Sentenza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 8426 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 3 Num. 8426 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 31/03/2025
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 12844/2023 R.G. proposto da: NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME quali eredi beneficiati di NOME COGNOME tutti rappresentati e difesi dall’avvocato NOME COGNOME presso il cui indirizzo di posta elettronica certificata sono domiciliati per legge; -ricorrenti-
contro
COGNOME quale erede beneficiato di NOME COGNOME già rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME e COGNOME NOME COGNOMErinunciante) ed attualmente rappresentato e difeso soltanto dal secondo, presso l’indirizzo di posta elettronica certificata del quale è domiciliato per legge;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di MESSINA n. 61/2023 depositata il 27/01/2023; udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 26/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME udito il Procuratore Generale, che, nella persona del Sostituto NOME COGNOME richiamate le conclusioni scritte, ha chiesto il rigetto del ricorso: udito il Difensore di parte ricorrente, Avv. NOME COGNOME che ha insistito nell ‘ accoglimento del ricorso.
FATTI DI CAUSA
Con precetto del 13.5.2002 NOME COGNOME intimò a NOME COGNOME ed alla società cooperativa RAGIONE_SOCIALE (di seguito, per brevità, Agrigest), il pagamento della complessiva somma di € 1.094.968,34, portata da 23 assegni bancari, tratti sul conto corrente n. 01254341, intrattenuto dalla cooperativa presso la Banca di credito Popolare dell’agenzia di Capo D’Orlando.
Il COGNOME propose opposizione, esponendo che la pretesa creditoria avrebbe potuto essere avanzata nei soli confronti della società, titolare del conto corrente, la cui incapienza aveva reso necessario il protesto dei titoli di credito posti a fondamento dell’azione esecutiva, ma non poteva essere diretta nei suoi confronti, in quanto semplice delegato della società cooperativa alla firma degli assegni tratti sul conto corrente dell’anzidetta società, rispetto alla quale lui non rivestiva nemmeno la qualità di legale rappresentante; non poteva rispondere a titolo personale di un credito, apparentemente riferibile ad una società costituita in forma di RAGIONE_SOCIALE, e sostanzialmente da lui non contratto (pur avendo offerto garanzia per l’originario importo di 2.685.000.000 delle vecchie lire, corrispondendo somme pari a 2.965.000.000 sempre delle vecchie lire). Il COGNOME, nel proporre opposizione, rilevò la vessatorietà delle plurime e pendenti azioni intraprese dallo COGNOME, in concomitanza delle quali si erano anche aperti procedimenti penali per
gravi reati imputabili a quest’ultimo, ai quali si riferiva per descrivere il contesto in cui erano stati emessi gli assegni bancari.
Si costituì in giudizio lo COGNOME contestando la ricostruzione dei fatti, ex adverso proposta anche rispetto alle gravi prospettazioni di reato, rilevando che le eccezioni relative al rapporto causale non avrebbero potuto avere ingresso in quel giudizio, nel quale veniva fatta valere la sola azione cartolare; e aggiungendo comunque che il COGNOME, in ragione dei rapporti ultraventennali esistenti tra le parti, aveva rilasciato numerosi assegni bancari, impagati, protestati e nel tempo sostituiti con altri, riferiti alla campagna agrumi svolta dalla RAGIONE_SOCIALE, aderente all’APO, entrambe gestite direttamente dal COGNOME, che aveva incassato i prezzi degli agrumi dalle industrie e dall’AIMA, senza pagare a lui, che era stato delegato per il centro di raccolta agrumi di Varapodio.
La causa fu istruita con la sola produzione documentale, si interruppe per morte dell’opponente, ma fu riassunta da parte di NOME e NOME, quali eredi beneficiati del COGNOME.
Il Tribunale di Patti con sentenza n. 467/2019, in accoglimento dell’opposizione, dichiarò che lo COGNOME non aveva diritto a procedere ad esecuzione forzata nei confronti di COGNOME NOME COGNOME NOME e COGNOME NOMECOGNOME nella detta qualità, con condanna del primo alla rifusione delle spese processuali in favore dei secondi.
Avverso la sentenza del giudice di primo grado proponeva appello NOME COGNOME quale erede beneficiato di NOME COGNOME formulando motivi e domande.
Instaurato il contraddittorio, si costituivano gli eredi beneficiati di COGNOME COGNOME chiedendo dichiararsi l’inammissibilità dell’appello, che comunque contestavano nel merito, chiedendone il rigetto.
La Corte d’appello di Messina – dopo aver ritenuto con ordinanza del 2 dicembre 2020 l’ammissibilità dell’appello – con sentenza n.
61/2023, in accoglimento dell’impugnazione ed in riforma della sentenza impugnata,
rigettava l’opposizione a precetto proposta a suo tempo da COGNOME COGNOME (in quanto: NOME COGNOME azionando quali titoli esecutivi gli assegni bancari per cui è processo, aveva esercitato un’azione cartolare; ragion per cui i predetti assegni bancari avrebbero consentito di agire esecutivamente nei confronti non del COGNOME, ma della Agrigest, titolare del conto corrente sul quale erano tratti, esclusivamente nel caso in cui, non ricorrente nella specie, il COGNOME, munito di valida delega, li avesse sottoscritti in nome e per conto della predetta società); e condannava gli appellati COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, nella suddetta qualità, in solido tra loro, alla rifusione delle spese di primo e secondo grado in favore di NOME COGNOME anche lui nella indicata qualità, con distrazione delle spese di secondo grado in favore dei difensori antistatari;
rigettava la domanda di condanna della parte appellata al risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c. formulata dall’appellante.
Avverso la sentenza della corte territoriale hanno proposto ricorso NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME nella qualità di eredi beneficiati di NOME COGNOME chiedendo la cassazione della sentenza impugnata e la distrazione a favore del difensore antistatario delle spese del grado di appello e del giudizio di legittimità.
Ha resistito con controricorso NOME COGNOME nella qualità di erede beneficiato di NOME COGNOME
Per l’odierna udienza pubblica il Procuratore Generale ha rassegnato conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del ricorso.
Il Difensore di parte ricorrente ha depositato memoria, con la quale, oltre ad insistere nell’accoglimento del ricorso, ha controdedotto alle diverse eccezioni di inammissibilità sollevate da parte resistente,
nonché a quanto osservato dal Procuratore Generale in sede di requisitoria scritta.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente deve essere dichiarata l’inammissibilità per tardività del controricorso di NOME COGNOME Invero, essendo stato il ricorso notificato il 1° giugno 2023, in applicazione dell’art. 370 c.p.c. nel testo applicabile ratione temporis il controricorso avrebbe dovuto essere depositato entro l’11 luglio 2023, mentre risulta essere stato depositato il 20 luglio 2023.
Sempre in via preliminare, deve essere affermata la validità delle procure rilasciate dai ricorrenti.
In data 19 gennaio 2024 le Sezioni Unite di questa Corte con due distinte sentenze si sono pronunciate sui requisiti formali richiesti per la validità della procura speciale, componendo, nel solco tracciato dalla ormai risalente pronuncia n. 12625/1998, alcuni contrasti nelle more formatisi nella giurisprudenza di legittimità a sezione semplice.
Precisamente, le Sezioni Unite, con sentenza n. 2075/2024, hanno affermato il principio per cui: <>.
In motivazione, è stato osservato (p. 11) che la ratio dell’art. 83 c.p.c. <>, con conseguente irrilevanza
della circostanza che la procura sia stata conferita in data anteriore a quella della redazione del ricorso. Le Sezioni Unite, nel giungere a tale decisione, hanno richiamato (p. 7) anche i principi dettati dagli artt. 47 della Carta di Nizza, 19 del Trattato sull’Unione europea, 6 CEDU, che conferiscono <> al diritto di difesa per garantire l’effettività della tutela giurisdizionale ed evitare <>.
D’altra parte, le Sezioni Unite, con la coeva sentenza n. 2077/2024, hanno affermato che: <>.
In motivazione è stato osservato (p.13) che: <>.
Orbene, nel caso di specie, ricorrono tutti i presupposti sopra indicati, in quanto: a) la sentenza è stata pubblicata in data 27 gennaio 2023; b) i ricorrenti hanno rilasciato tre distinte procure speciali in data
06 marzo 2023 su foglio separato; c) il ricorso è datato 29 maggio 2023 ed è stato notificato il 1° giugno 2023; d) le tre procure sono state inserite nella stessa busta telematica del ricorso e in esse non si rinvengono espressioni che univocamente conducano ad escludere la volontà della parte di proporre ricorso per cassazione o di escludere tale proposizione dall’oggetto del conferito mandato.
In definitiva, occorre qui ribadire che nell’attuale sistema del processo telematico la procura rilasciata su foglio separato è virtualmente congiunta al ricorso mediante l’inserimento nella ‘busta telematica’ (art. 14 delle specifiche tecniche attualmente vigenti), mentre è speciale, ai fini della disciplina del giudizio di legittimità, se non esclude la volontà di proporre il relativo ricorso e se è intercorsa tra la sentenza e la notifica del medesimo.
Può ora osservarsi che NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME nella qualità di eredi beneficiati di NOME COGNOME articolano in ricorso tre motivi, all’illustrazione dei quali, per descrivere il contesto dei fatti per cui è causa, premettono che:
NOME COGNOME quale delegato alla firma in banca della cooperativa RAGIONE_SOCIALE, di cui il legale rappresentante era il Presidente NOME COGNOME si era trovato costretto ad emettere diversi assegni in favore di NOME COGNOME in un clima di minacce ed intimidazioni, reso concreto attraverso un attentato incendiario ed un attentato dinamitardo posti in essere ai danni suoi e della cooperativa RAGIONE_SOCIALE, oltre che di altri soggetti coinvolti nella complessa e articolata vicenda che aveva dato luogo all’emissione dei titoli, rispettivamente nel 2000 e nel 2003;
l’attentato incendiario in data 27.03.2000 aveva interamente distrutto i locali dell’associazione APO Capo d’Orlando (il cui direttore era NOME COGNOME) e della cooperativa Agrigest (il cui presidente era NOME COGNOME): in relazione a detto fatto criminoso NOME COGNOME
era stato condannato con sentenza n. 44/08, nelle more passata in giudicato, alla pena di anni quattro e mesi otto di reclusione;
c) l’attentato dinamitardo era stato perpetrato ai danni di NOME COGNOME con il collocamento di una bomba in data 08.01.2002 all’interno della di lui villa: in relazione a detto fatto criminoso NOME COGNOME insieme con il figlio NOME (e con tale NOME COGNOME), erano stati condannati alla pena, rispettivamente, di anni 3 mesi 4 di reclusione ed anni 4 mesi 8 di reclusione per detenzione in concorso di kg 1,2/1,3 di esplosivo, nonché per essere stati mandanti: sia dell’incendio di una autovettura di proprietà di NOME COGNOME a mezzo dell’esplosivo di cui sopra; sia di tentata estorsione aggravata continuata ai danni di NOME COGNOME (e dei di lui familiari) al fine di costringere il predetto a consegnare loro la somma di tre miliardi delle vecchie lire;
d) al momento della emissione degli assegni e della notifica del precetto, lo COGNOME era perfettamente consapevole del fatto che gli assegni erano stati emessi dalla cooperativa Agrigest; e che NOME COGNOME aveva sottoscritto gli assegni, spendendo il nome della cooperativa, nell’ambito della quale era un mero delegato alla firma.
Tanto premesso, i ricorrenti articolano in ricorso tre motivi.
3.1. Con il primo motivo denunciano <> nella parte in cui la corte territoriale ha affermato che fosse l’art. 14 r.d. 1736/1933 a prevedere che l’assenza sui titoli del timbro della società o comunque della dicitura ‘quale delegato’ o ‘nella qualità’ o similari comportasse l’obbligo di pagamento alla persona fisica firmataria degli assegni piuttosto che alla società cooperativa titolare del conto corrente.
Si dolgono che la corte territoriale – rovesciando la decisione del giudice di primo grado (che aveva escluso che lo COGNOME avesse diritto
di agire nei confronti di NOME COGNOME personalmente) – era giunta a conclusione opposta in virtù dell’azione cartolare e in considerazione del fatto che gli assegni non recavano il timbro della società.
Sottolineano che, con il motivo in esame, non richiedono un riesame dell’accertamento della sussistenza della spendita del nome, ma sostengono che tale accertamento, da un lato, non è sorretto da una motivazione congrua e immune da vizi logici e, dall’altro, è frutto di violazioni di legge, in quanto la corte territoriale si è attenuta al solo aspetto formale (assenza del timbro della copertura sugli assegni), affermando che fondamentale in tal senso è l’art. 14 r.d. n. 1736/1933.
Deducono che la corte territoriale è incorsa nella violazione dell’art. 14 L.A. nella parte in cui ha sostenuto che fosse detto articolo a imporre la spendita formale del nome con timbro o altra dicitura similare; nella violazione dell’art. 55 LA nella parte in cui ha ritenuto che anche per l’assegno bancario fosse prescritto un requisito di forma; nella violazione dell’art. 2733 c.c. in combinato disposto con l’art. 2735 c.c. laddove non ha tenuto in alcun conto le confessioni dello stesso COGNOME.
Osservano che l’istituto dell’apparenza ha cittadinanza anche nel rapporto cartolare, con la conseguenza che, poiché lo COGNOME era a conoscenza del fatto che gli assegni erano stati sottoscritti da NOME COGNOME quale delegato della cooperativa Agrigest (per come dedotto dallo stesso in sede di comparsa costituzione e risposta nel giudizio di primo grado e per come si desume dal fatto che lo COGNOME notificò il precetto alla cooperativa), soltanto quest’ultima poteva essere chiamata a rispondere delle obbligazioni nascenti dai titoli.
3.2. Con il secondo motivo denunciano: <>; nella parte in cui la corte territoriale, contrariamente a quanto aveva
fatto il giudice di primo grado, non ha preso in considerazione <>, e, in particolare, il fatto che lo COGNOME avesse notificato il precetto alla cooperativa RAGIONE_SOCIALE (che non aveva mai proposto alcuna opposizione), quanto dedotto dallo stesso COGNOME in sede di comparsa di costituzione.
Sostengono che il combinato disposto degli articoli 14 e 55 RD 1736/1933 e 1388 c.c. non richiede che la spendita del nome avvenga mediante una formale dichiarazione di agire in nome e per conto, essendo per contro <>.
Sostengono altresì che la cosiddetta delega all’emissione di assegni in nome altrui non implica l’esistenza di un atto scritto o una procura a favore del delegato, essendo sufficiente che il titolare del conto comunichi alla banca la volontà di delega ad una terza persona (delega che nella specie, in tesi difensiva, si desume dalla stessa elevazione del protesto, nonché dal fatto che la cooperativa non si oppose al precetto).
Sostengono infine che gli elementi offerti quali prove del fatto che a rispondere delle obbligazioni dovesse essere la cooperativa RAGIONE_SOCIALE e non già NOME COGNOME (ossia il fatto che il precetto era stato intimato nei confronti della cooperativa, nonché il fatto che, per espressa affermazione e riconoscimento dello COGNOME, NOME COGNOME non era legittimato in merito ai suddetti assegni in quanto emessi dalla cooperativa RAGIONE_SOCIALE) non attenevano al rapporto sottostante, come
erroneamente affermato dalla Corte territoriale (cfr. pag. 10), bensì all’accertamento della spendita del nome.
3.3. Con il terzo motivo denunciano in via subordinata: <> nella parte in cui la corte di merito – pur avendo NOME COGNOME eccepito che l’emissione degli assegni era avvenuta sotto le minacce ed intimidazioni, quindi, con evidente vizio della volontà per il timore fondato di subire aggressioni e intimidazioni di tale gravità da mettere in pericolo la propria vita e quella dei propri familiari, confermata alla luce dei gravi atti perpetrati dai sigg. COGNOME NOME e NOME – non ha affermato che NOME COGNOME non aveva diritto di esercitare l’azione cartolare perché con il suo comportamento aveva costretto sotto minaccia ed intimidazione a emettere gli assegni.
Sottolineano che, tra le eccezioni personali opponibili rientra senza dubbio quella del vizio del consenso, eccezione questa che la Corte territoriale ha erroneamente ricondotto sotto l’alveo del rapporto sottostante affermando che non era valutabile in sede di azione cartolare, incorrendo nella violazione di legge.
Osservano che la corte di merito è incorsa in contraddizione: in quanto, da un lato, ha affermato che NOME COGNOME avrebbe potuto opporre solo le eccezioni personali (tra le quali, in tesi difensiva, senza dubbio deve essere ricondotto il vizio del consenso) e, dall’altro, ha omesso di valutare tale eccezione, peraltro, di natura documentale, alla luce delle sentenze che hanno acclarato in modo definitivo che NOME COGNOME si era reso artefice di gravissimi fatti criminosi volti ad ottenere il pagamento delle somme poi azionate.
In definitiva, secondo i ricorrenti, la corte territoriale ha errato nella parte in cui ha omesso di valutare i fatti esposti, affermando erroneamente che gli stessi siano non valutabili in quanto afferenti al rapporto sottostante, invece, di valutarli come correttamente avrebbe
dovuto come eccezione opponibile ex art. 1993 c.c. e dichiarare l’annullabilità dei titoli emessi in quanto frutto di minacce e intimidazioni concrete e gravi.
4. Il primo motivo non è fondato.
Occorre premettere che dal giudizio di merito è emerso che NOME COGNOME (dante causa di NOME COGNOME, odierna parte resistente) ha notificato atto di precetto a NOME COGNOMEdante causa degli odierni ricorrenti) ‘in forza’ di n. 23 assegni bancari – tratti sulla Banca di Credito Popolare, emessi all’ordine di NOME COGNOME, recanti tutti la firma di NOME COGNOME (in sigla LMilio ), trascritti nell’atto e allegati ad esso in copia conforme all’originale (come attestato nella parte iniziale del precetto) – dei quali era portatore e che sono stati ‘non pagati e protestati’ (come risulta dall’atto medesimo).
Sulla base dei suddetti elementi fattuali, la corte di merito ha correttamente ricondotto l’azione proposta dallo COGNOME al novero delle azioni cartolari, avendo lo stesso fatto valere, attraverso il precetto, la forza esecutiva dei titoli di credito trascritti regolarmente nell’atto ai sensi e per gli effetti dell’art. 55 R. D. n. 1736/1933 per ottenere coattivamente dal firmatario dei titoli il pagamento della somma di denaro dovuta in base agli stessi, senza far alcun riferimento al rapporto causale sottostante alla loro emissione.
Occorre qui ribadire che l’azione ‘cartolare’, prevista dal suddetto articolo, si distingue dall’azione ‘causale’, prevista dal successivo art. 58. Invero, con la prima (che è detta cartolare proprio perché si basa esclusivamente sul documento di carta, che incorpora il diritto di credito, e che è regolamentata dalle disposizioni del r.d. n. 1736/1933 e che si prescrive in sei mesi ai sensi dell’art. 75 di detto testo di legge) si aziona l’obbligazione cartolare, ossia l’impegno di pagamento risultante dalle annotazioni contenute nel titolo di credito azionato, senza alcun riferimento al rapporto sottostante alla sua emissione (c.d. rapporto fondamentale); mentre con l’azione causale (che è una azione
ordinaria, soggetta al regime del processo ordinario di cognizione ed alle norme di diritto sostanziale relative alla materia delle obbligazioni civili) si fa valere l’obbligazione, nascente dal rapporto che diede causa alla emissione o alla trasmissione dell’assegno bancario.
Il punto è che l’essenza dei titoli astratti, quali per l’appunto è l’assegno bancario, sta nel fatto che essi non recano alcuna menzione della causa che ha dato luogo alla loro emissione: si dicono astratti proprio perché sono titoli che prescindono dalla causa. All’astrattezza è connessa la stretta letteralità del titolo: il possessore può farlo valere soltanto secondo il suo tenore letterale, senza poter far riferimento ad elementi o circostanze non risultanti dal titolo e, d’altra parte, ai sensi dell’art. 1993 c.c., il debitore può opporre al possessore soltanto <>.
In definitiva, per le ragioni che precedono, in materia di titoli astratti, non può trovare applicazione il principio dell’apparenza.
Il motivo viene quindi deciso sulla base del seguente principio di diritto:
<>.
Quanto precede in continuità con il consolidato principio di diritto (affermato, ad es., da Cass. n. 25910/2024, n. 10388/2012, n. 4763/1993), per il quale requisiti per la valida assunzione di un’obbligazione cambiaria in nome altrui sono, ai sensi dell’art. 11 del r.d. n. 1669 del 1933, non solo l’esistenza di una procura o di un potere ex lege, ma anche l’apposizione della sottoscrizione con l’indicazione della qualità, ancorché senza l’uso di formule sacramentali e con le sole
modalità idonee a rendere evidente ai terzi l’avvenuta assunzione dell’obbligazione per conto di altri, come nel caso di collocazione della firma cambiaria sotto il timbro di una società, sufficiente a rivelare la volontà del sottoscrittore di impegnarsi in rappresentanza dell’ente, con la conseguenza che a questo ultimo deve rivolgersi il beneficiario del titolo, salva l’eccezione, proponibile soltanto dal rappresentato, del difetto o eccesso di rappresentanza del sottoscrittore.
Non fondato è anche il secondo motivo.
5.1. Fondamentale, nella materia dei titoli di credito, è la distinzione tra titolarità del diritto menzionato nel titolo e legittimazione all’esercizio del diritto stesso.
Al riguardo, la regola base è posta dall’art. 1992 c.c., che, al primo comma, prevede che <>, mentre, al comma secondo, prevede che <>.
In altri termini, l’art. 1992, nel primo comma, designa le condizioni che devono ricorrere per l’esercizio del diritto da parte del possessore (c.d. legittimazione attiva, cioè del possessore ad esigere la prestazione) e, in questa prospettiva, fa riferimento alle <>, che corrispondono a quelle che, con altra terminologia, l’art. 1994 indica come le norme sulla <> dei titoli di credito (artt. 2003, 2008 e 2021 c.c.); mentre, al secondo comma, designa le condizioni, che devono ricorrere per la liberazione dal debito da parte del debitore (c.d. legittimazione passiva, cioè del debitore a conseguire la propria liberazione) e, in questa prospettiva, fa riferimento all’ipotesi in cui il possessore non sia <>, ossia non sia proprietario del titolo (e, quindi, sia possessore in mala fede).
Dunque, in materia di titoli di credito: la titolarità del diritto è attribuita dalla proprietà del titolo e quest’ultima si presume, fino a prova contraria, in chi se ne dimostri possessore. La presunzione di proprietà del titolo (e, quindi, di titolarità del diritto), riconosciuta al possessore, è ciò che si suole definire legittimazione e costituisce applicazione della generale presunzione di buona fede del possessore. La prova contraria, fino alla quale il possessore si presume proprietario, è la prova della sua mala fede, ossia della sua coscienza di ledere l’altrui diritto (art. 1147 c.c.).
Pertanto, nell’art. 1992 c.c., sono implicite varie regole: a) spetta al debitore l’onere di provare che il possessore del titolo non è titolare del diritto; b) il debitore deve rifiutare la prestazione del titolo, se sa che questi è possessore di mala fede (altrimenti adempie con dolo e non consegue la propria liberazione); c) il debitore deve usare un minimo (sia pure un solo minimo) di diligenza di controllare la condizione di buona fede del possessore (altrimenti adempie con colpa grave e, anche in tal caso, non è liberato); d) il debitore consegue la propria liberazione (e, quindi, non dovrà pagare una seconda volta nelle mani dell’effettivo titolare del diritto) anche se adempie nei confronti del possessore non titolare, quando non sapeva (né, usando la normale diligenza, poteva scoprire) che il possessore del titolo era in mala fede.
Di tali principi di diritto ha tenuto conto la corte di merito nella parte in cui (p. 7), nel prendere in esame le ragioni addotte dal COGNOME a sostegno dell’opposizione, ha rilevato che: a) il COGNOME aveva eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva, ma non aveva in alcun modo provato di essere delegato alla firma da parte del Presidente e legale rappresentante della cooperativa, essendosi limitato ad affermare che la controparte era a piena conoscenza che gli assegni erano stati tratti sul conto corrente intestato alla cooperativa; b) in ogni caso, una eventuale delega alla firma non sarebbe valsa a esonerare il Milio dalla
responsabilità a titolo di obbligazione cartolare da lui assunta personalmente nei confronti dello COGNOME, avendo apposto la propria firma sui singoli assegni, senza accompagnarla da <>, proprio in considerazione della natura cartolare dell’azione esperita dallo COGNOME.
Al riguardo, a sostegno del suo argomentare la corte di merito ha correttamente richiamato l’incontrastato insegnamento della giurisprudenza di questa Corte (affermato da Cass. n. 18910/2004 e poi ribadito da Cass. n. 28219/2008, n. 16617/2010, n. 25371/2013, n. 11607 e 23719/2019) secondo il quale la valida sottoscrizione per traenza dell’assegno bancario da parte di soggetti diversi dal titolare della convenzione di assegno e del sottostante rapporto di provvista può aversi soltanto in base a specifiche previsioni negoziali o legali, essendo escluso, secondo i principi generali dell’autonomia privata, che un terzo possa, senza specifica legittimazione, interferire nei rapporti giuridici altrui, ed a tali principi si conformano le norme del r.d. n. 1736/1933.
A tale principio si affianca quello (affermato da Cass. n. 13906/2005 e poi ribadito da Cass. n. 11866/2007 e n. 859/2020) secondo il quale: <>.
5.2. Sotto altro profilo, occorre considerare che la ratio sottesa alla normativa in tema di titoli di credito è quella di favorire la circolazione della ricchezza mobiliare: il diritto, menzionato sul
documento, è in esso incorporato ed il documento (che di per sé è un bene mobile) opera come veicolo del diritto in esso menzionato.
Quanto precede comporta una fondamentale conseguenza: il diritto, incorporato nel titolo di credito, circola non secondo le complesse regole della cessione dei crediti (art. 1260 ss.), ma secondo le norme sulla circolazione dei beni mobili. Pertanto, la proprietà del titolo si può acquistare anche a titolo originario in forza del possesso di buona fede, secondo la regola generale dell’art. 1153 c.c.
In materia di titoli di credito, la regola generale, prevista dall’art. 1153 c.c., è ribadita dall’art. 1994 c.c., con la sola differenza che: per l’applicazione dell’art. 1153 c.c. deve sussistere un titolo idoneo all’acquisto della proprietà, mentre per l’applicazione dell’art. 1994 c.c. occorre aver acquistato il possesso del documento <> (cioè dell’art. 2003 comma 1 per i titoli al portatore, dell’art. 2011 per i titoli all’ordine, come per l’appunto l’assegno; e degli artt. 2022 e 2023 per i titoli nominativi).
Vale dunque questa sequenza: a) il conseguimento del possesso del titolo ne produce l’acquisto della proprietà a titolo originario e, dunque, indipendentemente dal fatto che ne fosse proprietario il precedente possessore; b) l’acquisto della proprietà del titolo comporta l’acquisto della titolarità del diritto (nella specie al pagamento di una somma di denaro) in esso menzionato e ne comporta l’acquisto a titolo originario, superando così in radice i principi della cessione del credito.
Da tale sequenza consegue quel carattere del titolo di credito che è l’autonomia della posizione di ogni successivo possessore del titolo: il diritto menzionato nel titolo sorge, in capo a ciascuno di essi, come diritto autonomo rispetto a quello dei precedenti possessori e le eccezioni opponibili da parte del debitore sono soltanto quelle previste dall’art. 1993 c.c.
Di tali principi di diritto ha fatto corretta applicazione la sentenza impugnata nella parte in cui la corte di merito (p. 8): a) ha ritenuto il fatto che il Milio non fosse il titolare del conto corrente su cui gli assegni erano stati emessi non pertinente in relazione all’azione cartolare esperita dallo COGNOME alla luce della <>; b) ha ritenuto che il COGNOME poteva opporre al possessore (nella specie, COGNOME NOME) solamente le eccezioni a costui personali, quelle legate alla forma del documento ovvero al contesto ‘letterale’ del titolo e/o che dipendono dalla falsità della firma; c) ha concluso affermando che: <> da colui che figura debitore in base alle annotazioni in esso contenute, <>.
Il motivo viene quindi deciso sulla base del seguente principio di diritto:
<>.
Il terzo motivo, che, in sostanza, denuncia un vizio di omessa pronuncia in violazione dell’art. 112 c.p.c., è inammissibile.
Invero, nel ricorso introduttivo del presente giudizio parte ricorrente:
in sede di esposizione del fatto:
a1) ha riportato (pp. 8 e 9) le conclusioni che il COGNOME, nel proporre opposizione al precetto, aveva rassegnato; e, tra dette conclusioni, non ricorre anche una univoca domanda di annullamento per violenza dell’emissione degli assegni bancari;
a2) ha riferito (p. 10) che entrambe le parti avevano depositato le rispettive memorie ex art. 183 V comma c.p.c. e 184 c.p.c., ma non ha precisato se il Milo abbia integrato l’originaria domanda con altra e univoca di annullamento per violenza dell’emissione degli assegni bancari;
a3) ha riferito (p. 11) che: <>; senza precisare quali conclusioni aveva riproposte nel giudizio di appello e, in particolare, se tra queste vi era una univoca domanda di annullamento per violenza dell’emissione degli assegni bancari;
b) nell’illustrazione del motivo (p. 26 e ss), ha sì riportato un passo del primo atto difensivo del giudizio di primo grado ed un passo della comparsa di costituzione in appello, dai quali indubbiamente risulta dedotta la lamentata condotta intimidatrice, ma inammissibilmente non ha nuovamente precisato:
b1) né di aver integrato in sede di memoria ex art 183 c.p.c. l’originaria domanda con una univoca domanda di annullamento per violenza dell’emissione degli assegni bancari, per cui è ricorso, b2) e neppure se detta univoca domanda sia stata, specificamente ed altrettanto univocamente, riproposta in sede di appello ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 346 c.p.c..
Ciò posto, occorre ricordare che, secondo le Sezioni Unite di questa Corte (cfr. SU n. 19874/2018), «qualora il ricorrente per cassazione proponga una determinata questione giuridica che implichi un accertamento in fatto e non risulti in alcun modo trattata nella sentenza impugnata, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, deve denunciarne l’omessa pronuncia indicando, in conformità con il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, in quale atto del giudizio di merito abbia già dedotto tale questione, onde dar modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità e la ritualità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la relativa censura»
D’altronde, quand’anche riqualificato come violazione di legge, il motivo è, comunque, inammissibile alla luce del pacifico principio (affermato ad es. da Cass. n. 22449/2006) secondo cui «il ricorso per cassazione deve, a pena di inammissibilità, essere articolato su motivi dotati dei caratteri della specificità, della completezza e della riferibilità alla decisione impugnata; in particolare il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 n. 3 cpc deve essere dedotto mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza e dalla dottrina, diversamente non ponendosi la Corte regolatrice in condizione di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione».
L’ampia descrizione del contesto in cui era maturata la vicenda dell’emissione degli assegni, insomma, non può dirsi addotta in modo chiaro e univoco quale causa petendi di una altrettanto chiara e univoca domanda di annullamento del negozio di emissione di quelli: detta domanda, invece e a stretto rigore, non risulta mai nemmeno dispiegata.
In definitiva – impregiudicata la questione delle modalità di utile deducibilità della violenza, come causa di annullamento dell’emissione del titolo di credito, anche senza formule particolari (come precisato da questa Corte ormai quaranta anni fa: cfr. Cass. n. 1910/1985), ma pur sempre univocamente orientate a chiedere l’annullamento del contratto o del negozio – occorre qui ribadire che nel giudizio di cassazione, che ha ad oggetto soltanto la sentenza di merito impugnata in rapporto alla regolarità formale del processo ed alle questioni di diritto in esso proposte, non sono proponibili nuove questioni di diritto o temi di contestazione diversi da quelli dedotti nel giudizio di merito, ancorché rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, quando esse presuppongano o richiedano, come per l’appunto si verifica nel caso di specie, nuovi accertamenti o apprezzamenti di fatto, preclusi come è noto in sede di legittimità.
Il motivo viene quindi deciso sulla base del seguente principio di diritto:
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All’infondatezza del ricorso non consegue la condanna alle spese, in considerazione della inammissibilità del controricorso e del mancato espletamento delle attività ulteriori pure consentite dal rito
applicato (di trattazione in pubblica udienza), ma consegue la declaratoria della ricorrenza dei presupposti di legge per il versamento, ad opera di parte ricorrente al competente ufficio di merito, dell’importo a titolo di contributo unificato a norma del comma 1-bis dell’art. 13 del d.P.R. 115 del 2002.
P. Q. M.
La Corte:
rigetta il ricorso;
dichiara inammissibile il controricorso;
– ai sensi dell ‘ art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, ad opera di parte ricorrente al competente ufficio di merito, dell ‘ importo a titolo di contributo unificato a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 26 marzo 2025, nella camera di consiglio