Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 13433 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 13433 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 15/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17820 R.G. anno 2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME AVV_NOTAIO;
ricorrente contro
COGNOME NOME ;
intimato avverso la sentenza n. 1155/2020 depositata il 28 aprile 2020 della Corte di appello di Venezia.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del l’8 marzo 2024 dal consigliere relatore NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME ha agito in giudizio domandando la condanna di RAGIONE_SOCIALE, di cui era stato socio, al pagamento della somma di euro 49,000,00. Ha dedotto di aver titolo alla restituzione di detto importo, che era stato da lui versato alla società a titolo di finanziamento.
RAGIONE_SOCIALE ha resistito alla domanda e ha chiesto che l’attore fosse condannato al risarcimento del danno sofferto dalla società per non aver da lui ricevuto un ulteriore finanziamento per euro 127.500,00.
Il Tribunale ha accolto la domanda di COGNOME e respinto la domanda riconvenzionale.
– Ha proposto appello RAGIONE_SOCIALE e la Corte di appello di Venezia, con sentenza del 28 aprile 2020, ha respinto il gravame.
-Ricorre per cassazione, con quattro motivi, illustrati da memoria, la società RAGIONE_SOCIALE non ha rassegnato difese.
RAGIONI DELLE DECISIONE
Col primo motivo sono denunciati il vizio di motivazione, l’ omesso esame di elementi istruttori oltre che l ‘ erronea qualificazione circa il fatto che il versamento eseguito dal socio COGNOME alla società RAGIONE_SOCIALE fosse un apporto in conto capitale non rimborsabile a copertura di perdite.
Il mezzo di censura investe la decisione adottata dalla Corte di appello con riferimento al rigetto del primo motivo di appello. Il Giudice distrettuale, nel confrontarsi col predetto motivo di impugnazione, ha valorizzato plurimi elementi, reputati rappresentativi della reale natura dell’operazione posta in atto. Ha in sintesi osservato: che le delibere assembleari del 10 marzo 2008 e del 20 luglio 2008 davano ragione del fatto che l’erogazione della somma di euro 49.000,00 era avvenuta a titolo di finanziamento, facendosi riferimento, nei relativi verbali, per entrambe, a un «finanziamento soci infruttifero»; che i verbali suddetti non contenevano alcun accenno a conferimenti di denaro in sorte capitale; che l’odierna ricorrente non aveva mosso alcun rilievo
all’affermazione, contenuta nella sentenza di primo grado, secondo cui il finanziamento di euro 49.000,00 era «iscritto, nel bilancio del 31 dicembre 2008, regolarmente approvato dai soci, tra i debiti e più esattamente tra i ‘ debiti esigibili entro l’esercizio successivo ‘ e non tra le riserve del patrimonio netto»; che BDS e non aveva offerto alcuna spiegazione della nota integrativa, in cui era specificato che il debito derivante dal finanziamento era infruttifero e che non era stata prevista una clausola espressa di postergazione (specificazione – è aggiunto -che sarebbe stata incompatibile con un versamento in conto capitale); che dalla causale dei bonifici bancari eseguiti da COGNOME, in cui figurava l’annotazione « finanziamento soci infruttifero a rendere» si evinceva la volontà dell’appellato di finanziare la società, piuttosto che quella di integrarne il capitale; che il tenore delle deposizioni testimoniali non consentiva di escludere che le rimesse operate dall’odierno intimato avessero titolo in un finanziamento; che la ripartizione del versamento in misura proporzionale al valore delle quote dei soci non permetteva di ritenere che l’erogazione fosse stata fatta in conto apporto di capitale, essendo ragionevole che un finanziamento sia ripartito tra i soci secondo la consistenza delle rispettive partecipazioni.
La ricorrente lamenta, anzitutto, l’omesso esame dell e risultanze della consulenza grafica disposta a seguito del disconoscimento delle sottoscrizioni apposte da COGNOME sulle delibere che avevano approvato i versamenti; si duole poi, che la Corte di appello non abbia apprezzato che il «pretestuoso disconoscimento» era «finalizzato a privare di efficacia probatoria le relative delibere», da cui emergeva la reale volontà dei soci circa la natura dei versamenti da eseguirsi.
È, quella in esame, una censura per più versi inammissibile. Il rilievo per cui le risultanze della consulenza tecnica sarebbero state oggetto di un omesso esame è privo di aderenza alla decisione impugnata: come si è visto, la Corte di appello ha preso in considerazione le delibere in questione, dando con ciò per assodato
l’ac c ertamento dell’ autografia delle sottoscrizioni apposte da NOME COGNOME in calce ai verbali di assemblea del 10 marzo e del 20 luglio 2008 (accertamento che, come spiega la ricorrente, era stato operato in primo grado, nel quadro del giudizio di verificazione promosso dalla stessa BDS). La pretestuosità del disconoscimento non può poi costituire l’ oggetto del vizio di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c., in quanto l’omesso esame contemplato dalla norma testé citata deve riguardare un fatto storico; la doglianza è, del resto, pure carente di decisività, in quanto, quale che fosse lo scopo cui era preordinato il disconoscimento, le sottoscrizioni dell’intimato sono risultate apposte in calce a verbali di assemblea che , in base all’insindacabile valutazione della Corte di merito, documentano operazioni di finanziamento e non di apporto di capitale.
La ricorrente evoca, poi, il principio, enunciato da questa Corte, per cui i versamenti in conto capitale costituiscono conferimenti volti a incrementare il patrimonio netto della società e non sono imputabili a capitale, salvo che, con apposita delibera assembleare di modifica dell’atto costitutivo, non ne venga disposto successivamente l’utilizzo per un aumento del capitale sociale (per tutte: Cass. 24 luglio 2007, n. 16393), ma fa poi questione di un’impropria valutazione della volontà delle parti, così ponendo in discussione un apprezzamento che, nel suo nucleo fattuale, non è censurabile in questa sede. Allo stesso modo, sfuggono al sindacato di legittimità le doglianze incentrate sul significato da attribuire alle risultanze probatorie: infatti, sono riservate al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento (Cass. 8 agosto 2019, n. 21187; Cass. 10 giugno 2014, n. 13054).
2. Col secondo motivo si lamentano la violazione e falsa
applicazione degli artt. 113, 115 e 116 c.p.c., nonché degli artt. 2697 e 2729 c.c..
La ricorrente sottopone a censura il passaggio della motivazione incentrato sul rilievo per cui il «bisogno finanziario» di BDS non consentiva di presumere che i soci avessero voluto superare la situazione di difficoltà economica apportando capitale, anziché finanziando la società: ad avviso della Corte di appello, infatti, la difficoltà di reperire ulteriore credito dal sistema bancario giustificava la decisione di rivolgersi ai soci affinché fossero essi a finanziare direttamente la società.
Secondo la società istante la Corte di merito non avrebbe considerato che i versamenti dei soci, in quanto erogati a copertura delle perdite sociali, non erano prestiti rimborsabili ma versamenti in conto capitale . E’ questa, però, una mera affermazione che si infrange contro un accertamento di fatto di segno contrario, il quale non può essere posto in discussione nella presente sede. D’altro canto, la Corte di appello non ha nemmeno trascurato di considerare che la società era in una situazione deficitaria, dal momento che ha fatto preciso riferimento alla necessità della medesima di reperire risorse finanziarie.
Inammissibile è, poi, la censura con cui si denuncia l’erronea applicazione dell’art. 2697 c.c.. Come si è visto, la Corte di appello ha positivamente accertato che l’er ogazione aveva titolo in un finanziamento: ebbene, la violazione del precetto di cui all’art. 2697 c.c., censurabile per cassazione ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (Cass. 31 agosto 2020, n. 18092; Cass. 29 maggio 2018, n. 13395; Cass. 17 giugno 2013, n. 15107).
Stessa sorte ha la doglianza vertente sulla violazione o falsa applicazione dell’art. 2729 c.c.: va osservato che « e presunzioni non stabilite dalla legge sono lasciate alla prudenza del giudice » ex art. 2729, comma 1, c.c..; e in tale prospettiva questa Corte ha avuto modo di evidenziare che spetta al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni semplici, individuare i fatti da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto che, ove adeguatamente motivato, sfugge al sindacato di legittimità (Cass. 5 agosto 2021, n. 22366, la quale precisa, poi, che la censura per vizio di motivazione in ordine all’utilizzo o meno del ragionamento presuntivo non può limitarsi a prospettare l’ipotesi di un convincimento diverso da quello espresso dal giudice di merito, ma deve fare emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio; cfr. pure: Cass. 26 febbraio 2020, n. 5279; Cass. 27 ottobre 2010, n. 21961); peraltro, la ricorrente, col secondo motivo, nemmeno ha fatto valere il vizio motivazionale.
3. – I l terzo mezzo oppone la violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 1236 c.c. con riferimento alla questione della rimessione del debito.
Occorre qui premettere che la Corte di appello ha escluso esistesse evidenza di una rimessione del debito della società da parte di RAGIONE_SOCIALE.
Deduce la ricorrente che, sul punto, la Corte di appello si sarebbe pronunciata su di una questione – quella, appunto, relativa alla rimessione del debito da essa mai dedotta.
Il motivo è inammissibile in quanto coinvolge un punto che è carente di decisività: la statuizione di rigetto dell’appello, con definitivo riconoscimento del diritto di COGNOME ad ottenere il rimborso del proprio finanziamento non è inciso dal vizio di ultrapetizione che è stato denunciato dalla ricorrente; tale diritto sarebbe stato riconosciuto ove
pure la Corte di merito si fosse disinteressata della questione circa la rimessione del debito: questione che la sola BDS avrebbe potuto introdurre (venendo sicuramente in discorso, sul tema, un’eccezione in senso stretto: cfr. Cass. 31 dicembre 2020, n. 29920) ma che di fatto non ha introdotto. In definitiva, deve darsi atto che esiste una equivalenza, sul piano delle conseguenze, tra il rigetto dell’eccezione e la sua mancata proposizione da parte di chi aveva il potere esclusivo di sollevarla.
Col terzo motivo si fa pure questione di una lettura asseritamente inappropriata delle deposizioni testimoniali: ma la censura è inammissibile, in quanto sono riservate al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilità e della concludenza delle prove, la scelta, tra le risultanze probatorie, di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento (Cass. 8 agosto 2019, n. 21187; Cass. 10 giugno 2014, n. 13054).
4. Col quarto motivo la sentenza impugnata è censurata per violazione e falsa applicazione dell’art. 2467 c.c., nonché per violazione degli artt. 113 e 115 c.p.c.. con riferimento alla questione della postergazione del finanziamento del socio.
Sottoposta a critica è la decisione adottata dalla Corte di appello quanto alla postergazione del credito.
Il Giudice distrettuale ha rilevato, al riguardo, che RAGIONE_SOCIALE non aveva dedotto gli elementi da cui desumere che nel 2012, allorquando fu introdotto il giudizio, nel 2016, quando la causa fu assunta in decisione dal giudice di primo grado, e nel 2020, allorché fu resa la sentenza di appello, la società si trovasse nella situazione di squilibrio prevista dall’art. 2467 c.c.. Ha osservato, in particolare, che l’ultimo bilancio prodotto riguar dava l’esercizio chiuso al 31 dicembre 2011, onde da esso non potevano trarsi argomenti circa le condizioni economiche e
finanziarie della società negli anni successivi.
La decisione risulta conformarsi al principio per cui in caso di azione giudiziale del socio per la restituzione del finanziamento effettuato in favore della società, il giudice del merito deve verificare se la situazione di crisi prevista dall’art. 2467, comma 2, c.c. (e cioè l’ eccessivo squilibrio nell’indebitamento o situazione finanziaria in cui sarebbe stato ragionevole un conferimento) sussista, oltre che al momento della concessione del finanziamento, anche a quello della decisione, trattandosi di fatto impeditivo del diritto alla restituzione del finanziamento rilevabile dal giudice d’ufficio, in quanto oggetto di un’eccezione in senso lato, sempre che la situazione di crisi risulti provata ex actis , secondo quanto dedotto e prodotto in giudizio (Cass. 15 maggio 2019, n. 12994).
Ciò posto, il detto principio di diritto è da condividere, mentre sfugge a censura ogni diversa questione vertente sull’accertamento di fatto di cui era investito il Giudice di appello: infatti, la prospettazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta mediante le risultanze di causa inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito (Cass.5 febbraio 2019, n. 3340; Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155; Cass. 11 gennaio 2016, n. 195).
Il motivo è dunque, nel complesso infondato.
– Il ricorso è respinto.
– Nulla è da statuire in punto di spese processuali.
P.Q.M.
La Corte
rigetta il ricorso; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello stabilito per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 1ª Sezione