Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 11038 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 11038 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 27/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 4367/2019 R.G. proposto da :
COGNOME, domiciliato ex lege in ROMA, INDIRIZZO presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati COGNOME NOME
-controricorrente e ricorrente incidentale-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO VENEZIA n. 3265/2018 depositata il 27/11/2018.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17/04/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
– Il ricorso riguarda la sentenza della Corte d’appello di Venezia che ha parzialmente riformato la decisione con cui il Tribunale di Padova aveva accolto la domanda proposta da NOME COGNOME nei confronti di RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE accogliendo la domanda di tali società volta all’accertamento negativo del debito vantato nei loro confronti dal COGNOME a titolo di saldo del corrispettivo pattuito per la vendita della partecipazione pari al 28,5% da questi detenuta nella società RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE
– La vicenda che ha condotto alla menzionata decisione è la seguente.
RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE hanno acquistato nel 2005 da NOME COGNOME quote pari al 28,5% di RAGIONE_SOCIALE, società che aveva in progetto la realizzazione di un parco eolico in territorio del Comune di Vas, dietro il corrispettivo di complessivi 513.000,00 euro (rispettivamente € 333.000 quanto a RAGIONE_SOCIALE e € 180.000, quanto a RAGIONE_SOCIALE) corrisposto per la metà al momento della sottoscrizione dell’atto di cessione delle quote e da corrispondersi per l’altra metà (ossia per gli importi rispettivamente di € 166.500 ed € 90.000) al conseguimento, in effetti non ottenuto, della « Valutazione di impatto ambientale » e relative concessioni.
Le società acquirenti, successivamente, hanno convenuto in giudizio il COGNOME spiegando nei suoi confronti l’azione redibitoria sull’assunto che la capacità produttiva del parco eolico, e dunque la sua redditività, fosse di gran lunga inferiore a quella prospettata dal COGNOME.
3. – Il Tribunale adito ha accolto la domanda, affermando che le due società nulla dovessero al Baldan oltre a quanto già corrisposto in sede di sottoscrizione dell’atto di cessione: ciò, in breve, sulla considerazione che la cessione era finalizzata non tanto l’acquisizione da parte dei cessionari di un generico status socii, quanto alla realizzazione di una centrale eolica in base ad un progetto che aveva – effettivamente – una capacità produttiva di molto inferiore a quella indicata dal Baldan e che era stata assunta a parametro per determinare il valore della quota ceduta; conseguentemente se vle quote sociali dovevano considerarsi l’oggetto immediato compravendita, l’oggetto mediato era costituito dalla capacità produttiva della realizzanda centrale eolica ed essendo questa risultata inferiore di almeno la metà rispetto a quella progettata, si giustificava l’accoglimento dell’azione estimatoria per mancanza della qualità promesse del bene venduto ex art. 1497 c.c., in quanto la redditività di tale attività, riflettendosi sul valore e sulla redditività delle quote, costituiva, senza la necessità di garanzie esplicita, una qualità di tale quota avendo il cessionario fatto affidamento sulla ricorrenza di tale requisito alla stregua del principio di buona fede.
4. – Pronunciando sull’appello del COGNOME, la Corte d’appello di Venezia ha riformato la pronuncia di primo grado, ritenendo che il negozio intercorso tra le parti avesse ad oggetto le quote di partecipazione al capitale sociale (ovvero i diritti e gli obblighi che in concreto la partecipazione sociale è idonea attribuire al socio) e non, se non – appunto- mediatamente, la quota parte del patrimonio sociale che tale partecipazione rappresenta. Perciò – in conformità alla giurisprudenza dominante anche di legittimità in materia – ha negato che, in assenza di garanzie esplicite del venditore circa il valore della partecipazione acquistata (che obbliga il venditore a indennizzare il compratore ove la consistenza patrimoniale della società e, quindi, la relativa quota di
partecipazione ceduta si riveli diversa da quella considerata dalle parti con il contratto di cessione) o di dolo del venditore che abbia taciuto sulla reale situazione patrimoniale della società inducendo in errore l’acquirente (che consente al compratore di chiedere l’annullamento del contratto), il compratore deluso dalla consistenza del patrimonio sociale possa godere della tutela redibitoria che il Tribunale aveva, invece, riconosciuto, poiché la consistenza patrimoniale la società non integra una qualità promessa dei beni venduti – ovvero le partecipazioni sociali -la quale attiene all’insieme delle facoltà e dei diritti che le quote conferiscono al suo titolare ovvero i diritti di partecipazione all’attività di impresa (di natura amministrativa e patrimoniale).
Nel contempo la Corte d’appello ha, tuttavia, respinto il motivo d’appello con cui il COGNOME aveva chiesto – in riforma della sentenza di primo grado -la condanna delle due società al pagamento del saldo del prezzo, sul presupposto della finzione di avveramento della condizione sospensiva costituita dal conseguimento della «Valutazione di impatto ambientale» e delle concessioni per la realizzazione della centrale eolica, che – a dire del COGNOME – le due società acquirenti avrebbero dovuto attivarsi per ottenere; ha, invero, osservato che agli effetti dell’operatività dell’art. 1359 c.c.in virtù del quale la condizione si considera avverata qualora questa sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario al suo avveramento- è necessaria la sussistenza di una condotta dolosa o colposa di detta parte, che non era riscontrabile nel caso di mero a comportamento inattivo della parte predetta, salvo che questo non costituisca violazione di un obbligo di agire imposto dal contratto o dalla legge; e che, a carico delle due società acquirenti, non vi era alcun obbligo di agire per ottenere le predette concessioni, giacché queste avrebbero dovuto essere richieste dalla società interessata RAGIONE_SOCIALE nei confronti della quale il venditore neppure si era avvalso della
facoltà della costituzione in mora.
– Avverso detta sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso affidato a due motivi di cassazione. Ha resistito RAGIONE_SOCIALE, in cui si sono fuse per incorporazione RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE, spiegando, inoltre, ricorso incidentale condizionato per un mezzo. Entrambe le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
– Il primo motivo denuncia la violazione dell’art. 360 n. 3 c.p.c., in relazione agli artt. 111 co. 6 Cost. 24 Cost. e 132 co. 1, n. 4 c.p.c., per omessa motivazione; violazione dell’art 360 n. 4 c.p.c. per contrasto irriducibile fra le affermazioni contenute in motivazione.
Il ricorrente censura la decisione gravata in quanto non ha accolto il quinto motivo d’appello con il quale aveva denunciato l’erroneità del capo della sentenza che ha ritenuto non imputabile alle odierne convenute la fictio di cui all’art. 1359 c.c.: la motivazione sarebbe contraddittoria nella misura in cui la Corte d’appello ha accertato e dichiarato che non meritava accoglimento la domanda di riduzione del prezzo avanzata dalle odierne resistenti, ma, al contempo, che doveva essere rigettata anche la domanda avanzata in via riconvenzionale dal ricorrente di condanna di queste ultime al versamento del saldo del prezzo, perché dalla infondatezza della domanda di riduzione del prezzo conseguirebbe il diritto del COGNOME a ottenerne il saldo; inoltre la decisione sarebbe anche priva di effettività nella misura in cui è inidonea ad attribuire alla parte la concreta utilità che l’ordinamento le avrebbe dovuto riconoscere in relazione alle domande proposte e a quelle avversarie rigettate. Pertanto, la sentenza avrebbe violato l’art. 24 della Costituzione e sarebbe nulla perchè oggettivamente incomprensibile, dunque materialmente mancante della motivazione da ritenersi meramente apparente.
1.1- Il primo mezzo è manifestamente infondato.
Come noto, la riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, è stata interpretata da questa Corte, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al « minimo costituzionale » del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella « mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico », nella « motivazione apparente », nel « contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili » e nella « motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile », esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di « sufficienza » della motivazione (Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053).
Nel caso in esame è del tutto evidente che il predicato contrasto tra affermazioni inconciliabili non sussiste affatto, e la motivazione della Corte d’appello è sostenuta, invece, da una piana motivazione certamente eccedente la soglia del « minimo costituzionale ».
Difatti non v’è alcun contrasto tra il rigetto della domanda di riduzione del prezzo conforme all’indirizzo di questa Corte, che il Collegio condivide e cui qui intende dare seguito – secondo cui la cessione di partecipazioni sociali ha come oggetto immediato, per l’appunto, tali partecipazioni e solo quale oggetto mediato la quota parte del patrimonio sociale che tale partecipazione rappresenta, con quanto ne consegue in punto di esperibilità dell’azione di risoluzione e riduzione del prezzo, in presenza di puntuali garanzie a proposito del valore della quota del patrimonio rappresentata predetta, o, se del caso, di annullamento per vizio del volere (p. es.
Cass. n. 16031/2007; v. pure Cass. n. 7183/2019; ma, in senso diverso, v. Cass. n. 22790/2019)- ed il rigetto della domanda di pagamento del residuo prezzo fondata sul preteso avveramento della condizione del conseguimento, non ottenuto, della « Valutazione di impatto ambientale ».
Non v’è, invero, il benché minimo contrasto tra l’affermazione secondo cui il COGNOME non è inadempiente dell’obbligazione di cessione delle quote e quella secondo cui, non essendo venuto ad esistenza l’evento dedotto in condizione per i fini dell’esigibilità del residuo prezzo, il pagamento di esso non è dovuto, trattandosi di domande (contrapposte) che si fondano su presupposti diversi; nè ha alcun fondamento la dedotta violazione degli articoli 111 e 24 Cost. per pretesa mancanza di effettività della tutela che l’ordinamento giuridico offre in questo caso al titolare del diritto, giacché il diritto invocato dal COGNOME era sottoposto, da una clausola negoziata, ad una condizione che pacificamente non si è avverata.
2. -Il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 360 n. 3 c.p.c., in relazione agli artt. 1358, 1359 c.c., per non avere la Corte d’Appello di Venezia considerato che vi era un obbligo imposto dalla legge alle parti di attivarsi per il verificarsi della condizione dedotta nella convenzione negoziale; violazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c. in relazione all’omesso esame del doc. C fascicolo, ex art. 369 co. 4 c.p.c.
Erroneamente il giudice di secondo grado avrebbe ritenuto che non vi fosse -in capo alle società odierne resistenti – un obbligo di agire imposto del contratto e dalla legge relativamente al rilascio delle valutazioni di impatto ambientale e delle concessioni per la realizzazione della centrale eolica, perché nel contratto si legge che la parte restante del prezzo sarebbe stata pagata dalle società RAGIONE_SOCIALE (quanto ad euro 166.500,00) e RAGIONE_SOCIALE (quanto ad euro 90.000,00) entro 10 giorni dall’ottenimento dalla società
RAGIONE_SOCIALE delle valutazioni di impatto ambientale e relative concessioni per la realizzazione di una centrale eolica in Comune di Van; perciò -reputa il ricorrente – la condizione non si era verificata a causa del comportamento omissivo delle cessionarie, che non si erano attivate per il rilascio delle concessioni per la realizzazione della centrale eolica, omissione di cui costituirebbe prova scritta la certificazione prodotta in giudizio delle Unioni dei Comuni del Basso Feltrino Sette Ville, ove si legge che RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE mai avevano presentato al Comune di Vas progetti domande o richieste di autorizzazione per la costruzione di una centrale eolica, né prodotto alcuna documentazione a ciò necessaria. Il giudice avrebbe omesso di valutare se il comportamento delle parti – alla luce della predetta clausola relativa al condizionato pagamento del residuo prezzocorrispondesse o meno ad uno standard esigibile di buona fede, laddove era stato totalmente omesso da parte della resistenti e della partecipata ogni attività volta a ottenere le concessioni amministrative predette, cui le società acquirenti sarebbero state obbligate in quanto socie della RAGIONE_SOCIALE
2.- Il motivo è palesemente infondato.
La Corte territoriale, nel rigettare la domanda di pagamento avente ad oggetto il residuo prezzo, fondata sull’assunto della finzione di avveramento dell’evento dedotto in condizione, ossia l’ottenimento della « Valutazione di impatto ambientale », ha richiamato un principio del tutto scontato, secondo cui, nell’ipotesi di negozio condizionato, per l’operatività dell’art. 1359 c.c. è necessaria la sussistenza di una condotta dolosa o colposa della parte alla quale il mancato avveramento sarebbe addebitabile, non riscontrabile però in un semplice comportamento inattivo, salvo che l’inerzia non costituisca violazione di un obbligo di agire imposto dal contratto o dalla legge (a mero titolo di esempio tra le tante Cass. 9 agosto 1996, n. 7377). Ciò detto la Corte d’appello ha del tutto
correttamente osservato che le due società acquirenti delle quote di RAGIONE_SOCIALE non erano assoggettate ad alcun obbligo giuridico di attivarsi per ottenere la « Valutazione di impatto ambientale », né avevano posto in essere condotte commissive connotate da dolo o colpa.
Il ricorrente sostiene, invece, che detto obbligo sarebbe riscontrabile nelle seguenti clausole dell’atto di cessione di quote riferite al pagamento del residuo prezzo: « 1) AL SIGNOR RAGIONE_SOCIALE da parte della società RAGIONE_SOCIALE: quanto ad Euro 166.500,00 … da pagarsi entro 10 (dieci) giorni dall’ottenimento della società RAGIONE_SOCIALE della valutazione di impatto ambientale (V.I.A.) e relative concessioni per la realizzazione di una Centrale Eolica in Comune di Vas (BL); da parte della società RAGIONE_SOCIALE: quanto ad Euro 90.000,00 … da pagarsi entro 10 (dieci) giorni dall’ottenimento della società RAGIONE_SOCIALE della valutazione di impatto ambientale (V.I.A.) e relative concessioni per la realizzazione di una Centrale RAGIONE_SOCIALE in Comune di Vas (BL) ».
Quindi sostiene che RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE fossero obbligate ad attivarsi per ottenere la « Valutazione di impatto ambientale » sulla base di un dato testuale che fa in modo esplicito riferimento, invece, all’« ottenimento della società RAGIONE_SOCIALE della valutazione di impatto ambientale »: il Baldan invoca, cioè, contro l’evidenza, un dato testuale che conferma in pieno la perfetta fondatezza del ragionamento svolto dalla Corte territoriale, coniugando siffatto errore con il richiamo, anch’esso del tutto infondato, al principio di buona fede oggettiva: se è certamente vero che l’obbligo di buona fede costituisce regola di condotta, sancita da plurime norme del codice civile (v. artt. 1175, 1337, 1366 e 1375 c.c.), che impone ai contraenti un obbligo di reciproca correttezza in tutte le fasi del rapporto contrattuale, potendo comportare l’individuazione di obblighi e divieti ulteriori
rispetto a quelli espressamente contemplati dal contratto in funzione della salvaguardia dell’interesse che ciascuna ha all’efficacia del contratto, è altrettanto ovvio che il principio di buona fede oggettiva non può spostare a carico di una delle parti del contratto – in questo caso RAGIONE_SOCIALE e RAGIONE_SOCIALE l’obbligo di porre in essere una condotta che è, invece, rimessa all’iniziativa addirittura di un terzo, quale in questo caso RAGIONE_SOCIALE
3.- Il rigetto del ricorso principale esime dal considerare il ricorso incidentale condizionato proposto da RAGIONE_SOCIALE
4.- In conclusione il ricorso principale va respinto. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come nel dispositivo, ai sensi del D.M. 12 luglio 2012, n. 140. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore della controricorrente, liquidate nell’importo di euro 12.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% sul compenso ed agli accessori come per legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dalla I. 24 dicembre 2012, n. 228, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1bis .
Cosí deciso in Roma, nella camera di consiglio della I Sez. Civile