destinatario della dichiarazione, e che, inoltre, tale volontà non sia stata revocata dal proponente (ipotesi non verificatasi nel caso di specie).
Tale principio è ancor più attagliabile al caso in questione, nel quale il documento contenente il contratto preliminare è risultato firmato da entrambe le parti nelle prime tre pagine e nell’ultima solo dal COGNOME (promissario acquirente), senza che la COGNOME ne abbia ritenuto inficiato il contenuto (totale o parziale), pur se sprovvisto della sua sottoscrizione nell’ultima pagina, non contestando, anzi, con la sua condotta successiva, la sua validità ed efficacia, essendosi solo rifiutata di stipulare il contratto definitivo (da ricondursi, perciò, ad un contratto preliminare da considerarsi perfezionato) nella forma dell’atto pubblico sull’asserito presupposto che inadempiente fosse il COGNOME.
A questo principio, affermativo -nel caso di specie – della validità ed efficacia del contratto preliminare pur se il relativo testo è risultato mancante della sottoscrizione della COGNOME NOME (nella qualità di promittente venditrice) solo nell’ultima pagina, dovrà uniformarsi il giudice di rinvio.
Solo a titolo integrativo, va notato che Corte di appello non si è nemmeno posta il problema se, nella fattispecie, fosse applicabile l’art. 1419 c.c., nel senso di verificare se potesse ritenersi sussistente una ipotesi di nullità formale parziale del contratto
(ovvero solo in relazione all’ultima pagina non sottoscritta dalla COGNOME), considerandolo valido nel resto in cui recava le sottoscrizioni di entrambe le parti e, quindi, efficaci e vincolanti le pattuizioni concordate e riportate nelle corrispondenti pagine.
In definitiva, alla stregua delle complessive argomentazioni svolte, previo rigetto del secondo motivo, vanno accolti il primo e terzo, nel mentre gli altri motivi restano assorbiti.
Di conseguenza, la sentenza di appello qui impugnata deve essere cassata in relazione alle censure accolte e la causa va rimessa alla Corte di appello di Bari, in diversa composizione, la quale -oltre ad uniformarsi al principio su enunciato – provvederà a regolare anche le spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo e terzo motivo del ricorso, rigetta il secondo e dichiara assorbiti i restanti.
Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di appello di Bari, in diversa composizione.
Così deciso nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile