Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 26846 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 26846 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. R.NUMERO_DOCUMENTO. NUMERO_DOCUMENTO anno NUMERO_DOCUMENTO proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE , elettivamente domiciliati in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE);
ricorrente
contro
RAGIONE_SOCIALE IN QUALITÀ DI MANDATARIA DI RAGIONE_SOCIALE, elettivamente domiciliato in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato COGNOME NOME (CODICE_FISCALE) che lo rappresenta e difende;
contro
ricorrente
nonché contro
RAGIONE_SOCIALE;
intimata
avverso la SENTENZA n. 8147/2022 emessa da CORTE D’APPELLO ROMA.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 settembre 2024 dal consigliere relatore NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME, nelle rispettive qualità di debitore principale e garante, hanno proposto opposizione al decreto ingiuntivo emesso l’11 settembre 2000 a favore di Banca Popolare del Lazio, avente ad oggetto la somma di lire 2.669.928.139, oltre interessi, quale credito per finanziamenti in valuta estera su rapporto di conto corrente acceso dalla stessa COGNOME.
Il Tribunale di Roma ha accolto l’opposizione, revocando il decreto opposto e condannando gli opponenti, in solido, al pagamento della somma di euro 1.374.384,33 oltre interessi legali.
RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME hanno proposto appello, che è stato respinto dalla Corte di Roma.
Questa Corte, con sentenza n. 21913 del 7 settembre RAGIONE_SOCIALE ha poi annullato la sentenza di appello osservando: che il Giudice del gravame era incorso « in un vizio di motivazione così grave da rendere incomprensibili le ragioni della decisione, in quanto non erano state esplicitate le ragioni per cui, ad un tempo, i contratti di finanziamento potessero essere qualificati operazioni speculative che la banca eseguiva su ordine del cliente, e come finanziamenti, né si capisce, in quest’ultimo caso, perché è stata esaminata la questione concernente gli obblighi informativi della banca »; che lo stesso Giudice distrettuale « aveva ritenuto di non applicare le norme dettate dal d.lgs. n. 58/1998, pur avendo considerato i contratti di finanziamento in valuta estera a carattere speculativo, e pur essendo incontestato che le somme erogate dalla banca non erano state utilizzate per finalità imprenditoriali ».
3 . ─ Il giudizio è stato riassunto e in sede di rinvio la Corte di appello di Roma ha respinto il gravame proposto avverso la sentenza di primo grado.
Il Giudice distrettuale di Roma ha ritenuto che i contratti oggetto di causa andassero qualificati contratti di finanziamento senza vincolo di destinazione e in valuta estera: «La banca, in sostanza, erogava le somme oggetto del finanziamento, senza che fosse previsto un vincolo per la destinazione delle stesse, e la società si obbligava a restituirle entro un certo tempo e, segnatamente, entro tre mesi e in valuta estera »; secondo la Corte territoriale, d’altra parte, « a circostanza che il finanziamento in valuta estera comporti necessariamente il rischio di fluttuazione dei cambi non vale a far ipotizzare che si tratti di un investimento»; ha precisato non essere possibile assimilare il contratto di mutuo, ancorché indicizzato -quindi sottoposto all’operatività di clausole di carattere aleatorio, influenzate dalla variabilità di tassi e cambi -ad uno strumento finanziario: ciò «per la semplice e assorbente ragione che manca nella struttura contrattuale l’operazione di investimento di risorse da parte del mutuatario, che non acquista uno strumento finanziario, ma viene invece finanziato».
4. – Avverso tale pronuncia RAGIONE_SOCIALE e NOME COGNOME hanno proposto un ricorso per cassazione basato su di un motivo. Al ricorso resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE, in qualità di procuratrice di RAGIONE_SOCIALE.
E’ stata formulata, da parte del Consigliere delegato allo spoglio, una proposta di definizione del giudizio a norma dell’art. 380 -bis c.p.c.. A fronte di essa, il difensore della parte ricorrente ha domandato la decisione della causa e ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
La proposta ha il tenore che segue:
«’unico motivo, che deduce violazione dell’art. 1344 c.c. e del d.lgs. n. 58/1998, è inammissibile sotto plurimi profili: ai sensi dell’art.
360bis , n. 1, c.p.c., in quanto senza argomenti idonei intende contrastare quanto statuito da Cass., SU, n. 5657/2023, secondo cui «La clausola inserita in un contratto di leasing, la quale preveda che a) la misura del canone varii in funzione sia delle variazioni di un indice finanziario, sia delle fluttuazioni del tasso di cambio tra la valuta domestica ed una valuta straniera e b) l’importo mensile del canone resti nominalmente invariato, e i rapporti di dare/avere tra le parti dipendenti dalle suddette fluttuazioni siano regolati a parte non è un patto immeritevole ex art. 1322 c.c., né costituisce uno ‘ strumento finanziario derivato ‘ implicito, e la relativa pattuizione non è soggetta alle previsioni del d. lgs. 58/1998, da cui si traggono principi anche per la fattispecie in esame; inoltre, esso intende riproporre un giudizio sul fatto».
– Col ricorso per cassazione si sostiene che la causa dell’operazione contrattuale sarebbe quelle «speculativa tipica di uno strumento finanziario derivato»: il contratto si connoterebbe per una causa concreta diversa da quella propria del finanziamento ed essa sarebbe da rinvenire nella «ricerca della differenzialità»: secondo gli istanti, il capitale oggetto del finanziamento «finisce in tal modo per assolvere alla mera funzione di ‘ nozionale ‘ o ‘ sottostante ‘ , cioè per essere utilizzato come semplice base di calcolo per determinare il differenziale tra capitale erogato e capitale da restituire, il quale spetterà all’una o all’altra parte a seconda dell’andamento del cambio senza alcuna ulteriore funzione all’interno del sinallagma contrattuale ».
– Il ricorso è anzitutto carente di autosufficienza in quanto non riassume e non riproduce nelle parti essenziali il contratto che regola l’operazio ne contestata. Questa Corte reputa inammissibili, per violazione dell’art. 366, n. 6, c.p.c., le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro
individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità (Cass. Sez. U. 27 dicembre 2019, n. 34469; Cass. 1 luglio 2021, n. 18695); più di recente, in una prospettiva che valorizza il principio di cui all’art. 6, par. 1, della CEDU questa S.C. ha però precisato come l’indicazione dei documenti o degli atti processuali sui quali il ricorso si fondi possa avvenire alternativamente, o riassumendone il contenuto, o trascrivendone i passaggi essenziali (Cass. 19 aprile 2022, n. 12481).
Come osservato nella proposta, il motivo è inoltre – e comunque -contrastante ex art. 360bis , n. 1, c.p.c. con la giurisprudenza di questa Corte. In termini generali, infatti, l ‘apposizione di clausole di «rischio cambio» ai contratti di finanziamento non muta la causa di questi (così, con riferimento al leasing immobiliare, Cass. 26 gennaio 2024, n. 2510; ma cfr. pure Cass. Sez. U. 23 febbraio 2023, n. 5657 e Cass. 3 novembre 2023, n. 30556). Hanno osservato le Sezioni Unite (Cass. Sez. U. 23 febbraio 2023, n. 5657, cit., in motivazione) che strumenti finanziari derivati, per la legge vigente, sono solo le operazioni definite come tali dal d. lgs. n. 58/1998 e che nessuna delle previsioni contenute in questo testo legislativo include la clausola di «rischio cambio» tra le dette operazioni; le stesse Sezioni Unite hanno poi rammentato come per la giurisprudenza di questa Corte (Cass. 4 settembre 2009, n. 19226) appartengono alla categoria degli «strumenti finanziari collegati alla valuta» soltanto quelli per mezzo dei quali le parti intendono speculare sull’andamento del mercato delle valute, e non quelli che si limitano a determinare il valore d’una prestazione rinviando ad un indice monetario, comunque determinato. In conclusione, e facendo applicazione dei principi sopra menzionati, deve darsi atto di quanto segue. Per un verso, la Corte di appello ha
rilevato che l’operazione programmata consisteva nella semplice erogazione di un finanziamento in divisa estera, senza vincolo di destinazione: finanziamento che, proprio in quanto operato in valuta straniera, implicava, di necessità, il rischio di fluttuazione dei cambi. Per altro verso, il contratto in esame non è menzionato tra quelli che devono intendersi come «strumenti finanziari» in base alla classificazione contenuta nel testo unico della finanza, né vale a giustificare l’inclusione del negozio nella suddetta categoria la circostanza per cui il rapporto fosse esposto all’oscillazione d ei cambi (effetto, questo, evidentemente connaturato ad ogni operazione che sia in qualche modo raccordata alla quotazione delle valute). Non vale dunque opporre che la Corte territoriale sia incorsa in un errore di qualificazione, denunciabile nella presente sede.
Come è evidente, poi, l’affermazione della Corte di appello secondo cui «a banca, in sostanza, erogava le somme oggetto del finanziamento, senza che fosse previsto un vincolo per la destinazione delle stesse, e la società si obbligava a restituirle entro un certo tempo e, segnatamente, entro tre mesi e in valuta estera» non involge alcuna operazione qualificatoria ma riflette un accertamento di fatto della volontà contrattuale, come tale non sindacabile in questa sede.
─ Le spese di giudizio seguono la soccombenza.
─ Trovano applicazione le statuizioni di cui all’art.96, comma 3 e comma 4, c.p.c. , giusta l’art. 380 -bis , comma 3, c.p.c..
P.Q.M.
La Corte
dichiara inammissibile il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 13.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in euro 200,00, ed agli accessori di legge; condanna parte ricorrente al pagamento della somma di euro 13.000,00 in favore della parte
contro
ricorrente e dell’ulteriore somma di euro 2.500,00 in favore della Cassa delle ammende; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione