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Fine di lucro e diritto d’autore: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un’azienda di moda sanzionata per aver diffuso musica nei propri negozi senza aver pagato i diritti ai produttori discografici. La Corte ha stabilito che il fine di lucro non richiede un guadagno diretto, ma sussiste anche quando la musica è usata per ottimizzare i profitti, creando un ambiente più piacevole per i clienti. È stata inoltre respinta la tesi della buona fede, poiché l’imprenditore ha l’obbligo di informarsi su tutte le normative vigenti.

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Fine di lucro e diritto d’autore: la diffusione di musica nei negozi

La diffusione di musica di sottofondo in un negozio è una strategia di marketing comune, ma quali sono le implicazioni legali sul diritto d’autore? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fatto luce sul concetto di fine di lucro, stabilendo che esso non si limita a un guadagno diretto, ma include anche la volontà di ottimizzare i profitti d’impresa creando un ambiente piacevole per i clienti. Analizziamo questa importante decisione.

I fatti del caso: musica in negozio e la sanzione della Prefettura

Una società operante nel settore della moda e il suo legale rappresentante venivano sanzionati dalla Prefettura per una somma considerevole. La contestazione riguardava la violazione della legge sul diritto d’autore. Nello specifico, l’azienda diffondeva abusivamente fonogrammi e videogrammi musicali nei suoi punti vendita al pubblico. La musica proveniva da un fornitore di servizi specializzato (music server provider), ma l’azienda non aveva corrisposto gli oneri dovuti a una specifica società di gestione collettiva che tutela i diritti dei produttori discografici e degli artisti interpreti.

L’imprenditore proponeva opposizione all’ordinanza-ingiunzione, dando inizio a un lungo percorso giudiziario.

L’iter giudiziario: dal Tribunale alla Corte d’Appello

Il Tribunale di primo grado accoglieva parzialmente il ricorso, riducendo l’importo della sanzione al minimo edittale, ma confermando la responsabilità dell’azienda. Successivamente, la Corte d’Appello rigettava l’impugnazione presentata dall’imprenditore. I giudici di secondo grado escludevano che la condotta potesse essere considerata solo un illecito penale (e non amministrativo) e ribadivano che nell’illecito amministrativo la colpa si presume. La Corte d’Appello, inoltre, individuava il fine di lucro nella volontà di ottimizzare i risultati d’impresa, considerando tardiva e inammissibile l’eccezione basata sulla buona fede.

Contro questa sentenza, l’imprenditore proponeva ricorso in Cassazione.

L’analisi della Cassazione e la nozione di fine di lucro

La Corte di Cassazione ha esaminato i motivi del ricorso, respingendoli tutti e confermando la decisione della Corte d’Appello. Le argomentazioni della Suprema Corte sono fondamentali per comprendere gli obblighi degli esercenti commerciali.

La coesistenza tra illecito penale e amministrativo

Il primo punto affrontato riguarda la presunta incompetenza della Prefettura a emettere la sanzione. La Cassazione ha chiarito che, in materia di diritto d’autore, la condotta di abusiva riproduzione è soggetta a un regime di doppia punibilità: è prevista sia come illecito penale (art. 171-ter, L. 633/1941) sia come illecito amministrativo (art. 174-bis, L. 633/1941). Le due sanzioni sono autonome e non si escludono a vicenda. La competenza dell’autorità amministrativa, quindi, era pienamente legittima.

Il concetto di fine di lucro nell’ottimizzazione d’impresa

Il cuore della decisione riguarda la definizione di fine di lucro. Il ricorrente sosteneva l’assenza di tale elemento. La Corte, al contrario, ha sposato la tesi della Corte d’Appello, affermando che il fine di lucro non è solo un guadagno economico diretto derivante dalla musica, ma va inteso in senso più ampio. È stato correttamente individuato nella volontà della società di incrementare le vendite giovandosi della diffusione di musica e immagini, elementi idonei a influenzare positivamente la percezione della qualità del prodotto, il comportamento d’acquisto e il tempo di permanenza dei clienti nel negozio.

L’esimente della buona fede: un’eccezione non applicabile

Infine, la Cassazione ha ritenuto infondato il motivo relativo alla buona fede. L’imprenditore sosteneva di aver agito nella convinzione che i pagamenti effettuati alla nota società di autori ed editori coprissero tutti gli oneri dovuti. La Corte ha ribadito un principio consolidato: l’errore su una norma giuridica non scusa, a meno che non sia inevitabile e causato da un elemento esterno e positivo. L’ignoranza, soprattutto per un operatore professionale, non può essere invocata come esimente. L’imprenditore ha l’onere di informarsi diligentemente su tutti gli obblighi di legge che gravano sulla sua attività.

Le motivazioni

La decisione della Corte si fonda su una lettura rigorosa e pragmatica della normativa sul diritto d’autore. Le motivazioni principali possono essere così sintetizzate:
1. Interpretazione estensiva del ‘fine di lucro’: La Corte ha affermato che il fine di lucro, nel contesto dell’illecito amministrativo previsto dalla legge sul diritto d’autore, non deve essere interpretato in modo restrittivo come mero guadagno monetario diretto. Esso comprende qualsiasi vantaggio economicamente apprezzabile, inclusa l’ottimizzazione dell’attività commerciale volta ad aumentare i profitti, anche indirettamente. La musica in un negozio non è un semplice abbellimento, ma uno strumento di marketing che contribuisce al risultato economico dell’impresa.
2. Autonomia dell’illecito amministrativo: La Cassazione ha confermato che la violazione amministrativa e il reato previsto dalla stessa legge sono distinti. L’esistenza dell’una non dipende dall’accertamento dell’altro. Questo principio di ‘doppia punibilità’ garantisce che le condotte lesive dei diritti d’autore possano essere perseguite efficacemente sia sul piano amministrativo, con sanzioni pecuniarie, sia su quello penale nei casi più gravi.
3. Onere di diligenza dell’imprenditore: La Corte ha respinto l’argomentazione della buona fede, sottolineando la responsabilità dell’imprenditore. Chi svolge un’attività economica ha il dovere di conoscere e rispettare le norme di settore. Confondere gli obblighi verso diverse società di gestione collettiva (una per i diritti d’autore, l’altra per i diritti connessi dei produttori) è un errore che non può essere considerato ‘scusabile’ e non esime dalla responsabilità.

Le conclusioni

L’ordinanza della Cassazione rappresenta un monito importante per tutti gli esercenti commerciali. La diffusione di musica e video all’interno di un’attività aperta al pubblico è considerata un atto finalizzato a un vantaggio economico e, pertanto, richiede il pieno rispetto di tutte le normative sul diritto d’autore e sui diritti connessi. Non è sufficiente pagare i diritti a una sola società di gestione collettiva, ma è necessario verificare e adempiere a tutti gli obblighi esistenti verso i diversi titolari dei diritti. Questa sentenza consolida un’interpretazione ampia del fine di lucro, allineandola alle moderne pratiche commerciali dove l’esperienza del cliente è un fattore chiave per il successo.

Diffondere musica in un negozio per creare una buona atmosfera integra il ‘fine di lucro’?
Sì. La Corte di Cassazione ha stabilito che il fine di lucro sussiste nella volontà di ottimizzare i profitti d’impresa, influenzando la percezione dei clienti, il loro comportamento d’acquisto e il tempo di permanenza nel negozio. Non è necessario un guadagno diretto dalla musica.

Se un’azione viola sia una norma penale che una amministrativa in materia di diritto d’autore, quale sanzione si applica?
Entrambe possono essere applicate. La Corte chiarisce che in questo ambito vige un regime di ‘doppia punibilità’, dove l’illecito amministrativo e quello penale sono autonomi e la sanzione amministrativa può essere irrogata indipendentemente dall’esistenza di un procedimento penale.

Essere convinti di aver pagato tutti i diritti dovuti a una società di gestione collettiva è sufficiente per evitare una sanzione se si scopre di dover pagare anche un’altra società?
No. Secondo la Corte, l’errore sulla normativa non è considerato una scusante valida (esimente della buona fede), soprattutto per un imprenditore. Quest’ultimo ha l’obbligo di informarsi su tutte le leggi pertinenti alla sua attività e non può invocare l’ignoranza per evitare la responsabilità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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