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Finzione avveramento condizione: quando si applica?

La Corte di Cassazione ha chiarito i limiti della finzione di avveramento della condizione in un contratto di cessione di quote sociali. Il pagamento del saldo era subordinato all’ottenimento di autorizzazioni ambientali da parte della società le cui quote erano state cedute. Poiché la condizione non si è verificata, il venditore ha agito in giudizio sostenendo che l’inerzia degli acquirenti avesse impedito l’avveramento. La Corte ha respinto il ricorso, specificando che la finzione di avveramento della condizione richiede una condotta dolosa o colposa e non una semplice inerzia, a meno che non esista un obbligo specifico di agire, che in questo caso non gravava sugli acquirenti ma sulla società target.

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Cessione Quote e Condizione Sospensiva: Quando Scatta la Finzione di Avveramento?

L’ordinanza in esame affronta un tema cruciale nei contratti commerciali: la finzione di avveramento della condizione. Questa pronuncia della Corte di Cassazione chiarisce i confini dell’obbligo di buona fede e stabilisce quando l’inerzia di una parte contrattuale può (o non può) far considerare come avvenuta una condizione sospensiva da cui dipendono gli effetti del contratto, come il pagamento di un prezzo.

I Fatti del Caso: La Cessione di Quote e la Condizione Sospensiva

La vicenda nasce dalla cessione di quote di una società a responsabilità limitata, il cui progetto principale era la realizzazione di un parco eolico. Il contratto di cessione prevedeva il pagamento di una parte del prezzo al momento della firma e il saldo al verificarsi di una condizione sospensiva: l’ottenimento della “Valutazione di Impatto Ambientale” (VIA) e delle relative concessioni.

Le società acquirenti, dopo aver versato l’acconto, convenivano in giudizio il venditore, lamentando che la redditività del progetto eolico fosse molto inferiore a quella prospettata e chiedendo la risoluzione del contratto. Il Tribunale accoglieva la loro domanda. La Corte d’Appello, invece, riformava la decisione, respingendo la richiesta delle società acquirenti ma anche la domanda riconvenzionale del venditore, il quale chiedeva il pagamento del saldo prezzo.

Il venditore, insoddisfatto, ricorreva in Cassazione, sostenendo che il mancato ottenimento delle autorizzazioni fosse imputabile all’inerzia colposa delle acquirenti, le quali avevano interesse a non pagare il saldo. Egli invocava, quindi, l’applicazione dell’art. 1359 c.c. sulla finzione di avveramento della condizione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso del venditore, confermando la sentenza d’appello. La decisione si basa su due pilastri argomentativi fondamentali.

Analisi del Primo Motivo: Nessuna Contraddizione nella Sentenza

Il ricorrente lamentava una presunta contraddizione nella decisione d’appello, che aveva respinto sia le domande degli acquirenti sia la sua richiesta di pagamento. La Cassazione ha chiarito che non vi è alcuna contraddizione. Le domande si fondavano su presupposti diversi: quella degli acquirenti su presunti vizi della cosa venduta (le quote), quella del venditore sull’avveramento (fittizio) della condizione. Il rigetto della prima non implica automaticamente l’accoglimento della seconda.

Analisi del Secondo Motivo: La Finzione di Avveramento della Condizione e i Limiti della Buona Fede

Questo è il cuore della pronuncia. Il venditore sosteneva che le società acquirenti, in virtù del principio di buona fede (art. 1358 c.c.), avessero l’obbligo di attivarsi per ottenere le autorizzazioni. La loro inerzia, quindi, avrebbe dovuto far scattare la finzione di avveramento della condizione.

La Corte ha respinto questa tesi, stabilendo un principio chiaro: la finzione di cui all’art. 1359 c.c. presuppone un comportamento attivo, doloso o colposo, della parte che ha interesse contrario all’avveramento. La semplice inerzia non è sufficiente, a meno che non violi un obbligo specifico di agire imposto dal contratto o dalla legge.

Le Motivazioni della Corte

La Corte ha attentamente esaminato il testo del contratto. La clausola contrattuale subordinava il pagamento del saldo all'”ottenimento della società ‘Veneta Energia S.R.L.’ della valutazione di impatto ambientale”. L’obbligo di attivarsi per ottenere le autorizzazioni, quindi, non era a carico delle società acquirenti, ma della società target stessa, che è un soggetto giuridico terzo rispetto alle parti del contratto di cessione.

Gli Ermellini hanno sottolineato che il principio di buona fede, pur essendo una clausola generale che impone correttezza, non può essere utilizzato per spostare su una delle parti contrattuali un obbligo che il contratto stesso pone a carico di un terzo. Le società acquirenti non avevano alcun dovere giuridico di attivarsi per conto della società partecipata al fine di ottenere le concessioni. Di conseguenza, la loro inerzia non può essere considerata una condotta colposa idonea a far scattare la finzione di avveramento.

Conclusioni e Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza offre un’importante lezione per la redazione dei contratti di cessione di partecipazioni societarie, specialmente quando il prezzo è legato a performance future o all’ottenimento di autorizzazioni.

1. Chiarezza Contrattuale: È fondamentale specificare chiaramente su chi grava l’obbligo di compiere le azioni necessarie per l’avveramento di una condizione. Se si vuole che l’acquirente si impegni attivamente, ciò deve essere esplicitato nel contratto.
2. Limiti della Buona Fede: Il principio di buona fede non può creare obblighi non previsti né trasferire responsabilità da un soggetto a un altro. Non si può pretendere che un socio si sostituisca agli organi amministrativi di una società per compiere atti di gestione.
3. Prova della Colpa: Per invocare la finzione di avveramento della condizione, non basta dimostrare l’inerzia della controparte; è necessario provare che tale inerzia costituisce violazione di un preciso obbligo di agire e che sia stata la causa diretta del mancato avveramento.

Quando si applica la finzione di avveramento della condizione prevista dall’art. 1359 c.c.?
Secondo la Corte, questa finzione si applica solo quando la condizione manca per una causa imputabile alla parte che aveva un interesse contrario al suo avveramento. Tale causa deve consistere in una condotta attiva, dolosa o colposa, e non in una mera inerzia, a meno che non esista un preciso obbligo contrattuale or di legge di agire.

Nella vendita di quote sociali, l’acquirente è obbligato ad attivarsi per far avverare una condizione che dipende dalla società stessa?
No. A meno che il contratto non lo preveda espressamente, l’acquirente non ha l’obbligo di attivarsi per far compiere alla società partecipata gli atti necessari all’avveramento della condizione. Il principio di buona fede non può imporre a un contraente un obbligo che spetta a un soggetto terzo, anche se si tratta della società di cui ha acquistato le quote.

È contraddittoria una sentenza che rigetta sia la domanda dell’acquirente (es. riduzione prezzo) sia quella del venditore (es. pagamento saldo)?
No, non è contraddittoria. La Corte ha chiarito che le due domande possono basarsi su presupposti giuridici distinti e indipendenti. Pertanto, il rigetto di una non comporta necessariamente l’accoglimento dell’altra.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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